sabato 31 maggio 2025

Ombre - 776

 Volendo spartire il diritto e il torto fra pro-Palestina e pro-Israele, Adriano Sofri mette in guardia   contro “la sete di sangue dei guerrieri pseudoislamisti”. Insegnare all’islam come è l’islam – la religione fra tutte forse la più totalitaria – è tentazione ricorrente: sono parenti fastidiosi?
 
Fa senso leggere nella stampa informata e di opinione, fino al “Foglio” antigovernativo, o al “Sole 24 Ore” (al “Sole 24 Ore”….) la pretesa del governo di fare gli affari sotto il mantello del golden power. Uno strumento creato per proteggere l’economia nazionale da raider o altri soggetti poco affidabili – c’è scritto nello statuto, la legge non è vecchia, e nell’aggiornamento del governo Draghi. Oggi imposto contro Unicredit a favore di Bpm, vecchia Popolare ambrosiano-democristiana passata sotto bandiera ambrosiano-leghista – ora anche meloniana? Contro la legge, contro la Banca d’Italia, contro Draghi, contro la Consob, e contro la Ue. Ignoranza non è. Stupidità nemmeno.
 
E adesso povero Elkann è – è stata? – rubrica di questo sito. Che va aggiornata: Elkann non solo tiene alla Ferrari un manager francese, Vasseur, che in due anni non ha vinto nulla e non ha nemmeno imparato a parlare con le maestranze, in italiano, ne ha assunto un altro per la Juventus. Un certo Comolli, che anche lui non parla italiano malgrado il nome, ed è famoso solo per avere cambiato otto club in venti anni o poco più: Monaco, Arsenal, Saint-Etienne, Tottenham, Saint-Etienne di nuovo, Liverpool, Fehnerbaçe, Tolosa.
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Per “scoprire” i dazi interni alla Ue, tutte le pratiche restrittive che la Ue tollera (i controlli “chimici” tedeschi possono prolungarsi all’infinito, le commesse saltano come caramelle), ci voleva al governo una donna, per giunta “fascista”. Nessun vigoroso cultore della libertà del mercato ne ha mai fatto cenno solo Draghi, di sfuggita, nel megarapporto che nessuno ha letto.
 
Ora che la questione dei “dazi interni” viene posta, l’unica reazione dei media è di affrettarsi a spiegare che non sono della Ue ma dei singoli Stati miserabili – per miserabile intendendosi l’Italia, naturalmente. Provincialismo non è – sarò odio-di-sé, sotto specie Meloni.
 
È sempre Meloni, la “fascista”, che porta agli industriali, contro le “storture” ancora in essere nell’Unione Europea, la presidente del Parlamento europeo. La quale non fa scena muta: le solleva, le critica, e chiede-promette di risolverle. Non c’è più religione? O la politica ha le sue ragioni, che la ragione non conosce – sempre ferma, Confindustria compresa, all’antifascismo?
 
Fausto Brizzi vince anche lui a Genova, sposo felice di Silvia Salis, la neo sindaca. Articolesse d’obbligo nel dopo-elezioni anche per lui. Senza ricordare che fu processato per tre denunce di molestie sessuali. Archiviato dai giudici sulla sua assicurazione: “Mai e poi mai nella mia vita ho avuto rapporti non consenzienti”.
È anche vero che le denunce si riferivano ad anni precedenti il suo rapporto con la neo sindaca, 2014, 2016, 2017. Un raro esempio di rispetto dell’integrità delle persone.
 
Partite di calcio chiave, concerti di celebrità, e ora le mostre (Caravaggio) e i monumenti (Colosseo), tutto è offa per molteplici mafie: fare incetta di biglietti per rivenderseli al doppio e al triplo. Una piaga: sconcerto, lamenti, denunce, esornazioni. Ma mafia inattaccabile: tutto è anonimo, si ammassano i biglietti tramite bot, chi incolpare? Mentre basterebbe l’identificazione dell’acquirente. Una mail di conferma, come avviene per ogni altro acquisto, un numero di telefono,  un codice fiscale.
 
La distruzione di una palazzina ai Parioli, via Petrolini, per costruirci un palazzone, fa le cronache romane. La costruzione su un giardino, in altra area della città, Monteverde Vecchio, a via Innocenzo X, con affaccio su Villa Pamphili, di un megastabile di sette piani, per sessanta metri di prospetto, con impatto di valore immobiliare oltre che psicologico, un palazzone contro il quale  i residenti sono anche andati a processo, non ha fatto le cronache – e il processo è stato perso (anche se il costruttore era in carcere, condannato). Perché il giardinetto era di proprietà del Vaticano, del Vicariato. Negli anni del papa Francesco.
Fa senso che il papa sia il vescovo di Roma. Va bene che il Vicariato è di fatto gestito da un cardinale, il papa non c’entra, ma è pur sempre l’origine  dei “sacchi” urbanistici e edilizi della città. Tutti debitamente autorizzati e protetti. Poi si dice la mafia.
 
Incr edibile Merckx, il ciclista che si pensava il più leggero e simpatico, oltre che il più vincente, che (per vendere qualche copia in più delle sue memorie?) dice e spergiura a Bonarrigo e Cazzullo sul “Corriere della sera”: “Mi dissero: tanti soldi se perdi il giro. Gimondi sapeva”. Per giustificare la sua squalifica per doping. E per infangare il rivale di sempre Gimondi dopo morto. Dopo la morte anche del corruttore per conto di Gimondi,  Rudy Altig – “Rudy Altig della Salvarani…. Un suo compagno di squadra… Credo proprio di sì”, che Gimondi sapesse. E perché non “l’aveva mandato lui, a ricattarmi”? Non ci rimangono che Coppi e Bartali.
 
