giovedì 3 luglio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (597)

Giuseppe Leuzzi
 
L’anticipazione del libro “Giancarlo Siani. Terra nemica”, sull’assassinio quarant’anni fa di Siani a opera del clan di camorra Nuvoletta, scritto da Pietro Perrone, “collega di Siani al «Mattino»”, termina con questa accusa: “Il giorno prima (prima dell’articolo rivelatore di Siani su Nuvoletta, n.d.r.) lo stesso giornale su cui scrive Giancarlo ha fornito una versione…. distante dalla realtà, frutto di una «velina» dei carabinieri, funzionale a chi ha interesse a proteggere i Nuvoletta e il sistema di potere che si muove intorno a loro”. Da non credere.
 
Cetraro, uno dei paesi più civili della Calabria e forse d’Italia, da tempo nella parte sinistra delle località più accoglienti, subisce in dieci giorni un omicidio, e l’incendio di dieci automezzi specialmente furgonati, per la raccolta dei rifiuti, di Ecologia Oggi, l’azienda della raccolta differenziata. Si sa per quale motivo e chi è stato.Ma non succede nulla. Niente arresti, niente nemmeno indagini. Giusto un appello di Giancarlo Costabile, che insegna Pedagogia dell’Antimafia all’università della Calabria: “I cittadini non facciano finta di niente”. I cittadini? Si vede che l’antimafia ha un’altra pedagogia.


“Un aitante Napoleone ventiseienne  nel luglio 1796 arrivò a Firenze dalla città di Livorno che aveva appena occupato”, racconta oggi sul “Corriere fiorentino” Silvano Brandi. Ne farà un Regno di Etruria - in attesa di farne di nuovo un granducato, per la sorella minore Elisa, sposata Baciocchi, il  nobile corso, capitano della  riserva, già domina  in Toscana, principessa di Lucca e Piombino, poi duchessa di Massa e principessa di Carrara. A Firenze, dopo una pacca al granduca Ferdinando III di Lorena, visitò in pochi minuti le opere d’arte, Accademia, Uffizi, logge, chiese, rimanendo folgorato dalla Venere dei Medici. ”Il direttore degli Uffizi dell’epoca, Tommaso Puccini,  capì” che la Venere aveva ingolosito il giovanotto. E nel settembre 1800, “avvicinandosi le truppe francesi a Firenze, ne predispose il trasferimento a Palermo, assieme a 75 casse con le principali opere più a rischio (di furto, n.d.r.), per affidarle alle cure dei Borboni di Napoli”. La liberazione dell’Italia ha aspetti sorprendenti.

Ps. Due anni dopo un commando francese rubò la Venere dei Medici a Palermo e la portò al Louvre, già prontamente ribattezzato Musée Napoléon, affiancandola alla Venere Capitolina, rubata a Roma già nel 1797. Entrambe le statue saranno restituite dopo il Congresso di Vienna, con la mediazione di Canova.

I luoghi sono dell’anima
Elisabetta  Antonioni, nipote di Michelangelo, figlia del fratello maggiore Carlo Alberto, nella breve ma succosa intervista, più densa di una biografia,  con Amelia  Esposito sul “Corriere della sera” di lunedì 30 giugno, alla domanda “Era legato alla sua città?”, Ferrara, risponde: “Profondamente. Diceva che chi perde la propria città le perde tutte”.
E spiega: “Ferrara c’è sempre nei suoi film”. Forse anche a sua insaputa: “C’è anche quando non c’è. Con le atmosfere e con i particolari che chi non è ferrarese non può cogliere. Nel documentario “Chung Kuo, China” (il film del 1972, commissionato ad Antonioni dal presidente cinese Mao Tse-Tung per celebrare la Cina durante la “rivoluzione cilturale”, la grande utopia egualitaria presto degenerata in violenze e sopraffazioni, n.d.r.), a un certo punto si vede un muro di mattoni rossi con una bici da uomo appoggiata. I nostri muri, le nostre biciclette. Quell’immagine su cui la telecamera indugia è un richiamo a Ferrara”.
 
