A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (597)
Giuseppe Leuzzi
L’anticipazione
del libro “Giancarlo Siani. Terra nemica”, sull’assassinio quarant’anni fa di
Siani a opera del clan di camorra Nuvoletta, scritto da Pietro Perrone, “collega
di Siani al «Mattino»”, termina con questa accusa: “Il giorno prima (prima
dell’articolo rivelatore di Siani su Nuvoletta, n.d.r.) lo stesso giornale su
cui scrive Giancarlo ha fornito una versione…. distante dalla realtà, frutto di
una «velina» dei carabinieri, funzionale a chi ha interesse a proteggere i
Nuvoletta e il sistema di potere che si muove intorno a loro”. Da non credere.
Cetraro,
uno dei paesi più civili della Calabria e forse d’Italia, da tempo nella parte
sinistra delle località più accoglienti, subisce in dieci giorni un omicidio, e
l’incendio di dieci automezzi specialmente furgonati, per la raccolta dei
rifiuti, di Ecologia Oggi, l’azienda della raccolta differenziata. Si sa per
quale motivo e chi è stato.Ma non succede nulla. Niente arresti, niente nemmeno
indagini. Giusto un appello di Giancarlo Costabile, che insegna Pedagogia dell’Antimafia
all’università della Calabria: “I cittadini non facciano finta di niente”. I cittadini?
Si vede che l’antimafia ha un’altra pedagogia.
“Un
aitante Napoleone ventiseienne nel luglio
1796 arrivò a Firenze dalla città di Livorno che aveva appena occupato”,
racconta oggi sul “Corriere fiorentino” Silvano Brandi. Ne farà un Regno di
Etruria - in attesa di farne di nuovo un granducato, per la sorella minore
Elisa, sposata Baciocchi, il nobile
corso, capitano della riserva, già domina
in Toscana, principessa di Lucca e
Piombino, poi duchessa di Massa e principessa di Carrara. A Firenze, dopo una
pacca al granduca Ferdinando III di Lorena, visitò in pochi minuti le opere d’arte,
Accademia, Uffizi, logge, chiese, rimanendo folgorato dalla Venere dei Medici. ”Il
direttore degli Uffizi dell’epoca, Tommaso Puccini, capì” che la Venere aveva ingolosito il
giovanotto. E nel settembre 1800, “avvicinandosi le truppe francesi a
Firenze, ne predispose il trasferimento a Palermo, assieme a 75 casse con le
principali opere più a rischio (di furto, n.d.r.), per affidarle alle cure dei
Borboni di Napoli”. La liberazione dell’Italia ha aspetti sorprendenti.
Ps.
Due anni dopo un commando francese rubò la Venere dei Medici a Palermo e
la portò al Louvre, già prontamente ribattezzato Musée Napoléon, affiancandola alla
Venere Capitolina, rubata a Roma già nel 1797. Entrambe le statue saranno
restituite dopo il Congresso di Vienna, con la mediazione di Canova.
I luoghi sono
dell’anima
Elisabetta Antonioni, nipote di Michelangelo, figlia del
fratello maggiore Carlo Alberto, nella breve ma succosa intervista, più densa
di una biografia, con Amelia Esposito sul “Corriere della sera” di lunedì
30 giugno, alla domanda “Era legato alla sua città?”, Ferrara, risponde:
“Profondamente. Diceva che chi perde la propria città le perde tutte”.
E
spiega: “Ferrara c’è sempre nei suoi film”. Forse anche a sua insaputa: “C’è
anche quando non c’è. Con le atmosfere e con i particolari che chi non è ferrarese
non può cogliere. Nel documentario “Chung Kuo, China” (il film del 1972,
commissionato ad Antonioni dal presidente cinese Mao Tse-Tung per celebrare la
Cina durante la “rivoluzione cilturale”, la grande utopia egualitaria presto
degenerata in violenze e sopraffazioni, n.d.r.), a un certo punto si vede un muro
di mattoni rossi con una bici da uomo appoggiata. I nostri muri, le nostre
biciclette. Quell’immagine su cui la telecamera indugia è un richiamo a
Ferrara”.
La mafia delle mafie
immigrati
Ci
sono, attive in Italia e altrove in Europa, delle mafie terribili, all’opera
almeno da une ventina d’anni, sulla pelle degli immigrati, radicate in Turchia,
Libia e Tunisia, responsabili di migliaia di morti, ogni anno, in
mare, nonché di vessazioni, fino alla torura, espropri, furti, note a tutti, e
non perseguite. Anzi blandite, dalle ong, dalle sinistre politiche, anche dai
nunzi apostolici, che pure tutto hanno sempre saputo e sanno di questo turpe
commercio. Perfino protette da molti giudici italiani, a fini di carriera
politica. Sembra assurdo, lo è, ma nulla si fa contro - solo un governo di destra
si è mosso contro queste mafie.