Poi aggiunge – sempre Merckx - a proposito di Pantani: “L’ha rovinato la cocaina, che ad andare in bici non serve a nulla”. Cioè, l’ha provata.
 
Lo splendido goal di McTominay che ha dato il campionato al Napoli – dopo una stagione di partite sempre eccellenti, partendo da sconosciuto, se non da fallito, rimanda a un’altra vicenda del Napoli, quella del predecessore di McTominay, Kvaraskelia. Se n’è voluto andare, ed è finto nel “cono d’ombra”, come diceva Scalfari a chi lo abbandonava. Il calcio è sport di squadra, di club, di tifo.
 
“Sono stato indagato più di Al Capone, che era un mostro”, il messaggio di Trump ai cadetti di West Point, l’accademia militare americana: “Battetevi e non fkatevi buttare giù”. Si sottovaluta Trump. Lo sottovalutano i tanti giudici che si ergono a difensori della democrazia, per conto del partito Democratico. I giudici in politica sono rimasti alla noblesse de robe, dei giudici “in camera”. All’ancien régime.
 
Singolare vuotaggine dell’intervistona a Elly Schlein sul “Corriere della sera” una settimana fa – benché aiutata da un’intervistatrice complice, Maria Teresa Meli.  Vuole guerre dappertutto, a Israele, agli Stati Uniti. E molti miliardi di spesa – per la sanità, certo, per la scuola, certo, per i poveri, certo. Come se fosse su Instagram, ma senza appeal – una battuta, una smorfia.
 
O è un fiancheggiamento del giornale da “amico del giaguaro”? Nella pagina precedente sostiene – fa sostenere a un “esperto” – che “l’Italia è un obiettivo primario della guerra ibrida russa”, che “con gruppi di hacker mira a ritrarre il governo come subordinato a Washington”.
 
Fa ancora meraviglia il sorpasso di Unicredit su Intesa per capitalizzazione in Borsa. E allora Ferrari, che capitalizza sugli 82 miliardi, contro i 26 di Stellantis – che raggruppa 14 marchi, altrettanto “storici”? Il concetto di valore oggi è aleatorio, si direbbe un’economia di scommesse. Non ce n’è altra, nell’informazione e nell’opinione, all’infuori della Borsa, che non molti anni fa era un recinto chiuso, addirittura gestito da specialisti, gli agenti di cambio. Il mondo è sempre più chimerico, ipotetico.

Il sogno di Flaubert

Una biografia di Flaubert, della persona e dello scrittore, in forma di intervista postuma-apocrifa. Oppure onirica, di una lettrice col suo genio. Da “innamorata, ma di un romanzo, di una donna che no esiste” – e invece “quanto esiste, Emma Bovary”. Piena di spunti sensibili. Sulla scrittura e sullo scrittore. “Mi sono sempre innamorato delle parole”. “Scrivere ti distrugge, ma è l’unica cosa che conta”. “La realtà non esiste. Esiste solo la letteratura”. “Le mie povere frasi…”.
Notevoli anche i tratti dell’uomo, di riflesso. “In questa casa a Croisset, immersa nel verde, che guarda il fiume, mi fa un po’ paura tutto questo isolamento. Credo che viva con sua madre… Vive con sue familiari, donne”. Con “cascate nere che gli passano in testa”. Fisicamente  “è molto alto, ha spalle larghe, baffoni folti, e capelli (che sta perdendo) tirati indietro, occhi verde mare con le ciglia lunghe, è longilineo…”, non ancora pingue. “Ho spalle da facchino”, cosi lui si diceva - era il “colosso”, 1,83, che faceva tremare i fratelli Goncourt per le loro cristallerie – “e un’irritabilità nervosa da signorina”.
Antonella Lattanzi, Sono stato travolto da un torrente in fiamme, “Review” € 0,50

venerdì 30 maggio 2025

Il Consiglio Nazionale del Ridicolo

E se il cattivone Trump caccerà gli studiosi stranieri, l’Italia se li prenderà. E come no, ha esche buone? Perché è difficile che abbocchino – un ricercatore che per qualche motivo abbia scelto l’Italia impiega in genere un anno buono solo per il permesso di soggiorno (se ha qualche “amicizia”, qualche “spinta”). Alla “cacciata” di Trump ora si presenta con un Consiglio Nazionale delle Ricerche, che dovrebbe coordinare rientri e nuovi arrivi, senza più organi direttivi, e con i fondi – le voci di spesa – bloccati, circa 225 milioni.
Il Consiglio è scaduto e il governo non lo ha rinnovato. Senza nemmeno dire perché. Come esca ai giornalisti mormorano di un possibile commissariamento, ma non ci sono i presupposti. E poi non si vede perché punire la ricerca scientifica col commissariamento, invece di un atto dovuto, la nomina degli organi direttivi, presidente e consiglio.
Si vuole che il Cnr rientri nello spoil system, che le nomine siano politiche. Ma nemmeno a questo il governo ha provveduto. È diviso tra Forza Italia, che ha il ministero di sorveglianza, il Mur, e Noi Moderati, che avrebbero voluto confermare la presidente uscente, Carrozza, e Salvini, che non la vuole. Ma non sanno trovare un sostituto.
Non hanno nemmeno attivato la procedura prevista dallo statuto del 2009: aprire le candidature e nominare il Comitato di esperti che le valuti e consegni al governo una rosa di cinque - il Comitato lo hanno nominato, ma per non fare nessuna cinquina. Meloni e Salvini non ne hanno una buona? Sarebbe da ridere se non fosse una cosa seria.

