sabato 3 maggio 2025

Letture - 577

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Adolescenti – La “morte degli adolescenti” Gioacchino Lanza Tomasi, storico dell’opera lirica, trova aver “prodotto tra i passi più alti di ogni letteratura e di ogni teatro musicale” – “Lampedusa e la Spagna”, p. 88: “Varianti del tema biblico della figlia di Jephte, storie dove il patetico estremo si manifesta come rito sacrificale della gioventù minacciata”.
 
Dialetto – “L’Italia è un Paese unico in Europa per quel patrimonio linguistico inestimabile che sono i dialetti – purché non vengano usati come marche identitarie, destinati alla tutela di un territorio” - Giuseppe Battiston.
 
Dolore – Ha mille forme, e applicazioni. Una classificazione quasi interminabile ne fa Guido Biasco, da direttore scientifico dell’Accademia bolognese di Scienze Palliative, introducendo la conferenza di Eco  “Riflessioni su dolore”: “Il dolore del fisico e il dolore dell’anima, il dolore percepito e il dolore provocato, la sofferenza come viatico per la redenzione, il dolore desiderato, il dolore dell’amore perduto, il compiacimento del dolore altrui e il dolore per i propri difetti, la raffigurazione del dolore e la descrizione del male, il dolore come generatore  di energie dello spirito, il dolore come strada per la conoscenza e la conoscenza del dolore come mezzo di sopportazione, la cultura e il controllo dei sintomi”.
 
Duemila –“Se facciamo sbrigativamente un bilancio dei primi venticinque anni del Duemila, la cosa che sorprende di più è l’esiguità, la povertà culturale e intellettuale”, Alfonso Berardinelli, “Il Foglio quotidiano”, sabato 26: “Il tempo attuale è soprattutto un rumore informativo e informatico che non sembra richiedere più un perché”.
 
Don Giovanni - Tirso de Molina, “L’ingannatore di Siviglia”, Lanza Tomasi dice che per Tomasi di Lampedusa era “il padre di tutti i donjuanes” – “Lampedusa e la Spagna”, 89.
 
Editing – È la fine della scrittura? Ed Dorn, il poeta, è quello che ha fatto emergere, e poi rivalutato, Lucia Berlin. Un racconto non gli è piaciuto, “El Tim”. Glielo ha rinviato, con ipotesi  di riscrittura. Berlin non dice niente per un po’, poi gli scrive: “Ricordi il racconto «El Tìm», senza più il «lieto» fine, o il caso problematico? Nessuna rivista (sul centinaio) l’ha voluto, , dicevano che era troppo delicato,  il «problema» cattolico – la monaca infoiata, suppongo – e la scorsa settimana una rivista cattolica l’ha comprata per 150 bigliettoni. Questa volta senza angosce o agitazioni “creative»”.
 
Fratelli Bandiera – “Dimenticati – dell’epos risorgimentale resiste solo Garibaldi - i fratelli Bandiera sono stati dei Garibaldi sfortunati”. Ritrovandosi nel 1931 presso Cosenza, “il funesto vallone di Rovito che vide falciata quell’eroica primizia, una strada infossata, all’occasione torrente”, che “un gran salice piangente ombreggia” – e sarà morto anche quello, come tutti i salici – ma che “pioggia più feconda non penetrò mai terra italiana”, Antonio Baldini (“Italia di Bonincontro”, p. 218) li ricorda: “Intunicati di nero e a piedi scalzi marciano al supplizio i fratelli Bandiera con gli altri sette e cantano a voce spiegata il coro della ‘Donna Caritea’. Non meno di tre scariche di fucileria occorrono per far tacere quel canto. Emilio cade alla prima, Attilio alla seconda”.
“Donna Caritea regina di Spagna” è un soggetto che fu musicato due volte nel primo Ottocento, da Carlo Coccia e da Mercadante. Il riferimento è al coro dell’opera di Mercadante al primo atto, “Aspra del militar bench’è la vita”, col verso “Chi per la patria muor, vissuto è assai”, subito diffuso tra gli ambienti carbonari, e poi per tutto il Risorgimento – in adattamento: il testo del libretto era “Chi per la gloria muor….”.
 
Gattopardo – Per un “errore” si sa che propendeva
 Gioacchino Lanza Tomasi, il figlio adottivo dei Tomasi di Lampedusa, per il titolo del romanzo - la parola dialettale in uno in Sicilia per leopardo. Errore in senso improprio, spiega in “Lampedusa e la Spagna”, perché “per Lampedusa la lingua astratta poteva anche essere popolare, meglio ancora doveva essere popolare per poter mimare i sentimenti comuni”.

