“Gelosia” è parte della prima parte di “Sodoma e Gomorra III”, pubblicata avulsa nel 1921 su una rivista a grande diffusione. Ritradotta da Cristiana Fanelli, e presentata da Daria Galateria, ha nuova vita, a sé stante. Pur risentendo dell’equivoco che intorbida la lettura della redazione definitiva (insomma, più o meno… forse più autorevole, se non altro per l’autorità dei suoi curatori e esegeti, tra essi Giovanni Macchia, “Il romanzo di Albertine”). Proust v’inscena il suo palco migliore, con i duchi e le fanciulle in fiore.
L’estratto appariva come inedito in apertura nel numero novembre 1921 di un mensile dell’editore Fayard, diretto da Henri Duvernois, inaugurato a luglio, “Les Oeuvres Libres”, di testi inediti di buona qualità e di agevole lettura – una formula che verrà buona fino alla guerra nel 1940, e poi sarà ripresa nel 1944, per altri vent’anni: i primi numeri pubblicavano i Guitry, Rostand, Farère, Hermant, la duchesa di Noailles, Conan Doyle, Billy, con le amazzoni allora in voga, Myriam Harry, Lucie Delarue-Mardrus, della scuderia di Nathalie Barney. Proust vi tratteggia le più svariate forme di gelosia, compresa quella tra le dame che vestono simile. Ma il tema, anzi l’ossessione, è la gelosia amorosa. Su cui Proust modella Albertine – “Gelosia” confluirà poi, riscritta, nelle pagine di Albertine. E qui insorge il disagio: la “lettura” di Albertine.
Nathalie Mauriac Dyer, editrice di “Albertine scomparsa” nel 1987, ricorda che “un secondo estratto, ricavato da «La Prigioniera» e preparato nel’autunno del 1922, vi fu pubblicato dopo la morte, nel febbraio 1923, sotto il titolo «Precauzione inutile». Questi due estratti non ne richiamavano un terzo? Fin da quando aveva appreso la creazione della rivista nel luglio 1921 Proust in effetti aveva manifestato l’intenzione di collaborarvi regolarmente: «C’è nel Tempo perduto tutto il mio romanzo con Albertine fino alla morte di quest’ultima, che potrebbe benissimo apparire in rivista (ma in più numeri)». “Albertine scomparsa”, la redazione “recuperata” nel 1986-7, pone problemi evidenti di censura, da parte di Robert Proust e della redazione dell’editore Gallimard, sulla copia velina rispetto al dattiloscritto inviato a Gallimard. Ma per il lettore il problema è: come appassionarsi di questa gelosia? Alessandro Piperno ne fa sul “Corriere della sera” di martedì una pietra d’inciampo per dire che Proust era un simpatico ragazzo, che aveva in uggia lo gli snob e lo snobismo. Che, se anche fosse vero, non c’entra. Qui il problema è quello dei “sodomisti vergognosi” di cui all’indice di lavoro. Che rende artificiosa – più falsa che l’invenzione narrativa – la lettura di questa gelosia.
Albertine è probabilmente il personaggio più scritto di tutta la “Ricerca”, occupandone un buon terzo: una buona metà delle “Fanciulle in fiore”, la parte centrale di “Sodoma e Gomorra II” (i capitoli che i curatori dell’edizione 1954 della Pléiade titolano poeticamente “Gelosia nei confronti dl Albertine”, “Le intermittenze del cuore”, “I misteri di Albertine”), e le prime due grandi narrative di “Sodoma e Gomorra III”, “La Prigioniera” e “La Fuggitiva”, o “Albertine scomparsa”. Più, molto più, dei più noti Swann, Odette, Gilberte, e di Verdurin, Saint-Loup, i Guermantes, Charlus compreso. Volendo leggere la “Ricerca” per quello che è, non per come è stata stilizzata dai suoi grandi lettori, è l’ossessione più coltivata. Per questo è odioso doverla immaginare nelle sembianze mostacciute e quadrate di Alfred, lo chauffeur fedifrago: Albertine falsifica tutto. A partire dalla stessa descrizione della gelosia. Mille pagine, o duemila quante sono, di anatomia sul tavolo al centro dell’emiciclo, fredda. Non bastano le mille o duemila pagine a dare corpo a Albertine, al di fuori della psico-sociologia dell’epoca, fine secolo datatissimo, soprattutto nel modo d’essere delle passioni, dalla gelosia allo snobismo, con aggiunte di maschiettismo dopoguerra - senza contare le translitterazione care ai proustiani, Gilberte-Alberte, Albertine-Libertine… Alle genericità rimediandosi con le trasgressioni da campionario clinico, alla Krafft-Ebing. Che è poi il problema di Proust: Proust amava i suoi personaggi? Di nessuno di essi, donne o uomini, ci s’innamora. Albertine, cui “Gelosia” introduce, è la ginnastica dell’elusione, dell’amore come di ogni altra cosa o evento – se non, appunto, nella forma fredda della parodia, snob.
Marcel Proust, Gelosia, Editori Riuniti, pp. 167 € 9,90
giovedì 23 dicembre 2010
Mondadori rincorre Rcs Media
Se il “Corriere della sera” fa nero Berlusconi ogni giorno dalla prima all’ultima pagina, Milan compreso, la Mondadori di Berlusconi fa nero quest’anno il gruppo Rcs Media, che edita il “Corriere”. Avendo ristrutturato meglio e più rapidamente, e avendo forse colto la ripresa, per quanto stentata, nelle vendita degli spazi pubblicitari, se non del prodotto (libri, giornali). Benché in contrazione, Mondadori registra un forte recupero di redditività, con un mol attorno ai 140 milioni, da cui estrarrà un utile netto di 40-42 milioni. Pur scontando uscite straordinarie per otto milioni, per condoni fiscali. Dopo aver ridotto l’indebitamento a 350 milioni (290 milioni in meno rispetto a fine 208, a crisi manifesta). Rcs mantiene le posizioni in quanto a fatturato, sui 2.200 milioni, ma con ricavi diffusionali in calo, nei periodici e anche nei quotidiani. Un risultato netto ancora negativo: in lieve perdita o contabilmente in pari. E debiti per 1.100 milioni. In crisi non manifesta ma grave. Un gruppo che può essere facile preda di chiunque - compresa la Mondadori, non fosse per lo scoglio “Corriere della sera”, impensable in mano di Berlusconi.
I due gruppi si rincorrono al vertice del settore editoriale. Con la Rcs di gran lunga al primo posto, ma in perdita di velocità. Vent’anni fa i due gruppi erano appaiati, quando Carlo De Benedetti era titolare di Mondadori, e in quanto tale si era fatto consegnare da Caracciolo e Scalfari il gruppo L’Espresso-Repubblica: entrambi i gruppi avevano nel 1988 un fatturato attorno ai 1.500 miliardi di lire. Poi Rcs aveva diversificato, nel cinema, nella tv, e sui mercati esteri, come gruppo multimedia, raddoppiando nel 1992 il fatturato. Che successivamente ha contratto per la necessaria ristrutturazione, attorno ai 2.500 miliardi a metà anni 1990 – nello stesso anno in cui si evidenziavano ammanchi per ben 1.300 miliardi. Più o meno le dimensioni del gruppo prima della gelata, in milioni di euro. Nel 2007 Rcs fatturava 2.738 milioni, con un utile netto di 220 milioni, uguale a quello del 2006. Nel 2008 il fatturato scendeva a 2.660 milioni, ancora in utile per 38 milioni. Nel 2009 a 2.206 milioni, in perdita per 135 milioni. Quest’anno si stabilizzerà sui 2.200 milioni, ma sempre senza utile. E senza futuro: senza piani, senza idee - giusto un mantello per la nobiltà parassitaria che tiene il morso a Milano, di banca e di toga.
I due gruppi si rincorrono al vertice del settore editoriale. Con la Rcs di gran lunga al primo posto, ma in perdita di velocità. Vent’anni fa i due gruppi erano appaiati, quando Carlo De Benedetti era titolare di Mondadori, e in quanto tale si era fatto consegnare da Caracciolo e Scalfari il gruppo L’Espresso-Repubblica: entrambi i gruppi avevano nel 1988 un fatturato attorno ai 1.500 miliardi di lire. Poi Rcs aveva diversificato, nel cinema, nella tv, e sui mercati esteri, come gruppo multimedia, raddoppiando nel 1992 il fatturato. Che successivamente ha contratto per la necessaria ristrutturazione, attorno ai 2.500 miliardi a metà anni 1990 – nello stesso anno in cui si evidenziavano ammanchi per ben 1.300 miliardi. Più o meno le dimensioni del gruppo prima della gelata, in milioni di euro. Nel 2007 Rcs fatturava 2.738 milioni, con un utile netto di 220 milioni, uguale a quello del 2006. Nel 2008 il fatturato scendeva a 2.660 milioni, ancora in utile per 38 milioni. Nel 2009 a 2.206 milioni, in perdita per 135 milioni. Quest’anno si stabilizzerà sui 2.200 milioni, ma sempre senza utile. E senza futuro: senza piani, senza idee - giusto un mantello per la nobiltà parassitaria che tiene il morso a Milano, di banca e di toga.
mercoledì 22 dicembre 2010
In piazza la debolezza dei partiti
Ci sono voluti anche i padri, a Roma, accanto alle figlie, per fare il “numero legale” alle manifestazioni contro la riforma dell’università. “Sono studente, povero”, la sindrome è sempre quella, del duca di Mantova che può mntire, impunito, nel “Rigoletto” – con enfasi sottolineata nel geniale “Rigoletto a Mantova” di Andrea Andermann. Gli studenti non mentono doppio come il duca, ma semplice sì: studente è un privilegio prima che una disperazione. Per il resto l'“esplosione” in piazza è dei partiti, molto organizzata e poco numerosa. In nessun posto e in nessun momento si trovano reazioni “spontanee” – se non quelli dei violenti, o balordi, a Roma il 14 dicembre. Gli argomenti, e il modo di esporli, comprese le “tattiche e strategie” delle manifestazioni, sono roba di partiti, comprese le vecchie mozioni e le procedure. Senza nessun’altra emozione e nessuna finalità che non sia quella dei “dibattito”, alle Camere, nei giornali, nei talk show. Della visibilità o pubblicità gratuita.
Si è manifestato peraltro contro una riforma che, per quanto insidiosa e debole normativamente, nessun partito contesta. Per un diritto allo studio che è quanto dire diritto alla vita – non si troverà nessuno che lo neghi, nemmeno sotto minaccia. Tutto ciò che il Pd ha chiesto e voluto è stato di rinviare di qualche ora, qualche giorno, e se possibile di nuovo alla Camera, la legge di riforma, per capitalizzare sulle manifestazioni. Che invece sono politicamente in perdita. E comunque certificano l’indigenza della politica. Se l’antipolitica è forte, è anche perché la politica è debole. Debolissima nel caso. “La stabilità politica è un bene”, questa saggezza è rimasta a Ruini. Che è un cardinale, e forse pure di destra.