Le
vittime sono da catastrofe: 30 mila migranti morti nel Mediteraneo nel
millennio. Esattamente 31.184. Solo nel 2024 sono stati 2.279. Il picco ci fu
nel 2016, le vittime contate quell’anno (molte altre non sono ripescate) sono
state 5.136. Colpa del governo del’epoca? Negli ultimi dieci anni almeno 20.803
persone. Di cui circa 3.500 minorenni. O contegginadole secondo altri
parametri: sono almeno 20.740 i migranti morti nel Mediteraneo centrale (cioè
dalla Libia all’Italia, n.d.r.) dal 18 aprile 2015 al 17 aprile 2025.
Cifre
tutte da capogiro, terrificanti. A opera di capibanda e personaggi noti e
attivi – nemmeno latitanti, nessuno li ricerca (il solo Almasri è finito in
cella, per un disguido burocratico, subito liberato con volo di Stato). Di
questa carneficina mafiosa si fa solo speculazione politica. Destra contro sinistra,
sinistra contro destra. Una polemica irragionevole, che però funziona per
distogliere l’attenzione: la colpa non è di queste mafie, è del partito di
destra se governa la destra, e viceversa. Ora, stupidità non è. Può darsi che
sia semplicemente menefreghismo – tanto, muoiono sconosciuti, gente senza volto,
senza nome, e se ci si può imbastire una polemica tanto meglio. Ma i religiosi,
a cominciare dal Vaticano, che tutto sa dai suoi vescovi? Le ong delle anime tanto
buone? I cooperanti puri di cuore che tanto amano operare - con purezza d’intenti,
certo?
La Sicilia di
Marx
Merita rileggere
questo articolo di Marx sulla “New York Daily Tribune” - pubblicato il 17
maggio 1860, sei giorni dopo lo sbarco di Marsala, “La Sicilia e i siciliani”,
poco informato forse sul ruolo dell’Inghilterra, ma sempre pieno di verità:
Nel corso della storia del genere umano, nessuna terra e nessun
popolo hanno sofferto così terribilmente a causa della schiavitù, delle
conquiste e delle oppressioni straniere, e nessuno ha lottato così
irrefrenabilmente per l’emancipazione come la Sicilia e i Siciliani. Quasi dai
tempi in cui Polifemo passeggiava intorno all’Etna, o da quando Cerere insegnò
ai Siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri, la Sicilia è stata
teatro di invasioni e guerre ininterrotte, e di una resistenza incrollabile. I
Siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze meridionali e
settentrionali; in primo luogo, degli aborigeni Sicani, con Fenici,
Cartaginesi, Greci e schiavi da ogni regione sotto il cielo, importati
nell’isola tramite traffici o guerre; e poi di Arabi, Normanni e Italiani. I
Siciliani, in tutte queste trasformazioni e modificazioni, hanno combattuto, e
continuano a combattere, per la loro libertà.
Più di trenta secoli fa, gli aborigeni della Sicilia
resistettero come meglio poterono alla superiorità delle armi e all'abilità
militare degli invasori cartaginesi e greci. Furono tributari, ma mai
completamente sottomessi dagli uni o dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu
il campo di battaglia di Greci e Cartaginesi; la sua popolazione fu rovinata e
in parte ridotta in schiavitù; le sue città, abitate da Cartaginesi e Greci,
erano i punti centrali da cui l’oppressione e la schiavitù si irradiavano
all’interno dell'isola. Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai
l’occasione di battersi per la libertà, o almeno di vendicarsi il più possibile
dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I Romani alla fine sottomisero
Cartaginesi e Siracusani, vendendone come schiavi il maggior numero possibile.
In un’occasione, 30.000 abitanti di Panormus, l’odierna Palermo, furono venduti
in questo modo. I Romani sfruttavano la Sicilia con innumerevoli squadre di
schiavi, per sfamare con il grano siciliano i poveri proletari della Città
Eterna. A tal fine, non solo riducevano in schiavitù gli abitanti dell'isola,
ma importavano schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà
dei Proconsoli, dei Pretori e dei Prefetti romani sono note a chiunque abbia un
minimo di familiarità con la storia di Roma o con l'oratoria di Cicerone. In
nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana ebbe simili saturnali. I poveri
uomini liberi e i piccoli contadini, se non erano in grado di pagare il pesante
tributo loro imposto, venivano spietatamente venduti come schiavi, loro stessi
o i loro figli, dagli esattori delle tasse.
