Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"
Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni
senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le
condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento
in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità.
Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre
che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti
figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime
islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede
a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente.
Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma
con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada.
E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato,
equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori
e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo
secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià.
Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo
della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello
scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle
influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa
caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un
giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià,
che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che
però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del
complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi,
ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa
gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini,
ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga
vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate
del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore
e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.
Mohammad Rasoulof, Il seme del fico
sacro, Sky Cinema Due
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