Si è manifestato peraltro contro una riforma che, per quanto insidiosa e debole normativamente, nessun partito contesta. Per un diritto allo studio che è quanto dire diritto alla vita – non si troverà nessuno che lo neghi, nemmeno sotto minaccia. Tutto ciò che il Pd ha chiesto e voluto è stato di rinviare di qualche ora, qualche giorno, e se possibile di nuovo alla Camera, la legge di riforma, per capitalizzare sulle manifestazioni. Che invece sono politicamente in perdita. E comunque certificano l’indigenza della politica. Se l’antipolitica è forte, è anche perché la politica è debole. Debolissima nel caso. “La stabilità politica è un bene”, questa saggezza è rimasta a Ruini. Che è un cardinale, e forse pure di destra.
Secondi pensieri - (59)
zeulig
Felicità – Si può pensarla “a scalare”: si ponga la vita al peggio, ogni suo momento sarà migliore. Non è la perfezione ma è una forma logica: l’attesa è un solido costituente della realtà.
Logica – Il reale è strano. L’uomo è stranissimo, come ogni essere animale. Molto più di ogni immaginario, che sempre supera, le forme della vita vanno oltre la capacità d’immaginazione: il mondo è un brulichio di forme viventi. La logica si vuole una regolamentazione del reale, non la sua comprensione.
In vista al Jardin des Plantes, il muso di storia naturale di Parigi, Emerson nota nel 1833: “L’Universo ci appare come un enigma più stupefacente che mai, guardando questa sbalordiiva serie di forme animate – vaporose farfalle, fossili scolpiti, uccelli, animali selvaggi, pesci, insetti, serpi – e il brulicare del principio della vita incipiente dappertutto, finanche nella roccia che scimmiotta le forme di vita complesse”. E: “Non c’è forma tanto complessa, o tanto selvaggia, e nemmeno tanto bella che non sia espressione di qualche principio inerente nell’umano che osserva; c’è una relazione occulta tra gli scorpioni e l’uomo. Sento il millepiedi dentro di me e il caimano, la carpa, l’aquila e la volpe”.
Morte – Il pensiero della morte, la vita imparentata alla morte, è già morte. O il desiderio di morire, naturalmente – il suicidio, per chi ha vissuto, è solo un incidente, una sopravvenienza.
“Per poter morire bisogna aver vissuto”(H.D.Thoreau, “Apologia per John Brown”). Dove non c’è stata vita non c’è morte, solo un imputridimento costante.
L'essere-per-la-morte (Heidegger) è il proprio dell’Occidente, l’ “ideologia” occidentale, produrre-per-la-morte. La morte “è il termine, non il fine” della vita, Montaigne insegnava. A cui è follia non pensare, o rifiutarsi di pensare, altrettanto come lo è lasciarsene in golfare.
È afflittiva. Per spiriti afflitti.
Odio – Pota male. Come si dispiega, senza la vendetta? Non libera, è una costrizione. Spesso per mancanza di oggetto.
Chi odia l’ebreo perseguitato dai tedeschi, con chi si sfoga? O il piccolo esercente, artigiano, proprietario vessato dalla mafia? O il lavoratore vessato dall’azienda? L’odio è la vera con danna.
Pietà – Il mercato più vasto, superfluo e cinico vi è stato fondato sopra, coinvolgendo sovrani, cavalieri, vescovi, papi, notai, uomini di scienza, nonché tutte le istituzioni, pie e mercantili, che il costo delle reliquie e dei miracoli hanno potuto scaricare sui devoti grazie al meccanismo delle indulgenze. Un “miracolo” che dura da un millemmnio, dalle Crociate – furono le Crociate un progetto commerciale?
Preghiera – Si rivolge a Dio ma non lo turba. Non cambia colui a cui è rivolta ma chi la fa.
Romanticismo – Come religione della libertà è inappagabile perché insoddisfacente per principio, alla ricerca di un assoluto che è un di più sfuggente, per quanti recessi si muova a esplorare, dell’inconscio, dell’orrore, dell’aldilà, dell’amore, della morte. È qui la radice della crudeltà – psicologica e sociale, verso se stessi e verso gli altri – nella quale si è liberamente esercitato il secolo.
Società – Sorge (si dà) contrattualisticamente, fra individui, siano pure moltitudini, che che condividono consensualmente, sino pure inespressi, a meno di un rifiuto espresso,certti vincoli (leggi, valori) fondamentali. Ma preesiste al consenso, molte cose deve avere in comune preliminari al covenant: i linguaggio per esempio, la contiguità territoriale, la familiarità (reciproca “conoscenza2. È un fatto prima che un atto, il contratto la stabilizza, la perfeziona (migliora).
Utilitarismo – Non è l’egoismo col quale volgarmente viene confuso. Non è nemmeno l’epicureismo – ora volgarizzato in libertinismo. Sta nella sfera del riserbo e della sobrietà, della ricerca accumulativa – costante, nelle cose come avvengono (storia – del bene. Ma è ateo, e per questo rancoroso (magisteriale, giudicante, illiberale).
O lo è perché è inconcludente? Fare di se stessi (del proprio giudizio) la misura delle cose è esercizio socratico alla libertà e alla giustizia, ma è sgradevole e perfino volgare (gretto): la vita si misura poco, al meglio si vive. L’entusiasmo (la disponibilità) è meno volgare del riserbo.
Wittgenstein – S’imbriglia nella circolarità della logica aristotelica – che è poi dell’idea platonica: la verità essendo del pensiero ne segue la circolarità. Il pensiero s’invera per se stesso. Ogni parola significa in rapporto a tutte le altre, e così le parti del discorso, e in rapporto a un prima e a un dopo, ma il linguaggio è un organismo chiuso, autoreferente. Il che, se è possibile in una cosa (un dato), contraddice il linguaggio. Ciò di cui possiamo parlare, allora, è puro formalismo, cioè insignificante.
zeulig@antiit.eu
martedì 21 dicembre 2010
Lo snobismo della casta, liberale?
Un capolavoro del suo tempo (1964) e di oggi. Con scorci definitivi su liberalismo, borghesia, snobismo, élite, e sintesi lancinanti su Proust e H.James, il romanticismo reazionario, la scomparsa della “cavalleria dei grandi studiosi”, e la voglia di nulla che la ricchezza dei tempi moderni si porta dietro. Ripubblicato a coronamento degli anni 1980, quando il flusso democratizzante della nuova ricchezza stava per soccombere all’insidia della stagnazione (l’immobilità), ne è un grido profetico. Ma di un profetismo allora periodico: è che l’apice della borghesia non individualista, non avventurosa, a tendenza castale (il “giudice figlio di giudice, nipote di giudice) o notabilare, che il libriccino denuncia, appare indistruttibile.
Prima ricompattava il notabilato la minaccia egualitarista. Ora? Non c’è aria autocritica nel liberalismo, anzi non c’è aria. A meno che il liberalismo non sia morto da tempo o sorpassato, e siamo stabilmente in una società di caste, scandita (regolata) dagli status symbol. Normale che la cultura italiana non l’abbia letto, o l’abbia rimosso, al suo tempo e alla ripubblicazione: non c’è (c’era) liberalismo, come non c’è comunismo. Non c’è nemmeno sociologia.
Elena Croce, Lo snobismo liberale
Prima ricompattava il notabilato la minaccia egualitarista. Ora? Non c’è aria autocritica nel liberalismo, anzi non c’è aria. A meno che il liberalismo non sia morto da tempo o sorpassato, e siamo stabilmente in una società di caste, scandita (regolata) dagli status symbol. Normale che la cultura italiana non l’abbia letto, o l’abbia rimosso, al suo tempo e alla ripubblicazione: non c’è (c’era) liberalismo, come non c’è comunismo. Non c’è nemmeno sociologia.
Elena Croce, Lo snobismo liberale
Ombre - 72
Si indaga a Milano la società comunale A2A per le false fatturazioni del gas. Ma si rinvia a giudizio, perlomeno sul “Corriere della sera”, l’Eni, per avere importato, forse, gas senza dichiararlo. I distributori indipendenti di gas, A2A compresa, sono in guerra con l’Eni perché vogliono una fetta dell’affare, e Milano compatta aggredisce, palazzo di Giustizia e “Corriere della sera” compresi.
L’Eni ha anche un suo uomo, Alberto Meomartini, a capo dell’Assolombarda. Ma questo non basta, gli affari sono affari.
I capi degli studenti dicono senza mezzi termini che domani intendono ripetere il 14. Ma per i giornali romani “è giallo sul comunicato degli studenti”.
Sandro Modeo, autore entusiasta di “L’alieno Mourinho”, aggiunge a Farenheit , all’obiezione che l’allenatore portoghese è un fascista dichiarato: “Sì, è nipote di un ministro di Salazar, è cresciuto in una villa di quindici stanze, ma è della destra istituzionale, dei grandi burocrati. Non di quella affamata di denaro che imperversa da qualche tempo”. Meglio il fascismo dei soldi? Il fascino del fascismo è intatto, a parte la guerra perduta.
Chi vince all’Inter poi scappa. Non è la prima volta: Benitez dopo Mourinho, Mancini, Ibrahimovic, Vieri, mentre Milito è rimasto di malavoglia. Scappano magari un momento prima, o dopo, essere cacciati. È chiaro che la società dei Moratti è cannibalesca. Ma non c’è un cenno di questo nel “Corriere della sera” o nella “Gazzetta dello sport”.
“Il gelo in Toscana è costato 200 milioni”. Non è vero. Cioè non si sa, non si può sapere. Ma per dare l’idea di un danno, soprattutto di un evento naturale, bisogna ultimamente quantificarlo.
Bagnasco, mai tiepido con Berlusconi, invita alla sua assise natalizia Quagliariello, che non dev’essere molto praticante, e Gasparri, e si fa fotografare con loro. Il Fini radicaleggiante deve avere spaventato i cardinali. O è l’affondo finale all’ex Pci, un segnale ai Popolari del Pd?
No, il giorno dopo il cardinale Bertone, capo del Vaticano, si fa fotografare ammiccante con Fini, la compagna radicale e Emma Bonino: è solo ecumenismo – Bertone sta con Berlusconi e con Castro.
Orsola Fallara, la dirigente quarantaquatrenne del Comune di Reggio, si brucia lo stomaco con l’acido muriatico, dopo che glielo hanno bruciato i giornali lovali, la “Gazzetta del sud” che tifa Casini-Fini, e due giornali del Pd, “L’ora di Calabria” e “Il quotidiano di Calabria”. Due esponenti del Pd l’hanno denunciata per malversazione questo è bastato per distruggerla: le sue consulenze sono troppo care, tanto più che lei stessa se le è liquidate in qualità di superdirigente del Comune (dirigeva il Bilancio).
L’obiettivo non era lei, ma l’ex sindaco di Reggio Scopelliti, e il “modello Reggio” vetrina della destra. Una vendetta trasversale, politica. Quando si farà la storia di questi anni, i virtuosi assassini ne saranno certamente il segno. Alcuni (ex) fascisti dichiarati, Fini, Di Pietro, Travaglio. Ma il maggior numero di sinistra e di estrema sinistra: Furio Colombo, Flores d’Arcais, Armando Spataro.
Certo, Furio Colombo di sinistra è tutto dire.