Ma sia sotto Dionigi siracusano che sotto il dominio
romano, in Sicilia si verificarono le più terribili insurrezioni degli schiavi,
in cui la popolazione autoctona e gli schiavi importati spesso fecero causa
comune. Durante la disgregazione dell’Impero Romano, la Sicilia fu visitata da
vari invasori. Poi i Mori la presero per un certo periodo; ma i Siciliani, e
soprattutto la popolazione autentica dell'interno, resistettero sempre, più o
meno vittoriosamente, e passo dopo passo mantennero o conquistarono diverse
piccole franchigie. L’alba aveva appena iniziato a diffondersi sulle tenebre
medievali, quando i Siciliani si fecero avanti, già armati non solo di varie
libertà municipali, ma anche di rudimenti di un governo costituzionale, come a
quel tempo non esisteva altrove. Prima di qualsiasi altra nazione europea, i
Siciliani regolarono con il voto le entrate dei loro Governi e Sovrani. Così il
suolo siciliano si è sempre dimostrato mortale per oppressori e invasori, e i
Vespri Siciliani rimangono immortali nella storia. Quando la Casa d’Aragona
ridusse i siciliani alla dipendenza della Spagna, questi seppero preservare più
o meno intatte le loro immunità politiche; e lo fecero allo stesso modo sotto
gli Asburgo e i Borboni. Quando la Rivoluzione francese e Napoleone cacciarono
da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani – istigati e sedotti
dalle promesse e dalle garanzie inglesi – accolsero i fuggitivi e, nelle loro
lotte contro Napoleone, li sostennero con il sangue e il denaro. Tutti
conoscono il successivo tradimento dei Borboni e i sotterfugi o le impudenti
negazioni con cui l’Inghilterra ha cercato e cerca ancora di mascherare il
proprio infedele abbandono dei siciliani e delle loro libertà alla tenera mercé
dei Borboni.
Al giorno d’oggi, l’oppressione politica,
amministrativa e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste
lamentele sono quindi in primo piano. Ma quasi tutto il suolo è ancora nelle
mani di relativamente pochi grandi proprietari terrieri o baroni. Le proprietà
terriere medievali sono ancora conservate in Sicilia, tranne per il fatto che
il contadino non è un servo; cessò di esserlo intorno all’XI secolo, quando
divenne un libero affittuario. Le condizioni del suo possesso sono, tuttavia,
generalmente così oppressive che la stragrande maggioranza degli agricoltori
lavora esclusivamente a vantaggio dell'esattore delle tasse e del barone,
producendo a malapena qualcosa al di là delle tasse e delle rendite, e
rimanendo essi stessi in miseria o, quantomeno, relativamente poveri. Pur
producendo il celebre grano siciliano e frutti eccellenti, vivono a loro volta
di fagioli per tutto l’anno.
La Sicilia ora sanguina di nuovo, e l’Inghilterra
guarda con calma a questi nuovi saturnali dell’infame Borbone e dei suoi non
meno infami tirapiedi, laici o clericali, gesuiti o guardie. I pignoli
declamatori del Parlamento britannico solcano l0aria con le loro vuote
chiacchiere sulla Savoia e sui pericoli della Svizzera, ma non hanno una parola
da dire sui massacri nelle città siciliane. Nessuna voce leva il grido di
indignazione in tutta Europa. Nessun sovrano e nessun Parlamento proclama la
messa al bando contro l’idiota sanguinario di Napoli. Luigi Napoleone, da solo,
per questo o quello scopo – naturalmente non per amore della libertà, ma per
l'esaltazione della sua famiglia o per l'influenza francese – può forse fermare
il macellaio nella sua opera di distruzione. L'Inghilterra urlerà contro la
perfidia, vomiterà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione
napoleonica; ma i napoletani e i siciliani alla fine ne trarranno vantaggio,
anche sotto un Murat o qualsiasi altro nuovo sovrano. Ogni cambiamento deve
essere in meglio”.
Cronache della
differenza: Milano
Assiste
inerte all’attacco romano alle sue piazzaforti finanziarie. Anzi, si direbbe
con allegria, a leggere le cronache dell’operazionne sul “Corriere della sera”,
sul “Sole”. Forse perché è un assalto in realtà leghista, con base di comodo a
Roma.