La mafia delle mafie immigrati
Ci sono, attive in Italia e altrove in Europa, delle mafie terribili, all’opera almeno da une ventina d’anni, sulla pelle degli immigrati, radicate in Turchia, Libia e Tunisia, responsabili di migliaia di morti, ogni anno, in mare, nonché di vessazioni, fino alla torura, espropri, furti, note a tutti, e non perseguite. Anzi blandite, dalle ong, dalle sinistre politiche, anche dai nunzi apostolici, che pure tutto hanno sempre saputo e sanno di questo turpe commercio. Perfino protette da molti giudici italiani, a fini di carriera politica. Sembra assurdo, lo è, ma nulla si fa contro - solo un governo di destra si è mosso contro queste mafie.
Le vittime sono da catastrofe: 30 mila migranti morti nel Mediteraneo nel millennio. Esattamente 31.184. Solo nel 2024 sono stati 2.279. Il picco ci fu nel 2016, le vittime contate quell’anno (molte altre non sono ripescate) sono state 5.136. Colpa del governo del’epoca? Negli ultimi dieci anni almeno 20.803 persone. Di cui circa 3.500 minorenni. O contegginadole secondo altri parametri: sono almeno 20.740 i migranti morti nel Mediteraneo centrale (cioè dalla Libia all’Italia, n.d.r.) dal 18 aprile 2015 al 17 aprile 2025.
Cifre tutte da capogiro, terrificanti. A opera di capibanda e personaggi noti e attivi – nemmeno latitanti, nessuno li ricerca (il solo Almasri è finito in cella, per un disguido burocratico, subito liberato con volo di Stato). Di questa carneficina mafiosa si fa solo speculazione politica. Destra contro sinistra, sinistra contro destra. Una polemica irragionevole, che però funziona per distogliere l’attenzione: la colpa non è di queste mafie, è del partito di destra se governa la destra, e viceversa. Ora, stupidità non è. Può darsi che sia semplicemente menefreghismo – tanto, muoiono sconosciuti, gente senza volto, senza nome, e se ci si può imbastire una polemica tanto meglio. Ma i religiosi, a cominciare dal Vaticano, che tutto sa dai suoi vescovi? Le ong delle anime tanto buone? I cooperanti puri di cuore che tanto amano operare - con purezza d’intenti, certo?
 
