Pierre
Cardin, veneziano di nascita, non ha mai rivangato l’origine, anche se poteva
servirgli al lustro di stilista. Lo stesso del resto, pur nella sua costante ricerca di popolarità, il papa argentino, figlio
di un emigrato piemontese.
L’origine
è solo un fatto meridionale, una cosa familistica?
“Dico
sud perché sud dà molto più di meridionale senso di calore e gioca di
suono con sudore”, A.Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 327-8. E di “sudicio”?
Contrario
all’infinito, che “reca pure danni ai troppo creduli”, il socialismo, per esempio,
l’impressionismo, Savinio ne esenta “i popoli meridionali”. “Privi dell’idea
dell’infinito”, spiega nella “Nuova Enciclopedia”, “dello ‘sguardo’
all’infinito, i popoli meridionali non sono né socialisti né impressionisti. Le
popolazioni della Basilicata, della Calabria, della Sicilia, della Puglia non
solo negano l’infinito come idea ma lo rifiutano anche come forma verbale. A Catanzaro
sostituiscono all’infinito una proposizione secondaria introdotta da mu, a Reggio da mi”. Il che è vero.
Poi
ci ripensa: “Dicono: Anno raggiuni mu ti
chiamanu ciucciu, hanno ragione a chiamarti ciuco. E questo esempio sembra
che io l’abbia scelto apposta, per evitare ogni fatica ai miei censori”.
All’ospedale
romano del Santo Spirito l’archeologo, romanziere e giornalista francese Edmond
About vede nel 1858 o 1859 “un contadino rosso come un pomodoro e trasudante a
grosse gocce nel suo letto”. Gli viene spiegato che “è stato morso dalla
tarantola”, ma lui non nota “nulla nel suo contegno che riveli la passione
della danza”. Chiede e gli viene chiarito: “Il mio giovane dottore m’assicura
che il morso delle tarantole induce un movimento di febbre assai gagliarda.
Tuttavia ritiene che la paura entri in buona misura in questa malattia. Tanto
che basta qualche volta un bicchiere d’acqua pura, o una pillola di mollica di
pane, per guarirla radicalmente”.
Quanta
scienza, quanta antropologia, su una somatizzazione.
Lo stupore del
Sud
Federico
II fu il classico figlio della madre. Era nipote del Barbarossa ma prese dalla
madre, Costanza d’Altavilla, l’irrequietezza. Lo”Stupor Mundi” si può dire anche
il padre prototipo, che oscura e divora i suoi figli - il padre-Crono. E con loro il
futuro della Sicilia e del meridione tutto: Sicilia, Calabria, Puglia, Abruzzi
e il salernitano.
Federico II di Svevia o di Hohenstaufen,
nato a Jesi e morto a Fiorentino di Puglia, imperatore del Sacro Romano Impero
regnante da Palermo, eletto a Aquisgrana, incoronato dal papa a Roma, nonché re
di Gerusalemme, per matrimonio e per autoincoronazione nella stessa città
santa. Il “puer Apuliae” detto anche “Stupor Mundi”. Figlio dei normanni
Altavilla. Ebbe tre mogli, con le quali fece sei figli. E molte amanti, una
diecina note, dalle quali ne ebbe altri undici.
Il primogenito Enrico fu
nominato re di Sicilia e di Germania dal padre, che se n’era fatto l’erede,
Enrico VII. Ma Enrico presto si ribellò: cresciuto in Germania, lontano
dall’influenza di Federico, prese il partito dei feudatari ribelli, e poi della
Lega Lombarda. Il padre lo destituì dai titoli regali con l’accusa di alto tradimento.
Che avrebbe comportato l’esecuzione, ma Federico II la tramutò nella
carcerazione a vita. Nel trasferimento dal castello-prigione di Nicastro a
quello di Martirano in Calabria, Enrico si suicidò buttandosi da un dirupo. Era
chiamato “lo sciancato”, per una zoppia rimediata cadendo da ragazzo da
cavallo. Ed era butterato dalla lebbra, contratta pare per contatto, con donne
portatrici sane. Una storia alternativa lo vuole morto invece di malaria,
sempre a Martirano. Federico II lo fece seppellire con onori regali nel Duomo
di Cosenza.
A Enrico successe Corrado VI,
figlio di Federico II e di Isabella di Brienne, la regina di Gerusalemme sposata
dopo al morte di Costanza d’Aragona, la madre di Enrico. Nato a Andria e morto
a Lavello. La madre diciassettenne morì pochi giorni dopo il parto. Corrado fu
duca di Svevia e re di Germania, e alla morte del padre re di Sicilia e di
Gerusalemme. Cresciuto a Palermo dal padre, fu inviato in Germania alla deposizione
del fratellastro Enrico. Fu anche nominato da Federico II suo successore alla
corona imperiale per testamento, senza rispettare il parere dei grandi elettori
tedeschi. Sarà il fondatore dell’Aquila, il capoluogo abruzzese. Ma morì subito
dopo il padre, nel 1254, di malaria. Fu sepolto a Melfi per metà, cuore e
visceri. Il corpo era destinato alla sepoltura solenne a Palermo, ma nella
sosta a Messina finì bruciato nell’incendio che distrusse il Duomo della città.
