Ombre - 773
“Conclave,
nuovi veleni su Parolin e Tagle. Ma ci sarebbe un motivo politico: i due cardinali
sostengono il dialogo con la Cina”. Che è l’oggetto di tutte le offensive
americane, di intelligence ed economiche (dazi). Singolare che questo
fatto così evidente della politica americana non sia recepito. Perfino
dichiarato sul piano economico: è la Cina che deve rivalutare (l’euro lo ha già
fatto, abbondantemente, lo yen finirà per accodarsi), rispettare i brevetti, e
non praticare il dumping – non così a man bassa come ha fatto e fa.
È singolare
come la giustizia, sia sportiva che ordinaria, sottovaluti le mafie dei tifosi Inter,
con assassinii, almeno tre, e ferimenti vari. Mentre sono sensibilissime, con
processi “gridati” prima di essere celebrati, e condanne sostanziose della (sostanzialmente)
inappellabile giustizia sportiva, nel caso di un altro club, la Juventus – che
pure ha fatto di tutto per combattere il bagarinaggio e altri soprusi. Una ragione
non si trova. Se non che la giustizia non sente ragioni?
Molte le
“notizie” e le valutazioni su Mps, Mediobanca, Generali, Unicredit, Bpm, ma
tutte col preambolo “operazioni di mercato”, non un solo accenno all’evidenza:
all’entrata brusca del governo nelle partite bancarie. A fini di potere. Spingendo
al passaggio di Mediobanca-Generali sotto Mps, cioè sotto il Tesoro, con la
fusione poi alla pari di Mps così gonfiata con Bpm. Anche nei media non meloniani,
di Cairo, di Elkann.
Viene da pensarci
oggi che si scorre su “Milano Finanza” l’unica lettura finora apparsa dell’evidenza
– peraltro molto rispettosa per il ministro leghista Giorgetti (ma con la
pubblicazione delle assurde condizioni che ha imposto a Unicredit).
Meglio,
qualcosa si era letto qualche giorno fa: “Meloni fuori dal salotto. La contromossa di
Mediobanca su Generali spiazza Mps e il governo, che non
gradisce”. Il primo accenno – accenno - al vero senso delle manovre Giorgetti-Mps.
Dopo due mesi. E virato sul gossip – è “normale” che un partito si faccia una
banca, e che banca.
Il regista
russo-americano Lockshin spiega, per il lancio del suo film in Italia, che “Il
maestro e Margherita” che ha tratto da Bulgakov
“è uscito nei cinema russi il 25 gennaio 2024 diventando un caso
clamoroso: 2,3 milioni di rubli (circa 25 milioni di euro) di incasso”. Dopodiché
pretende: “Così ho beffato Putin”. Il povero Putin, certo, che non ha nemmeno
un vigile urbano di sbirro. Non ce la raccontano giusta, e si sa. Ma perché
scrivere scemenze?
“Parata,
Mosca minaccia Kiev” e la prima del “Corriere della sera” il 4 maggio. Il 3
maggio Zelensky ha dichiarato: “Non garantisco la sicurezza dei leader alla parata
di Mosca” – alla celebrazione della vittoria nel 1945. Zelensky si è fatto russo,
moscovita?
Ha fatto perdere
i conservatori in Canada, da sicuri vincenti, e quelli in Australia, farà ora perdere
la dilagante Alternative für Deutschland in Germania? La coppia Trump-Vance si
è dimostrata un fattore Blitz perla sinistra, vincente a piene mani ovunque
era in declino. C’è un’ideologia – come sempre perdente – anche di destra.
Ma l’India
ha già abolito la digital service tax su Google&co,
che aveva introdotto dieci anni fa. Riconoscendo l’obiezione di Trump alla doppia
tassazione delle web communities. Canada e Gran Bretagna ci ripensano, anche
se f ano la voce grossa. La Germania, che diceva di starci pensando, l’ha esclusa
dal programma di governo. Resta la tassa in Francia, 700 milioni, e in Italia,
400. E in Canada, che l’ha introdotta un anno fa - un 3 per cento sugli utili
dei ricavi eccedenti 20 milioni di dollari. Il Giappone non ci ha mai pensato e
non ci pensa. La minaccia dei dazi comincia a mostrare i suoi veri effetti.
Mentre in
America Google è sotto indagata per monopolio.
“Sono cresciuto
con due miti”, Adriano Olivetti e “un mito cittadino: Vittorio Ghidella,
l’ultimo grande ingegnere della Fiat che aveva la primazia in Europa nelle auto
piccole e medie. Un conoscitore unico della fabbrica, degli uomini, dei processi
industriali. A Torino eravamo tutti innamorati di Ghidella. Poi, in Fiat, con
la prevalenza di Cesare Romiti, gli Agnelli hanno scelto una cosa diversa dalla
fabbrica”, Massimo Perotti sul “Sole 24 Ore”. Semplice, no? La storia è semplice.
La storia
come fatta sul “Sole” manca però un’altra cosa semplice e essenziale: la Fiat
che sceglieva di non fare automobili non consentì l’entrata in Italia di altri
costruttori. Il cuore del made in Italy, per l’industria, per l’occupazione (tuttora
il pil industriale soffre da anni perché “non c’è più la Fiat”), chiuso per
interessi di famiglia.
“Le statistiche
sulle violenze ai bambini sono impressionanti”, rifletteva papa Bergoglio nel
2014 con Ferruccio de Bortoli nella più informativa delle sue tante interviste
(ripresa nel fascicolo di “7”, “Papa Bergoglio, le immagini, le parole”), “ma
mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in
ambiente familiare e di vicinato. La
Chiesa cattolica è forse l’unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza
e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad
essere attaccata”. I protestanti – io e il mio Dio - non fanno prigionieri,
specie se “puri” (puritani). Altro che dialogo.
Si legge
con sgomento l’editoriale di Massimo Giannini su “la Repubblica
https://www.repubblica.it/economia/rubriche/circo-massimo/2025/03/24/news/l_ex_ilva_agli_azeri_il_made_in_italy_svende_un_altro_pezzo_di_industria-424077604/
Le
caffettiere le diamo a cinesi, l’acciaio agli azeri? Ma poi viene da ridere. Dove
si parla di una “cordata europea” che invece il governo non avrebbe filato –
per populismo? S i può scrivere di tutto, anche di cose solide come l’acciaio.
La scienza
si dice che vada con l’ignoranza. Non necessariamente. Il saputello è però
sicuramente indigesto. Si spiega così che “la Repubblica” sia scesa da 600 mila
copie a 60 mila? Per il giornalismo di quelli che sanno tutto, decidono tutto,
risolvono tutto, eccetto quello di cui si devono occupare – nel caso, informare
i lettori. Basta la parola, come nella vecchia) pubblicità.
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