lunedì 11 maggio 2020

Letture - 420

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Bravi – Imperversano già nel primo Cinquecento, nelle rime di Berni. La magistratura fiorentina degli Otto prevedeva pene speciali contro i “bravi” nel 1533-1534.

Devoto deriva “bravo” dal latino, un incrocio tra “pravus” e “barbarus”. 

Dante – Nel 1373 la Signoria promuove a Firenze pubbliche letture della “Divina Commedia”, per alleviare i disagi del peste. La lettura inaugurale fu tenuta da Boccaccio, settantenne. Già affermano dantista; dieci ani prima aveva licenziato il “Trattatello in laude di Dante”, redatto in più versioni a partire dal 1357 – è ancora il testo di riferimento per la biografia di Dante. Aveva anche preparato  un’edizione manoscritta della “Divina Commedia”, un sorta di edizione critica, seppure non documentaria, non basata sugli autografi.

Schopenhauer e Nietzsche, che non amavano il poema, lo dicono un sogno. Schopenhauer, che nei “Parerga e Paralipomena” ne tratta distesamente, nel quadro dei “poeti italiani”, fra i quali apprezza soprattutto Petrarca e Ariosto, dice l’“Inferno” “un poema della crudeltà”, e lo apprezza a suo modo: “Donde ha preso Dante la materia del suo inferno, se non da questo nostro mondo reale?” Concludendo: “Il titolo dell'opera di Dante è assai originale e appropriato ed è difficile mettere in dubbio che esso abbia un senso ironico. Una commedia! Davvero, ciò sarebbe il mondo”.

Di Nietzsche basti l’apprezzamento che spesso si cita, dal tardo “Crepuscolo degli idoli”, al § 1 delle “Oziosità inattuali”, o “Le mie impossibilità” – che sono gli autori per lui indigeribili: Seneca, Rousseau, Kant, Victor Hugo, Liszt, etc. . Dante è “una iena che fa versi sulle tombe”.

Maldel’stam e Rimbaud vogliono Dante musicale, Borges poeta d’amore, T.S.Eliot un autore drammatico, e uno sul quale si può imparare a scrivere versi meglio che con qualsiasi poeta inglese contemporaneo, Shakespeare prima di Shakespeare, per tanti registri, storico, tragico, lirico, comico.

Balzac, che aveva letture italiane, volle il suo ciclo “La Comédie humaine” in riferimento a Dante.

Il poema è anche “a cassetti”. Ci sono molti narratori dentro: Sordello, Bertran de Born, Arnaut Daniel, il vescovo trovatore Folquet di Marsiglia, Cunice de Romain. Oltre a Virgilio e Beatrice, naturalmente . Ma molti hanno da dire, in una sorta di rappresentazione teatrale: Orazio, Stazio, Giustiniano, la principessa Matelda, Carlo Martello, san Tommaso d’Aquino, san Bonaventura, san Piero Damiani, san Benedetto, san Bernardo, i tanti nomi classici, i tanti fiorentini e toscani.

“Nel XIV canto del «Paradiso», (strofa 118) Dante ci dà al più alta definizione della musica, che è (secondo le sue parole) rapimento e non comprensione”, Riccardo Muti.

Femminismo – Smaschera la donna? Delle innumerevoli concioni che imbottiscono “La scuola cattolica” questa è la più ritornante. Al § “Vergeltungswaffe”, arma di rappresaglia – l’“arma finale” di Goebbels e Hitler - lo stupro “funziona come il contrappasso nell’«Inferno» di Dante”. Anche perché “una volta sessualizzata, la violenza diventa attraente”. Al modo di Robbe-Grillet, si direbbe, di Madame Robbe-Grillet. Ma non eccezionalmente in Albinati, matter-of-fact.  Su questo presupposto: “Con la cosiddetta liberazione sessuale, si scoprì che i poeti avevano mentito. Per secoli. Tutti o quasi tutti. Le donne vogliono il sentimento? Vogliono l’amore, l’amore puro, eterno? No, le donne vogliono godere. Vogliono scopare a sangue”.

LetteraturaUna “truffa”, benché “salutare”, la vuole R. Barthes, per liberarsi dall’emprise del linguaggio, del potere: “Questa truffa salutare, questa finezza, questa magnifica ilusione, che permette di concepire la lingua al di fuori del potere, nello splendore di una rivoluzione permanente del linguaggio, io la chiamo: letteratura”. Una festa secentesca, barocca.

