sabato 30 gennaio 2016

Secondi pensieri - 249

zeulig

Amicizia – Scade in politica a corruzione e mafiosità, nel quadro di una politica ideale e idealizzata, platonica. Mentre ne è il cemento necessario, della politica. Non si costruisce nel dissidio, la divisione permanente – la divisione per la divisione: la politica è attività pratica, costruttiva.
In questo senso Aristotele nell’“Etica nicomachea”, 1155, a22-23: “Pare che sia l’amicizia a tenere insieme le comunità”.
In questo senso le grandi società politiche moderne, quelle anglosassoni, si sono costruite, circuendo il dissenso in ambito dialettico, entro un idem sentire de re publica – di religione, di lingua, di casta, di loggia, di interessi economici economicamente intesi (costi-concorrenza). Mentre sono divise e inerti le società che si articolano per ideali astratti – di principio, di partito, di fede, religiosa o politica.

Comunità – Non si dà tra eguali ma tra diversi e diseguali. Lo afferma Aristotele nell’“Etica nicomachea”, ed è una un prerequisito, una petizione di principio, auspicabile senza controindicazioni. Tuttavia, la comunità si instaura attraverso il processo aristotelico del “rendere eguali”: equiparare in linea di principio, convivere, condividere, con buona disposizione e spirito d’amicizia, costruttivo.

Creatività e potere - La Phillips Collection di Washington che si espone a Roma fu organizzata nel 1921 per introdurre l’arte europea negli Usa. Sessanta capolavori sono esposti di sessanta artisti a cavaliere del 1900. Trent’anni più tardi tutta l’arte, anche europea, era “americana”, informale e non. Gli Stati Uniti sono ingordi. Ma non è solo questione di mercato.
Nel secondo Ottocento, e fino agli ani 1920, gli scrittori americani si formavano e si ispiravano in Europa, da Hawthorne e Henry James a Pound, Gertrude Stein, Hemingway, Scott Fitzgerald, Dos Passos, W.C.Williams, etc.. Una dozzina d’anni dopo Pavese e Vittorini prendevano lezione dagli scrittori Usa. C’è una correlazione fra potere (economico, politico) e letteratura, creatività. Ma in che verso?

Famiglia - È il luogo dell’identità, o dell’indistinzione? Hannah Arendt, raffinata grecista, allargando il significato della doxa greca da opinione pubblica a “splendore” e “fama”, conclude che “i membri della famiglia, la moglie e i figli, gli schiavi e i servi, non erano evidentemente considerati del tutto umani”. O non piuttosto del tutto sordi? O preconcetti? O semplicemente distratti. I figli devono cercarsi fuori dalla famiglia – dagli affetti familiari.
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Giornalista – È il Socrate di Hannah Arendt, dei “Quaderni e diari”, p. 347: “Socrate comprendeva le “opinioni”, in quanto mie (Mein-ungen), meglio di colui che le aveva.  Il filosofo era una specie di esperto in materia di opinioni, di ‘punti di vista’ sul mondo particolari, e poteva individuare in ogni particolare la verità a esso specifica”. Poteva, in teoria. Dovrebbe?

Novecento – Un troppo pieno o non un troppo vuoto della filosofia? Della stessa natura del nulla cui conclude. Malgrado gli entusiasmi durevoli contro venti a maree, si può argomentare il contrario. L’ingombro di Heidegger è per più aspetti catastrofico – un’altra umanità non bene indirizzata, non su presupposti condivisibili. Wittgenstein è più un gentile compagno – ci mette in guardia, il tipo più del non fare. Foucault è in definitiva uno storico delle idee, formalista. Molti campi sono arati, con ingegno, ma non una corrente ne viene fuori della storia, del mondo, dell’umanità.

Opinione pubblica – È singolare che le due trattazioni dell’opinione pubblica, di Walter Lippmann e Habermas, trascurino Platone, per il quale invece la doxa aveva un ruolo centrale, negativo – dell’opinione come opposta alla verità.

Curiosamente, però, Platone utilizza le idee – la verità - in funzione politica, che era invece della doxa disprezzata.
Inoltre, ridicolizza la doxa come incapace di “persuadere”. Mentre è questa la sua forza: la capacità di persuasione. Anche del falso, anche totalmente, volutamente, falso – l’informacija. La doxa non è vera per definizione, né ci ambisce, ma è veridica.
In Aristotele la distinzione è scontata, ma non come opposizione: “L’arte della retorica”, o della persuasione, “è la controparte dell’arte dialettica”, è l’apertura della sua “Retorica”.  Ma ognuna ha la sua funzione, sono forme di comunicazione diverse: la retorica per la moltitudine (politica), la dialettica per il pensatore (filosofia), in interlocuzione con se stesso o con altro pensatore.
Per Platone “la persuasione non proviene dalla verità, proviene dalle opinioni (“Fedro”, 260 a [3-4], e solo “la persuasione valuta e sa come trattare la moltitudine”. All’opinione Platone contrappone le idee non come un sistema di pesi e misure, e tuttavia usa le idee per scopi politici, misurando gli affari umani, l’attività, il fare, con criteri assoluti. Pur sapendo, lui prima e più di tutti, che abbiamo qualche idea della perfezione ma all’ingrosso e non sappiamo o possiamo raggiungerla, se non approssimazioni, per esperienza – la politica.

La doxa (opinione) come opposta all’episteme /(conoscenza): la distinzione è quella di Platone ma non la gerarchia. Le due forme sono distinte, ma ognuna nel suo ambito è agibile, veritiera. Accanto all’idea c’è quella che sarà chiamata l’autonomia del politico. Platone, che la polis subordina all’idealità nella “Repubblica”, finisce a Siracusa, dal tiranno di Siracusa.

È lo scudo dell’individuo. Contro la verità ma anche contro la falsità. Edipo, quando scopre la verità, si acceca. La verità che abbia ragione dell’opinione può distruggere l’opinione stessa, la capacità dell’individuo di “farsi una ragione”, di argomentare..

Sapienza – Non è saggezza, si sa, e non necessariamente la saggezza è sapiente - il greco distingueva con due radicali diversi, sophia e phronesis. Il filosofo si vuole più saggio o più sapiente, non potendo essere l’uno e l’altro? Ma può essere saggio se non è sapiente?

Solitudine – La “suprema tragedia di Dio” può essere la forma più radicale di socialità umana, quando non sia rifiuto o estraneità dal consorzio: una forma di partecipazione costantemente all’erta, critica, approfondita. Il dialogo con se stesso, indagatore, aperto. Una delle forme della coscienza, la più a portata di ogni essere, e in effetti preliminare a una partecipazione sociale attiva, che viene d’istinto ma regolata.
Il silenzio (riflessione) è – può essere – la forma più disponibile (aperta, ricettiva) di dialogo. Non una perdita di contatto, al contrario, l’esercizio di una fede. Il “non è bene per l’uomo essere solo” della “Genesi”non è un precetto, e s’intende in molti sensi, anche geografico e demografico. Il pensiero è solitario, L’azione anche, la progettazione, la  decisione.

zeulig@antiit.eu

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