La felicità - di scrivere - malgrado tutto
Il progetto di un
libro poi abbandonato (1965) su tutte le case in cui la scrittrice ha vissuto. E sulle
varie circostanze e i modi di essere e di vivere, a Nord e a Sud degli Stati Uniti,
a Est e a Ovest, in Cile e in Messico. Un testo incompiuto, “una serie di
ricordi dei posti che aveva chiamato casa” (Jeff Berlin, il figlio che ha
curato la pubblicazione). E una scelta di lettere lunghe, minuziose. Per lo più
a Ed e Helene Dorn, lui poeta, lei pittrice e scultrice, che in tutte le “case”
e tutte le tumultuose circostanze familiari di lei la sostennero e aiutarono –
Ed è stato l’editore e il “redattore” di Lucia per lungo tempo. Lettere scelte per
la vivacità con cui racconta la vita bohémienne a New York negli anni 1970,
grigia e triste, la desolazione del Sud, El Paso, Albuquerque, e a Oakland le cento
invenzioni per sopravvivere con quattro figli. Con moltissime foto, collegate ai
vari momenti del memoir e alle circostanze delle lettere. E una nota
biografica. In copertina quella canonica, del 1971, ad Acapulco.
Tra memoir e lettere un appunto, “I problemi in tutte le case in cui ho vissuto”, una lunga dettagliata lista di 18 abitazioni che da sola vale la lettura, tra vicini, molesti e non, troppe cameriere, insetti di variatissima specie, terremoti, uragani, greggi di pecore “next door”, “niente acqua corrente, niente elettricità, niente bagno, e due bambini col pannolino”… Alaska, Idaho, Montana, Kentucky, le varie destinazione del padre tecnico minerario, dappertutto chiusi in una stanza (in Alaska piena di topi). A El Paso in una vera casa, quella dei nonni materni, tra gli effluvi e gli strani colori di raffinerie e acciaierie. Poco degli anni felici a Santiago del Cile, dove il padre è cresciuto di ruolo: molta servitù, molta spensieratezza, a scuola e ai balli. E poi in Arizona, una vera villa, anche qui con servitù.
Il tocco è sempre lieve,
malgrado tutto - un tocco di scrittura, sorvegliata e non da franca narratrice, Gogol si menziona, anche Cechov. Sposa a diciott’anni, il marito Paul voleva che dormisse a
pancia in giù, per appiattire il naso che invece guardava all’insù. Fanno
subito un figlio, per evitare a lui il servizio militare. Quando nasce il secondo
Paul se ne va: “Paul disse che la sola soluzione per lui era di partire, e così
fece. Aveva una borsa di studio, un maestro, una villa e una fonderia a Firenze,
e una nuova amica col naso dritto” (lo scultore Paul Suttman, accettato all’Accademia di
Belle Arti a Firenze, lavorerà con Manzù, e resta in Italia dal 1962 al 1976,
beneficiario di tre Borse dell’Accademia Americana al Gianicolo a Roma). Poi una
lunga convivenza, con altri due figli, e molti spostamenti con un musicista
jazz. Eccetera. I piccoli mestieri, da sopravvivenza. La cura dei figli, sempre.
La scrittura - la perdita, anche, di tutti i materiali e taccuini nel trasferimento a Albuquerque.
Non è la vita travagliata
il tema e il senso di questa compilazione “in memoria” disposta dal figlio
Jeff. È la scrittura: “La mamma scriveva sempre”, a penna, a macchina, a matita.
Per lo più consigliata e editata da Ed Dorn, il poeta, una sorta di Pigmalione.
Ma non è un racconto delle difficoltà della vita, il memoir poi lasciato nonfinito.
Lo sguardo è sempre sereno, e divertito – la cifra di Lucia Berlin. Tra i tanti
aneddoti, una comica il contratto, con tanto di anticipo subito versato, per un
romanzo che ancora deve scrivere, ma di cui non ha idea, anzi non sapeva nulla
prima del pranzo organizzato per la firma. Organizzato dall’agente, per intascare
subito la sua percentuale – che la consola: “Mettono la tua foto in copertina,
e vendono milioni di copie”.
I momenti di svago sono molti.
Ma ci sono anche i pusher, in America e in Messico, che perseguitano l’ultimo
e sempre amato marito, Buddy Berlin. Che l’Fbi manovra per incastrare –
incastrare lui e lei come trafficanti di droga (Berlin possedeva e pilotava un aereo):
intercettazioni, falsi testimoni, pedinamenti, pressioni sui vicini, lettura della
corrispondenza – “tutte queste scene fanno sembrare il Messico molto libero”. Ci
sono problemi di saute, alla schiena e altrove. Di striscio, ma diabolico, il rapporto
con la madre, spesso ubriaca – del padre unicamente sappiamo gli occhi “verdi
smeraldo”.
La felicità di scrivere,
di raccontare, in una vita in ogni momento difficile, anche dura - tradotta con la stessa agilità del testo originale da Manuela Faimali. Con humour,
e la capacità, questa soprattutto, di fare racconto anche degli aspetti minuti,
perfino squallidi, della vita. Una indistruttibile felicità malgrado tutto – la
stessa vita si potrebbe dire miserabile.
Lucia Berlin, Welcome Home, Bollati Boringhieri, pp. 191, ill., ril. € 20
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