Tra padre e figlia, un poker al buio

Un padre amorosissimo che si fa sparire è un’ottima idea. La figlia che eredita dal padre giocatore la passione delle carte, specialista internazionale del poker, anche. Gli interpreti, Mastronardi, Liberati, Tortora, sempre in tono. Con un ritmo senza cadute. In una vicenda tra aeroporti, grandi alberghi e interni anonimi ad alta sorveglianza, mafie, soldi, molti, e servizi segreti.
In rete senza promozione, la prima puntata, piena di sorprese, di ambientazione gradevole, sempre in tono, è stata perduta da molti. Peccato per loro.
Andrea Molaioli, Doppio gioco, Canale 5, Infinity

giovedì 29 maggio 2025

Cronache dell’altro mondo – trumpiano-progressiste (342)

“L’amministrazione Trump è puro progressismo in azione”, George F. Will, “The Washington Post”.
“Queste le nove componenti centrali del progressismo. Trump le usa tutte, come altri presidenti prima”:
1.Politicizzazione di tutto. 2. Ingerenze nella politica internazionale. 3. Politica industriale. 4.Pianificazione centrale. 5. Mescolanza di governo e affari, anche con coalizioni di varia natura politica – come fu fatto in quantità negli anni di F.D.Roosevelt. 6. Rigetto della semplificazione fiscale propria dei conservatori. 7.Finanziamento illimitato sulle risorse dei futuri cittadini (indebitamento, n.d.r.). 8.Governo per decreto - executive order - per by-passare il Congresso. 9. Maggioritarismo esclusivo – io e i miei.
George F. Will, oggi 84nne, premio Pulitzer per il giornalismo 1977, è l’unico commentatore conservatore ammesso fra gli opinionisti dei grandi giornali.

Cronache dell’altro mondo – studentesche (341)

Gli studenti stranieri hanno contribuito all’economia americana con una spesa di 44 miliardi di dollari nell’anno accademico 2023-20324. Il calcolo è della Nafsa, l’asssociazione americana degli educatori internazionali. Con una spesa suddivisa variamente fra gli Stati, dai 10 milioni spesi in Alaska agli oltre 6 miliardi in California.
Oltre 1,1 milioni di giovani stranieri ha frequentato scuole ame
ricane. La spesa calcolata è per tasse scolastiche, alloggio e alimentazione, viaggi e tempo libro.

Il Texas ha contato 90 mila studenti stranieri, per una spesa di 2,5 miliardi. Il Massachussetts 82 mila studenti, e una spesa di 3,9 miliardi, la California 141 mili iscritti stranieri hanno speso 6,4 miliardi.

Che ci fanno vedere

Di rara indigenza.
Questo come la serie. Che è la nona o decima. Partendo da Marleau-Marlowe….
Josée Dayan, Capitaine Marleau – Il frutto del tradimento, Sky Investigation, Rai 1, Raiplay

mercoledì 28 maggio 2025

Problemi di base storici - 861

spock


Perché non si fa la storia del partito Comunista italiano?
 
Anche solo del sequestro Moro?
 
E dell’occupazione Fiat?
 
Perché non si fa la storia di Mani Pulite?
 
La Repubblica è piena di scheletri nell’armadio?
 
La democrazia è una conquista sempre futura?

spock@antiit.eu

La buona scuola fatta dai bambini

“L’insegnante meccanico, già in funzione, la stava aspettando….
“Lo schermo era illuminato e stava dicendo – Oggi la lezione di aritmetica è sull’addizione delle frazioni proprie. Prego inserire il compito di ieri nell’apposita fessura. Margie obbedì con un sospiro. Stava pensando alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. E i maestri erano persone...
“L’insegnante meccanico stava facendo lampeggiare sullo schermo: – Quando addizioniamo le frazioni 1/2 + 1/4...
“Margie stava pensando ai bambini di quei tempi, e a come dovevano amare la scuola. Chissà come si divertivano!, pensò” (Isaac Asimov, “Chissà come si divertivano!”, in “Tutti i racconti”, Milano, 1991 - Titolo originale “The Fun They Had!”, in “Magazine of Fantasy and S.F.”, 1954)
La scuola come un laboratorio meccanico? Automatico? L’insegnamento e l’apprendimento come una partita doppia, di dare e avere? È l’incubo del momento, con l’avvento dell’intelligenza artificiale. Ma ci sono già degli antidoti.
Per i bambini della scuola materna il primo è in questo libro, superbamente edito e opportunamente illustrato. Sottotitolo “How to deep Learning through Inquiry and Play”, come migliorare l’apprendimento con la curiosità e il gioco. L’insegnamento come una sorta di autoapprendimento, di sviluppo della personalità e delle doti naturali o inclinazioni particolari.
Renée Dinnerstein, educatrice d’infanzia di lunga esperienza, con numerosi workshop anche a Reggio Emilia, del Reggio Emilia Approach, riflette e amplia la metodologia pedagogica elaborata nella città emiliana negli anni 1970. Dal pedagogista Loris Malaguzzi. Con una lunga esperienza pratica, che si è condensata negli anni 1990 in “Reggio Children” e il Centro Internazionale a lui stesso intitolato. Diffusa ormai come metodologia principe, più che pilota, in molti contesti. Una filosofia educativa che guarda al bambino come a un soggetto di diritti, con forti potenzialità di sviluppo. Da favorire aprendolo ai “cento” linguaggi dell’umanità, in una relazione a fecondità moltiplicata.  
Renée Dinnerstein rielabora il metodo innovativo del
Reggio Emilia Approach applicandolo al “Choice Time”, il doposcuola libero in cui i bambini della materna possono organizzarsi autonomamente, per un gioco, un lavoro pratico, una ricerca, un’avventura. E lo rielabora con la proposta di creare degli spazi autonomi, per ogni tipo di “comunità” infantile, di condivisione di curiosità e interessi. Con l’obiettivo di ampliare le conoscenze, o comunque di stimolare con la curiosità l’intelligenza, le propensioni, le passioni, attraverso gli scambi reciproci. O anche soltanto di divagare con la fantasia, nella creazione di mondi immaginari-reali. Mini-centri d’interesse, creati o disposti sulle domande dei bambini, che promuovano il libero esercizio della curiosità (l’inquiry-based play) o delle fantasie. Per radicarli in questo modo in se stessi, nella loro “natura” e nelle pulsioni, ancora inavvertite ma presenti. E comunque aprendoli al maggiore sviluppo possibile delle proprie potenzialità, caratteriali, consociative e di adattamento. Alla buona cittadinanza.
Renée Dinnerstein, Choice Time, Heinemann, pp. 164, ill. $ 35