Giannelli in castigo venerdì 17 sul “Corriere della sera” per la vignetta magistrale dei nuovi tre magi centristi in cammino: “Scusi buonuomo, a destra o a sinistra per la mangiatoia?”. Annegata in fondo pagina. A quando la cacciata di Giannelli, dopo Forattini?
Anche Vincino non si vede bene, benché da sempre inaffidabile e confinato alle pagine interne. Dove mette Bersani in fuga di fronte a moleste proposte di matrimonio “a tre”, con noti buggeratori.
Il fotografo del finanziere con la pistola in mano, a terra tra due eroi belli e irridenti, ha anche le foto precedenti, di quando il graduato, in età, è stato aggredito, denudato del casco e dello scudo, e picchiato a terra. Ma non le mostra. Diritto di cronaca o dovere?
Ma forse per una volta Pasolini aveva ragione: troppa cialtroneria a sinistra.
Tocca al dottor Mussari, in qualità di presidente dei banchieri, introdurre un salario di produttività in banca. All’ex presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la banca degli (ex) compagni dell’(ex) Pci senese. Ci vuole la sinistra per fare la destra, sarà questa la massima immortale dell’Avvocato Agnelli.
Per il tg di Murdoch il 14 non è successo nulla: non è stata bocciata la mozione di Fini contro Berlusconi, ci sono solo incidenti in giro per Roma, provocati dalla polizia in assetto da guerra, con abbondanza di immagini, e naturalmente dai black bloc. Cioè dai ninja, infiltrati benché invisibili, non organizzati, benché siano alcune migliaia, ben distribuiti, e intervengano all’ora X, non a caso. Infiltrati da Murdoch?
L’onorevole Bocchino dopo la mancata sfiducia a Berlusconi si elegge a “volontà popolare”: Berlusconi, dice, ha fatto “un ribaltone contro la volontà popolare”. Io e il mio Stato: l’onorevole, bocchino come il nome, è sicuramente un adepto dello Stato etico.
L’ambasciatore americano Thorne, già famoso per la festa natalizia gay, si segnala su Wikileaks per essere pro Murdoch e contro Berlusconi. Diventerà anche lui parlamentare del Pd?
L’Eni ha anche un suo uomo, Alberto Meomartini, a capo dell’Assolombarda. Ma questo non basta, gli affari sono affari.
I capi degli studenti dicono senza mezzi termini che domani intendono ripetere il 14. Ma per i giornali romani “è giallo sul comunicato degli studenti”.
Sandro Modeo, autore entusiasta di “L’alieno Mourinho”, aggiunge a Farenheit , all’obiezione che l’allenatore portoghese è un fascista dichiarato: “Sì, è nipote di un ministro di Salazar, è cresciuto in una villa di quindici stanze, ma è della destra istituzionale, dei grandi burocrati. Non di quella affamata di denaro che imperversa da qualche tempo”. Meglio il fascismo dei soldi? Il fascino del fascismo è intatto, a parte la guerra perduta.
Chi vince all’Inter poi scappa. Non è la prima volta: Benitez dopo Mourinho, Mancini, Ibrahimovic, Vieri, mentre Milito è rimasto di malavoglia. Scappano magari un momento prima, o dopo, essere cacciati. È chiaro che la società dei Moratti è cannibalesca. Ma non c’è un cenno di questo nel “Corriere della sera” o nella “Gazzetta dello sport”.
“Il gelo in Toscana è costato 200 milioni”. Non è vero. Cioè non si sa, non si può sapere. Ma per dare l’idea di un danno, soprattutto di un evento naturale, bisogna ultimamente quantificarlo.
Bagnasco, mai tiepido con Berlusconi, invita alla sua assise natalizia Quagliariello, che non dev’essere molto praticante, e Gasparri, e si fa fotografare con loro. Il Fini radicaleggiante deve avere spaventato i cardinali. O è l’affondo finale all’ex Pci, un segnale ai Popolari del Pd?
No, il giorno dopo il cardinale Bertone, capo del Vaticano, si fa fotografare ammiccante con Fini, la compagna radicale e Emma Bonino: è solo ecumenismo – Bertone sta con Berlusconi e con Castro.
Orsola Fallara, la dirigente quarantaquatrenne del Comune di Reggio, si brucia lo stomaco con l’acido muriatico, dopo che glielo hanno bruciato i giornali lovali, la “Gazzetta del sud” che tifa Casini-Fini, e due giornali del Pd, “L’ora di Calabria” e “Il quotidiano di Calabria”. Due esponenti del Pd l’hanno denunciata per malversazione questo è bastato per distruggerla: le sue consulenze sono troppo care, tanto più che lei stessa se le è liquidate in qualità di superdirigente del Comune (dirigeva il Bilancio).
L’obiettivo non era lei, ma l’ex sindaco di Reggio Scopelliti, e il “modello Reggio” vetrina della destra. Una vendetta trasversale, politica. Quando si farà la storia di questi anni, i virtuosi assassini ne saranno certamente il segno. Alcuni (ex) fascisti dichiarati, Fini, Di Pietro, Travaglio. Ma il maggior numero di sinistra e di estrema sinistra: Furio Colombo, Flores d’Arcais, Armando Spataro.
Certo, Furio Colombo di sinistra è tutto dire.
Giannelli in castigo venerdì 17 sul “Corriere della sera” per la vignetta magistrale dei nuovi tre magi centristi in cammino: “Scusi buonuomo, a destra o a sinistra per la mangiatoia?”. Annegata in fondo pagina. A quando la cacciata di Giannelli, dopo Forattini?
Anche Vincino non si vede bene, benché da sempre inaffidabile e confinato alle pagine interne. Dove mette Bersani in fuga di fronte a moleste proposte di matrimonio “a tre”, con noti buggeratori.
Il fotografo del finanziere con la pistola in mano, a terra tra due eroi belli e irridenti, ha anche le foto precedenti, di quando il graduato, in età, è stato aggredito, denudato del casco e dello scudo, e picchiato a terra. Ma non le mostra. Diritto di cronaca o dovere?
Ma forse per una volta Pasolini aveva ragione: troppa cialtroneria a sinistra.
Tocca al dottor Mussari, in qualità di presidente dei banchieri, introdurre un salario di produttività in banca. All’ex presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la banca degli (ex) compagni dell’(ex) Pci senese. Ci vuole la sinistra per fare la destra, sarà questa la massima immortale dell’Avvocato Agnelli.
Per il tg di Murdoch il 14 non è successo nulla: non è stata bocciata la mozione di Fini contro Berlusconi, ci sono solo incidenti in giro per Roma, provocati dalla polizia in assetto da guerra, con abbondanza di immagini, e naturalmente dai black bloc. Cioè dai ninja, infiltrati benché invisibili, non organizzati, benché siano alcune migliaia, ben distribuiti, e intervengano all’ora X, non a caso. Infiltrati da Murdoch?
L’onorevole Bocchino dopo la mancata sfiducia a Berlusconi si elegge a “volontà popolare”: Berlusconi, dice, ha fatto “un ribaltone contro la volontà popolare”. Io e il mio Stato: l’onorevole, bocchino come il nome, è sicuramente un adepto dello Stato etico.
L’ambasciatore americano Thorne, già famoso per la festa natalizia gay, si segnala su Wikileaks per essere pro Murdoch e contro Berlusconi. Diventerà anche lui parlamentare del Pd?
lunedì 20 dicembre 2010
La donna è più donna in convento
Bizzarro film tradizionalista, perfino reazionario, dell’amore puro contro la donna moderna. Capace solo di sciocco sarcasmo, ridicolizzata come Faust-a stupida e corruttrice di un Margherit-o idealista.
Manoel De Oliveira, I misteri del convento
Manoel De Oliveira, I misteri del convento
Il mondo com'è - 51
astolfo
Antipolitica – È la politica dell’Italia da circa vent’anni: gestita da interessi contro la politica classica dei partiti che fa riferimento alle elezioni periodiche. Gestita da molti magistrati e dai grandi giornali, padronali. E da una sinistra confusa (autolesionista): “organizzare” cinque o sei cortei a Roma attorno al Parlamento il giorno del voto di fiducia, portando nella capitale come massa d’urto i disoccupati napoletani, che non vanno in giro per niente, è ferocia antipolitica.
In nessun paese al mondo, Afghanistan escluso, e forse l’Iraq, la politica necessita di tante scorte al suo personale, anche minore, anche non più attivo. Qualunque ministro o ex ministro, o sottosegretario, o parlamentare, e molti ex parlamentari, i presidenti di Regione e delle Province, i sindaci, gli assessori, molte spesso anche solo ex, si aggirano tra guardie pubbliche e private. Senza nessuna minaccia terroristica organizzata, giusto per la diffusa ostilità alla politica che la Rai, l’Ansa, i giornali, i telegiornali e i talk show diffondono a dosi ogni giorno massicce, costanti.
Facebook – McLuhan, ne “Gli strumenti del comunicare”, 1964, o in “Il mezzo è il messaggio”, 1967, diceva che l’elettronica avrebbe privato l’uomo della sua identità e della morale: “Le persone vanno al lavoro principalmente per leggere”.
Ideologia – La indebolisce il legame con la politica. Alla quale altre connotazioni si legano: l’effettualità soprattutto, realizzare qualcosa, anche a dispetto dei dissenzienti che saranno sempre in gran numero. E poi: l’onestà e la generosità (magnanimità) esemplari, la sensibilità alla concezione comune e corrente del bene, oggi lo sviluppo, domani la conservazione, se il mondo sarà ricco a sazietà. Ma è l’ideologia che s’è appropriata la politica. Nel totalitarismo e nella democrazia. Da almeno un paio di secoli la politica è ideologica, nazionalismo, potenza, capitalismo, socialismo.
La politica non ne ha guadagnato. Il mondo è più ricco, molto più di ogni altra epoca, ma per effetto di migliori concatenazioni di mercato, o di una migliore organizzazione degli affari, speso però casuale – lo sviluppo non è mai acquisito, la caduta degli imperi è sempre dietro l’angolo. Per effetto anche dell’ideologia, ma in subordine: quella dello sviluppo è una storia il cui motore sono diventati gli affari, peer la prima volta nella storia, negli ultimi duecento anni.
Internet - Molto rumore per nulla per Wikileaks, per la pubblicazione dei documenti americani. Nessun governo è caduto, e nessuno nemmeno è stato criticato, neppure quello americano. Si può anche pensare che il governo Usa abbia fatto pubblicare i documenti per dire al mondo che lo tiene sotto controllo e lo considera poco – tutto si può pensare. Ma si conferma l’irrilevanza della rete, e della rete mondiale di opinione, negli affari. Se non nella rapidità della comunicazione, come strumento, tecnologia. È bastato un artificio minimo, mettere Assange, bello, biondo, misterioso, nel mirino per “oscurare” la rete.
Internet è sicuramente un linguaggio. Nella simbologia, nelle forme espressive, per la stessa sua rapidità. Per l’esposizione naturalmente, soprattutto per il suo procedere nudo. Ma questa esposizione non è arrapante. È piuttosto una poubelle, sterilizzata, pulita, dove buttare riflessione e ricordi – da cui anche non viene “naturale” ripescarli.
