Letture - 585
letterautore
Andersen – Inquietante, lo
bolla Annalena Benini sul “Foglio” sabato. Anche alla rilettura. Anche come personaggio:
“Nelle storie di Hans Christian Andersen tutti perdono qualcosa; la Sirenetta perde
la voce, la Piccola fiammiferaia perde il calore, muore di freddo. Scarpette
rosse: le amputano i piedi”. Con il lieto fine che, “quando c’è, è sempre
ambiguo”.
Come
l’autore. “Charles Dickens impazziva per Andersen, lo accolse in Inghilterra
con tutti gli onori, salvo poi trovarlo un ospite insopportabile, disturbante,
non vedeva l’ora che se ne andasse e smise anche di rispondere alle sue
lettere”.
Arabia Felix – Arbasino
(“Passeggiando tra i draghi addormentati”) la ceca nello Yemen, quando ancora
gli uomini portavano il pugnale ricurvo alla cintura. Ma su raccomandazione,
dice, “di genere”, di Genet, Pasolini e Chatwin.
Sempre
ala ricerca dell’Arabia Felix nello Yemen una spedizione danese si perse nello
Yemen a metà Settecento – se ne è fatta una densa storia alcuni decenni fa, che
ora si traduce. Partirono in sei, quattro scienziati, un agrimensore, e un
servitore, ritornò solo uno, “il meno titolato” – l’agrimensore Carsten
Niebuhr. Che ne scrisse una profusa memoria, ma, non essendo uno scienziato,
non venne calcolato – la sua narrativa verrà pubblicata due secoli dopo, nel
1962. Una spedizione finanziata dal re danese
Federico V, per rintracciare i luoghi in Arabia della Bibbia.
La
spedizione si decimò per avere perso la nave del ritorno, da Mocca a Bmbay – si
doveva aspettare un anno per la prossima e i più soccombettero.
Benigni – Si è rifatto a
Carmelo Bene. Sia per Dante sia per Pinocchio. Lo spiega Enrico Salvadori su “La
Nazione”, l’edizione viareggina. Nell’estate del 1981, mentre a Forte dei Marmi
preparava un nuovo allestimento teatrale di Pinocchio, Bene propose all’allora
sindaco di Bologna Zangheri, e Zangheri accettò, una Lectura Damtis per ricordare la strage alla stazione – lectura che poi fece alla Torre deli
Asinelli.
La
lectura si tenne “davanti a una folla
oceanica: dieci frammenti danteschi, otto estratti da altrettanti canti della
Commedia, intervallati dalle musiche di Salvatore Sciarrino, e due sonetti (“Gudo,
i’ vorrei che tu e Lapo ed io” e “Tanto gentile e tanto onesta pare”)”.
Bene
fu anche all’origine del coinvolgimento Rai su Dante. La diretta Rai di Bologna
poi saltò, “qualcuno della dc bolognese definì Bene ‘pagliaccio’, ‘istrione’,
‘troppo schierato politicamente’ – e la Rai, sensibile alla Dc, evitò financo
la ripresa”. Lo spettacolo è rimasto in una registrazione privata, non c’è nelle teche Rai.
Diderot – Una “testa
tedesca” per Goethe – troppo brillante altrimenti, e non era possibile.
Freud – “Un bravo vecchio medico stanco”
lo fa dire Goliarda Sapienza a Modesta, la donna “liberata” protagonista del suo
romanzone “L’arte della gioia” (p, 349). Lo fa dire da Modesta alla sua amica\amante
Joyce, psicoanalista: “Joyce, tu lo scambi per un dio, lui che odiava anche la
filosofia. Il tuo Freud è un bravo vecchio medico stanco, malato da anni di
cancro alla bocca. Vogliamo per una volta tirarlo giù dal piedistallo e guardargli
questo cancro, e magari applicare a
lui
le sue teorie, come lui ha fatto con Michelangelo?”
Meloni – “Da mare”. Emmanuel
Carrère se ne sente attratto pericolosamente (“so che Meloni è considerata di
estrema destra, e che non bisogna parlarne bene”) nel suo lungo racconto-reportage
su Macron e sul vertice canadese del G 7 – al quale ha avuto il privilegio di
assistere in diretta, dalla “stanza accanto”. Un vertice che si riduce a un’ora
e mezza, e di cui a Carrère restano solo la brutalità di Trump. E Meloni.
Nota
Meloni favorevolmente già col premier giapponese, prima della sessione plenaria:
“Senza fare troppi sforzi per fingere interesse, Ishiba, il giapponese, ascoltava
Meloni, la presidente del Consiglio italiana, parlargli della passione di sua
figlia per i manga”. Ricorda che “non bisogna parlarne bene”, e taglia corto: “Diciamo
solo che questa piccola donna bionda si distingueva al G 7 per una sorta di
franchezza spigliata e un dress code che non faceva concessioni alla
grisaglia. In mezzo a tailleur austeri, il suo vestito blu cielo, leggerissimo,
ricordava quasi un abito da mare”.
Quando
le tocca di parlare, “ha tirato fuori dalla borsa due mappe mondo che ha
mostrato a Trump dicendo: «Guarda, Donald (il tu è incerto, ma l’ha chiamato
Donald), guarda: tutto questo, in blu, siamo noi vent’anni fa, quando eravamo
ancora i padroni. E questo, in rosso, è il commercio oggi, cioè innanzitutto la
Cina. Allora sarebbe meglio trovare un accordo tra di noi, i blu rispetto ai
rossi, perché la questione adesso non è tanto chi lasciamo entrare, ma evitare
di farci buttare fuori”.
