Jolie alla Sergio Leone
Si comincia
con “Trinità”, si continua con (un po’ di) “C’era una vota l’America” – sergioleonniano
anche il dècor, da produzione a
basso costo: il paesaggio remoto è in Basilicata. Tre o quatro scene in tutto,
il resto è tutto in interni. E poi purtroppo, per un’ora, si continua con un colloquio
interminabile a due, tra la vittima, una bambina sfuggita al massacro ora
cresciuta, Selma Hayek, e il ragazzo della posse di assassini
rivoluzionari, che l’ha salvata.
L’ex
ragazzo, ora quasi vecchio, Dmiàan Bichir, è l’unico sopravvissuto della posse
assassina, gli altri sono stati uccisi, uno a uno. Ma lui non muore: alla
fine della interminabile confessione-abiura è invitato a uscire e accompagnarsi
alla vendicatrice. E qui il film finisce - almeno nella copia Sky, accorciata di
una decina di minuti sui tempi della scheda (nel racconto su cui il film si basa,
dice la scheda del libro, lei “invita uno stupito Tito in un albergo per fare l’amore,
ritrovandosi ad assumere la stessa posizione rannicchiata che tanti anni prima
l’aveva preservata dalla morte”).
Detto
così, è un film da poco. Ma questo è un problema del racconto dallo stesso
titolo su cui si basa, di Baricco. Che la regista ha ridotto e sceneggiato di
suo – la produzione è italiana, a basso costo. Un racconto del 2002, col quale
Baricco voleva fare tardivi conti col brigatismo, col delirio della “rivoluzione”.
E li faceva anche male, spersonalizzando la storia tra persone e luoghi senza
identità né personalità, una sorta di narrativa mondialistica - senza peraltro
farne un racconto filosofico, sulla violenza rivoluzionaria. E invece Jolie supera
questi handicap: i visi che ha scelto, i tempi, i colori, l’illuminazione,
gli stessi dialoghi tengono su un racconto credibile.
A cinquant’anni,
l’ex modella e diva sembra avere intrapreso una carriera alla Clint Eastwood,
con all’attivo già una mezza dozzina di film da regista.
Angelina
Jolie, Senza sangue, Sky Cinema, Now
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