Milano
o è leghista di suo, o è singolarmente inerte di fronte ai guasti del leghismo.
E sempre il peggio esprime in politica, da Mussolini a, appunto, Bossi.
Gran
caso fa la città – “Corriere della sera”, “Gazzetta dello Sport” – del
patteggiamento della dirigenza Juventus in uno dei tanti “scandali” montati
contro il club torinese dalla “Ngiustizia sportiva” – detto alla calabrese,
come il giudice sportivo, l’ineffabile dottor Chiné. Il patteggiamento come
ammissione di colpa, come vaso di Pandora schiuso, o richiuso, etc. Mentre è solo una
maniera per chiudere una causa che avrebbe impiegato una quindicina di anni.
Senza mai ricordare i patteggiamenti di Inter e Milan per ben più solide accuse
qualche anno fa. Milano è sempre
indulgente
con se stessa.
S’immagina
l’editore dei due quotidiani, Urbano Cairo, in agitazione perché sa che molti
sono i lettori di tifo juventino. Ma niente: ai milanesi non bisogna parlare
male di Inter e Milan. Neanche quando attorno ai club ci sono condanne (miti:
sei anni per un assassinio) per mafia. Per il resto sì – a Milano piace buttare
la spazzatura al piano di sotto, diceva Malaparte, che sempre se ne tenne
lontano.
“È
una stupidata dire che il pride sia divisivo”, il sindaco Sala. Che aggiunge:
“Mi spiace l’assenza della brigata ebraica, ma il rischio antisemitismo c’è”.
Un caso della famosa logica inclusiva, che una cosa è vera e il suo contratio
pure – perché no.
Gli
organizzatori milanesi del “pride”: “Siamo 350 mila”. Il doppio, quasi, che alla
manifestazione europea, da tempo organizzata, in contemporanea a Budapest.
Milano non si pone limiti.
Molte
pagine sulle morti da cronaca criminale sul “Corriere della sera”, ma poche
righe, in un angolino, per l’assassinio di Boiocchi, settantenne “storico
capo della curva interista”. In margine a una pagina interna. Perché i
colpevoli ha nno confessato. Milano non si fa colpa della criminalità, per
quanto diffusa, come nel tifo “organizzato”. È giusto, il crimine non conta –
non fa storia.
“È
diventata la città di chi sta bene”, dice Massimo Moratti, che si ritiene un
immigrato, di seconda generazione, sepure da Somma Lombarda, e figlio di un “piazzista”,
seppure nipote di farmacista. Una volta era diverso, dice ancora:”La città ti
accoglieva e si occupava di te. Arrivavi dal Sud, da ogni parte, anche con la valigia
di cartone, e qui ti sentivi importante, trovavi un progetto di vita. Che si trasformava
in un sentimento di riconoscenza verso Milano”. Vero. Poi esplose la Lega, che
però è ben milanese, intronizzata da Milano 1.
“Meglio
di Milano?”, chiede Michele Masneri sul “Foglio” a Giammetti, il socio di
Valentino, che gli loda Roma, e la haute couture, che fino agli ani 1970
si faceva a Roma. “Milano la conosco pochissimo, noi sfilavamo solo con la
collezione uomo lì, non ho mai avuto tanti amici, solo conoscenti a Milano.
Città interessante, però Roma è un’altra cosa”.
Singolare, e inspiegato, il doppio peso del procuratore
e giudice del calcio Chiné nei confronti dell’Inter (assoluzione) e della
Juventus (condanna) per la stessa materia: i traffici loschi delle rispettive “curve”,
del “tifo organizzato”. Anche se il club torinese ha avviato l’inchiesta,
denunciando le “curve”, mentre quello interista presenta profili oenali gravi –
anche due assassinii, e varie denunce per ferimenti di tifosi aversari. Ma la
spiegazione è forse solo che Milano fa più para, anche ai giudici.
Roberto Saviano dice che sì,
la città fa paura, ai Carabinieri. Dovendo andare a Milano dopo avere scritto
un articolo contro la tifoseria interista, ha notato che “i carabinieri della
protezione (scorta, n.d.r.) erano nervosissimi”.
“A un milanese su due nell’ultimo anno è stata rubata
la bici”. A un milanese su due fra quanti vanno in bici. Che a Milano però sono
molti: si fa il conto di 700 mila persone che ne fanno uso, con 2,3 biciclette
per famiglia, e un parco bici, fra Milano e Monza Brianza, di 4,3 milioni di mezzi. Comunque sempre troppi, mezza
città che va in giro su bici rubate.
leuzzi@antiit.eu
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