venerdì 10 dicembre 2010

La sfiducia sulla sfiducia dei finiani

A questo punto non potrà non proporre la sfiducia, che ha concordato con gli altri giganti del Nuovo Centro, Casini e Rutelli, e non potrà non votarla. Ma se Berlusconi facesse un minimo di apertura, almeno un rimpasto se non una crisi di governo, nel dibattito parlamentare potrebbe anche fare un passo indietro… Si dice per dire, perché cosa pensi Fini nessuno lo sa, né si occupa di sapere. Ma tra i suoi è finita presto la baldanza dei primi momenti di sfida a Berlusconi.
Due i motivi del ripensamento. I grandi giornali non li cercano più. Per il motivo che i “futuristi” non fanno più pubblico. Che potrebbe essere vero, e il segno anche più certo dell’incertezza del futuro. Ma il sospetto è forte, soprattutto fra i transfughi dell’estrema destra, contro i “poteri forti”: che i giornali, cioè le banche, la Fiat, si siano serviti di loro per mettere in crisi il governo. Soprattutto però pesa il fatto che lo zoccolo duro, gli ex fedeli del Msi, abbiano risposto polemicamente dove sono stati interpellati. Il compito è stato più difficile per Silvano Moffa a Roma, incalzato dalle truppe di Alemanno e da quelle di Storace. Ma anche in provincia la risposta della base è stata ostile. Angela Napoli, che si è precipitata ad aprire circoli di Futuro e Libertà nelle circoscrizioni di riferimento, la piana di Gioia Tauro, ha ricevuto una serie di no, e anche di contestazioni. In Calabria “mettersi coi comunisti”, che nella regione non hanno smesso la faziosità (antimafia, appalti, assunzioni), è ancora un “delitto” a destra. Lo stesso ultrà antiberlsuconiano Fabio Granata avrebbe ricevuto in Sicilia solo eloquentissimi silenzi. Di diverso carattere, e quasi da sinistra, le contestazioni a Pollina, il siculo ex Monte dei Paschi, che ha costruito la sua carriera nei talk show, ma da sempre democristiano, e poi berlusconiano: ai moderati senesi, e alla stessa curia, non piace il suo schieramento con Fini, giudicato “contro natura”.
Ritornano così i dubbi su Fini. Che quando ha corso da solo ha sempre perso. Nel 1991 a Roma, città di destra, contro un Rutelli all’esordio. Nel 1999, sempre alle amministrative, con Segni nell’Elefantino. Anche chi si era illuso di avere trovato in Fini il nuovo Andreotti, intoccabile e immarcescibile, rifà i conti. La scommessa con cui Andreotti, per decenni confinato al ruolo di leader romano, s’impose a leader nazionale quarant’anni fa, è oggi improponibile: il recupero, attraverso Lima, dei voti della criminalità e della vasta area grigia a essa contigua, dapprima in Sicilia, poi altrove.

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