Corradino, suo figlio ed erede ad appena sedici anni, sarà sconfitto a
Tagliacozzo da Carlo d’Angiò. Che lo fece decapitare, nella piazza Mercato a
Napoli.
Concorrente di Corrado - e poi di
Corradino - fu il fratellastro Manfredi, nato da Bianca dei conti Lancia, o
Lanza, del Monferrato. Bianca sarebbe stata l’unico vero amore di Federico II.
Principe di Taranto, Manfredi tenne la luogotenenza del regno di Sicilia alal
morte del padre, in attesa di Corrado dalla Germania. Col quale non ebbe però buoni
rapporti. Morto Corrado, riprese la luogotenenza del regno di Sicilia. Morto
anche Corradino, si fece incoronare imperatore dai soli feudatari siciliani,
nella cattedrale di Palermo, e fu scomunicato dal papa. Ma durò poco: il 16
febbraio 1266, a Benevento, Carlo d’Angiò sconfisse e uccise anche lui – ch
fece seppellire sotto un ammasso di pietre, in riconoscimento del valore
dimostrato in battaglia. Riesumato, il cadavere sarà poi disperso, lontano ai
possedimenti del papa. Manfredì fondò Manfredonia, che doveva diventare la capitale
della Puglia.
Il figlio preferito fu il minore,
Enzo, che Federico II ebbe da Adelaide di Uslingen. Celebrato dal padre “nella
figura e nel sembiante il nostro ritratto”. Suo compagno nella caccia col
falcone – lo chiamavano “il Falconcello”. Divenne per matrimonio re di Torres e
Gallura. Acceso ghibellino, fu nominato dal padre nel 1339 Vicario imperiale in
Italia. In questa veste combatté vittoriosamente molte battaglie, a danno dei possedimenti papali
nelle Marche dapprima, e poi nella pianura padana. Fino alla sconfitta alle
porte di Modena nel 1249. Subì quindi la prigionia per un quarto di secolo,
fino alla morte, nel palazzo bolognese poi noto come del re Enzo. Una prigione
aperta, con compagnia di poeti e belle donne.
Il razzismo
del “Corriere della sera”
Stella
scrive il solito pezzo contro il Sud, questa volta contro Taormina. Che la grafica ingigantisce. Un lettore di Novara ne è tanto schifato
che si sente in obbligo di scriverne al giornale: com’è possibile che ci sia
tanta sporcizia e tanto squallore come a Taormina. La vedette concorrente del giornale,
Cazzullo, tenutario della posta, ne approfitta per dissociarsi: “Taormina è
bella e cara”. Non solo al mondo intero, intende, anche ai milanesi.
Segue
Stella sullo stesso giornale, o lo anticipa, una pagina per Davide Casaleggio, nobiltà dell’informatica, con sede a Milano, e della politica. E chi gli contrappone il “Corriere della
sera” come voce dal Sud, sulla stessa pagina? Salvatore Cuffaro, ex galeotto
per mafia.
Paolo Mieli storico inclemente dei giudici fa l’elenco
delle loro malefatte in un maestoso articolo lunedì. Ma lo limita ai giudici di
Puglia, nemmeno un accenno ai giudici di Milano, altrettanto esemplari, se non
di più.
Virginia
Raggi dice alla maratona domenica che Milano è “un po’ gelosa”. Profluvio di
commenti e commentatori: “La gelosia è vergogna”, etc. Mentre in altra pagina
lo stesso giornale mette Milano maratoneta in concorrenza con Roma. Puntiglioso
elencando, con evidenza grafica, tutti i numeri della supremazia di Milano
anche in fatto di maratone. Lo stesso giornale che qualche settimana prima
aveva decretato l’eccezionalità del turismo a Milano (turismo a Milano…) - che
anzi aveva sorpassato e surclassato Roma.
Un
giornale razzista, di dentro e di fuori (subliminalmente e dichiaratamente)
come il “Corriere della sera” è difficile concepirlo. Opera peraltro di un
editore che è un venditore di pubblicità: è la sola maniera per venderlo?
È
vero che lo fanno fare a meridionali, sia a Milano che a Roma. Lo stesso Stella
ha solerti collaboratori meridionali, piccoli quisling che aspettano la luce –
la chiamata, magari come fattorini, o per pulire le scale.
Ma,
ecco: i milanesi ci credono, al “Corriere della sera”?
Il Nord è Nord
il Sud è Sud
Una
coppia romana assortita, lei di famiglia veneta, lui di famiglia siciliana,
vive a Roma nei ruoli stabiliti, tacitamente, diciamo di tipo leghista.
Il
padre di lei ha applicato il maggiorascato, benché desueto e anzi illegale, a
favore del figlio maschio. Al quale ha anche comprato casa a Roma. Mentre alla
figlia non ha dato niente. Anche la madre, che vive vicino Roma e fa
affidamento sulla figlia per i problemi dell’età, ha aiutato e aiuta finanziariamente
il figlio maschio – non per bisogno.
