martedì 6 novembre 2018

Il mondo com'è (358)

astolfo


Cina-Usa – Dalla collaborazione al confronto? La presidenza Xi Jinping sembra avere cambiato il dispositivo delle relazioni fra le due grandi potenze, finora all’insegna della cooperazione, ora tentate dall’antagonismo. Anche perché Xi ha consolidato il suo potere a Pechino mentre negli Stati Uniti emergeva Trump, che il suo progetto di egemonia dichiara. Il dibattito su questo cambiamento di prospettiva, dopo la crescita economica e anche strategica della Cina, favorita per un trentennio dagli Stati Uniti nelle assise internazionali, alla Wto, l’organizzazione del commercio mondiale, e all’Onu, è fervido in Cina come negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti si è sviluppato come prodromo di un riarmo militare. Per ora sotto l’aspetto accademico, delle due ipotesi di “trappola di Tucidide” e “trappola di Lenin”. In Cina in ambito politico, all’interno del partito Comunista, con ricorrenti interventi di analisti, accademici e personalità politiche. Il confronto, benché non dichiarato, va in accelerazione rapida: Trump e Xi si fronteggiano con eguale animus, di sfida. Ai dazi di Trump, Xi ha risposto in due modi: moltiplicando la dotazione degli investimenti all’estero (il progetto “Via della Seta”) e aprendo a importazioni per dieci miliardi di dollari subito, all’apertura ieri della fiera di Shangai: “La Cina non chiuderà le porte al mondo”, ha detto in non velata polemica con Trump, “ ma le aprirà sempre di più”. Dopo avere mostrato a più riprese il viso dell’arme nei mari, nel Mare Cinese Orientale con Corea, Giappone e Taiwan, in quello Meridionale con Filippine e Malesia. Ha disposto il raddoppio degli investimenti in Africa, già elevati – nel 2018 assommeranno a cento miliardi di dollari. Solo in Europa riduce gli impegni, nell’Europa dei 16+1, i paesi orientali, balcanici e baltici, di cui 11 membri della Ue, sui quali aveva puntato inizialmente. Per favorire un dialogo con Bruxelles, in funzione anti-Trump. – gli investimenti finanziari e commerciali invece a crescere nei mercati più ricchi Italia compresa, ora nelle nuove tecnologie della comunicazione, il G 5.
Gli ambienti accademici, di economisti e americanisti, sono per il “basso profilo”e l’“approccio graduale”. Le linee-guida dello statista della nuova Cina, Deng Hsiaoping, delle “quattro modernizzazioni” e dell’apertura al mercato mondiale, anni 1980. Le ribadiscono a Pechino l’università Tsinghua, che ha recentemente tenuto un Forum della pace mondiale, e l’università Renmin, le più prestigiose. Delle divisioni del partito non si fanno nomi, ma si sa che ci sono.
L’amministrazione Trump è anch’essa sulla sfida. Dopo le due tornate di dazi imposti sulle importazioni, prova a costruire una sorte di cordone economico attorno a Pechino. Ha introdotto nel nuovo trattato di libero scambio con Canada e Messico l’obbligo di comunicare ai partner l’apertura di negoziati commerciali con “economie non di mercato”, cioè con la Cina. Clausola che si propone di estendere al trattato commerciale transatlantico, se verrà ripreso, e a quello transpacifico. E ipotizza di introdurre anche una clausola anti-manipolazione monetaria. Con chiara allusione alla Cina. Contro la quale rinfocola vecchi e nuovi risentimenti in Asia, in Giappone, Corea, Pakistan, India, Filippine, Malesia (molto dipendente dall’Arabia Saudita) e naturalmente Taiwan. Alla Casa Bianca Lawrence Kudlow, un analista finanziario che dirige il National Economic Council, ha perfino ipotizzato una “coalizione commerciale dei volenterosi”, richiamando quella che ha accompagnato gli Stati Uniti in Irak.
Ma il confronto non va oltre le schermaglie negoziali. Trump minaccia di spostarlo sul terreno finora proibito, quello militare, ma non ha reso nessuna iniziativa. La Cina lavora a sfidare il monopolio Usa nella comunicazione online, con le nuove tecnologie G 5. E a diventare il polo di sviluppo e il mercato principale dell’auto elettrica, la nuova frontiera del trasporto individuale, poiché ha i componenti minerari dell’attuale tecnologia elettrica, a batterie.