Qui
fa seguire un ritratto dal vivo: “Conclusa la tirata, ha rigorosamente annuito,
approvandosi da sola, e siccome la trovavo sempre più simpatica mi sono posto
quest’altra domanda imbarazzante: se io non fossi francese, se la vedessi da
lontano, troverei simpatica anche Marine Le Pen? Una cosa che si può dire di
Meloni, in ogni caso, è che è la persona meno poker face, meno impenetrabile, che ci sia: quando qualcosa la diverte
scoppia a ridere, quando qualcosa la annoia alza gli occhi al cielo e sospira
rumorosamente”.
Moravia e il Gruppo 63 – “Gag da Buster
Keaton”, A.Arbasino, “Passeggiando tra i draghi addormentati”, 237-238).
Balestrini, Eco e gli altri avanguardisti delle lettere italiane Arbasino li
racconta spiati da Moravia quando si
organizzarono a Palermo. Moravia vi si era precipitato “a spiarne i
procedimenti, per timore di vedere messe in discussione le sue egemonie o
tirannidi e fingendo ogni giorno come nelle farse di trovarsi di lì per meri
casi di famiglia acquisita (la compagna Dacia Maraini, n.d.r). Nei luoghi
chiusi il pretesto era di essere venuto a Palermo per salutare qualche redattore
di Bompiani, invece che a Milano”.
Lo
spionaggio culminò a Segesta: Quando venne a sapere di una nostra gita a
Segesta, sospettò clamorosamente che si sarebbe tenuta una congiura…. E col suo
gruppetto pedinò le nostr macchine… Non dimenticherò mai il Gruppo 63 e il
gruppetto Moravia che salivano contemoporaneamente al tempio di Segesta per due
diversi sentieri: tenendosi d’occhio, fingendo di non vedersi, guardandosi
magari ‘in cagnesco’, e comunque fermandosi o ripartendo su e giù a secondo dei
movimenti degli altri. Gag da Buster Keaton”.
Proto – Era il correttore di bozze –
nei giornali e nell’editoria. Una professione che il digitale ha cancellato –
adesso c’è il correttore automatico. Ma la commemorazione (breve, l’unica)
dell’assassinio fascista di Giovanni Amendola un secolo fa, su “La Nazione”, a
opera di Umberto Sereni, ne è stata funestata. Poche righe, ma abbastanza per
declinare Scorza anche Sforza, un federale assassino confuso col ministro degli
Esteri del Regno d’Italia nel 1921, e poi della neonata Repubblica a lungo,
dopo essere stato il presidente della Consulta, nientemeno.
Russia – Un secolo fa
di gran moda, non per motivi politici, fra gli antifascisti per il richiamo del sovietismo: ha formato una
generazione, Goliarda Sapienza fa dire a un suo personaggio negli anni 1930, a proposito
dell’andazzo pauperistico: “Deve dipendere dalla grande diffusione ed
entusiasmo che ci fu dopo la guerra per la letteratura russa…. Le traduzioni
della Slavia passavano di mano in mano agli adolescenti come caramelle. Eh sì,
il romanticismo russo, e non solo dei minori, come Arcybasv, Kuprin, ma
Dostoevskij con le sue pure sante prostitute. E Tolstoj?”
Le
traduzioni erano e sono state a lungo un punto dolente, Ettore Lo Gatto ha
scritto molto in proposito – uno dei migliori traduttori era Tommaso Landolfi,
che non parlava il russo: ha condizionato più di una generazione, specie su
Puškin.
Selfie – “Sui cinque finalisti
dell’ultimo premio Strega, quattro parlano di sé, tramite vicende familiari più
o meno scontate”, Masolino D’Amico (“Il Venerdì di Repubblica”). Parlanlo di sé
nell’opera, non ai microfoni della manifestazione.
Sandro Viola – Corrado Augias
sul “Venerdì di Repubblica” (o è Giò Stajano nella “Roma capovolta” che si
ripubblica) attribuisce a Sandro Viola, tarantino di origine, come Stajano, la
notazione che diventerà l’incipit di una canzone famosa di Arbasino per Laura
Betti (e poi per Paolo Poli) sugli amori gay quando non se ne poteva parlare: “Credo
che ossigenarsi a Taranto sia stato il primo errore”. Detto a tavola, da
“Cesaretto”, Arbasino se ne impadroniva per la nota canzone gay “Seguendo la
flotta” – titolo mediato da un film del 1936, in chiave, allora, femminile:
“Ossigenarsi a Taranto\ è stato il primo errore\ l’ho fatto per amore\ di un
incrociatore\e sono finita\ su un rimorchaatore……
Teatro Colòn - A Buenos Aires
Arbasino naturalmente si ritrova dentro il famoso teatro, ma con meraviglia (“Passeggiando
tra i draghi addormentati”, 267): “Davvero stupendo: di forma e di Kitsch. Vastissimo.
Pastello-dorato-spento come la povera Fenice: e altrettanto «è solo
-atmosfera-non-guardate-i-dettagli”, etc. etc. E “un’acustica mirabile, malgrado
l’imponente ampiezza, i palchetti profondi
come appartamentini”. Si capisce l’attrattiva di B.Aires sui migliori maestri
e cantanti d’opera.
letterautore@antiit.eu
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