Lavoro – L’abbondanza lo ha reso superfluo. Quando il benessere si basava sul soddisfacimento dei bisogni primari il problema era spremere quanto più lavoro possibile, nell’insieme e unitariamente – o viceversa: quando il lavoro era solo quello umano, con un ausilio animale ridott, non ce n’era mai a sufficienza per soddisfare i soli bisogni primari. L’innovazione finanziaria e industriale, organizzazione del lavoro compresa (fordismo), ha più che moltiplicato i bisogni, ma ancora di più i mezzi per soddisfare i bisogni, rendendo il lavoro sempre più superfluo.
Npn tutto il lavoro naturalmente è superfluo. Ma quello che non lo è, è indispensasabile in misura ben superiore a quello di una volta. È infatti l’unico mezzo di distribuzione del reddit in misura abbastanza elevata da alimentare i consumi e quindi l’economia. Se cessa questo lavoro (zoccolo), cessa l’abbondanza, quali che siano le disponibilità tecnologiche.
Il Novecento non ha conosciuto carestie. Se non sotto la forma della disoccupazione di massa, negli anni 1920 in Germania, negli anni 1930 in Usa e in Germania.
Mani Pulite – È il titolo di un libro pubblicato nel 1977 da Sugar, editore socialista. Scritto da Claudio Castellacci, con prefazione di Ugoberto Alfassio Grimaldi, direttore di “Critica sociale”. Aveva come sottotitolo “I comunisti e le amministrazioni degli enti locali”. La nemesi è casuale? È una trappola organizzata.
Mani Pulite ha avuto e ha singolari cadenze mafiose. Il discredito sugli indagati (le “voci”, che si perfezionano in “indiscrezioni, e infine nei cosiddetti avvisi di garanzia, resi pubblici prima di comunicarli agli indagati) per isolare l’obiettivo. Le false voci. La selettività. Il palese trattamento di favore per gli amici – esibire il potere. La rudezza. La violenza illimitata. E l’esibizionismo: non c’è mafia, infatti, che non si esibisca. È l’apporto dei suoi giudici napoletani e siculi?
Medicina preventiva – Quando il morbo arriva siamo già tutti seppelliti dai debiti.
È sciamanica. Ma non nel senso dello scongiuro. È un’evocazione propedeutica. È la danza della pioggia.
Nobili – In nessun altro paese ce ne sono tanti quanti in Francia, dopo la Rivoluzione.
Occidente – Ma è nozione cartografica. La scoperta dell’America complicò le rappresentazioni dei cartografi: dove e come situare le nuove terre? La soluzione fu di dividere la terra conosciuta in due parti, due emisferi. Quello di destra, il Vecchio Mondo, conteneva l’Europa, l’Africa e l’Asia, quello di sinistra le Americhe – ed è il Nuovo Mondo, a Occidente del Vecchio.
L’Europa si può dunque dire parte dell’Occidente come appendice degli Stati Uniti d’America - tramite l'ingegnosa interdipendenza di Altiero Spinelli. Dopo essere stata da sempre un’appendice dell’Asia, una coda.
Politica – È debole e arrendevole all’antipolitica per effetto della democrazia. Forse malintesa, ma è la democrazia che ha indebolito la funzione principale della politica, di coagulo rispetto al dissenso – la capacità di scelta e di leadership. Sia perché la politica è ideologica (massimalista, assolutista), e sia perché è riduttiva (minimalista), sfiancandosi nell’assorbimento di ogni forma di dissenso. Che naturalmente è sempre di massa, anche se marginale: in democrazia ogni fenomeno è di massa.
Se ne dibatte da quarant’anni ma il dibattito è stato sterile perché monopolizzato dalla Trialerale, o su basi trilateraliste, cioè della ricostituzione del potere – questione peraltro inafferrabile in sé La politica non è il potere, il potere è una sua espressione, sempre labile.
astolfo@antiit.eu
Antipolitica – È la politica dell’Italia da circa vent’anni: gestita da interessi contro la politica classica dei partiti che fa riferimento alle elezioni periodiche. Gestita da molti magistrati e dai grandi giornali, padronali. E da una sinistra confusa (autolesionista): “organizzare” cinque o sei cortei a Roma attorno al Parlamento il giorno del voto di fiducia, portando nella capitale come massa d’urto i disoccupati napoletani, che non vanno in giro per niente, è ferocia antipolitica.
In nessun paese al mondo, Afghanistan escluso, e forse l’Iraq, la politica necessita di tante scorte al suo personale, anche minore, anche non più attivo. Qualunque ministro o ex ministro, o sottosegretario, o parlamentare, e molti ex parlamentari, i presidenti di Regione e delle Province, i sindaci, gli assessori, molte spesso anche solo ex, si aggirano tra guardie pubbliche e private. Senza nessuna minaccia terroristica organizzata, giusto per la diffusa ostilità alla politica che la Rai, l’Ansa, i giornali, i telegiornali e i talk show diffondono a dosi ogni giorno massicce, costanti.
Facebook – McLuhan, ne “Gli strumenti del comunicare”, 1964, o in “Il mezzo è il messaggio”, 1967, diceva che l’elettronica avrebbe privato l’uomo della sua identità e della morale: “Le persone vanno al lavoro principalmente per leggere”.
Ideologia – La indebolisce il legame con la politica. Alla quale altre connotazioni si legano: l’effettualità soprattutto, realizzare qualcosa, anche a dispetto dei dissenzienti che saranno sempre in gran numero. E poi: l’onestà e la generosità (magnanimità) esemplari, la sensibilità alla concezione comune e corrente del bene, oggi lo sviluppo, domani la conservazione, se il mondo sarà ricco a sazietà. Ma è l’ideologia che s’è appropriata la politica. Nel totalitarismo e nella democrazia. Da almeno un paio di secoli la politica è ideologica, nazionalismo, potenza, capitalismo, socialismo.
La politica non ne ha guadagnato. Il mondo è più ricco, molto più di ogni altra epoca, ma per effetto di migliori concatenazioni di mercato, o di una migliore organizzazione degli affari, speso però casuale – lo sviluppo non è mai acquisito, la caduta degli imperi è sempre dietro l’angolo. Per effetto anche dell’ideologia, ma in subordine: quella dello sviluppo è una storia il cui motore sono diventati gli affari, peer la prima volta nella storia, negli ultimi duecento anni.
Internet - Molto rumore per nulla per Wikileaks, per la pubblicazione dei documenti americani. Nessun governo è caduto, e nessuno nemmeno è stato criticato, neppure quello americano. Si può anche pensare che il governo Usa abbia fatto pubblicare i documenti per dire al mondo che lo tiene sotto controllo e lo considera poco – tutto si può pensare. Ma si conferma l’irrilevanza della rete, e della rete mondiale di opinione, negli affari. Se non nella rapidità della comunicazione, come strumento, tecnologia. È bastato un artificio minimo, mettere Assange, bello, biondo, misterioso, nel mirino per “oscurare” la rete.
Internet è sicuramente un linguaggio. Nella simbologia, nelle forme espressive, per la stessa sua rapidità. Per l’esposizione naturalmente, soprattutto per il suo procedere nudo. Ma questa esposizione non è arrapante. È piuttosto una poubelle, sterilizzata, pulita, dove buttare riflessione e ricordi – da cui anche non viene “naturale” ripescarli.
Lavoro – L’abbondanza lo ha reso superfluo. Quando il benessere si basava sul soddisfacimento dei bisogni primari il problema era spremere quanto più lavoro possibile, nell’insieme e unitariamente – o viceversa: quando il lavoro era solo quello umano, con un ausilio animale ridott, non ce n’era mai a sufficienza per soddisfare i soli bisogni primari. L’innovazione finanziaria e industriale, organizzazione del lavoro compresa (fordismo), ha più che moltiplicato i bisogni, ma ancora di più i mezzi per soddisfare i bisogni, rendendo il lavoro sempre più superfluo.
Npn tutto il lavoro naturalmente è superfluo. Ma quello che non lo è, è indispensasabile in misura ben superiore a quello di una volta. È infatti l’unico mezzo di distribuzione del reddit in misura abbastanza elevata da alimentare i consumi e quindi l’economia. Se cessa questo lavoro (zoccolo), cessa l’abbondanza, quali che siano le disponibilità tecnologiche.
Il Novecento non ha conosciuto carestie. Se non sotto la forma della disoccupazione di massa, negli anni 1920 in Germania, negli anni 1930 in Usa e in Germania.
Mani Pulite – È il titolo di un libro pubblicato nel 1977 da Sugar, editore socialista. Scritto da Claudio Castellacci, con prefazione di Ugoberto Alfassio Grimaldi, direttore di “Critica sociale”. Aveva come sottotitolo “I comunisti e le amministrazioni degli enti locali”. La nemesi è casuale? È una trappola organizzata.
Mani Pulite ha avuto e ha singolari cadenze mafiose. Il discredito sugli indagati (le “voci”, che si perfezionano in “indiscrezioni, e infine nei cosiddetti avvisi di garanzia, resi pubblici prima di comunicarli agli indagati) per isolare l’obiettivo. Le false voci. La selettività. Il palese trattamento di favore per gli amici – esibire il potere. La rudezza. La violenza illimitata. E l’esibizionismo: non c’è mafia, infatti, che non si esibisca. È l’apporto dei suoi giudici napoletani e siculi?
Medicina preventiva – Quando il morbo arriva siamo già tutti seppelliti dai debiti.
È sciamanica. Ma non nel senso dello scongiuro. È un’evocazione propedeutica. È la danza della pioggia.
Nobili – In nessun altro paese ce ne sono tanti quanti in Francia, dopo la Rivoluzione.
Occidente – Ma è nozione cartografica. La scoperta dell’America complicò le rappresentazioni dei cartografi: dove e come situare le nuove terre? La soluzione fu di dividere la terra conosciuta in due parti, due emisferi. Quello di destra, il Vecchio Mondo, conteneva l’Europa, l’Africa e l’Asia, quello di sinistra le Americhe – ed è il Nuovo Mondo, a Occidente del Vecchio.
L’Europa si può dunque dire parte dell’Occidente come appendice degli Stati Uniti d’America - tramite l'ingegnosa interdipendenza di Altiero Spinelli. Dopo essere stata da sempre un’appendice dell’Asia, una coda.
Politica – È debole e arrendevole all’antipolitica per effetto della democrazia. Forse malintesa, ma è la democrazia che ha indebolito la funzione principale della politica, di coagulo rispetto al dissenso – la capacità di scelta e di leadership. Sia perché la politica è ideologica (massimalista, assolutista), e sia perché è riduttiva (minimalista), sfiancandosi nell’assorbimento di ogni forma di dissenso. Che naturalmente è sempre di massa, anche se marginale: in democrazia ogni fenomeno è di massa.