martedì 27 maggio 2025

Che fare con Putin – o il tesoro russo in America

Pensava di stringere le reti d’un colpo, e invece tutti scappano. Tutti no, con Londra ha già preso accordi. Lo stesso farà col Giappone e la Ue (lo yen e l’euro si sono già rivalutati a sufficienza), il Canada e il Messico. Ma il pesce grosso, Putin, non abbocca. E un inatteso Netanyahu potrebbe aprirgli un fronte con gli arabi già fedelissimi, principi e rais. Il Blitzkrieg diplomatico di Trump rischia l’arresto: Putin è la pedina fondamentale per isolare la Cina, il Grande Disegno di Trump. In questa presidenza come nella prima – quando arrivò a corteggiare perfino Kim Jong-un, il leader bombarolo nordcoreano.
Dietro il linguaggio apparentemente umorale e sempre esornativo di Trump, alla Farnesina, come altrove nelle diplomazie europee, le sue mosse in politica estera, dazi a tutti, aiuti ridotti o cancellati a tutti, militari e civili, e perfino le minacciate restrizioni agli studenti stranieri in America, appaiono camuffare l’obiettivo principale, la Cina. Lo sfidante in ascesa dell’egemonia americana, economica e politica - non militare, una sfida militare non si ritiene più all’orizzonte, come ritenevano Nancy Pelosi e Biden. Ci ha provato anche in Europa, e si rafforza in Asia, con i dieci Paesi Asean, e perfino nella penisola arabica - cui Trump ha riservato il primo viaggio diplomatico fuori dagli Usa - con i sei del Gulf Cooperation Council.

La Cina per tre motivi: ha rubato e ruba la proprietà intellettuale; sa fare tutto e lo fa a costi da dumping, col controllo dei salari e forniture agevolate, di tecnologie, minerali e semilavorati; tiene artificialmente basso il cambio (la trattativa con la Cina è specialmente seguita dal segretario al Tesoro Scott Bessent).
L’isolamento della Cina sembra riuscire con la Ue. E anche con l’Iran, malgrado Netanyahu. Con Putin sembrava perfino più facile: Trump gli offriva il riconoscimento della sovranità su parte dei territori ucraini occupati, e di un interesse alla protezione di altre aree – scontata la non ammissione dell’Ucraina alla Nato. Putin ha scartato. Il motivo non si sa – le decisioni sono imperscrutabili nei regimi personali. Ora Trump deve decidere se attaccarlo. Non militarmente, sugli enormi depositi russi, oro, dollari, e Treasury in America. Che giuridicamente sono inattaccabili. Non almeno finora - il diritto internazionale non ha leggi: si adegua, ai fatti. Ma più che il diritto Trump deve valutare l’interesse americano, l’affidabilità – gli Usa sono il caveau del m
ondo.

