In Polonia il vento è sempre di guerra
Non c’è molto sulla Polonia, di oggi e nemmeno di ieri.
L’analisi più recente è questa, di un diplomatico francese ex ambasciatore in Polonia.
Che i giornali francesi hanno ripescato nelle ultime settimane, dopo che Varsavia
ha firmato a maggio un Trattato di Nancy con la Francia, da cui il primo ministro
Donald Tusk si attende un collegamento stretto con l’E 3, il collegamento
informale Gran Bretagna-Germania-Francia che gestisce la politica europea di confrontation
con la Russia. Questo succedeva con Tusk tornato al governo dopo la vittoria
del suo partito, Piattaforma Civica (PO) al voto nell’ottobre del 2023. Poi, a
giugno, la presidenza della Repubblica è andata a Karol Nawrocki, il candidato
del partito destra PiS (Partito Diritto e Giustizia), lo stesso che aveva governato
la Polonia prima di Tusk, e la Polonia è rimasta fuori dall’E 3. Questa l’analisi
che Buhler traeva prima di questi eventi, fra una destra dichiaratamente nazionalista
e una moderata, e malgrado il sicuro europeismo, attestato e rinforzato dall’enorme
sviluppo economico ottenuto con l’adesione alla Ue, in soli venti anni. Ma proprio
questo successo, secondo il diplomatico francese, riporta la Polonia post-Woytiła,
fra una destra moderata e una radicale, indietro di un secolo. Alla rinascita
del paese con i trattati di pace del 1919, che subito si proiettava in una politica
di Grande Potenza. A Varsavia si respirerebbe un “tanto atteso «momento
polacco»”, di una Polonia “chiave di volta della sicurezza europea”. Specie al confronto
con la Russia. Favorito, con “aperto sostegno”, dal clero polacco, in contrasto
con la linea pacifista del Vaticano. Un’ambizione che Buhler vede come “il risveglio
dei fantasmi del passato, quei conflitti di memoria che gravano sui rapporti
della Polonia coi suoi vicini”.
Questo risveglio Buhler reperisce nella politica
anti-tedesca del PiS, e in quella anti-russa del PO. La Polonia rinata dopo l’occupazione
sovietica non avrebbe rinunciato al mito della Polonia “jagellonica”, dominante
tra il mar Nero e il Baltico, o in alternativa del “modello Pilsudskij”, perseguito
dalla nuova Polonia, quella rinata a Versailles, tra le due guerre. Quella
Polonia fece in pochi anni sei guerre contro i vicini per i confini: due con la
Germania per la Slesia e la Prussia orientale, con l’Ucraina e con la Lituania
perché si rifiutarono di rifare la “Polonia jagellonica” del Seicento, con la
Russia, e con la Cecoslovacchia per il distretto di Teschen. I primi anni dell’indipendenza
furono agitati anche per la questione delle minoranze, che si volevano assimilate
o espulse: quattro milioni di ucraini, un milione e mezzo di ruteni, un milione
di tedeschi, 100 mila lituani – e tre milioni di ebrei.
Quella Polonia fu per Franco nella guerra civile, e per
Mussolini in Etiopia, e si prese parte della Slesia quando Hitler smembrò la
Cecoslovacchia - salvo diventare preda di Hitler un anno dopo. Mai comunque in
pace con i vicini. L’attacco hitleriano all’Urss nel 1941 fu recepito in Ucraina
“come un presagio dell’imminente creazione di uno Stato ucraino indipendente”. Scatenando
il nazionalismo ucraino contro i polacchi, in Ucraina e in Polonia – oltre che
contro gli ebrei. Anche in Lituania l’invasione tedesca “diede ai lituani l’opportunità
di vendicarsi dei polacchi di Wilno”, Vilnius in polacco, nonché degli ebrei.
Dopo la guerra la Polonia si prese la Galizia, con, di nuovo, mezza Prussia orientale e un po’ di Brandeburgo,
e deportò sette-otto milioni di tedeschi nella Germania Ovest – nella guerra,
sotto l’occupazione tedesca, la Polonia aveva perduto oltre un sesto della
popolazione, sei milioni, solo per la metà ebrei.
Pierre Buhler, Pologne, histoire d'une
ambition, Tallandier, pp. 272 € 21
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