Se ne dibatte da quarant’anni ma il dibattito è stato sterile perché monopolizzato dalla Trialerale, o su basi trilateraliste, cioè della ricostituzione del potere – questione peraltro inafferrabile in sé La politica non è il potere, il potere è una sua espressione, sempre labile.
astolfo@antiit.eu
venerdì 17 dicembre 2010
Il silenzio di Napolitano sull'assalto alla Camera
La preoccupazione può non essere condivisibile del Viminale sul 14 dicembre come antivigilia di un altro 12 dicembre, sulla ripetizione del 1969, la storia non è mai uguale, e tuttavia le dinamiche lo sono. Le dinamiche si ripetono in modo impressionante. La minaccia violenta viene in parte giustificata, in parte attribuita a infiltrati e provocatori. Che sono invece duemila su ventimila manifestanti, equipaggiati e sincroni, cioè organizzati. La giustificazione sarebbe la riforma universitaria, mentre invece si sa, viene dichiarato e ribadito, che le violenze di martedì erano intese a impedire il voto alla Camera. Del resto, l’università (una riforma che tutte le università vogliono) non giustifica neanche in minima parte quello che è successo. Analoga la compiacenza dei media: l’Ansa e la Rai, seguite a ruota dai giornali, che ribaltano costantemente l’ordine delle violenze. Concordi, contro l’evidenza, come a una parola d’ordine (il “Ruggito del coniglio” sua Radio Due oggi porta a giustificazione della violenza lo scudo fiscale…). Le foto selezionate delle violenze, numerose e circostanziate di poliziotti che picchiano manifestanti, e poche o nulle degli attacchi ai poliziotti, Non si sono viste le asce, né i picconi, un breve spezzone si è avuto in tv di un assalto all’angolo di via del Plebiscito, ma è stato subito tolto dalla circolazione. E i giudici che solleciti come in nessun altro caso rimettono in libertà i violenti fermati dalla polizia.
Analogo il vuoto della politica che dovrebbe gestire la protesta. Che si vuole opportunismo, ma è proprio vuoto. Tutti naturalmente contro la violenza, dal segretario della Fiom che guidava uno dei cortei ai commenti dei giornali, ma tutti schierati. Erri De Luca prospetta la violenza come “necessaria”. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd alla Camera, fa un’interrogazione per sapere dal governo “chi paga gli infiltrati”. Le considerazioni raccolte da "Repubblica" e il “Manifesto”, miste di psicologismo e sociologismo, il gergo “spontaneista”, sono un calco del sessantovismo - il ’69 non è il ’68: è il movimento cooptato dal Partito, il cursus honorum di base per diventare federale o consigliere comunale.
Il vuoto politico questa volta si estende anche al Quirinale: il presidente Napolitano, che parla ogni giorno, non ha trovato una sola parola per stigmatizzare una manifestazione organizzata per impedire un voto parlamentare. Un fatto che, se non fosse successo, sarebbe inconcepibile. Dopo aver preso la decisione forse definitiva sulla sfiducia, spostandola al 14 dicembre, a dopo il varo delle misure di contenimento della spesa pubblica. Insomma, ben sapendo che cosa è in gioco. Il richiamo della foresta è più forte di ogni ragionamento?
Analogo il vuoto della politica che dovrebbe gestire la protesta. Che si vuole opportunismo, ma è proprio vuoto. Tutti naturalmente contro la violenza, dal segretario della Fiom che guidava uno dei cortei ai commenti dei giornali, ma tutti schierati. Erri De Luca prospetta la violenza come “necessaria”. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd alla Camera, fa un’interrogazione per sapere dal governo “chi paga gli infiltrati”. Le considerazioni raccolte da "Repubblica" e il “Manifesto”, miste di psicologismo e sociologismo, il gergo “spontaneista”, sono un calco del sessantovismo - il ’69 non è il ’68: è il movimento cooptato dal Partito, il cursus honorum di base per diventare federale o consigliere comunale.
Il vuoto politico questa volta si estende anche al Quirinale: il presidente Napolitano, che parla ogni giorno, non ha trovato una sola parola per stigmatizzare una manifestazione organizzata per impedire un voto parlamentare. Un fatto che, se non fosse successo, sarebbe inconcepibile. Dopo aver preso la decisione forse definitiva sulla sfiducia, spostandola al 14 dicembre, a dopo il varo delle misure di contenimento della spesa pubblica. Insomma, ben sapendo che cosa è in gioco. Il richiamo della foresta è più forte di ogni ragionamento?
L’ultimo bilancio di Perricone
Sarà l’ultimo bilancio di Antonello Perricone. Del sorridente inflessibile ex manager della Sipra-Rai al tempo dei professori di Prodi. Schieratissimo dapprima per l’Ulivo componente Ds, ora per il Pd componente Popolari, da oltre quattro anni amministratore delegato e direttore generale della Rcs-Corriere della sera. Il miglioramento incontestabile dei risultati quest’anno non lo esime dalle critiche di molti soci. Primi tra essi quelli che dovrebbero essere politicamente dalla sua parte: Mediobanca, Della Valle, e il socio occulto che è in realtà il tutore del gruppo, Giovanni Bazoli.
Rcs nel suo complesso, l’area periodici e quella libraria, e lo stesso “Corriere della sera”, continuerebbero secondo i critici a dare risultati inferiori al potenziale. Con non accorti, o non sufficienti, tagli dei costi, e un insufficiente recupero dei ricavi. Sul fronte pubblicitario e su quello della diffusione. I ricavi pubblicitari diminuiscono percentualmente rispetto a quelli della diffusione. La quale è a sua volta in calo, sia nei quotidiani che nei periodici e nell’editoria. I malumori sono diventati semi pubblici dopo il confronto con i nove mesi del gruppo Repubblica-L’Espresso, con cui Rcs ormai da anni si misura,che ha ottenuto, pur in grave crisi di copie, margini e risultati notevolmente migliori.
Un consiglio freddo ha accolto la sua presentazione auto celebrativa del ritorno all'utile. Tra le critiche anche una a carattere sottilmente politico: l’antiberlusconismo, d’obbligo per un gruppo concorrente diretto di Mondadori, se non di Mediaset, ha pagato ma non nella misura in cui se ne sarebbe avvalsa Sky, concorrente invece di Mediaset. Il “Corriere della sera” è costantemente sotto le 50 copie vendute, e perde lettori in favore del “Giornale”, e ora più che sotto la direzione di Paolo Mieli. Troppo schierata, o poco furba, l’opposizione di Rcs secondo questa critica. A riprova viene portata la tenuta delle consociate spagnole, che non hanno un problema di linea politica, le quali, malgrado la grave crisi dell’economia iberica, presentano miglioramenti sostanziosi sia nella diffusione che nella vendita di pubblicità.
Rcs nel suo complesso, l’area periodici e quella libraria, e lo stesso “Corriere della sera”, continuerebbero secondo i critici a dare risultati inferiori al potenziale. Con non accorti, o non sufficienti, tagli dei costi, e un insufficiente recupero dei ricavi. Sul fronte pubblicitario e su quello della diffusione. I ricavi pubblicitari diminuiscono percentualmente rispetto a quelli della diffusione. La quale è a sua volta in calo, sia nei quotidiani che nei periodici e nell’editoria. I malumori sono diventati semi pubblici dopo il confronto con i nove mesi del gruppo Repubblica-L’Espresso, con cui Rcs ormai da anni si misura,che ha ottenuto, pur in grave crisi di copie, margini e risultati notevolmente migliori.
Un consiglio freddo ha accolto la sua presentazione auto celebrativa del ritorno all'utile. Tra le critiche anche una a carattere sottilmente politico: l’antiberlusconismo, d’obbligo per un gruppo concorrente diretto di Mondadori, se non di Mediaset, ha pagato ma non nella misura in cui se ne sarebbe avvalsa Sky, concorrente invece di Mediaset. Il “Corriere della sera” è costantemente sotto le 50 copie vendute, e perde lettori in favore del “Giornale”, e ora più che sotto la direzione di Paolo Mieli. Troppo schierata, o poco furba, l’opposizione di Rcs secondo questa critica. A riprova viene portata la tenuta delle consociate spagnole, che non hanno un problema di linea politica, le quali, malgrado la grave crisi dell’economia iberica, presentano miglioramenti sostanziosi sia nella diffusione che nella vendita di pubblicità.
L’amore maschile di Sofia
Racconto notturno, che la riproposta di Sky accentua: non il sogno ma l’amore trasognato. L’amore narrato con semplicità, delicato, leggero. Non tanto per la caricaturata ambientazione giapponese quanto per la notte, il buio: il Giappone è bene un altro noi stessi, è l’esagerazione di noi stessi, saprofita, ma qui è un di più, serve a contrasto, contiene e fa la storia il setting notturno, sottolineato dalle lunghe albe grigie. Si può dire l’evidenza dell’insonnia. Che non è esasperazione ma pace interiore.
È però un amore maschile. O è femminile? L’amore leggero è maschile in quanto è, seppure per cenni, sentimentale.
Sofia Coppola, Lost in translation
È però un amore maschile. O è femminile? L’amore leggero è maschile in quanto è, seppure per cenni, sentimentale.
Sofia Coppola, Lost in translation
Problemi di base - 44
spock
Le Scritture Dio dettò con tutti gli errori?
Gli errori di Dio sono il riflesso dell’umana condizione, dicono i rabbini, refrattaria a Dio, e ci credono?
E a proposito, che fa Dio in cielo tutto il giorno, se ha finito di dettare da duemila anni?
Perché ogni cocomero è diverso?
Poiché la felicità non esiste né la libertà, o l’eternità, perché si desiderano, o si temono?
Esiste la paura, e il desiderio, o ce le inventiamo lì per lì?
Come si esercita un compromesso? E cos’è un compromesso?
Un complotto ci dev’essere. Poiché si sa, gli uomini quando non credono a Dio non è che non credano a nulla, credono a tutto. E c’è bisogno di un potere da sbugiardare. Ma dove sta, il complotto?
E anche il mito: non sarà pettegolezzo, stagionato, ripetitivo?
C’è un ordine nel mondo che vuole il disordine? Il cappellano di Kafka lo dice al signor K.: “Non è necessario arrivare alla verità delle cose, basta ritenerle necessarie”.
Fin dove arriva il progresso? Bertoldino si cacciò le pillole del medico “giù a basso nel tafanario”: inventò la supposta, ma per questo diventò Bertoldino.
spock@antiit.eu
Le Scritture Dio dettò con tutti gli errori?
Gli errori di Dio sono il riflesso dell’umana condizione, dicono i rabbini, refrattaria a Dio, e ci credono?
E a proposito, che fa Dio in cielo tutto il giorno, se ha finito di dettare da duemila anni?
Perché ogni cocomero è diverso?
Poiché la felicità non esiste né la libertà, o l’eternità, perché si desiderano, o si temono?
Esiste la paura, e il desiderio, o ce le inventiamo lì per lì?
Come si esercita un compromesso? E cos’è un compromesso?
Un complotto ci dev’essere. Poiché si sa, gli uomini quando non credono a Dio non è che non credano a nulla, credono a tutto. E c’è bisogno di un potere da sbugiardare. Ma dove sta, il complotto?
E anche il mito: non sarà pettegolezzo, stagionato, ripetitivo?
C’è un ordine nel mondo che vuole il disordine? Il cappellano di Kafka lo dice al signor K.: “Non è necessario arrivare alla verità delle cose, basta ritenerle necessarie”.