Lingua – Fascista la dichiara Barthes nella “Lezione” inaugurale al Collège de France nel 1978: “La lingua non è né reazionaria né fascista; essa è semplicemente fascista”. Giustificandosi col dire: “Il fascismo, infatti, non è impedire di dire, ma obbligare a dire”. E così: “Non appena viene proferita, fosse anche nel più profondo intimo del soggetto, la lingua entra al servizio di un potere”. Difendendosi con Saussure: “Parlare, egli scrive,… non è, come si ripete tropo spesso, comunicare: è sottomettere: tutta la lingua è una predeterminazione generalizzata”. Per finire: “Può esservi libertà solo al di fuori del linguaggio”.

Moravia – È un saggista. Lo scrittore che ha rinnovato il romanzo con “Gli indifferenti”, è uno dalle idee chiare. Procede nei saggi a passi militari, destr-sinistr, marsc. Tranciante: conseguente, definitivo. Chiaro, semplice: un capoverso concatenato al precedente. Logico, assennato – infastidito che la “critica” bisogna farla - tanto, assume, è evidente. Scrittore di mente naturalmente critica, e quindi ordinato. Va per concatenazioni, una casella aprendo la successiva senza possibilità di errore o deviazione – non di dubbio. Si direbbe come un bulldozer. Naturalmente intelligente, molto – è scrittore critico anche nella narrazione

Musica – È la vera parola di Dio, secondo Cassiodoro, “De Musica”: “Se continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica” – la punizione, l’inferno, è il silenzio. Un segnale derivato dai profeti della Bibbia, di cui l’ex governatore della Calabria era diventato in vecchiaia familiare: il segno del disdegno di Dio è nella Bibbia il “silenzio nero”, un mondo cioè senza più suoni armoniosi, di canto o di strumento. 

Prussia – “La Prussia non è uno Stato con un esercito ma un esercito con uno Stato” - Friedrich von Schrötter, ministro della Prussia orientale, 1806. Magris, “L’infinito viaggiare”, attribuisce il detto a Fontane, “uno degli scrittori più grandi e più malinconicamente innamorati della vecchia Prussia” – “un asciutto cantore della vecchia Marca del Brandeburgo, commosso dalle sue tradizioni e dal suo ethos ed insieme consapevole del tramonto e dell’involgarimento del suo mondo”. Trovandolo appeso con questa paternità a un vessillo di una delle trenta mostre che nel 1981 celebrarono la nascita della Prussia - “il madornale Centenario Prussiano” di Arbasino, “Marescialle e libertini”. Gerhard Ritter, “I militari nella politica della Germania moderna”, ne dà la paternità allo junker barone Schrötter, ministro liberista dopo la morte di Federico il Grande – liberalizzò il commercio del grano, la Prussia era allora nazione agricola.

Satira – È fredda. Spietata anche: smisurata al possibile. L’ironia o lo scherzo possono lenirla, ma l’intenzione è cattiva.

Scrittura – Ernesto Sabato la divideva in “diurna” e “notturna”, spiega Claudio Magris nelle tante celebrazioni che dello scrittore argentino, di cui fu amico ed è ammiratore, viene tenendo. In quella diurna lo scrittore, pur inventando, parla del mondo che conosce nel modo in cu lo condivide: cerca di capire, e spiega il mondo per spiegarselo. Quella notturna è, si direbbe, tutto il rimosso, e qualcosa di più: anche le verità, di sé e del mondo, che sono o ritiene vergognose, “indegne o detestabili”, demoniache perfino - forme e eventi “tenebrosi”, “visioni”, “che mi hanno tradito, andando aldilà di ciò che la mia coscienza mi consente”. Che in effetti è il proprio del Sabato scrittore, al di là dell’impegno civile e politico contro il regime militare argentino degli anni 1970.

Tabarchino – O “genois d’outremer”: abitante di Carloforte, nell’isola di San Pietro, in Sardegna. In ricordo di Tabarka in Tunisia, da cui i genovesi (propriamente di Pegli) ivi emigrati nel 1542, al seguito dei Lomellini, mercanti che avevano ottenuto da Caro V concessioni in Tnisia, sono stati di ritorno nel 1738, approdando casualmente nell’isola, allora abbandonata. “Ligure tabarchino” è anche il dialetto. Carloforte è per questo anche “Comune onorario” della città metropolitana (l’ex provincia) di Genova.

Viaggio – Una promessa, un’attesa lo dice Magris, scrittore di viaggi, nel saggio che premette a “L’infinito viaggiare”, in memoria di Marisa Madieri: “Un continuo preambolo,un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo”. È la vita, dice ancora, “per itinerari che si vogliono nuovi anche se noti, ripetuti. È anche un benevola noia, una protettrice insignificanza”.

O anche. “Viaggiare è immorale, diceva Weininger viaggiando; è crudele, incalza Canetti. Immorale è la vanità della fuga, ben nota a Orazio, che ammoniva a non cercare di eludere i dolori e gli affanni spronando il cavallo”.


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