 
Lady Chatterley – Era in Shakespeare, nella “stregata Titania” del “Sogno di una notte di mezza estate”, che finisce per innamorarsi di un “rude mechanical” - che sarebbe manichino, ma rende l’idea? Ramie Targoff, “Le sorelle di Shakespeare”, p.42, non ne fa l’ipotesi, ma l’accostamento rende  naturale col racconto degli intrattenimenti organizzati a Woodstock a fine estate 1575, da Sir Henry Lee, un affarista elevato a dignitario dalla “vergine” regina per il divertimento della stessa – a completamento della pausa estiva, summer regress: la corte si muoveva in progress, in varie località del regno e in diversi ambienti, anche se tutti altolocati, e soprattutto ricchi, dove veniva ricevuta e intrattenuta con grandi spettacoli.
 
Longobardi – Il popolo dalle “lunghe barbe”, langbart, che la Lega celebra(va), è nominato per la prima volta di sfuggita da Tacito, fra le tribù germaniche con cui i Romani combatterono negli anni di Augusto. Poalo Diacono, che ne ha fatto la storia in sei “libri” dopo la loro fine per opera di Carlo Magno, li chiama Winnili, sotto il soprannome tricologico, originari della Scania, passati in Germania, nella regione della Scoringa, sul Baltico. Scontratisi coi Vandali li vinsero con questa procedura: si allearono a Odino, il loro Dio, il quale allora spinse sua moglie Gambara, sacerdotessa di Freya, a rivolgersi alla dea. Freya consigliò di schierare anche le donne, con i capelli sciolti. La mattina fece in modo che Odino si voltasse dalla parte dei Winnili, e ovviamente chiedesse: “Ma chi sono queste lunghe barbe?” Al che la dea, furba, disse: “Hai dato loro il nome, dagli anche la vittoria”. E così i Winnili si fecero Longobardi.  
 
Lucio Piccolo di Calanovella – “Oltre a essere notevole poeta, era un personaggio eminentemente poetico”, Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”, p.58. Di conversazione “sempre pronta all’iperbole… era un’antologia poetica vivente, poteva declamare a memoria migliaia di versi, anche in lingue di cui non conosceva affatto la fonetica, quali i testi persiani di Firdusi”. In questo caso aveva un metodo: “Dato che non aveva mai incontrato nessun persiano, e quindi non aveva mai praticato la conversazione in quella lingua, aveva inventato una propria pronuncia, in linea con la libertà con cui imparava tutto”. Da una trascrizione fonetica dei ghirigori dell’arabo-persiano?
 
Modestia e umiltà – “La modestia e l’umiltà non sono affatto la stessa cosa”, Lucia Berlin scrive a Helene e Ed Dorns nel novembre del 1960 (da New York, dove vive infelice, in una topaia, lasciata sola dal compagno jazzista per il quale si trasferita a New York”: “Non voglio la modestia, anzi proprio non mi piace. L’umiltà implica rispetto per qualcos’altro”.
 
Spagna - La “leggenda nera” (Inquisizione, oscurantismo) Lanza Tomasi trova, attribuendone la paternità a Tomasi di Lampedusa (“Lampedusa e la Spagna”), “orchestrata dai profughi fiamminghi in Inghilterra ai tempi della repressione del duca di Alba nelle Fiandre”. D’impatto peraltro limitato: “Soltanto la Russia e l’Italia erano rimaste attaccate alla teoria della leggenda”. Mentre el Siglo de Oro si trovava avere “rappresentato un antefatto culturale per le maggiori letterature europee, inglese, francese o tedesca”.
 
Storia falsa – Luciano Canfora, filologo, storico, se ne può dire lo specialista – un cacciatore, proficuo, di storie false. “Il testamento di Lenin” che ora ripubblica è trecento e più pagine per dimostrare che Stalin falsificò il testamento di Lenin a suo favore. Dopo avere indagato, con acribia, il dubbio comunismo di Concetto Marchesi, l’assassinio di Gentile, il massimo papirologo Goffredo Coppola, finito con Mussolini a piazzale Loreto, specialista di tanti complotti nell’Atene della (presunta) democrazia. Sempre volendosi comunista, e sempre polemizzando contro chi non si vuole comunista. Non sovietizzante, non classista, e nemmeno marxista – Canfora non si pone nemmeno il problema di sapere chi è Marx. O dell’impoliticità dell’impegno, come usava dire?
 
Tomasi di Lampedusa – Uno stratega, lo dice Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”: “Stratega clausewitziano”, “ammiratore incondizionato di Napoleone”, “fin da bambino aveva coltivato la conoscenza della strategia napoleonica ed era in grado di ricostruire le manovre salienti di tutte le battaglie del tempo”.

letterautore@antiit.eu

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