La Sicilia di Marx
Merita rileggere questo articolo di Marx sulla “New York Daily Tribune” - pubblicato il 17 maggio 1860, sei giorni dopo lo sbarco di Marsala, “La Sicilia e i siciliani”, poco informato forse sul ruolo dell’Inghilterra, ma sempre pieno di verità:
Nel corso della storia del genere umano, nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto così terribilmente a causa della schiavitù, delle conquiste e delle oppressioni straniere, e nessuno ha lottato così irrefrenabilmente per l’emancipazione come la Sicilia e i Siciliani. Quasi dai tempi in cui Polifemo passeggiava intorno all’Etna, o da quando Cerere insegnò ai Siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri, la Sicilia è stata teatro di invasioni e guerre ininterrotte, e di una resistenza incrollabile. I Siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze meridionali e settentrionali; in primo luogo, degli aborigeni Sicani, con Fenici, Cartaginesi, Greci e schiavi da ogni regione sotto il cielo, importati nell’isola tramite traffici o guerre; e poi di Arabi, Normanni e Italiani. I Siciliani, in tutte queste trasformazioni e modificazioni, hanno combattuto, e continuano a combattere, per la loro libertà.
Più di trenta secoli fa, gli aborigeni della Sicilia resistettero come meglio poterono alla superiorità delle armi e all'abilità militare degli invasori cartaginesi e greci. Furono tributari, ma mai completamente sottomessi dagli uni o dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu il campo di battaglia di Greci e Cartaginesi; la sua popolazione fu rovinata e in parte ridotta in schiavitù; le sue città, abitate da Cartaginesi e Greci, erano i punti centrali da cui l’oppressione e la schiavitù si irradiavano all’interno dell'isola. Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai l’occasione di battersi per la libertà, o almeno di vendicarsi il più possibile dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I Romani alla fine sottomisero Cartaginesi e Siracusani, vendendone come schiavi il maggior numero possibile. In un’occasione, 30.000 abitanti di Panormus, l’odierna Palermo, furono venduti in questo modo. I Romani sfruttavano la Sicilia con innumerevoli squadre di schiavi, per sfamare con il grano siciliano i poveri proletari della Città Eterna. A tal fine, non solo riducevano in schiavitù gli abitanti dell'isola, ma importavano schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà dei Proconsoli, dei Pretori e dei Prefetti romani sono note a chiunque abbia un minimo di familiarità con la storia di Roma o con l'oratoria di Cicerone. In nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana ebbe simili saturnali. I poveri uomini liberi e i piccoli contadini, se non erano in grado di pagare il pesante tributo loro imposto, venivano spietatamente venduti come schiavi, loro stessi o i loro figli, dagli esattori delle tasse.
Ma sia sotto Dionigi siracusano che sotto il dominio romano, in Sicilia si verificarono le più terribili insurrezioni degli schiavi, in cui la popolazione autoctona e gli schiavi importati spesso fecero causa comune. Durante la disgregazione dell’Impero Romano, la Sicilia fu visitata da vari invasori. Poi i Mori la presero per un certo periodo; ma i Siciliani, e soprattutto la popolazione autentica dell'interno, resistettero sempre, più o meno vittoriosamente, e passo dopo passo mantennero o conquistarono diverse piccole franchigie. L’alba aveva appena iniziato a diffondersi sulle tenebre medievali, quando i Siciliani si fecero avanti, già armati non solo di varie libertà municipali, ma anche di rudimenti di un governo costituzionale, come a quel tempo non esisteva altrove. Prima di qualsiasi altra nazione europea, i Siciliani regolarono con il voto le entrate dei loro Governi e Sovrani. Così il suolo siciliano si è sempre dimostrato mortale per oppressori e invasori, e i Vespri Siciliani rimangono immortali nella storia. Quando la Casa d’Aragona ridusse i siciliani alla dipendenza della Spagna, questi seppero preservare più o meno intatte le loro immunità politiche; e lo fecero allo stesso modo sotto gli Asburgo e i Borboni. Quando la Rivoluzione francese e Napoleone cacciarono da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani – istigati e sedotti dalle promesse e dalle garanzie inglesi – accolsero i fuggitivi e, nelle loro lotte contro Napoleone, li sostennero con il sangue e il denaro. Tutti conoscono il successivo tradimento dei Borboni e i sotterfugi o le impudenti negazioni con cui l’Inghilterra ha cercato e cerca ancora di mascherare il proprio infedele abbandono dei siciliani e delle loro libertà alla tenera mercé dei Borboni.
Al giorno d’oggi, l’oppressione politica, amministrativa e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste lamentele sono quindi in primo piano. Ma quasi tutto il suolo è ancora nelle mani di relativamente pochi grandi proprietari terrieri o baroni. Le proprietà terriere medievali sono ancora conservate in Sicilia, tranne per il fatto che il contadino non è un servo; cessò di esserlo intorno all’XI secolo, quando divenne un libero affittuario. Le condizioni del suo possesso sono, tuttavia, generalmente così oppressive che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell'esattore delle tasse e del barone, producendo a malapena qualcosa al di là delle tasse e delle rendite, e rimanendo essi stessi in miseria o, quantomeno, relativamente poveri. Pur producendo il celebre grano siciliano e frutti eccellenti, vivono a loro volta di fagioli per tutto l’anno.
La Sicilia ora sanguina di nuovo, e l’Inghilterra guarda con calma a questi nuovi saturnali dell’infame Borbone e dei suoi non meno infami tirapiedi, laici o clericali, gesuiti o guardie. I pignoli declamatori del Parlamento britannico solcano l0aria con le loro vuote chiacchiere sulla Savoia e sui pericoli della Svizzera, ma non hanno una parola da dire sui massacri nelle città siciliane. Nessuna voce leva il grido di indignazione in tutta Europa. Nessun sovrano e nessun Parlamento proclama la messa al bando contro l’idiota sanguinario di Napoli. Luigi Napoleone, da solo, per questo o quello scopo – naturalmente non per amore della libertà, ma per l'esaltazione della sua famiglia o per l'influenza francese – può forse fermare il macellaio nella sua opera di distruzione. L'Inghilterra urlerà contro la perfidia, vomiterà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione napoleonica; ma i napoletani e i siciliani alla fine ne trarranno vantaggio, anche sotto un Murat o qualsiasi altro nuovo sovrano. Ogni cambiamento deve essere in meglio”.
 
Cronache della differenza: Milano
Assiste inerte all’attacco romano alle sue piazzaforti finanziarie. Anzi, si direbbe con allegria, a leggere le cronache dell’operazionne sul “Corriere della sera”, sul “Sole”. Forse per
ché è un assalto in realtà leghista, con base di comodo a Roma.