La
coppia vive in un appartamento comprato con l’aiuto del padre di lui. Lei è
cosciente della disparità di trattamento. Ma la sua famiglia è quella di
origine.
La
sua famiglia è quella di origine con un sottinteso: che è più moderna e aperta,
mentre quella del marito è arcaica e patriarcale.
La piovra
Gli
appalti truccati e gli arresti al Comune di Milano non fanno notizia. Fanno
invece notizia, sui grandi giornali, alla Rai e su Sky, i sequestri di beni e
attivi della cosca Pesce di Rosarno. La quale è nota ai Carabinieri da
quarant’anni, che nel 1980 ne avevano tracciato tutte le attività, anche
minime, anche fuori d’Italia, in Costa Azzurra tra i campi di fiori, dove
alcuni familiari erano emigrati negli ani 1960. E periodicamente “sequestrata”
da almeno trent’anni, da quanto era Procuratore a Palmi Cordova. Come si leggeva
nel nostro “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992 – la storia della famiglia era raccontata
a Bocca, “Aspra Calabria”, sempre 1992, dall’on. Giuseppe Lavorato, del Pds: Beppino
Pesce nel 1960 era un contadino povero, di famiglia grande e povera...
Una vera
piovra criminale, che si riproduce per quanti tentacoli se ne tagliano? Ma è la
ndrangheta una piovra o l’immagine piovra fa la ‘ndrangheta?
Ma
quanti sono questi Pesce che moltiplicano le attività da trenta e quarant’anni?
Si capisce che sguscino, nomen omen.
Però: perché non vengono arrestati per i crimini prima che sequestrati per i
beni, che ‘ndranghetisti sono?
Voglio un padre mafioso
Theodore Melfi, il nuovo regista giovane americano, “Il diritto di contare”, ha origini siciliane per parte di padre. Che carica di colpe gravissime nelle bio a uso delle interviste promozionali. Era irascibile, sposò la madre suora in quinte nozze, era della mafia, era manesco, e fu ripudiato dal figlio che aveva sedici anni. Mentre era un costruttore, dieci anni dopo essere arrivato dalla Sicilia, fallito, quindi giornalista e editore di giornali, sfidante di Mario Cuomo per il governatorato dello Stato di New York nel 1982, socievole e affettuoso - l’album delle foto di famiglia che Melfi esibisce stranamente lo prova. La madre era effettivamente una suora, ma giovane donna molto fragile, come lo stesso Melfi ricorda, che aveva da tempo abbandonato il convento, entrava e usciva dai manicomi, e nel padre aveva trovato una vita.
Che il padre fosse mafioso Melfi lo arguisce dal fatto che una volta uscì dal supermercato col carrello pieno senza pagare, con un semplice sguardo d’intesa col gestore. Con il fatto che prima abitavano in una bella casa e dopo in una minuscola. Un padre siciliano non può avere problemi economici, e magari fare la spesa a credito dal droghiere, o essere in credito col drogheire stesso, ma solo essere stato mafioso o non esserlo più.
Il peggio del carattere dell’uomo è che una volta gli fece mangiare davanti al cassiere il lollipop che Melfi ragazzino aveva rubato al supermercato e il cassiere gli aveva notato nelle tasche
Theodore Melfi, il nuovo regista giovane americano, “Il diritto di contare”, ha origini siciliane per parte di padre. Che carica di colpe gravissime nelle bio a uso delle interviste promozionali. Era irascibile, sposò la madre suora in quinte nozze, era della mafia, era manesco, e fu ripudiato dal figlio che aveva sedici anni. Mentre era un costruttore, dieci anni dopo essere arrivato dalla Sicilia, fallito, quindi giornalista e editore di giornali, sfidante di Mario Cuomo per il governatorato dello Stato di New York nel 1982, socievole e affettuoso - l’album delle foto di famiglia che Melfi esibisce stranamente lo prova. La madre era effettivamente una suora, ma giovane donna molto fragile, come lo stesso Melfi ricorda, che aveva da tempo abbandonato il convento, entrava e usciva dai manicomi, e nel padre aveva trovato una vita.
Che il padre fosse mafioso Melfi lo arguisce dal fatto che una volta uscì dal supermercato col carrello pieno senza pagare, con un semplice sguardo d’intesa col gestore. Con il fatto che prima abitavano in una bella casa e dopo in una minuscola. Un padre siciliano non può avere problemi economici, e magari fare la spesa a credito dal droghiere, o essere in credito col drogheire stesso, ma solo essere stato mafioso o non esserlo più.
Il peggio del carattere dell’uomo è che una volta gli fece mangiare davanti al cassiere il lollipop che Melfi ragazzino aveva rubato al supermercato e il cassiere gli aveva notato nelle tasche
Se non è mafioso il padre non è siciliano.
leuzzi@antiit.eu
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