Santo Berlinguer

Berlinguer da Allende all’assassinio di Moro: il Grande Disegno del titolo è portare il Pci al governo con la Dc. Un improbabile Pci-Dc  uniti nella lotta. Fatto bene ma un santino - il quarto o quinto docufilm su Berlinguer in due anni, in chiave celebrativa. Anche nella promozione, da “compagni di merende”: questo di S egre effettivamente è andato nei cinema, con 4 milioni d’incasso, ma dopo il lancio alla Festa del Cinema, con recensioni entusiaste copia e incolla, e il rilancio col premio miglior attore a Elio Germano-Berlinguer - a scapito di altri personaggi maschili l’anno scorso sulo schermo, più drammatici, più convincenti.
Nella melensaggine alcuni incisi di cinema-verità da levare il fiato. Gianni Agnelli, vantato capitalista progressista, apprezzatore dell’eurocomunismo, che alla tv americana dice esplicito: “Un Paese a governo Pci non è il mio Paese”. La “folla oceanica” a un comizio, forse creata digitalmente ma ricordo vero: c’erano, ieri, e si sono squagliate. La lite col bulgaro Živkov. Lo sbrigativo Ponomariov, addetto ai contatti Pcus (Partito comunista sovietico)-Pci, che a Mosca dà ordini a Berlinguer. Il quale ancora nel 1975 andava a Mosca ai congressi del Pcus, a sorbirsi lo spento, ciancicante, Breznev. E si trattava – questo lo spettatore non lo sa, ma il fatto è memorabile – del  XXVmo congresso, fine febbraio, dove “mercoledì, per venti minuti”, secondo l’ingiunzione di Ponomariov, a un anno e mezzo dal varo del “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana, difeso tra mille polemiche, Berlinguer ribadì la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Un clima morale con Breznev, con la Nomenklatura.
Un ritratto tutto lieve di Berlinguer, senza le durezze che lo caratterizzavano. Specie il settarismo: contro i socialisti (di De Martino come di Nenni-Craxi), i radicali, i “gruppuscoli” indistintamente – unica apertura ai repubblico-comunisti, i massoni. Berlinguer in politica non c’è, grigio, rude, c’è solo in famiglia, attento, affabile, e coi funzionari di partito, giovane tra i vecchi. In politica parla solo con Andreotti e con Moro. Affabile solo con Moro. Che non era affabile. Qui, imbellito, Moro è ciarliero, esplicito, diretto, mentre non guardava negli occhi, si guardava dentro mentre parlava – a volte assente visibilmente, come tirasse le tendine sugli occhi. Di Andreotti la solita macchietta – Sorrentino docet, mentre, se non altro per il cinismo, sarebbe ottimo figurante al cinema.
Andrea Segre, Berlinguer – La grande ambizione, Sky Cinema

lunedì 26 maggio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (594)

Giuseppe Leuzzi


L’Italia è, dopo la Polonia, il maggior percettore dei “fondi di coesione” europei: 43 miliardi nel piano in atto, 2021-2017- contro i 76 della Polonia. Per 30 miliardi destinati al Sud, Abruzzo escluso. Inutile andare a vedere come sono spesi, e come sono stati spesi in passato, con che effetti. Dalla Polonia in 25 anni, dall’entrata nella Ue, dall’Italia in cinquanta, da quando fu varato il Fesr, il Fondo europeo di sviluppo regionale, antento dei fondi di coesione. Sempre più, a ogni inciampo, si manifesta che il problema del Sud è l’Italia, Roma.
 
“Racconto la mafia nascosta fra le pieghe dell’inconscio”, spiega Davide Enia, che al teatro India di Roma mette in scena un “Autoritratto”, palermitano, con queste parole: “La mafia non è un’organizzazione criminale e basta: è una struttura linguistica, sono istinti del corpo, desideri da branco, è questo che dobbiamo sconfiggere”. Non solo desolidarizzare. Solidarizzare con la mafia?
 
“Gli ultrà di Inter e Milan come milizie private. Chiesti 100 anni di carcere”.  Grave sì, e anche di interesse, ma non poi tanto: in pagina interna al “Corriere della sera” - e per la scrittura indecifrabile di Ferrarella. Si può fare finta di nulla per mesi e anni, ma poi, certo, del processo va data notizia.
 
Per l’anniversario della strage di Capaci quest’anno non ci sono i parenti a seminare dubbi e accuse, ci sono i due cronisti principe della giudiziaria, Abbate e Bianconi. Abbate fa tesoro dei “qui lo dico, e qui non lo dico” tipicamente mafioso di Messina Denaro con i giudici. E si può capirlo, Abbate è per lo Stato-mafia. Bianconi, che pure è cronista “di peso” – di cose pesate – fa però di peggio: per scagionare i neo-indagati per le stragi e per gli appalti di mafia, Natoli, Pignatone e Scarpinato, giudici emeriti di Palermo, accusa i testimoni d’accusa, Mori e De Donno, ufficiali superiori dei Carabinieri. Che del “dossier” mafia-appalti da loro compilato sono stati vittime per decenni, in un processo istruito dai giudici dello Stato-Mafia, di cui si è potuto dire che era “una boiata pazzesca”, e nel quale infine non si è potuto non assolverli. Questa è un’aggravante, inficia la testimonianza?
 
Il brigantaggio era anteriore all’unità
Nella raccolta di saggi storici cui ha messo il titolo di “Calabria, paese e gente difficile”, Giuseppe Galasso dà una lettura diversa del brigantaggio. Lo fa sotto il titolo “Al tempo dell’unificazione italiana”, probabilmente l’ultimo scritto in ordine di tempo della raccolta, che pubblicava nel 2015 – con molteplici riferimenti a Michele Fatica, “La Calabria nell’età del Risorgimento”, un testo confluito nella “Storia della Calabria Antica e Moderna”, a cura di Augusto Placanica. Diversa da quella postunitaria, di un “sanfedismo reazionario sobillato dai borbonici e dai clericali”. E da quella post-bellica, post 1945, “di una guerra sociale, dei poveri contro i ricchi”. Da storico rileva che “si trattava di alcune delle più vecchie manifestazioni di disagio e di devianza sociale, antica di secoli, che si produceva nelle due forme tradizionali della “crassazione da passo” nei luoghi più favorevoli ad essa (da Campotenese al passo delle Crocelle, dalla Cupa di Tiriolo al Passo del Mercante, a tanti luoghi dell’Aspromonte, ma in effetti un po’ dovunque) e del sequestro di persona, o del biglietto a scopo di estorsione”.
Tutte forme che si possono testimoniare attive nel secondo Noveento – compresa la “crassazione da passo” nell’immediato dopoguerra, passati gli Alleati, tra il 1945 e il 1946.
Solo ultimamente tutte queste forme sono state sostituite dal traffico delle droghe.
 
