Letture - 586
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Belpaese – Nasce sarcastico?
È il parere di Cazzullo (ha scritto un libro anche su Dante?) nella posta del
“Corriere della sera”: “Dante definisce l’Italia «Belpaese», all’apparenza
rischiarando il cupo canto del conte Ugolnino, anche in senso sarcastico, come
a dire: bel Paese è quello che fa morire di fame un padre con i suoi quattro
figliuoli!”. C’è un Dante per tutto.
Berlusconi –“Se n’è andato
due anni fa in una città di cui non è mai stato veramente cittadino, essendo in
essenza più brianzolo, più romano, perfino più napoletano” - Michele Masneri, “Uomini,
miti e cose. Il decennio che sconvolse Milano” (“il Foglio”).
Classici – “I classici,
che mi hanno tenuto compagnia tutta la vita, sono fondativi e al contempo
antagonisti del presente: loro hanno il privilegio delle domande, noi l’onere
delle risposte”, Ivano Dionigi, con Antonio Gnoli su “Robinson”: “I classici
non avevano uno sguardo sereno sulla vita, che gli uomini chiamavano mortales”.
Né avevano una visione serena della morte: “Non l’Achille omerico, non
l’Antigone di Sofocle, non il Prometeo incatenato di Eschilo, non l’Ifigenia
di Euripide; lo stesso Aristofane
definisce la morte «il più insostenibile dei mali»”.
“Classico è ciò che ancora ha da essere”, ^Osip Mandel’stam.
Dizione
– “Con Ronconi recitavo per ore, finii in clinica
per la fatica”, Massimo Popolizio al “Correre della sera”- “e l’esercizio
costante di parlare dal diaframma, ogni sillaba doveva giungere all’ultimo gradino
del loggione”.
Lolita – “Esistono
almeno tre temi assolutamente tabù per quanto concerne la maggior parte degli
editori americani» scriveva Nabokov nella postfazione 1956 alla pubblicazione
di “Lolita” in Francia – il racconto è stato a lungo proibito negli Stati
Uniti. Uno è naturalmente la pedofilia, che però non dice. Continuando: “Gli
altri due sono: un matrimonio tra negro e bianca o negra e bianco che sia
completamente e luminosamente fortunato e dia luogo a un gran numero di figli e
di nipoti; e l’ateo completo che conduce un’esistenza serena ed utile, e muore
nel sonno all’età di centosei anni”.
Ninfetta è termine inglese secentesco, che Nabokov, entomologo e bookworm,
specie della sua nuova lingua, ha recuperato: nymphet, crisalide, poi traslato
in “ninfetta”, di giovanissima provocante
(il Battaglia non lo censisce, il Petit Robert lo data al 1611, ma evidentemente
sul dato inglese, no lo associa e nessun testo e rinvia a “circa il 1960”, cioè
a “Lolita”).
Thomas Mann -Goliarda Sapienza,
incerta sulla tenuta del suo lungo romanzo “L’arte della gioia”, “ammirava Thomas
Mann perché affidava alla segretaria la responsabilità di operare i tagli che
riteneva necessari” - Angelo Pellegrino, “Ritratto di Goliarda Sapienza”.
Maschilismo – “Non è solo la
donna a invidiare il pene, a sentirsi mutilata. Anche l’uomo ha una mutilazione”.
“E quale sarebbe? “Non può creare carnalmente una vita. È così che cerca di
dare vita a idee. Pensa a Pigmalione, a Zeus che supplisce alla sua mutilazione
ingravidandosi nella volta cranica, e portando in sé non un esserino nudo e informe,
ma uno splendido guerriero donna armato di scudo ed elmo. Questo perché l’uomo è
una madre esattamente come la donna” – Goliarda Sapienza, “L’arte della gioia”,
p. 353.
Moglie – Di Paola Gius,
moglie di Gianni Mura, che con lei ha tenuto per molti anni sul “Venerdì di
Repubblica” la rubrica gastronomica “mangia&bevi”, lui esperto di cucina,
lei (di nota famiglia trentina di ristoratori) dei vini, non si sa nulla. Nemmeno
la data di nascita. Nemmeno quella di morte, che pure sarebbe avvenuta pochi
mesi, o poche settimane, dopo quella del marito. Lo stesso lungo sommario dell’articolo
celebrativo di “la Repubblica” in morte di Gianni Mura, non menziona questa collaboratrice,
pure di successo.
Filippo Maria Pontani – Il grecista forse più famoso, se non altro per le tante pubblicazioni
adottabili al liceo, ha chiamato il figlio col suo stesso nome. Che però lo
scrive unito per distinguersene, celebra la madre in morte, Anna Meschini,
altra illustre grecista, e se gli capita critica le traduzioni famose del padre.
Da ultimo, marginalmente, come tipologia di traduttore (creativo) nella
recensione-stroncatura - un hapax da qualche anno - della nuova edizione
approntata per i classici Valla della “Elettra” di Euripide – sbertucciata
nell’originale, sull’autorità di Aristofane, e nella traduzione, la vecchia e
la nuova.
Romanzo – A disagio in
Italia negli anni 1970, lo dice Domenico Scarpa, nel saggio “Senza alternative
niente”, ricordando la formidabile promozione in Francia del romanzo di G.
Sapienza, “L’arte della gioia”. In Italia “non pubblicabile”, con un lugo articolo
di De Ceccaty su “Le Monde des Livres” il 16 settembre 2005: “Negli anni Settanta
il romanzo italiano si potrebbe definire un paradosso innestato su un ossimoro”.
Ceccatty aveva “posto una domanda pertinente: «Che cos’era l’Italia letteraria
nel 1976, quando Goliarda Sapienza conclude questo romanzo sbalorditivo. Un Paese
che provava disagio a guardarsi e a scegliere un linguaggio romanzesco”. E
ricorda le stroncature di Elsa Morante, “La Storia”, anche di Pasolini. O la negazione
della narratività (Manganelli). Nel mentre che si moltiplicano romanzi-romanzi:
Ortese (“Il porto di Toledo”), Arbasino (“Fratelli d’Italia”, continuamente riraccontato),
D ‘Arrigo (“Horcynus Orca”),Volponi (“Corporale”), il tardo Fenoglio (“Il partigiano
Johnny”). E naturalmente Sapienza. Ma tutte, osserva Scarpa, con l’ambizione
dell’“opera-mondo”.
Sartre – “Quel gesuita dalla
vena iniettata a rovescio che è Sartre!”, Goliarda Sapienza f a esclamare al
suo alter ego Modesta., “L’arte della gioia”, 475. Ricordando Sartre che
a Milano nel 1946, “credo, era estate, e si soffocava… disse che un po’ d’angoscia
non avrebbe fatto male contro il vostro trionfalismo (della Resistenza, n.d.r),
e s’è portato a sé tutti i giovani”.
letterautore@antiit.eu
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