Dante – Grande intellettuale
poliglotta. Linguista, storico, filosofo, teologo, epistemologo, scieziato
politico, narratore, poeta. Latinista. Pensò anche di scrivere la “Commedia” in
provenzale. Conosceva l’islam, l’arianesimo, il catarismo e ogni genere di
esoterismo.
Forma dell’acqua – Il titolo del film superpremito
è di Camilleri, 1994 – il primo della fortunata serie di Montalbano,
tradotto in inglese dalla Penguin nel 2005. Che non dice di averlo trovato – il
titolo nasce così: “Qual è la forma dell’acqua?” “Ma l’acqua non ha forma. Piglia la forma che
le viene data”. Del Toro invece dice – la promozione gli fa dire – che
lo ha letto in un libro, di cui non ricorda l’autore, in una libreria che
incontrava andando la mattina agli studios. Come se agli studios si andasse a
piedi
La promozione, via facebook, cita anche
Narciso. Ma soprattutto Rumi: fa citare a Del Toro, vagamente, il poeta
persiano. La quartina finale, echeggia subito la rete, è “probabilmente ispirata
da Rumi”:
“Incapace
di percepire la forma di
Te, ti trovo tutto intorno
a me. La tua presenza mi riempie gli occhi del tuo amore, umilia il mio cuore,
perché tu sei ovunque”, recita alla fine fuori campo Giles, l’amico della
protagonista Elisa Esposito, l’intellettuale isolato perché omosessuale. Che non è Rumi, più che altro ricorda la dichiarazione di un cieco
– a una muta (la protagonista è muta). E non reca l’emistichio “la forma
dell’acqua”. La copertina di Camilleri non è da escludere.
Germania – Il “viaggio”, di cui la
letteratura tedesca è così fertile, è “una fuga dalla Germania”? Il dubbio, un
rimprovero, è mosso da Joseph Roth nel 1924, sui “viaggi, veri e metaforici, in
Italia” di tanti intellettuali tedeschi.
Questo varrà sicuramente un anno dopo
per lo stesso Roth. austriacante mai a suo agio a Berlino, benché a Parigi e
non in Italia Per quattordici anni Roth abiterà a Parigi, pur con lunghe
assenze, scrivendovi la maggior parte dei suoi romanzi e racconti: “Per il loro
legame con la cultura, per il senso della democrazia e per la gentilezza, i
Francesi rispecchiano ai suoi occhi l’immagine rovesciata dei Tedeschi” (Katharina
Ochse, pref. a J. Roth, “Al bistrot dopo mezzanotte”).
Laura – “La donna
più famosa di tutti i temi” la dice J.Roth ascendendo a Les Baux
dall’amatissima Avignone. Ben reale benché idealizzata – immaginaria. Ma
Beatrice è più reale, seppure immaginaria in proporzione inversa a Laura. Laura,
la cui discendenza si estenderà fino a non molti anni fa a Napoli.
Marsigliese – L’inno francese ha il nome di una città del Sud ma è nata sulle rive del Reno. Rouget de Lisle, l’autore, era un ufficiale di stanza sul Reno nel 1792, capitano di seconda classe del Genio nell’Armata del Reno, a Strasburgo. A una festa in onore degli ufficiali della guarnigione, il 24 aprile del 1792, il sindaco di Strasburg Dietrich pregò Rouget de Lisle di scrivere “qualche bel canto per questo popolo soldato che si leva da ogni parte all’appello della patria in pericolo”. Nella notte Rouget de Lissle scrisse parole e musica di un canto di guerra per l’armata del Reno, dedicando al generale Luckner, uno dei tanti francesi di origine tedesca, il comandante in capo. E l’indomani, a un altro pranzo offerto da Dietrich, l’inno venne subito eseguito con l’accompagnamento al piano di una signora. Piacque, e fu subito cantato in tutta la Francia. Intonato da un battaglione di marsigliesi in marcia verso Parigi nel mese di luglio, venne chiamato “la Marsigliese” dai parigini.
L’inno si diffonde
in chiave rivoluzionaria mentre Rouget de Lisle si cera qualche imbarazzo. Il
geneale Carnot lo ha sospeso dal servizio a maggio, quattro settimane dopo la
composizione dell’inno, perché ha
protestato contro l’internamento di Luigi XVI dopo l’invasione delle Tuileries.
Quindi, un anno dopo, a maggio del 1793, radiato, Rouget de Lisle è carcerato a
Saint-Germain.en-Laye. Dove ebbe tempo e voglia di scrivere un altro inno
diventato famoso, contro la “congiura di Robespierre” e “la rivoluzione del 9
Temidoro”, cioè il colpo di Stato contro Robespierre. Rientrerà in servizio e
difenderà la Convenzione con Napoleone.
Parigi – Ungaretti fu a Parigi, corrispondente
per il “Giornale d’Italia”, il giornale di Mussolini, da novembre 1918 a fine
1921. Corrado Alvaro fu a Parigi, per “Il Mondo” di Giovanni Amendola, da fine
1921 a luglio 1922. Un’ideale staffetta dei due letterati italiani più
cosmopoliti del Novecento. Ungaretti arrivò a Parigi il giorno in cui il suo
amico Apollinaire moriva. Alvaro fece in tempo a leggere Proust, e a tradurne
qualche pagina. Un’altra Italia.
Pavese – È il modello, ispiratore,
del “Barone rampante”, il secondo racconto della trilogia di Calvino, “I nostri
antenati”? Raccontava che da bambino passava ore a leggere sugli alberi, Salgari
o fumetti. E che giocava da solo, nei boschi preferibilmente, a parlare con
bisce e insetti. Non avendo compagnia, o disdegnandola.
Piovene – Scrittore di indubbia
qualità, è sub judice per avere,
forse, tradito qualche amicizia ebraica sotto il fascismo. Ma anche come
critico andrebbe sotto giudizio. Nel 1927, dopo la prima timida uscita in pubblico
di Italo Svevo, a trent’anni dai primi tentativi di scrittura e pubblicazione,
con “La coscienza di Zeno”, stroncò il romanzo con volgarità: “Perché leggere
un negoziante triestino, autore di romanzi mediocri”, che una sparuta combriccola
dichiarava grande scrittore, “uno scadente poeta irlandese, il Joyce, uno
scadente poeta di Parigi, il Valéry Larbaud, e un critico, il Crémieux, che,
essendo intenditore di cose francesi, passa in Francia come intenditore di cose
italiane”. Salvo riscattarsi, anche qui, ex post, dopo la guerra, dichiarando
Svevo “uno dei cinque o sei grandi scrittori di romanzi apparsi in Europa dopo
la prima Grande guerra”.
Pirandello – Si piaceva molto – si baciava
alo specchio. E piaceva molto alle ragazze di Magistero, dove insegnava: fu
inseguito da occhiate languide, bigliettini, fronteggiamenti, e perfino un
denudamento.
Strapaese – È stato molto italiano. Dentro e fuori “Il selvaggio” e “L’Italiano”, le riviste di Maccari e Longanesi: Rosai, Soffici, Malaparte finto toscanaccio, Alvaro, Bacchelli, Silone, et al., fino a Cassola, e
poi, pronubo il neorealismo, i napoletani.
In Germania anche fu un forte filone, della “poesia della zolla”, e del Volk. Con la Hebel Renaissaance che Heidegger prediligeva – con Hesse, Adorno, Canetti, Reich-Ranicki – e J.
Roth detestava. In Francia quasi niente: Giono, forse Mistral, e le “terre nere”
di Chateaubriant.
letterautore@antiit.eu
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