Fin dove arriva il progresso? Bertoldino si cacciò le pillole del medico “giù a basso nel tafanario”: inventò la supposta, ma per questo diventò Bertoldino.
spock@antiit.eu
giovedì 16 dicembre 2010
L’apprendistato di Emerson in Italia
I primi cinque mesi del 1833 Emerson li passa in Italia, in Sicilia, e poi da Napoli alle Alpi. È un viaggio di formazione, benché compiuto a trent’anni: vedovo della prima moglie, e pastore dimissionario della Chiesa unitaria, il viaggio lo induce alle prime riflessioni, oltre che all’ammirazione delle opere d’arte della natura e dell’ingegno. Specie nella traversata da Boston a Malta, col comandante filosofo del brigantino, e con lo status quasi filosofico del marinaio. “Non ci sono attrattive nella vita da marinaio. Il meglio che sa offrire sono allevi azioni alle pene”. Il comandante sa fare tutte le cose che bisogna fare, compreso farsi obbedire all’istante, e sa tutto il resto, la Bibbia anzi meglio dell’ex pastore Emerson. Sa anche perché l’America è superiore all’Europa, lo sarà guardando al futuro dal 1833: “Lì fanno tutto per puro caso e ignoranza. Quattro caricatori e quattro stivatori del molo di Long Wharf caricano il mio brigantino più in fretta di cento uomini di qualsiasi porto del Mediterraneo”. Emerson ne riferisce un altro esempio: “Sembra che i siciliani abbiano provato qualche volta a portare la loro frutta in America con le proprie navi e che ci abbiano messo, dice lui, centoventi giorni”. Un viaggio che lui invece fa in trenta giorni, trovando “una piccola pozza di mare interno (lo stretto di Gibilterra, n.d.r.) larga appena nove miglia con la stessa precisione con cui si segue una traccia”, dopo tremila miglia di acque burrascose, col solo ausilio di “tre pezzi di legno angolari e una mappa”.
Nasce qui la felicità “a scalare”: si ponga la vita al peggio, ogni suo momento sarà migliore. - non è la perfezione ma è una forma logica: l’attesa è un solido costituente della realtà. E uno dei fondamenti del linguaggio: “Ciò che è espresso nelle parole non è affermato. Deve affermarsi da sé o nessun tipo di grammatica o di verosimiglianza può provarne l’evidenza. Questa massima tiene insieme il mondo”.
Il libro di viaggio non delude, benché pieno di Schidone, Garofalo, Andrea Sacchi e altri artisti pittori d'immaginette - nella visita ripetuta a San Giovanni a Malta si menziona Preti e nient’altro, nemmeno un cenno a Caravaggio. Emerson sa abbastanza italiano, l’ha imparato sui “Promessi sposi” e su una scelta di commedie di Goldoni che non apprezza (“Non c’è nemmeno un’emozione o una scena ben concepita. La sua virtù maggiore consiste nell’essere un buon volume idiomatico”), e sa rappresentare scene ancora vive della Sicilia, di Napoli, di Roma.
Apprezza anche il cerimoniale cattolico, reduce dalla delusione di quello protestante. Flannery O’Connor, la combattiva scrittrice georgiana che professava un robusto cattolicesimo, ha lasciato scritto (“Narratore e credente”): “Quando Emerson, nel 1832, decise che non poteva più celebrare l’Eucarestia a meno che non venissero eliminati il pane e il vino, fu fatto un passo importante nella vaporizzane della religione in America”. Che dobbiamo pensarne?
Ralph Waldo Emerson, Dalla Sicilia alle Alpi, Ibis, pp.204, € 9,50
Nasce qui la felicità “a scalare”: si ponga la vita al peggio, ogni suo momento sarà migliore. - non è la perfezione ma è una forma logica: l’attesa è un solido costituente della realtà. E uno dei fondamenti del linguaggio: “Ciò che è espresso nelle parole non è affermato. Deve affermarsi da sé o nessun tipo di grammatica o di verosimiglianza può provarne l’evidenza. Questa massima tiene insieme il mondo”.
Il libro di viaggio non delude, benché pieno di Schidone, Garofalo, Andrea Sacchi e altri artisti pittori d'immaginette - nella visita ripetuta a San Giovanni a Malta si menziona Preti e nient’altro, nemmeno un cenno a Caravaggio. Emerson sa abbastanza italiano, l’ha imparato sui “Promessi sposi” e su una scelta di commedie di Goldoni che non apprezza (“Non c’è nemmeno un’emozione o una scena ben concepita. La sua virtù maggiore consiste nell’essere un buon volume idiomatico”), e sa rappresentare scene ancora vive della Sicilia, di Napoli, di Roma.
Apprezza anche il cerimoniale cattolico, reduce dalla delusione di quello protestante. Flannery O’Connor, la combattiva scrittrice georgiana che professava un robusto cattolicesimo, ha lasciato scritto (“Narratore e credente”): “Quando Emerson, nel 1832, decise che non poteva più celebrare l’Eucarestia a meno che non venissero eliminati il pane e il vino, fu fatto un passo importante nella vaporizzane della religione in America”. Che dobbiamo pensarne?
Ralph Waldo Emerson, Dalla Sicilia alle Alpi, Ibis, pp.204, € 9,50
Letture - 47
letterautore
Alvaro – Lo sguardo di Alvaro è di sorpresa sul mondo, di scoperta. Non di maniera, scontata, piatta, né di critica, etica, estetica, politica. Eccetto che al Sud, di cui ha creato la maniera, come e forse più di Verga – gentiluomo, quest’ultimo, la cui ambizione era di fiorentinizzarsi, e poi milanesizzarsi.
Chatwin – Dà fascino all’esotismo. L’esotico certo ha un fascino, l’esotismo è maniera, ma Chatwin la supera perché avvicina l’insolito, il diverso, invece di metterlo in posa quale sorpresa a sé stante – il meraviglioso richiude dentro se stessi, con l’ordinario. E ha il dono di legare una narrazione frammentata – di legarla pianamente, non alla Manldelstam, con accensioni liriche cioè, o filosofiche. Anch’esso grazie alla capacità di fare nostro il diverso o remoto: tante piccole finestrelle dell’Avvento apre, che entrano a far parte delle cose domestiche. La Patagonia. Come la Toscana di “Che ci faccio qui”. Anche in “Utz”, che ha un personaggio e una storia, il fascino nasce da questa capacità, di portarci in casa Oriente europeo che pure è diverso. Alla stessa maniera come ha visto gli aborigeni in Australia nelle “Vie del canto”, un accumulo di dettagli tenuto assieme dalla rete del riconoscimento.
Letterato – Quello del letterato si differenza da ogni altra professione in quanto la sua attività non ha apprendistato o iter specifico di formazione, e implica a ogni momento un giudizio di qualità astratto, non correlato a un fine, in un campo specialmente incerto se non infido, l’estetica. In ogni altra attività l’esercizio si svolge senza handicap, se non la tecnica del mestiere, e senza oscure barriere. Una volta che il fabbro abbia imparato a piegare il ferro, e il giornalista a porgere la notizia (quello che vuole o deve dire), il fabbro e il giornalista possono andare in giro a proporsi come fabbro o come giornalista ed essere valutati per quello che sanno fare, senza riserve o arcane motivazioni. Ci sarà anche per lo un giudizio di qualità, ma basato su cose, abilità, rapidità, rapporto costo\servizio, cioè il grado di padronanza delle rispettive tecniche. Nulla del genere esiste per il letterato. Per il professore universitario sì, ma non per lo scrittore, il poeta, il critico militante. La rete di relazioni va costruita personalmente. I criteri sono vaghi e fondamentalmente fortuiti. L’apprezzamento è legato a fattori esterni, non controllabili. Mentre l’ambizione, al contrario, è illimitata: la reputazione cui il fabbro ambisce o il giornalista si trasforma per il letterato nella fama, roba da eternità.
Maschile, femminile – Nell’editoria hanno sensi precisi: il periodico maschile tratta di politica, politica internazionale, economia, società, scienza, arti, letteratura, il femminile di moda, psicologia, cronaca a carattere sessuale, divi, astrologia. La pubblicità è mirata su queste tematiche, diverse per i due generi, per i consumi degli uomini e per quelli delle donne.
Ai femminili si apparentano, come target di diffusione e pubblicità, i periodici di giossip, i familiari (salute, aristocrazie, politici che cantano le romanze napoletane e scrivono poesie, madri coraggiose), quelli di servizio (salute, arredamento, costume).
La divisione non è ideologica (programmatica) ma fattuale, di mercato. Quanto si è voluto dare contenuti “maschili” ai femminili, questi non hanno retto. Quando si è voluto avvicinare le donne alla lettura dei quotidiani (a partire da “Repubblica”) si sono introdotte rubriche di questo tipo: mondanità, consumi, storie personali, casi curiosi.
Oralità - È la comunicazione “calda”, secondo McLuhan, che crea il senso comunitario (villaggio globale). È un’estrapolazione del tribalismo, della società chiusa in se stessa? Nella globalizzazione, fuori cioè dalla tribù, e quindi dal nomadismo, e dal conseguente isolamento del gruppo, è espressione fortemente individualistica: non di tradizioni e miti ma di vissuto sempre pericolosamente contro, gelosi, vendicativi, monomaniaci, paranoici. Forse le comunità rom sperimentano qualcosa del “globalismo” di McLuhan. L’elettronica, cellulare compreso (la disponibilità totale) segmenta e ghettizza, frantuma ulteriormente la società già parcellizzata della condizione urbana, del pendolarismo, degli orari. L’oralità è qui un cavallo di ritorno: consente a ogni desiderio o risentimento di navigare a piacimento, senza nemmeno sottostare alle regole della logica (grammatica, sintassi) cui è tenuta la scrittura.
Poesia – Un repertorio di New Horizon di quindici anni fa, per un esperimento di audio poesia americana. Due pagine di facce d’autore incredibilmente brutte, smorfiose, butterate, tirate, deformate, spente, uomini e donne insieme. Quattro cd e un secolo di poesia: voci incredibilmente false, atteggiate, roboanti, insinuanti, volgari. Com’era Omero? La poesia è acida? Non è un problema di decoro ma di modo d’essere.
Popper – È il filosofo che più e meglio ha mantenuto l’unità del pensare, forse l’unico nel Novecento, a una dimensione “greca”, senza far finta che l’epistemologia non abbia riflessi sul filosofare.
Pound – O dell’impegno. È l’incarnazione della vita impegnata, nell’arte, nella società, nella politica anche – voleva essere Dante. Con errori, inevitabili. Senza malanimo – Pasolini lo incontra per questo.
Il suo “maestro” Yeats era profondamente antidemocratico, ma di Yeats il segretario Pound ha sempre un’impressione irriverente.
S’intende per poundiano l’artificio, lo sperimentalismo. In Italia è poundiano Sanguineti. Mentre l’impegno è prevalente, anche nella ricerca espressiva (linguistica, glottologica, interculturale). Cristina Campo è poundiana più conseguente.
