lunedì 23 giugno 2025

Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"

Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità. Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente. Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada. E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato, equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià. Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià, che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi, ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini, ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.     
Mohammad Rasoulof,
Il seme del fico sacro
, Sky Cinema Due

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