Il crollo della produzione industriale è (quasi) per intero il crollo del mercato dell’automobile. Della componentistica, che lavora per mezza Europa, e di Fiat Auto. Ma il governo non parla con la Fiat. Marchionne ci ha provato, Tremonti ribatte: decideremo con l’Europa. Cioè non faremo niente. L’Europa infatti ha deciso, ognuno per sé. La Germania soprattutto, dove la Opel è stata salvata con molti miliardi già due mesi fa. Anche gli altri paesi a forte industria meccanica hanno preso misure di alleggerimento degli oneri e di incentivazione del mercato: Francia, Spagna, Gran Bretagna. L’Italia si è limitata al rifinanziamento della cassa integrazione, per tutti i comparti. La preoccupazione è stata massima per le banche, zero per la meccanica, che pure fa ancora l’industria nazionale.
La disattenzione esibita non ha altro motivo che l’astio vicendevole tra Berlusconi e i torinesi, Elkann e Montezemolo. Non siamo ancora al ludibrio dell’inverno del 2002, quando Berlusconi, in occasione della crisi allora proprio del gruppo Fiat, oltre che viaggiare in Audi, agitò la nazionalizzazione della Fiat, e l’immancabile cordata dello squallido capitalismo padano. Ma le posizioni sono divaricate oggi come allora. La Fiat è sempre dichiaratamente per il Pd, coi suoi giornali a Torino e a Milano, e si è impegnata alle ultime elezioni con un paio di formazioni politiche a raccogliere voti al centro, la minaccia più temibile per Berlusconi. In più, oggi gli interlocutori sembrano caratterialmente irriducibili. Non tanto Montezemolo, che è un piccolo Berlusconi per vantoneria, quanto Elkann.
John Elkann si è impegnato a tenere il gruppo fuori del potere e dentro il mercato. L’esperimento tentato con la Juventus gli è andato male, perché la politica, se non la fai tu, te la fanno gli altri. Ma lui mostra di crederci ancora. In realtà non evita il potere, nel momento in cui prende posizione in politica. Inoltre, il ritorno al mercato, pur con tanti buoni esiti, oggi non basta. Ovunque il mercato dell’auto è protetto e rinazionalizzato, di fatto se non di diritto. Elkann avrebbe bisogno di Berlusconi, ma non lo può soffrire. E viceversa.
A fronte della sofferenza di tutto il comparto meccanico, con l’estesa componentistica, il fin de non recevoir del governo è agghiacciante. Tanto più per un governo di destra, che si penserebbe affannato a sostenere padroncini e piccoli imprenditori. E poi, non si rischia una crisi sociale dirompente? Ma il pelo sullo stomaco di Berlusconi è robusto almeno quanto quello dei suoi comprimari in affari. O forse è vero al contrario un famoso detto dell’Avvocato Agnelli, che ci vuole un governo di destra per fare le cose di sinistra – nazionalizzare la Fiat.
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