Trappole – Termine venuto in uso ultimamente per il vecchio imperialismo. Elaborato da Graham  Allison, che ne ha dato la prima definizione come “trappola di Tucidide”. Dei rischi che l’emergere di una nuova potenza fa correre agli equilibri, le vecchie potenze trovando difficile adattarsi a nuovi equilibri. A Harvard, dove insegnava, Allison ha costituito un gruppo di ricerca sugli eventi storici caratterizzati dalla “trappola di Tucidide”, i cui risultati presenta nel volume “Destinati alla guerra”, appena tradotto, sul rapporto Cina-Usa, in riferimento appunto a una serie di eventi europei condizionati dalla “trappola di Tucidide”. Sull’altro versante, democratico, il politologo Walter Russell Mead gli contrappone una “trappola di Lenin”, e cioè lo scivolamento della Cina, divenuta troppo potente, verso l’imperialismo.    

Trappola di Lenin – A Graham Allison e alal sua “trappola di Ticidide, Walter Russell Mead, politologo e storico della politica estera americana, uno “da sempre democratico” che approvò  la guerra in Irak nel 2003, oppone una “trappola di Lenin”. Scrivendo nella pagina delle opinioni del “Wal Street Journal” il 17 settembre ammonisce che “l’imperialismo è rischioso per la Cina”, perché la fa uscire dallo statuto che vanta di “vittima dell’imperialismo coloniale” e la fa risentire in Asia e in Africa come invasore, con l’esportazione-imposizione dei suoi surplus produttivi in mercati che in vari modi rende captive. È la trappola dell’imperialismo, che Lenin aveva definito: “Lenin definì l’imperialismo come il tentativo di un paese capitalista di cercare mercati di sbocco e opportunità d’investimento all’estero quando la sua economia domestica è alluvionata da capitali e capacità di produzione in eccesso”. Ciò avrebbe condotto alla guerra, secondo Lenin.
Lenin si sbagliava, arguisce Mead: “Settant’anni di storia occidentale dopo la seconda guerra mondiale mostrano che, con le giuste politiche economiche, un mix di crescente potere d’acquisto e integrazione economica internazionale può trascendere le dinamiche imperialiste”. Ma allora anche la Cina dovrebbe prendere questa strada.  Altrimenti, succede quello che Lenin teorizzava: “A meno di non trovare all’estero nuovi mercati per assorbire il surplus, un’implosione economica si produce, mandando milioni fuori lavoro, bancarottando migliaia di aziende e scompaginando i loro sistemi finanziari. Scatenando forze rivoluzionarie che minacciano i regimi in in carica”. La Cina è ora palesemente in surplus di produzione, dall’acciaio all’informatica, un’industria moltiplicata con i sussidi, e in eccesso di capitali, moltiplicati da prestiti fuori controllo. E cerca sbocchi in Asia, in Africa e in Europa, con la Via del Seta e altri accorgimenti promozionali. Ma deve imparare dall’Occidente a contenersi con accordi e limitazioni, “più simile agli Usa, l’Europa e il Giappone”, pena il risentimento dei paesi che elegge a sbocchi.
Mead accusa la Cina di pratiche mercantiliste: “sussidi, furti della proprietà intellettuale, sforzi nazionali coordinati per identificare nuove acquisizioni”
In precedenza Mead aveva anticipato i rischi della globalizzazione – nel 1992, alla vigilia della presidenza Clinton, che ne sarà invece il promotore a oltranza. Ipotizzando uno scontro feroce tra Nord e Sud del mondo, tra Occidente  e resto del mondo, qualora il mercato globale dovesse entrare in crisi o in recessione: “Miliardi di persone in tutto il mondo hanno appuntato le loro speranze sull’economia di mercato, governi e popolazioni ne hanno abbracciato i principi e si sono avvicinati per questo all’Occidente, confidando che il sistema occidentale possa funzionare anche per loro”, la crescita continua. Una crisi, che prima o poi è inevitabile, anche solo il ristagno della crescita, potrebbe “armare” i grandi paesi poveri, Cina, India, Russia, contro questo stesso Occidente, e con l’armamento nucleare “rappresentano per il mondo un pericolo molto più grande di quanto lo fossero la Germania e il Giappone negli anni 1930”.
(continua)

astolfo@antiit.eu

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