Fabbrica e sindacato, storia faceta in memoriam
Sindacalisti
persi, puri e duri, che boicottano il sindacato giallo, anche a costo di
rimetterci in qualifiche e gratifiche – e in turni facili. Finché, “una buccia
di banana via buccia di banana” via un’altra, il sindacato giallo scompare. “Ma
non ci sono prove che Traveylo (il padrone, n.d.r.) gli abbia fatto una combine
con Cgil Cisl e Uil”. Nasceranno i sindacati di base… E via così, con scrittura lieve, allusiva, significante
soprattutto in prospettiva storica, della storia nel suo svolgersi già vista o
sentita nella sua verità, che resta pregna e allettante. Anche se non racconta che
la vita senza storia dell’operaio in fabbrica – quando c’erano le fabbriche.
Un
racconto del 1987, del genere inaugurato trent’anni prima da Ottieri con
“Donnarumma all’assalto”, poi drammatizzato da Volponi in “Corporale”, visto
dall’operaio, quale Pennacchi è stato – o comunque si vuole - invece che dal
sociologo (Ottieri, Volponi), che si legge come conclusivo di fatto di un’epoca
– già la fabbrica cominciava a non essere più “centrale”.
Si
legge per le verve della scrittura,
anche se il tema è la vita quotidiana degli operai. La guerriglia sindacale
(contro il sindacato più che contro la proprietà), il lavoro di notte, la
ripetitività. Con piccole parentesi: il picchetto, l’occupazione stradale, l’occupazione
della centtrale nucleare di Latina, il secondo lavoro. Per finire la casa, per
comprarsi una macchina più grande – l’elenco
delle seconde occupazioni (negli anni in cui il sociologo del lavoro Luciano
Gallino lo scopriva) prende cinque pagine fitte.
Sempre
arguto più che drammatico – non come in Volponi. Un’antistoria, faceta e seria,
del lavoro in fabbrica – e del sindacato. Quando c’erano, ieri.
Antonio
Pennacchi, Mammut, “Il Sole 24 Ore”,
pp. 147 € 12,50
Mondadori,
remainders Ibs, € 8,50
Nessun commento:
Posta un commento