Premi – Gli auguri 1997 di Mondadori sono un paginone di pubblicità con l’elenco di un centinaio, almeno, di premiati. Con autori anche degni, Citati, Bettiza e Spaziani, ma senza un libro che sia rimasto, o almeno meritasse una lettura. I premi si fanno avere ai libri che altrimenti non vanno? Certamente si fanno avere. Tanta abbondanza è il risultato di una politica commerciale.
Proust – I primi due libri della “Ricerca” parlano di Proust infante. Ma non dell’infanzia. Da qui il senso di falso (egotismo)? Fortissimo nel genere, la letteratura del buon ricordo.
“Una duchessa ha sempre trent’anni per un borghese”, Stendhal, “Dell’amore”. Lo snobismo è un vizio, o una virtù? È innocuo, applicandosi a innocui fatti sociali. E alimenta la curiosità, benché di tipo infantile, se non la disponibilità (socialità) – Proust ha cominciato in allegria, con i pastiches e con gli échos, le cronachette mondane. Ma germoglia dal cant inglese, l’ipocrisia come rispetto umano, e quindi è falso, e falsa realtà e rapporti.
letterautore@antiit.eu
mercoledì 15 dicembre 2010
Non si farà la riforma della giustizia
Sarà l’offa per il ritorno di Casini nell’alleanza di governo, e di molti dei finiani nella maggioranza: l’abbandono della cosiddetta riforma della giustizia. Che poi una riforma non è delle procedure, e dei processi, nel senso di un giudizio rapido e certo, ma dei privilegi dei giudici. Che per questo motivo, per difendere la corporazione, insieme con la pompose inaugurazioni dell’anno giudiziario in ermellino, ultimo residuo della pompa fascista, difendono le carriere per tutti, a cieli aperti, senza giudizio di idoneità. E per questo vogliono molti posti di vertice.
C’è chi scommette che senza riforma anche il legittimo impedimento sarà approvato. Passerà cioè al vaglio della Consulta tra un mese del professore De Siervo, altro illustre giureconsulto casiniano. È un fatto che la famosa riforma è sempre stata agitata più che proposta da Berlusconi nella sua ormai lunga carriera politica: mai progettata realmente, cioè, mai approntata in articolato, né calendarizzata nei lavori parlamentari, mai impegnando il governo e i suoi media.
C’è chi scommette che senza riforma anche il legittimo impedimento sarà approvato. Passerà cioè al vaglio della Consulta tra un mese del professore De Siervo, altro illustre giureconsulto casiniano. È un fatto che la famosa riforma è sempre stata agitata più che proposta da Berlusconi nella sua ormai lunga carriera politica: mai progettata realmente, cioè, mai approntata in articolato, né calendarizzata nei lavori parlamentari, mai impegnando il governo e i suoi media.
Il partito dei giudici
È una coincidenza, ma è anche un fatto: il nuovo centro-sinistra con Fini sarebbe solo il partito dei giudici. Niente lega insieme Fini, il Pd e Di Pietro, non la legge elettorale, non il federalismo, non la riforma del lavoro, non la politica dell'immigrazione, solo il patrocinio dei giudici. Che per questo non li indagano, e se debbono li assolvono in istruttoria ad horas. In cambio non chiedendo niente, se non, appunto, che non si cambi l’ordinamento della professione. Anzi, della professione che non si tocchi solo un punto, la commistione di accusa e giudicatura. Per la possibilità doppia che essa dà di maturare avanzamenti, in qualità di giudici e in qualità di procuratori.
Le 156 Procure offrono altrettante posizioni di Procuratore Capo, raddoppiate da quelle di Vicario. Più altrettante di Procuratore Generale. Più altrettante di Procuratore Capo e Vicario delle Procure Antimafia – l’ottimo progetto di Giovanni Falcone che i giudici hanno snaturato a predellino di piccole posizione di potere. Un migliaio di posti di comando. Che sommati a un numero doppio di posizioni nella magistratura giudicante, penale e civile, in Tribunale, Assise, Appello, coprono un terzo di tutta la magistratura.
Le 156 Procure offrono altrettante posizioni di Procuratore Capo, raddoppiate da quelle di Vicario. Più altrettante di Procuratore Generale. Più altrettante di Procuratore Capo e Vicario delle Procure Antimafia – l’ottimo progetto di Giovanni Falcone che i giudici hanno snaturato a predellino di piccole posizione di potere. Un migliaio di posti di comando. Che sommati a un numero doppio di posizioni nella magistratura giudicante, penale e civile, in Tribunale, Assise, Appello, coprono un terzo di tutta la magistratura.
La sconfitta di Fini scompagina la sinistra
Fini ha sfiduciato Berlusconi, certo di abbatterlo, ma la sua mozione è stata bocciata. Il fatto è questo. Era inevitabile, con un "compagno di strada" diventato d’un tratto non solo il peggior nemico di Berlusconi, cui deve praticamente tutto, ma anche laicista e ribaltonista, e inevitabile è emerso martedì un fronte non solo frantumato della sinistra, ma nella confusione e senza idee - dare credito a Fini... Nel blocco berlusconiano non sono pochi, ex socialisti ed ex radicali, che spingono verso un rilancio d’iniziativa politica a tutto campo, anche fuori degli steccati.
Specie per quanto riguarda i temi etici, con un voto sul testamentio biologico, e una revisione della 190 sul termine massimo per l'aborto, riducibile da 24 a 21 settimane. Sul presupposto non peregrino che se la maggioranza ha ora meno voti, tuttavia è più omogenea, o come dicono coesa. E senza alternative: follia pensare a un governo Tremonti con Fini, o viceversa, ipotesi che pure ci hanno propinato.
Fini ha tentato con la mozione un nuovo Raphael – dev’essere la sua idea politica dominante, prendere il potere mandando in piazza gli psicolabili con lo sdegno. L’ha fallita, e non poteva essere che così. Intanto perché Berlusconi non è Craxi - eh sì, sa riconoscere i nemici, e non si lascia intimidire. Ma soprattutto perché il Vaticano ha schierato i cardinali, di fronte al suo laicismo assurdo. E Napolitano ha raffreddato la sfiducia rinviandola. Un atto di vera politica – che fa da sola capire l’abisso con l’incapacità e il golpismo (lo scarso o nullo senso della istituzioni) di Scalfaro: trovarsi un governo Fini-Casini-Bersani-Di Pietro, e passare alla storia quale affossatore dell’euro, deve aver fatto temere al presidente della Repubblica un’altra Santorini, lo sconvolgimento che quattromila anni fa fece scomparire la civiltà dal mediterraneo.
Fini non poteva che perdere, ma gli esiti li paga la sinistra. Il primo segno di debolezza è visto nella dipendenza da Fini. Più che i finiani, capaci come si è visto di smarcarsi, sembrano rimasti succubi di Fini personaggi come la Bindi e Franceschini, e lo stesso Bersani. Che si trincera dietro un “l’avevo detto”. Bersani aveva detto: “Comunque vada, per Berlusconi è una sconfitta”. Anche Vendola ha deluso, il presidente della Regione Puglia che Berlusconi pronosticava leader del centro-sinistra. In una mossa poco pubblicizzata ma sintomatica, ha fatto giudicare “non conformi alle regole” i carichi d’immondizia napoletana che si era impegnato a smaltire, e “respingere alla frontiera”. Tutto per non consentire al governo, e cioè a Berlusconi, di annunciare magari a Natale di avere ripulito Napoli – tenendo perciò Napoli nell’emergenza. E magari per confluire al disordine che s’immaginava per martedì.
Quella dei “disordini organizzati” è in questo momento la preoccupazione maggiore dei berlusconiani. L’orrenda giornata del 14 dicembre avrebbe oscurato il 12 dicembre di piazza Fontana non a caso, e le reazioni dei partiti di sinistra, compreso quello degli ex neofascisti, sono giudicate peggiori delle cosiddette manifestazioni spontanee, e confermano i peggiori dubbi. Si denuncia anche come ripetizione del copione di quarant’anni fa la compiacenza, quando non è giubilo, dei maggiori giornali, che riferiscono degli assalti come di una ragazzata, una fiammata che avrebbe coinvolto tanti ragazzini altrimenti spensierati. Mentre nella sinistra politica ci sarebbe la stessa sottovalutazione, pari pari come nel 1969, alle radici del terrorismo: l’assalto a Roma è opera dei black bloc, di provocatori, di squadracce, i manifestanti erano pacifici e bravi, la questura deve rispondere del finanziere fotografato con la pistola in mano. Una valutazione che sarebbe contraria all’evidenza: l’assalto durato alcune ore, coordinato, quindi organizzato e non estemporaneo.
Specie per quanto riguarda i temi etici, con un voto sul testamentio biologico, e una revisione della 190 sul termine massimo per l'aborto, riducibile da 24 a 21 settimane. Sul presupposto non peregrino che se la maggioranza ha ora meno voti, tuttavia è più omogenea, o come dicono coesa. E senza alternative: follia pensare a un governo Tremonti con Fini, o viceversa, ipotesi che pure ci hanno propinato.
Fini ha tentato con la mozione un nuovo Raphael – dev’essere la sua idea politica dominante, prendere il potere mandando in piazza gli psicolabili con lo sdegno. L’ha fallita, e non poteva essere che così. Intanto perché Berlusconi non è Craxi - eh sì, sa riconoscere i nemici, e non si lascia intimidire. Ma soprattutto perché il Vaticano ha schierato i cardinali, di fronte al suo laicismo assurdo. E Napolitano ha raffreddato la sfiducia rinviandola. Un atto di vera politica – che fa da sola capire l’abisso con l’incapacità e il golpismo (lo scarso o nullo senso della istituzioni) di Scalfaro: trovarsi un governo Fini-Casini-Bersani-Di Pietro, e passare alla storia quale affossatore dell’euro, deve aver fatto temere al presidente della Repubblica un’altra Santorini, lo sconvolgimento che quattromila anni fa fece scomparire la civiltà dal mediterraneo.
Fini non poteva che perdere, ma gli esiti li paga la sinistra. Il primo segno di debolezza è visto nella dipendenza da Fini. Più che i finiani, capaci come si è visto di smarcarsi, sembrano rimasti succubi di Fini personaggi come la Bindi e Franceschini, e lo stesso Bersani. Che si trincera dietro un “l’avevo detto”. Bersani aveva detto: “Comunque vada, per Berlusconi è una sconfitta”. Anche Vendola ha deluso, il presidente della Regione Puglia che Berlusconi pronosticava leader del centro-sinistra. In una mossa poco pubblicizzata ma sintomatica, ha fatto giudicare “non conformi alle regole” i carichi d’immondizia napoletana che si era impegnato a smaltire, e “respingere alla frontiera”. Tutto per non consentire al governo, e cioè a Berlusconi, di annunciare magari a Natale di avere ripulito Napoli – tenendo perciò Napoli nell’emergenza. E magari per confluire al disordine che s’immaginava per martedì.