Milano o è leghista di suo, o è singolarmente inerte di fronte ai guasti del leghismo. E sempre il peggio esprime in politica, da Mussolini a, appunto, Bossi.
 
Gran caso fa la città – “Corriere della sera”, “Gazzetta dello Sport” – del patteggiamento della dirigenza Juventus in uno dei tanti “scandali” montati contro il club torinese dalla “Ngiustizia sportiva” – detto alla calabrese, come il giudice sportivo, l’ineffabile dottor Chiné. Il patteggiamento come ammissione di colpa, come vaso di Pandora schiuso, o richiuso, etc. Mentre è solo una maniera per chiudere una causa che avrebbe impiegato una quindicina di anni. Senza mai ricordare i patteggiamenti di Inter e Milan per ben più solide accuse qualche anno fa. Milano è sempre
indulgente con se stessa.
 
S’immagina l’editore dei due quotidiani, Urbano Cairo, in agitazione perché sa che molti sono i lettori di tifo juventino. Ma niente: ai milanesi non bisogna parlare male di Inter e Milan. Neanche quando attorno ai club ci sono condanne (miti: sei anni per un assassinio) per mafia. Per il resto sì – a Milano piace buttare la spazzatura al piano di sotto, diceva Malaparte, che sempre se ne tenne lontano.
 
“È una stupidata dire che il pride sia divisivo”, il sindaco Sala. Che aggiunge: “Mi spiace l’assenza della brigata ebraica, ma il rischio antisemitismo c’è”. Un caso della famosa logica inclusiva, che una cosa è vera e il suo contratio pure – perché no.
 
Gli organizzatori milanesi del “pride”: “Siamo 350 mila”. Il doppio, quasi, che alla manifestazione europea, da tempo organizzata, in contemporanea a Budapest. Milano non si pone limiti.
 
Molte pagine sulle morti da cronaca criminale sul “Corriere della sera”, ma poche righe, in un angolino, per l’assassinio di Boiocchi, settantenne “storico capo della curva interista”. In margine a una pagina interna. Perché i colpevoli ha nno confessato. Milano non si fa colpa della criminalità, per quanto diffusa, come nel tifo “organizzato”. È giusto, il crimine non conta – non fa storia.
 
“È diventata la città di chi sta bene”, dice Massimo Moratti, che si ritiene un immigrato, di seconda generazione, sepure da Somma Lombarda, e figlio di un “piazzista”, seppure nipote di farmacista. Una volta era diverso, dice ancora:”La città ti accoglieva e si occupava di te. Arrivavi dal Sud, da ogni parte, anche con la valigia di cartone, e qui ti sentivi importante, trovavi un progetto di vita. Che si trasformava in un sentimento di riconoscenza verso Milano”. Vero. Poi esplose la Lega, che però è ben milanese, intronizzata da Milano 1.
 
“Meglio di Milano?”, chiede Michele Masneri sul “Foglio” a Giammetti, il socio di Valentino, che gli loda Roma, e la haute couture, che fino agli ani 1970 si faceva a Roma. “Milano la conosco pochissimo, noi sfilavamo solo con la collezione uomo lì, non ho mai avuto tanti amici, solo conoscenti a Milano. Città interessante, però Roma è un’altra cosa”.
 
Singolare, e inspiegato, il doppio peso del procuratore e giudice del calcio Chiné nei confronti dell’Inter (assoluzione) e della Juventus (condanna) per la stessa materia: i traffici loschi delle rispettive “curve”, del “tifo organizzato”. Anche se il club torinese ha avviato l’inchiesta, denunciando le “curve”, mentre quello interista presenta profili oenali gravi – anche due assassinii, e varie denunce per ferimenti di tifosi aversari. Ma la spiegazione è forse solo che Milano fa più para, anche ai giudici.
 
Roberto Saviano dice che sì, la città fa paura, ai Carabinieri. Dovendo andare a Milano dopo avere scritto un articolo contro la tifoseria interista, ha notato che “i carabinieri della protezione (scorta, n.d.r.) erano nervosissimi”.
 
“A un milanese su due nell’ultimo anno è stata rubata la bici”. A un milanese su due fra quanti vanno in bici. Che a Milano però sono molti: si fa il conto di 700 mila persone che ne fanno uso, con 2,3 biciclette per famiglia, e un parco bici, fra Milano e Monza Brianza, di 4,3 milioni di mezzi. Comunque semp
re troppi, mezza città che va in giro su bici rubate.


leuzzi@antiit.eu

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