martedì 29 luglio 2025

Letture - 585

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Andersen
– Inquietante, lo bolla Annalena Benini sul “Foglio” sabato. Anche alla rilettura. Anche come personaggio: “Nelle storie di Hans Christian Andersen tutti perdono qualcosa; la Sirenetta perde la voce, la Piccola fiammiferaia perde il calore, muore di freddo. Scarpette rosse: le amputano i piedi”. Con il lieto fine che, “quando c’è, è sempre ambiguo”.
Come l’autore. “Charles Dickens impazziva per Andersen, lo accolse in Inghilterra con tutti gli onori, salvo poi trovarlo un ospite insopportabile, disturbante, non vedeva l’ora che se ne andasse e smise anche di rispondere alle sue lettere”.
 
Arabia Felix – Arbasino (“Passeggiando tra i draghi addormentati”) la ceca nello Yemen, quando ancora gli uomini portavano il pugnale ricurvo alla cintura. Ma su raccomandazione, dice, “di genere”, di Genet, Pasolini e Chatwin.
Sempre ala ricerca dell’Arabia Felix nello Yemen una spedizione danese si perse nello Yemen a metà Settecento – se ne è fatta una densa storia alcuni decenni fa, che ora si traduce. Partirono in sei, quattro scienziati, un agrimensore, e un servitore, ritornò solo uno, “il meno titolato” – l’agrimensore Carsten Niebuhr. Che ne scrisse una profusa memoria, ma, non essendo uno scienziato, non venne calcolato – la sua narrativa verrà pubblicata due secoli dopo, nel 1962. Una spedizione finanziata dal  re danese Federico V, per rintracciare i luoghi in Arabia della Bibbia.
La spedizione si decimò per avere perso la nave del ritorno, da Mocca a Bmbay – si doveva aspettare un anno per la prossima e i più soccombettero.   
 
Benigni – Si è rifatto a Carmelo Bene. Sia per Dante sia per Pinocchio. Lo spiega Enrico Salvadori su “La Nazione”, l’edizione viareggina. Nell’estate del 1981, mentre a Forte dei Marmi preparava un nuovo allestimento teatrale di Pinocchio, Bene propose all’allora sindaco di Bologna Zangheri, e Zangheri accettò, una Lectura Damtis per ricordare la strage alla stazione – lectura che poi fece alla Torre deli Asinelli.
La lectura si tenne “davanti a una folla oceanica: dieci frammenti danteschi, otto estratti da altrettanti canti della Commedia, intervallati dalle musiche di Salvatore Sciarrino, e due sonetti (“Gudo, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” e “Tanto gentile e tanto onesta pare”)”.
Bene fu anche all’origine del coinvolgimento Rai su Dante. La diretta Rai di Bologna poi saltò, “qualcuno della dc bolognese definì Bene ‘pagliaccio’, ‘istrione’, ‘troppo schierato politicamente’ – e la Rai, sensibile alla Dc, evitò financo la ripresa”. Lo spettacolo è rimasto in una registrazione privata, non c’è nelle teche Rai.
 
Diderot – Una “testa tedesca” per Goethe – troppo brillante altrimenti, e non era possibile.
 
Freud – “Un bravo vecchio medico stanco” lo fa dire Goliarda Sapienza a Modesta, la donna “liberata” protagonista del suo romanzone “L’arte della gioia” (p, 349). Lo fa dire da Modesta alla sua amica\amante Joyce, psicoanalista: “Joyce, tu lo scambi per un dio, lui che odiava anche la filosofia. Il tuo Freud è un bravo vecchio medico stanco, malato da anni di cancro alla bocca. Vogliamo per una volta tirarlo giù dal piedistallo e guardargli questo cancro, e magari applicare a
lui le sue teorie, come lui ha fatto con Michelangelo?”
 
Meloni – “Da mare”. Emmanuel Carrère se ne sente attratto pericolosamente (“so che Meloni è considerata di estrema destra, e che non bisogna parlarne bene”) nel suo lungo racconto-reportage su Macron e sul vertice canadese del G 7 – al quale ha avuto il privilegio di assistere in diretta, dalla “stanza accanto”. Un vertice che si riduce a un’ora e mezza, e di cui a Carrère restano solo la brutalità di Trump. E Meloni.
Nota Meloni favorevolmente già col premier giapponese, prima della sessione plenaria: “Senza fare troppi sforzi per fingere interesse, Ishiba, il giapponese, ascoltava Meloni, la presidente del Consiglio italiana, parlargli della passione di sua figlia per i manga”. Ricorda che “non bisogna parlarne bene”, e taglia corto: “Diciamo solo che questa piccola donna bionda si distingueva al G 7 per una sorta di franchezza spigliata e un dress code che non faceva concessioni alla grisaglia. In mezzo a tailleur austeri, il suo vestito blu cielo, leggerissimo, ricordava quasi un abito da mare”.
Quando le tocca di parlare, “ha tirato fuori dalla borsa due mappe mondo che ha mostrato a Trump dicendo: «Guarda, Donald (il tu è incerto, ma l’ha chiamato Donald), guarda: tutto questo, in blu, siamo noi vent’anni fa, quando eravamo ancora i padroni. E questo, in rosso, è il commercio oggi, cioè innanzitutto la Cina. Allora sarebbe meglio trovare un accordo tra di noi, i blu rispetto ai rossi, perché la questione adesso non è tanto chi lasciamo entrare, ma evitare di farci buttare fuori”.
Qui fa seguire un ritratto dal vivo: “Conclusa la tirata, ha rigorosamente annuito, approvandosi da sola, e siccome la trovavo sempre più simpatica mi sono posto quest’altra domanda imbarazzante: se io non fossi francese, se la vedessi da lontano, troverei simpatica anche Marine Le Pen? Una cosa che si può dire di Meloni, in ogni caso, è che è la persona meno poker face, meno impenetrabile, che ci sia: quando qualcosa la diverte scoppia a ridere, quando qualcosa la annoia alza gli occhi al cielo e sospira rumorosamente”.
 