La teoria del regresso
Non si fa molto caso nelle storie del concetto di regresso, in opposizione al progresso – di cui invece molti si discute. Ci sono le civiltà scomparse. Ci sone le “cadenze”. Non c’è il regresso, che invece concettualmente molte esperienze può provocare, e soprattutto spiegare. Con applicazioni anche pratiche, specie per le dottrine dello sviluppo, socioeconomiche.
Un concetto che sarebbe utile, p.es., a spiegare come alcune regioni dell’Italia, in particolare la Calabria e la Sicilia, pur facendo parte della sesta o settima economia più ricca del mondo, siano agli ultimi posti fra le quaranta “regioni” socio-economiche censite dalle statistiche europee. Si farebbe un grosso passa avanti nella teoria dello sviluppo introducendo, prendendo in considerazione, le resistenze emergenti dal “regresso”. E cioè dalla perdita di status e di condizione rispetto al passato, alle mentalità, alle abitudini sociali e di consumo. Che sono forme interiorizzate, quasi inestirpabili, di resistenza al “progresso”. Alla crescita economica, che è quanto di più contemporaneo e anzi avveniristico si dia, e quindi alla “crescita” (adeguamento, aggiornamento, spirito d’impresa, d’innovazione, d’avventura) sociale e culturale. E si danno, per le stesse regioni, ma nelle forme dello sradicamento, fuori di esse e lontane dai loro modi di essere, pensarsi, portarsi, proporsi.
 
Old Calabria
Oggi vittima della neo nomea mafiosa, che scoraggia le migliori intenzioni, la Calabria lo è stata a lungo dell’esotismo, del “viaggio” mentale più che pratico. Denunciato dagli scrittori calabresi che approdavano alla scena nazionale un secolo fa. Propensi invece all’opposto. “Calabria, paese e gente difficile”, il titolo del suo ultimo lavoro, Giuseppe Galasso, lo storico che più di tutti ha indagato negli archivi sulla egione, ha tratto dalla conferenza “La Calabria”, che Corrado Alvaro tenne al “Lyceum” di Firenze nel 1931. Con la conclusione, desolata più che fattuale: “La Calabria fa parte d’una geografia romantica”, del Romanticismo – faceva parte.
Ad Alvaro Galasso aggiunge un altro titolo di scrittore calabrese, Leonida Répaci, “Calabria amara”. Mentre per converso il romanticismo richiama “l’eccellenza, che si dava per scontata, cioè per indubbia e risaputa”, dell’ultimo e più lusinghiero “viaggio in Calabria”, quello famoso di Norman Douglas, 1914, “Old Calabria”. Dove “old” sta per “una terra affascinante, ammaliatrice, evocatrice di suggestioni irreprimibili”. Cui “si aggiungeva che la sua eccellenza era ritenuta antichissima e convalidata dalle vicende di secoli e secoli di una storia, a sua volta, generativa e costituiva del fascino, della malia, della suggestione irresistibile di quel paese, la Calabria”.
“La Calabria è un mistero?” L’interrogativo è l’esordio di Galasso, l’introduzione alla raccolta. Che giustifica: “L’interrogativo ricorre più volte nelle pagine dei viaggiatori e visitatori”. Vivendoci non si direbbe. Ma il disorientamento c’è, si vede, si sente. Alimentato se non provocato da una serie di “terremoti” socio-politici subiti da quando esiste come regione amministrativa. Da ultimo, ma è già un quarto di secolo, l’etichetta mafiosa che i servizi segreti le hanno appiccicato l’ha segnata. La funzione pubblica, che altrove si rafforza col tempo, per inevitavbile mutazione – “selezione naturale”-  della politica, vi s’indebolisce sempre più. Nell’amministrazione, nella sanità, nelle opere pubbliche, e quindi nella promozione, o l’immagine. Come si può toccare con mano incontrandone i politici. Un degrado palpabile.
Un’eccezione, anche, nel corso “naturale” della storia, che in regime democratico è sicuramente per il progresso, lo sviluppo, la creazione e non la distruzione.
 
Cronache della differenza: Napoli
Dunque, spiega Mauro Bellinazzo sul “Sole 24 Ore”, il Napoli calcio non soltanto ha vinto lo scudetto, è anche “un unicum nel panorama sportivo italiano ed europeo per la gestione dei conti, quasi 4 miliardi di ricavi e 150 milioni di utili”. Dunque, il meglio si può fare anche a Napoli.
 
“Si potrebbe citare”, aggiunge Bellinazzo, “per l’equilibrio dei conti e la redditività l’inarrivabile  Bayern Monaco, che però tra i soci annovera colossi come Audi, Allianz e Adidas”. Si può fare, anche al Sud, per un capitale d’ingegno.
 
L’eroe del Napoli calcio è quest’anno un finora sconosciuto ragazzo scozzese, McTominay. In passato lo sono stati Kvaraskelia e Osimhen, il trio dei “piccoletti, Mertens, Insigne, Callejon, il centravanti argentino Gonzalo Higuaìn – senza contare naturalmente Maradona. Tutti atleti che fuori di Napoli sono praticamente “scomparsi”. Il calcio è sport popolare, cioè di popolo.  