Quella dei “disordini organizzati” è in questo momento la preoccupazione maggiore dei berlusconiani. L’orrenda giornata del 14 dicembre avrebbe oscurato il 12 dicembre di piazza Fontana non a caso, e le reazioni dei partiti di sinistra, compreso quello degli ex neofascisti, sono giudicate peggiori delle cosiddette manifestazioni spontanee, e confermano i peggiori dubbi. Si denuncia anche come ripetizione del copione di quarant’anni fa la compiacenza, quando non è giubilo, dei maggiori giornali, che riferiscono degli assalti come di una ragazzata, una fiammata che avrebbe coinvolto tanti ragazzini altrimenti spensierati. Mentre nella sinistra politica ci sarebbe la stessa sottovalutazione, pari pari come nel 1969, alle radici del terrorismo: l’assalto a Roma è opera dei black bloc, di provocatori, di squadracce, i manifestanti erano pacifici e bravi, la questura deve rispondere del finanziere fotografato con la pistola in mano. Una valutazione che sarebbe contraria all’evidenza: l’assalto durato alcune ore, coordinato, quindi organizzato e non estemporaneo.
Il 14 dicembre come il 12 dicembre
Sommersa dai media nel dibattito politico, tra gli eterni Fini, Casini e Berlusconi, il 14 dicembre di Roma è oggetto di molto allarme all’Interno. Che sapeva di una giornata di manifestazioni organizzate, ma non nell’ampiezza e della forza che si è manifestata, tale da oscurare il punto più oscuro della storia della pubblica sicurezza, il 12 dicembre 1969 a Milano, la strage di Piazza Fontana.
Molti gli interrogativi preoccupati che circolano per il Viminale. Chi ha portato a Roma i centri sociali del Nord Italia, il giorno della sfiducia? E i disoccupati napoletani? Che c’entra la Fiom con gli studenti di Roma? Che c’entrano gli studenti di Roma col voto di sfiducia? E dov’erano i black bloc? Ritorna, sebbene non detta, la sindrome del 1969, delle manifestazioni infine culminate nella strage. Allora invece che dei black bloc si parlava di anarchici, ma la sottovalutazione o la confusione sarebbe la stessa.
Analoga, sebbene anch’essa non detta, la sensazione che la politica sia oggi altrettanto debole e confusa che nel 1969. Decisa a contrastare la violenza, ma incapace di prevenirla, e anche di confrontarla nelle sue esatte dimensioni. Che sarebbero soprattutto politiche, e non limitate ai facinorosi o agli avventuristi.
Molti gli interrogativi preoccupati che circolano per il Viminale. Chi ha portato a Roma i centri sociali del Nord Italia, il giorno della sfiducia? E i disoccupati napoletani? Che c’entra la Fiom con gli studenti di Roma? Che c’entrano gli studenti di Roma col voto di sfiducia? E dov’erano i black bloc? Ritorna, sebbene non detta, la sindrome del 1969, delle manifestazioni infine culminate nella strage. Allora invece che dei black bloc si parlava di anarchici, ma la sottovalutazione o la confusione sarebbe la stessa.
Analoga, sebbene anch’essa non detta, la sensazione che la politica sia oggi altrettanto debole e confusa che nel 1969. Decisa a contrastare la violenza, ma incapace di prevenirla, e anche di confrontarla nelle sue esatte dimensioni. Che sarebbero soprattutto politiche, e non limitate ai facinorosi o agli avventuristi.
martedì 14 dicembre 2010
Battista, o l’antipolitica feroce di Milano
Pierluigi Battista si deve aggrappare al libro di Serena Vitale, “A Mosca! A Mosca!” per denunciare lunedì sul “Corriere della sera” la spessa cortina di disinformazione che il sovietismo ha stesso sui suoi orrori. In una rubrichina di commenti poco letta. Dove si alterna, una volta al mese o due, con Piero Ostellino, altro liberale residuo del giornale. È proprio vero che i liberali sono finiti allo zoo – almeno, quelli che non sono andati al governo con Berlusconi. Sicuramente quelli del “Corriere della sera”, il giornale di Milano, e della feroce antipolitica della capitale morale d’Italia – “organizzare” cinque o sei cortei, per fortuna andati deserti, a Roma attorno al Parlamento il giorno del voto di fiducia, portando nella capitale come massa d’urto i disoccupati napoletani, che non vanno in giro per niente, è ferocia antipolitica.
Non c’è potere o simulacro che tenga: Milano ha imposto e impone all’Italia Bossi e Berlusconi, e ogni giorno li svilisce, ha imposto e impone Mani Pulite, e ogni giorno moltiplica i corrotti e i corruttori, i giudici compresi, chiede più mercato e meno Stato, ma per conto del Sud, a Milano le sovvenzioni e le aziende pubbliche ci devono essere. Si capisce che il sovietismo italiano non abbia mai fatto ammenda, soprattutto a Milano, e soprattutto al “Corriere della sera”, dove non pochi delitti ha commesso, nel giornale, nel sindacato, nelle politiche aziendali, in forma di censure, isolamenti, siluramenti, e ruberie autorizzate.
Forse per questo Battista deve lanciare la sua invettiva sotto specie di recensione. Perché “A Mosca! A Mosca!” del sovietismo si occupa poco, se non incidentalmente, per i danni che la Vitale, recandosi a trovare Viktor Sklovskij, provocava non volendo a un vicino del linguista, sospettato di essere un dissidente. Non ci sono i compagni italiani a Mosca, o a Praga, non c’è l’hotel Lux, dove i compagni di notte sparivano, denunciati da altri compagni, non c’è l’alcolismo dell’infame breznevismo. E anzi c’è, da ridere certo, la moria provocata dall’antialcolismo di Andropov e Gorbaciov: Serena Vitale è insomma essa stessa politicamente sensibile, sa che non bisogna incidere il sovietismo residuo, imperante nell’editoria e la comunicazione. Battista allora osa di suo, rinforzando la finta recensione con l’irreducibile Kundera: era l’epoca in cui “il poeta regnava a fianco del carnefice”. E con Vargas Llosa al premio Nobel.
Battista del resto avrebbe potuto fare meglio della slavista, raccontare la sua defenestrazione dalla vice-direzione del giornale, insieme con Dario Di Vico e col direttore Paolo Mieli, non molto tempo fa, un paio d’anni, per dare mano ai dossier e ai “padroni”, di cui i sovietisti impenitenti sono gli ascari fedeli, nella loro battaglia contro la politica. Avrebbe almeno potuto dire perché nessun giornale, compreso il suo, non ha dato conto del discorso di Vargas Llosa al premio Nobel. Si limita a citarlo: “L’intellighenzia dell’Occidente sembrava, per frivolezza o opportunismo, soccombere al’incantesimo del socialismo sovietico o, peggio ancora, al sabba sanguinario della rivoluzione culturale cinese”. Insomma, si può criticare “Milano” in una colonnina delle 56 pagine del giornale, ma con prudenza.
Non c’è potere o simulacro che tenga: Milano ha imposto e impone all’Italia Bossi e Berlusconi, e ogni giorno li svilisce, ha imposto e impone Mani Pulite, e ogni giorno moltiplica i corrotti e i corruttori, i giudici compresi, chiede più mercato e meno Stato, ma per conto del Sud, a Milano le sovvenzioni e le aziende pubbliche ci devono essere. Si capisce che il sovietismo italiano non abbia mai fatto ammenda, soprattutto a Milano, e soprattutto al “Corriere della sera”, dove non pochi delitti ha commesso, nel giornale, nel sindacato, nelle politiche aziendali, in forma di censure, isolamenti, siluramenti, e ruberie autorizzate.
Forse per questo Battista deve lanciare la sua invettiva sotto specie di recensione. Perché “A Mosca! A Mosca!” del sovietismo si occupa poco, se non incidentalmente, per i danni che la Vitale, recandosi a trovare Viktor Sklovskij, provocava non volendo a un vicino del linguista, sospettato di essere un dissidente. Non ci sono i compagni italiani a Mosca, o a Praga, non c’è l’hotel Lux, dove i compagni di notte sparivano, denunciati da altri compagni, non c’è l’alcolismo dell’infame breznevismo. E anzi c’è, da ridere certo, la moria provocata dall’antialcolismo di Andropov e Gorbaciov: Serena Vitale è insomma essa stessa politicamente sensibile, sa che non bisogna incidere il sovietismo residuo, imperante nell’editoria e la comunicazione. Battista allora osa di suo, rinforzando la finta recensione con l’irreducibile Kundera: era l’epoca in cui “il poeta regnava a fianco del carnefice”. E con Vargas Llosa al premio Nobel.
Battista del resto avrebbe potuto fare meglio della slavista, raccontare la sua defenestrazione dalla vice-direzione del giornale, insieme con Dario Di Vico e col direttore Paolo Mieli, non molto tempo fa, un paio d’anni, per dare mano ai dossier e ai “padroni”, di cui i sovietisti impenitenti sono gli ascari fedeli, nella loro battaglia contro la politica. Avrebbe almeno potuto dire perché nessun giornale, compreso il suo, non ha dato conto del discorso di Vargas Llosa al premio Nobel. Si limita a citarlo: “L’intellighenzia dell’Occidente sembrava, per frivolezza o opportunismo, soccombere al’incantesimo del socialismo sovietico o, peggio ancora, al sabba sanguinario della rivoluzione culturale cinese”. Insomma, si può criticare “Milano” in una colonnina delle 56 pagine del giornale, ma con prudenza.
Wikileaks e l’inutilità delle ambasciate
Più si leggono i dispacci dell’ambasciatore americano a Roma Thorne, più si resta stupefatti: Wikileaks più che i segreti rivela la stupidità delle ambasciate. Che non è nuova, già ai tempi degli ambasciatori veneti, il periodo e la storia più segnalata della diplomazia, se ne parlava male. Ma Wikileaks ne rivela anche l’inutilità: l’ambasciatore fa i riassunti di “Repubblica”, un giornale che si compra liberamente a un euro, mentre ha a disposizione una struttura di un paio di centinaia di persone, alcuni con forti budget di relazioni esterne, e cioè con molti confidenti e informatori (tutti spesati in alloggi di lusso, e con molte guardie, auto corazzate e altre strutture di sicurezza contro il terrorismo). E non trova di meglio che mettere in imbarazzo il suo governo. Che senza l’Italia in Afghanistan vedrebbe crollare il pilastro principale della sua politica sul fronte islamico. E senza l’Italia nel Medio Oriente, in Libano, Libia, e anche in Iraq, avrebbe molti altri fronti aperti. Mentre in Russia il gas ha disinnescato le residue voglie di superpotenza missilistica – questo lo vede un cieco.
Sicuramente gli Usa hanno più intelligenza diplomatica dei loro ambasciatori, ricchi come sono di think thank, università, centri studi, circoli, gruppi di pressione. Non si spiega altrimenti l’incontestato predominio americano sul mondo intero, lungo ormai due terzi di secolo. Ma l’ambasciata inutile è un orpello o un sitomo?
Sicuramente gli Usa hanno più intelligenza diplomatica dei loro ambasciatori, ricchi come sono di think thank, università, centri studi, circoli, gruppi di pressione. Non si spiega altrimenti l’incontestato predominio americano sul mondo intero, lungo ormai due terzi di secolo. Ma l’ambasciata inutile è un orpello o un sitomo?
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