mercoledì 20 marzo 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (554)

Giuseppe Leuzzi


Da Bossi a Salvini, maestri di scuola

La Lega al governo ha appena varato un decreto contro i “troppi 100 e lode al Sud”, alla maturità, integrando il diploma con i test Invalsi, che gli stesi test, dopo venti anni, vengono riconosciuti non del tutto affidabili, e comunque da revisionare. Inattaccabili, perché sono test in cui “Milano” fa meglio del Sud, ma – si vede – non vanno più bene nemmeno a “Milano”, alla maturità.
C’è il razzismo in Italia. E c’è fra Nord e Sud più che contro gli immigrati, che bene o male vengono accettati: per motivi umanitari, e perché sono utili e anche necessari, e per di più costano poco. Tra italiani invece c’è razzismo. Non del Sud verso il Nord, ma del Nord sì. All’ultima maturità, 2023, due licei hanno registrato un numero di 100 record: il classico “Orazio” di Bari, con otto 100, di cui quattro con lode, in un’unica classe, e l’Itis “Fermi” di Modena, con sette 100, di cui quattro con lode. Su Modena nessuna osservazione, vituperio su Bari.
L’Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, è un istituto pubblico. Creato nel 1999 dal ministro Luigi Berlinguer, lo stesso che ha che ha cacciato la storia e la geografia dalla scuola, per scopiazzare le high school americane (una delle tante scopiazzature americane degli ex comunisti). È operativo da vent’anni, dapprima speriementalmente. Poi perfezionato dalle ministre di destra Moratti e Gelmini, le privatizzatrici dell’università e le scuole. Valuta le conoscenze a freddo, con elaborati e domande al computer. Le risposte analizzando non si sa con quale criterio, specie quella d’italiano – le alre prove sono di matematica e d’inglese. Prove per le quali, come per i quiz al test di Medicina, una preparazione sepcifica, che nulla a che vedere con la cultura, viene predisposta in alcune scuole.
L’insegnamento e l’apprendimento sarebbero un’altra cosa. E comunque non si fanno a macchina e non prescindono dal dialogo. Fatto è che i vilipesi 100 e lode del ud poi risytano i migiiori laureati delel migliori univevrsità – che naturalmente sono al Nord.
Da Bossi a Salvini sembrerebbe impossibile, ma il sapere è leghista, anche lui.


La mafia dell’antimafia
Sì, l’indagato, nello scandalo delle indagini patrimoniali abusive, mette le mani avanti - deve difendersi. Forse anche, probabile, lancia “avvertimenti”, cioè minaccia, benché sia un ufficiale di polizia – tenente della Guardia di Finanza, specializzato in informatica. Ma dice cose che tutti sanno - lui le dice.
È impressionante l’intervista di Pasquale Striano al quotidiano “La Verità: Ho fatto 40 mila accessi (intrusioni nei conti, n.d.r.), non 4 mila. Ma agivo su ordine dei pubblici ministeri”. E aggiunge: “Alla Dna (Direzione Nazionale Antimafia, n.d.r.) si pensa poco alla mafia e molto al potere”.
Su Striano c’è una indagine penale. La Procura di Perugia lo persegue per l’ipotesi che abbia utilizzato il suo ruolo di capo del gruppo informatico d’indagine sulle Segnalazioni di Operazioni Sospette (Sos) della Uif, Unità Informazioni Finanziarie (portale Infostat-Uif) della Banca d’Italia, per compilare dossier scandalistici con un certo numero di giornalisti. Indagato come lui è il magistrato in pensione Antonio Laudati, in qualità di ex responsabile delle segnalazioni nella Direzione Nazionale Antimafia. Per la diffusione di queste intrusioni sono indagati anche otto giornalisti. In totale sono indagate quindici persone.
L’intervista di Striano è difensiva, contro la Procura di Perugia (“loro”) che indaga: “Io di segnalazioni di operazioni sospette (le Sos) non ne ho visionate 4.000, come dicono loro, ne ho visionate 40.000. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi. Ma non mi devono far passare per quello che non sono”, cioè un ladro di dati, da condividere (a pagamento?) con alcuni giornalisti.
Questo non interessa, è parte di una difesa giudiziaria – “Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla. Il mio lavoro era di fare attività Antimafia e di farla bene. Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro al Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo”.
Ma poi va oltre, sulla Direzione Nazionale Antimafia, che conosce bene, dal di dentro: “Non ha motivo di esistere. Se la Dna fosse come la ha concepita Falcone, così come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato – e non sono uno che sputa nel piatto dove ha mangiato – allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini. Io ho evidenziato a chi di dovere le criticità e non cercavo gratificazioni”.
Anche questo può andare bene: la Dna non fa indagini, le coordina. Ma “poi”, continua l’ufficiale, “non lo scopro io, esisteva una lotta tra magistrati. Una gara a chi era più bravo, a chi era più bello, a chi aveva più potere”. Specie sul suo lavoro, che era al centro di molte “invidie”: “Non solo invidie interne, perché lì a livello nazionale c’è un macello”, tra Procuratori.
Sono sempre i giudici del metodo Palamara? I primi riscontri dicono di sì. E qui si tratta dei livelli massimi, non di piccole carriere. Laudati ha fatto sapere dai suoi avvocati che lui agiva su impulso del Procuratore Nazionale, che era Cafiero de Raho. De Raho, ora senatore, vice-presidente della Commissione parlamentare (Antimafia) che indaga sulle intercettazioni, ribatte agli avvocati di Laudati, ma non ritiene di doversi dimettere da questo incarico.
Cafiero de Raho è ora senatore grillino. Senatori (del Pd) sono stati i suoi predecessori, Franco Roberti e Piero Grasso. Utilizzare la politica per fare carriera (fece scandalo a suo tempo la modalità con cui, per la nomina di Grasso, fu impedita la candidatura di Giancarlo Caselli), uscire dalla carriera col massimo, Procuratore Nazionale, utilizzare la carica per avviarne un’altra senza soluzione di continuità (cinque anni, due anni, un anno – ai manager si richiede, perfino agli allenatori di calcio), e maturare un secondo, ricco, vitalizio, tutto questo non è edificante. E la mafia?
P.S. A proposito di mafia. Cafiero de Raho ha fatto il balzo alla Dna sacrificandosi a Reggio Calabria quattro anni, dal 2013 al 2017. Durante i quali non è mai uscito di casa, per non “infettarsi”, come disse una volta (“si vive soli, la nostra vita è in ufficio. La società è collusa o compiacente”).
Il nobiluomo è uno dei tanti napoletani giurisperiti che si sacrificano per qualche anno in Calabria, specialmente Reggio e Catanzaro sono indigeste, per un motivo – sono destinazioni scelte, non imposte: sono sicuri poi con l’antimafia di fare carriera. Ma come si governa una città e una provincia, mezzo milione di persone, disprezzandole? Per quattro anni Cafiero de Raho non ha potuto giocare a tennis, non trovava a Reggio un partner affidabile.
 