Uno di quasi due metri, questo McTominay, svelto come una lepre, rigenerato, moltiplicato, a 26 o 28 anni. Un miracolo, un altro. Perché non sarebbe Napoli la città dei miracoli – ci crede ma se ne vergogna?

È anche vero che la città si è dati per lo scudetto tre giorni di festa – senza contare gli anticipi: sabato, domenica, e anche lunedì, quando altrove si lavora. Martedì non più, perché la festa si trasferisce a Roma, in udienza speciale dal papa – papa, san Gennaro…Manca sempre qualcosa a Napoli, per il decollo.

 
Dunque Creuzé de Lasser, 1806: “L’Europa finisce a Napoli, e vi finisce anche assai male. La Calabria, la Sicilia, tutto il resto è Africa”. 
Ora, chi era Creuzé de Lasser? Un “amabile scrittore”, contemporaneo minore di Stendhal e, al contrario di Stendhal, un “napoleonico” rifiutato, proprio per questo suo “Viaggio in Italia” - all’Imperatore non era piaciuto. Ma è come per Gladstone, la frasetta è una pietra tombale.
 
Si dice Napoleone, Murat, il Regno come una meteora illustre, una pratica virtuosa, una promessa, ma poi la leva e i dazi non li levava nessuno. Specie dopo l’incameramento della manomorta, con la quale, quando era in mano agli ecclesiastici, si provvedeva all’assistenza ai poveri e ai malati indigenti. Gioacchino ebbe subito la ricetta, un Trump d’antan: nuovi dazi sui generi di consumo in entrata a Napoli.


Muore il maestro De Simone, un gigante, alto anche di statura, quello che, tra le altre cose, rivoluzionò la commedia musicale con “La Gatta cenerentola”, il maggiore successo teatrale (insieme con Eduardo e con Dario Fo) del dopoguerra, napoletano verace che per Napoli “non esisteva”. In vita, figurarsi in morte: niente lutti cittadini, commemorazioni, celebrazioni.
 
Nell’occasione Valerio Cappelli fa rivivere sul “Corriere della sera” una confidenza dello stesso De Simone: “Ma si sa che la Gatta Cenerentola fu finanziata dalla Regione Emilia Romagna e non dalla Campania?”. Anzi, due confessioni: “Sono stato cacciato, messo nell’angolo, dalla sinistra e dalla destra”.

È musicale ma, ricorda Peppe Barra in morte di De Simone: “‘La Gatta Cenerentola’ è stata una rivoluzione. Gli spettatori non avevano visto fino allora allegorie e culture popolari rese in quel modo, ma negli anni Settanta non si erano nemmeno mai ascoltate villanelle, strambotti, tammurriate”.

L’albergo di Capua – “nell’antico palazzo dei Fieramosca, anzi, come qui dicono, e il nome suona più tremendo, Ferramosca” – Antonio Baldini trova nel 1930 (“L’Italia di Bonincontro”, 115) “gran casone con gran protone, gran scalone con gran finestrone. Meridionalone”.

leuzzi@antiit.eu

Ph. Roth sconsacrato

Una riedizione che si segnala per l’apparato, ritraduzione, copertina, titolo, primo volume di un’opera omnia. Soprattutto per la nota finale del curatore, e nuovo traduttore, Matteo Codignola. Che spiega le tanti varianti di traduzione. Il titolo soprattutto, senza il complaint dell’originale, o il lamento. Una traduzione, sia aggiunto, che sveltisce l’originale, lo attualizza, lo velocizza, adattandolo p.es. al gergo attuale dei postadolescenti – l’io narratore ne è uno. Ma non per questo si segnala la nota di Codignola: si segnala per il fastidio, dell’autore, e anche dell’opera. Tanto più considerando che, con “Portnoy”, Adelphi annuncia la riedizione di tutto Philip Roth.
L’uscita del racconto, gennaio1969, organizzata come un pandemonio – sfruttando anche l’incontinenza di Nixon, il presidente in carica: “Philip Roth è una brutta persona”. La critica ovviamente divisa, ma fronteggiata da un “Team Roth più compatto, più vocale, e anche più persuasivo del solito, mentre le minoranze, nessuna esclusa, erano ciascuna oltraggiata a suo modo. Di nuovo, quanto di meglio il marketing potesse desiderare”. Di nuovo? “Portnoy” era il terzo o quarto romanzo pubblicato da Ph. Roth, fino ad allora senza echi.
L’attenzione spasmodica al marketing non è il solo rilievo. Il “successo” che si moltiplica e si velocizza per ogni aspetto. Le critiche non tollerate – guai ai critici recalcitranti. Gli incassi subito stratosferici, a fini promozionali. E le precisazioni: la famiglia non è quella, la psicoanalisi sì, c’è stata, divertente, il personaggio non è l’autore, è un vicino, è immaginario. Ma, ricorda Codignola, due anni prima “American Imago”, la rivista scientifica fondata da Freud, aveva pubblicato “un denso saggio sul nesso fra personalità narcisistica e aggressività, The Angry Act, del dottor Kleinschmidt” (Hans J. Kleinschmidt, “The Angry Act: The Role of Aggression in Creativity”, “American Imago”, Vol. 24, Spring 1967), che divaga sul ruolo del narcisismo fra personalità artistiche, “Kandinskij, Sylvia Plath, e naturalmente Thomas Mann”, e poi fa un caso: “Quello di un paziente abbastanza giovane, … che, schiacciato fra una madre fallica e un padre inesistente, aveva finito per rinchiudersi in un narcisismo parossistico, e sfogare la propria aggressività sulle donne, trasformandole in oggetti msturbatori”.
Riserve riflesse – in sintesi, ma con più violenza - già nel risvolto. “«Questo libro rischia di provocare un secondo Olocausto» scrisse all’uscita di Portnoy uno studioso generalmente posato come Gershom Scholem. La profezia fortunatamente non era fatta per avverarsi, ma è difficile negare che da allora il monologo di Alexander Portnoy abbia investito, e travolto, tutto quanto ha incontrato sul suo cammino”. Si parte dall’alto, per poi consigliarne la lettura come di una confessione psicoanalitica. Attraente? O allora come di una standup – anche se la “più divertente e irrefrenabile mai messa sulla pagina. A cominciare dalle abitudini dei lettori”.
E perché una nuova traduzione? “Dopo molti anni, e infinite repliche, lo spettacolo aveva bisogno di un nuovo allestimento”. E non è finita: “Prima di assumere la sua forma attuale, il materiale di Portnoy è stato varie altre cose – fra cui un commento parlato alle diapositive di zone erogene illustri, che Kenneth Tynan avrebbe voluto inserire nel suo celeberrimo e allora sacrilego musical Oh, Calcutta! Solo dopo lunghi ripensamenti il monologo ha finito per diventare, nel 1969, il quarto libro di Philip Roth (1933- 2018)”. Quello della sua consacrazione (o sconsacrazione). E anche quello da cui Adelphi avvia la riedizione di tutte le sue opere.
Philip Roth, Portnoy, Adelphi, pp. 283 € 19

