Aspettative
–
Dominano il mercato, il mercato politico, specie europeo e intra-europeo, e la
comunicazione, e anche la psicologia. Le cosiddette “reazioni kaleckiane”,
ipotizzate da Michael Kalecki, 1943, nel saggio ‘Political Aspects of Full Employment”,
che legano le decisioni degli investitori al grado di fiducia che essi nutrono
per le politiche. Diventano dominanti nel momento in cui invece si manifestano
labili e pregiudiziate: la crisi in corso ormai da sette anni non ha avuto
altre cause che le aspettative erronee indotte dallo stesso mercato – non le cause
di fatto che movimentano il ciclo: consumi, prezzi, produzione.
Crisi – L’ha provocata il “mercato”, ma
la cosa è dimenticata e la si imputa, se ne imputa la persistenza, ai freni che
sarebbe stati imposti al mercato.
In
passato a lungo se ne è data la colpa, specie nella grande Recessione, al
mercato: all’avventurismo, alla speculazione. Mentre in quella in corso, ormai
da sette anni, se ne dà la colpa ai governi, quasi ne fossero all’origine, e
comunque per essere incapaci di contrastarla. La speculazione che la provocò,
delle grandi banche, è dimenticata o trascurata. I nuovi e più prudenti
regolamenti delle transazioni, con al centro il Financial Stability Board, di
cui è stato primo animatore Mario Draghi, sono stati abbandonati come censori o
vessatori. E si fomenta l’opinione che la crisi perdura per una mancanza di
fiducia. Non dei consumatori o piccoli risparmiatori, ma dei giganti della
finanza nei riguardi degli Stati e delle loro politiche: le “reazioni
kaleckiane” (M.Kalecki, 1943,“‘Political Aspects of Full Employment”) o aspettative
degli investitori, sono deboli o negative perché gli Stati non danno affidamento.
Non della stabilità del guadagno, evidentemente, ma delle “aspettative di
guadagno”.
Debito
– Gli Stati lo hanno moltiplicato a
partire dal 2007 e lo moltiplicano in favore del mercato.
È il senso della crisi e probabilmente il
nodo che ne impedisce una soluzione.
Nella prima fare del mercato, da
Thatcher-Reagan al 2007, gli Stati s’indebitavano per motivi politici, per
finanziare comunque alcuni servizi pubblici essenziali. Nel 2007 si sono
super-indebitati per salvare le banche e
i mercati, la speculazione. Habermas, “Nella spirale tecnocratica”, p. 72, dice
il debito speculare al mercato: “L’onda lunga del crescente
indebitamento statale può essere letta come l’altra faccia delle restrizioni
che il neoliberismo ha imposto alla libertà d’azione degli Stati nazionali”.
Decadenza - È curioso che l’Europa
discuta della Mogherini mentre ha due guerre alle porte, con centinaia di
morti. È curioso anche che faccia finta di nulla
quando, a giorni alterni, nel canale di Sicilia si ripescano decine di cadaveri
di africani o asiatici morti nei barconi. È curioso che Renzi e i media cinguettino con Grillo, ogni giorno per
lunghe paginate, senza nemmeno sapere su cosa, mentre l’Italia è in recessione
da quattro anni ormai. O che il ministro tedesco del Tesoro, invece di stare
zitto e cauto come sempre fanno i ministri del Tesoro, faccia ogni settimana le
pagelle all’Italia. Non sono novità, non è da ora che la finis Europae è in cammino. Ma c’è una notevole resistenza, insieme
alla costanza, nella decadenza: i fatti e i segni si accumulano della
decadenza, senza eccezioni e senza intervalli, ma la morte tarda ad arrivare.
Per una sorta di auto accanimento terapeutico.
Magari non voluto, ma nei fatti.
Santo Mazzarino, l’antichista, lo aveva
rilevato nella lunga decadenza di Roma: tutti scappavano, ma le mura
reggevano. Colpi inferti dall’esterno e
dall’interno all’impero si accumulavano senza mai un segno inverso. La
coscienza della decadenza contribuiva anch’essa, per una sorta di accumulo
psicologico. E tuttavia l’impero non crollava.
Imperialismo – “Le oche si
vantavano con le galline perché le loro antenate avevano salvato Roma dando
l’allarme dal Campidoglio quando i galli avevano tentato di entrare dalle mura.
Una gallina disse che se al posto delle
oche ci fossero state le galline forse li avrebbero fatti entrare e così Roma,
conquistata dai galli, sarebbe stata il più grande pollaio del mondo”. È uno
degli apologhi per ridere di Luigi Malerba, “Le galline pensierose”. Ma c’è
alcunché di inspiegato, se non casuale, nell’imperialismo. Nella logica
dell’imperialismo non solo, che è un affare sempre in perdita, di uomini e di
risorse economiche - ne profitta o alcuni ma a spese del proprio paese
L’imperialismo è avventura, anzitutto, e
spirito di conquista: ferocia. È anche organizzazione. Ma poi non si spiega
perché la Germania, che ha tutto per essere la padrona dell’Europa, centralità,
popolazione, dall’Islanda al Po, organizzazione, e un’opinione sicuramente
imperiale (superiorità), non ci riesca. Mentre gli anglosassoni, recalcitranti,
provinciali, pasticcioni, dominino il mondo da un paio di secoli almeno,
dall’Elba o da Waterloo.
Pubblico-privato
–
La privatizzazione delle funzioni pubbliche, della stessa Pubblica Amministrazione
(Luigi Mazzella, “Euro crash”), in favore delle Aurorità e del mercato, e dei servizi pubblici in favore di
convenzioni private, del terzo settore, del volontariato, trova una base
ideologica, se non un precedente in von Hayek. Che da ultimo, una quarantina
d’anni fa, spinse il suo liberalismo fino all’abolizione della democrazia in
favore del libero mercato e del libero gioco delle libertà. Non propriamente
della democrazia, ma della sua sostanza: della funzione pubblica come espressa
dai governi e dai parlamenti, sia pure elettivi.
L’apparenza sembra andare in
senso opposto. L’Europa, per esempio, oggi è governata da una burocrazia non
elettiva, dalla Commissione alla Corte di Giustizia. E tuttavia è vero il
contrario: sono burocrazie la cui costituency
è il mercato. Cioè le forze private (aziende, gruppi d’interesse, gruppi di
pressione) che perseguono un interesse di parte e limitato. Si dovrebbe dire
che il liberalismo si realizza nella burocrazia, nei poteri non elettivi e non
controllabili?
astolfo@antiit.eu
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