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giovedì 19 settembre 2019

La crisi economica è sociale

Non si comprano le auto Fiat – record negativo di vendite in estate - perché sono di piccola cilindrata, Panda, 500, Punto. Non si comprano le piccole cilindrate, mentre chi ha può comprare: le cilindrate maggiori non hanno cali di vendite – anche i pochi modelli del gruppo Fiat in questi segmenti, le Jeep. È la conferma che la crisi è diventata sociale, come già intravisto dalle confederazioni commerciali, Confcommercio e Confesercenti: la domanda è debole, quando non negativa come in questo 2019, per le fasce di consumi medio bassi. Si vede per le automobili come per gli elettrodomestici, l’abbigliamento, e perfino l’alimentare: i ceti medio alti continuano a spendere, quelli medio bassi non ce la fanno, o risparmiano per paura.
È il punto della crisi italiana. I mercati nazionali sono qualificati per fasce di reddito-mercato: Ci sono i paesi-mercato ricchi, in Europa la Germania, la Gran Bretagna, e ci sono quelli medio bassi, l’Italia, la Spagna. In questi paesi la crisi colpisce di più, nel senso che colpisce fasce sociali più vaste, con una domanda asfittica di lavoro, precariato, paghe basse. Fasce che ora, dopo dodici anni di crisi, evidentemente non hanno più riserve.

La liquidità ancora c’è, abbondante, le banche la conteggiano in 1.500 miliardi, cifra paperoniana, e poco utilizzata, ma divisa socialmente: i pochi ne hanno molta, che non possono spendere, neanche se volessero, i molti ne hanno poca.
Il dato è evidente. Anche i sindacati lo sanno e lo dicono - senza tuttavia impegnarsi. Ma è del tutto assente nell’informazione e nella politica. Ne aveva mostrato cognizione Renzi nella prima fase del suo governo, col sostegno al reddito, ma dopo gli 80 euro nulla è stato fatto.

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