Moravia e il Gruppo 63 – “Gag da Buster Keaton”, A.Arbasino, “Passeggiando tra i draghi addormentati”, 237-238). Balestrini, Eco e gli altri avanguardisti delle lettere italiane Arbasino li racconta spiati da Moravia quando  si organizzarono a Palermo. Moravia vi si era precipitato “a spiarne i procedimenti, per timore di vedere messe in discussione le sue egemonie o tirannidi e fingendo ogni giorno come nelle farse di trovarsi di lì per meri casi di famiglia acquisita (la compagna Dacia Maraini, n.d.r). Nei luoghi chiusi il pretesto era di essere venuto a Palermo per salutare qualche redattore di Bompiani, invece che a Milano”.
Lo spionaggio culminò a Segesta: Quando venne a sapere di una nostra gita a Segesta, sospettò clamorosamente che si sarebbe tenuta una congiura…. E col suo gruppetto pedinò le nostr macchine… Non dimenticherò mai il Gruppo 63 e il gruppetto Moravia che salivano contemoporaneamente al tempio di Segesta per due diversi sentieri: tenendosi d’occhio, fingendo di non vedersi, guardandosi magari ‘in cagnesco’, e comunque fermandosi o ripartendo su e giù a secondo dei movimenti degli altri. Gag da Buster Keaton”.
 
Proto – Era il correttore di bozze – nei giornali e nell’editoria. Una professione che il digitale ha cancellato – adesso c’è il correttore automatico. Ma la commemorazione (breve, l’unica) dell’assassinio fascista di Giovanni Amendola un secolo fa, su “La Nazione”, a opera di Umberto Sereni, ne è stata funestata. Poche righe, ma abbastanza per declinare Scorza anche Sforza, un federale assassino confuso col ministro degli Esteri del Regno d’Italia nel 1921, e poi della neonata Repubblica a lungo, dopo essere stato il presidente della Consulta, nientemeno.
 
Russia – Un secolo fa di gran moda, non per motivi politici, fra gli antifascisti  per il richiamo del sovietismo: ha formato una generazione, Goliarda Sapienza fa dire a un suo personaggio negli anni 1930, a proposito dell’andazzo pauperistico: “Deve dipendere dalla grande diffusione ed entusiasmo che ci fu dopo la guerra per la letteratura russa…. Le traduzioni della Slavia passavano di mano in mano agli adolescenti come caramelle. Eh sì, il romanticismo russo, e non solo dei minori, come Arcybasv, Kuprin, ma Dostoevskij con le sue pure sante prostitute. E Tolstoj?”
Le traduzioni erano e sono state a lungo un punto dolente, Ettore Lo Gatto ha scritto molto in proposito – uno dei migliori traduttori era Tommaso Landolfi, che non parlava il russo: ha condizionato più di una generazione, specie su Puškin.
 
Selfie – “Sui cinque finalisti dell’ultimo premio Strega, quattro parlano di sé, tramite vicende familiari più o meno scontate”, Masolino D’Amico (“Il Venerdì di Repubblica”). Parlanlo di sé nell’opera, non ai microfoni della manifestazione.
 
Sandro Viola – Corrado Augias sul “Venerdì di Repubblica” (o è Giò Stajano nella “Roma capovolta” che si ripubblica) attribuisce a Sandro Viola, tarantino di origine, come Stajano, la notazione che diventerà l’incipit di una canzone famosa di Arbasino per Laura Betti (e poi per Paolo Poli) sugli amori gay quando non se ne poteva parlare: “Credo che ossigenarsi a Taranto sia stato il primo errore”. Detto a tavola, da “Cesaretto”, Arbasino se ne impadroniva per la nota canzone gay “Seguendo la flotta” – titolo mediato da un film del 1936, in chiave, allora, femminile: “Ossigenarsi a Taranto\ è stato il primo errore\ l’ho fatto per amore\ di un incrociatore\e sono finita\ su un rimorchaatore……
 
Teatro Colòn - A Buenos Aires Arbasino naturalmente si ritrova dentro il famoso teatro, ma con meraviglia (“Passeggiando tra i draghi addormentati”, 267): “Davvero stupendo: di forma e di Kitsch. Vastissimo. Pastello-dorato-spento come la povera Fenice: e altrettanto «è solo -atmosfera-non-guardate-i-dettagli”, etc. etc. E “un’acustica mirabile, malgrado l’imponente ampiezza, i palchetti profondi  come appartamentini”. Si capisce l’attrattiva di B.Aires sui migliori maestri e cantanti d’opera.


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