domenica 25 maggio 2025

Meloni al mercato

Non cè solo l’intrusione a piedi uniti negli assetti bancari, con Mps, l’ama de casa, a caccia di Mediobanca, nientedimeno, e Generali-cum-Natixis, e le barriere erette a difesa del fido Bpm dalle insidie dell’infida Unicredit. Non c’è solo la moltiplicazione dei “salvataggi” industriali – l’industria pubblica, di nuovo, dopo le acclamate privatizzazioni – e a che costo. C’è perfino l’ingerenza illegale nelle Autorità di controllo del mercato. Per ora nella Consob. Che solo un’opposizione alla Conte-Schlein, di sprovveduti capipopolo, demiurgi improvvisati, può non vedere.
Meloni caratterizza l’avvio della seconda metà del suo governo con l’interventismo – il dirigismo, si sarebbe detto a sinistra – negli assetti economici. Non la defunta programmazione socialista, che  pure tanti lutti portò, dalla chimica dei pareri di conformità all’Efim. Ma proprio l’interventismo mussoliniano: ci penso io.
È una strada sui cui Meloni sembra avere impegnato il governo all’improvviso a fondo, benché abbia alleati due partiti in teoria liberali. Forse con occhio alla rielezione, anche se mancano ancora molti mesi, per la vecchia teoria e pratica del potere-che-porta-voti. O forse per istinto. Ma poi tassa tutti, poco ma in ogni piega, in ogni risvolto. E questo sicuramente non paga.
Lo fa – le microtasse – per tenere in ordine i conti? Obiettivo meritevole. Ma alla sommatoria non farà troppi scontenti, potenti e non? Anche se l’opposizione nemmeno questo sembra capire. Le Autorità sono state create per proteggere il mercato da scorrettezze e abusi, per primo della politica.

Matilda travolgente, dentro e fuori del carcere

Una storia di amicizia fra donne, detenute, dentro e fuori dal carcere. Fra una scrittrice, capitata in carcere per caso, e carcerate vere, dal passato imperscrutabile. Specie le più giovani, due sgallettate romane, Roberta e Barbara. Che ritroverà fuori. Ma sempre “carcerate”, spiega Goliarda Sapienza, l’autrice del racconto (“L’università di Rebibbia”) su cui Martone ha costruito il film - insieme con Ippolita Di Majo - in una vecchia intervista che s’intravede alla fine, con Enzo Biagi: “Vivono dentro quando stanno fuori, e stanno fuori quando vivono dentro”.
Un racconto che si regge sull’espressività, cangiante, mutevole, sorprendente di Elodie (“Barbara”) e, soprattutto, di Matilda de Angelis (“Roberta”), presenza costante nel film – che il personaggio curiosamente costruisce col romanesco nasale, un po’ Garbatella, quello di Meloni. Valeria Golino fa la scrittrice in età, con i suoi anni e riflessiva, molto misurata.
Martone racconta la storia al modo suo, rapsodicamente, per scene giustapposte – un film di montaggio. E quasi tutto in “piani”, i personaggi in rilievo sull’ambientazione, in medium closeup e closeup. Da qui l’apporto al racconto di “Roberta”, Matilda De Angelis, delle due giovani ex carcerate quella che segue la scrittrice, la insegue, la diverte, la malmena, la travolge. Sola, solitaria, e piani di “amici”, impecuniosa e piena di soldi. Fantasiosa, esuberante, e triste, ansiosa, depressa. Travolge la scrittrice come lo spettatore. Non candidata a Cannes, dove il film è stato presentato, in concorso, ma senza demerito al confronto con la protagonista vincitrice, Nadia Melliti (favorita dalla storia, una lesbica buona mussulmana – bisogna essere gay e mussulmani?).
Mario Martone,
Fuori