Cronache della differenza: Calabria
Nella fiction Rai “Mameli”, il genovese Nino Bixio parla calabrese, denunciano i social. Invece è l’unico personaggio convincente, l’unica interpretazione riuscita – gli altri parlano romano: l’unico che parla con cadenza genovese. Amedeo Gullà, l’attore che lo interpreta, è calabrese, è vero – e er questo non può “fare” altro?
 
“Ho fatto un’esperienza politica che mi stava portando al suicidio”, l’imprenditore Filippo Callipo confida a Carlo Macrì sul “Corriere della sera” dopo l’ennesimo “avvertimento” contro la sua azienda a colpi di pistola: “Tremenda. Vedevo cose contro natura, accettarle era impensabile. Quella breve parentesi seduto sugli scranni del Consiglio Regionale mi ha sconvolto il cervello.…,Non ero andato lì per avere privilegi. Invece sono stato tradito dalla mia stessa coalizione di centro-sinistra”. A parte gli “scranni”, un mondo infetto, irrecuperabile?
 
Si tenta da qualche anno (sull’onda del boom della pizzica in Salento?) il recupero della tarantella, con scuole, festival, feste. E – per maggior richiamo? – la si vuole stranamente ballo della ‘ndrangheta. La quale è stata creata dalla Repubblica, quindi da poco, ed è mafiosa nel senso di bruta e ignorante. Mentre si trovano tarantelle in composizioni e compositori della migliore specie, perfino in Chopin, “Fantasia in Fa minore op. 49”, 1841. O in Rossini. E in tanti russi, Stravinskij, Prokof’ev.
È curioso un mondo che cerca i suoi quarti di nobiltà nella delinquenza senza onore, recenziore.
 
“I calabresi hanno un senso della fatalità” – molta Calabria riemerge nel diario in pubblico di Corrado Alvaro, “Quasi una vita”: specie in tarda età - molte annotazioni sulle origini sono del 1939 e posteriori.
“Concepiscono la loro vita sull’argine delle loro fiumare che presto o tardi travolgono ogni cosa. «Piegati, albero, che passa la piena» è nostro motto”.
 
Ma è ormai molto tempo che le fiumare non travolgono più, una settantina d’anni – saranno state canalizzate opportunamente. E allora? Il “senso della fatalità” c’è sempre: è l’accettazione della mafia, del “discorso sulla mafia”.
 
“Corruzione del popolo al mio paese”, è ancora Alvaro, subito dopo: “E del popolo basso, né artigiano né contadino né pastorale” - “Paese mio, dolce e feroce\ esperto ed insano”, è un frammento di “In viaggio”.
 
Vincenzo Sofo, europarlamentare FdI, marito di Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen con la quale è in rotta, ora vice di Éric Zemmour nel partito di estrema destra Reconquête, “Il Sole 24 Ore” lo ricorda milanese ma “nato «da sangue 100 per cento calabrese»”, e “per un’azione dal gusto dannunziano nella terra d’origine dei suoi genitori” nel 2014. A sostegno di Sgarbi, che contestava il no ministeriale alla richiesta milanese di illustrare l’Expo con i Bronzi di Riace, inscenò al Museo di Reggio “un rapimento simbolico delle statue dei due guerrieri”. Calabrese in effetti più che milanese, per la “veduta”, il bel gesto.
 
Emily Lowe, la viaggiatrice inglese di metà Ottocento, prima capitano donna di una nave, nella memoria di viaggio che le diede la celebrità che cecava, Unprotected Females in Sicily, Calabria and on the Top of Mount Aetna (1859), vi sbarca dalla Sicilia come alla “terra che pericoli romanzeschi proteggono dall’invasione dei viaggiatori”.

leuzzi@antiit.eu

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