A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (610)
Giuseppe Leuzzi
“«Non è
fatto ancora», aveva detto Becco d’Avvoltoio del popolo calabrese”, annota
lo scrittore austriaco Friedrich Werner van Oestéren nei suoi ricordi di
viaggio del 1908, “Povera Calabria”. Lo fa dire al vetturino, che chiama Becco
d’Avvoltoio, sempre alludendo al famoso “fatta l’Italia, bisogna fare gli
italiani” di D’Azeglio. Non è “fatto”, intende correttamente van Oestéren, nel
senso che non ha, non padroneggia, il “linguaggio” comune, il modo di essere,
di intendere, e di fare – l’idem sentire de republica.
Detto della
Calabria, ma vale per tutto il Sud – la “questione meridionale” c’è, eccome, e
non solo per il leghismo.
Nel
ritratto esilarante della nonna materna, “Mia nonna e il Conte”, Emanuele Trevi
fa un tributo alla madre,
che non nomina (Eleonora D’Agostino). Psicoterapeuta come il padre Mario. Non influente
come il padre, cui Trevi ha già dedicato un lungo racconto, “La casa del mago”,
né famosa:
“Una divinità tirrenica, appartenente al temibile, indomabile, antichissimo
ceppo calabrese: perspicace,
volubile, testarda, capace di leggerti un pensiero nella testa prima ancora che
tu stesso l’avessi
formulato”. La famosa “donna del Sud”, della letteratura veneto-lombarda.
“I dati sulla lettura non sono
confortanti”, fa notare Cristina Taglietti a Stefano Mauri, il pad di Gems, il
secondo gruppo editoriale italiano dopo Mondadori, sul “Corriere della sera”:
“Ci sono ampie aree di sottosviluppo”, è la risposta, “soprattutto al Sud.
Fatalmente abbassano gli indici di lettura, che al Nord sono invece in linea
con gli altri Paesi europei”. Ci sono due Italie anche nella lettura.
Al voto per
la Regione Campania una sfilza di figli si candidano al consiglio: De Luca
(indirettamente), Mastella, Casillo, Cesaro, Manfredi, Fiola, Demitry,
Mensorio. Tutti impegnati a sostegno del candidato vincente, Fico. Che si dice
di sinistra, ma di sicuro è 5 Stelle, come dire l’anti-politica,
l’anti-affarismo, l’anti-nepotismo, l’anti. Si direbbe anti-conformismo,
salutare. E invece è una forma di
dipendenza – “la” dipendenza micidiale: lo svuotamento della politica.
Savinio,
“Capri”, 23, nota sul più grande degli scogli li Galli le rovine di un castello
medievale, inteso a
impedire che “i pirati musulmani impiantassero in quel luogo una specie di
Fraxinetum marittimo”.
Frascineto – oggi borgo arberëshe in Calabria, nome derivato dai frassini che alberavano
l’antica concessione, il Casale del Duca – era l’insediamento musulmano in
Provenza, di corsari del
regno di Granada, che dominò la costa ligure e le Alpi tra l’887 e il 972.
Facendo la
storia delle Crociate come prima manifestazione del deprecato eurocentrismo si trascura che
si fecero in reazione alle devastazioni dell’Oriente cristiano, e a secoli di scorrerie arabe impunite e durature,
anche di molti decenni, in Sicilia, in Puglia (emirati di Bari e Taranto), in
Calabria (emirati di Tropea, Santa Severina, Amantea).
La donna cucuzza –
o la matriarca del Sud
La “donna del Sud”, dunque,
oltre che vestirsi di nero, è matriarca. Perlomeno lo è stata, ma non in tempi
remoti. La fa matriarca Nadia Terranova nel suo ultimo romanzo, “Corta è la
memoria del cuore”, per come se ne legge sul “Foglio”. Un racconto che partirebbe
“dai silenzi cupi della sicilianissima matriarca Teresa”. Non dell’Ottocento,
la matriarca si laureava negli anni Cinquanta – si laureava in legge, a
Messina, dove col severissimo rettore Pugliatti a Messina in Legge si
laureavano in pochi. Insomma, è la nonna di Terranova. Che Terranova dice
“colta e intelligente”, secondo ne scrive “il Foglio”, ma dall’“occhio
pesante”, cioè predisposto al peggio, premonitore, scrutatore, antevisionario
di sciagure.
Nella sintesi che Maria Pia
Farinella fa sul quotidiano: “Si farà consegnare dal marito tutto ciò che
guadagna per amministrarlo lei. E farà pesare su tutta la famiglia la sua
fatica, il fardello di crescere i figli. Un ricatto morale che è un modo molto
siciliano di esercitare il potere. Alzando il prezzo per poter esercitare
ancora più potere. Una recriminazione continua in cui l’onnivora patriarca si
fa vittima. Per non pagare mai dazio”.
“Falla come vuoi sempre è
cucuzza”, diceva il genitore, rigido sui cibi portati in tavola ma a cui la
“cucuzza” non piaceva in nessun modo.
Ma c’è di più: Farinella esuma
a supporto di Terranova un’intervista di Sciascia a Franca Leosini, per
“L’Espresso”, nel 1974, in cui così risponde al quesito perché non aveva
personaggi femminili nei suoi racconti, se non di sbieco: “La ragione profonda”,
risposta, “era l’avversione per la società matriarcale. Ho visto sempre che le
donne hanno comandato, e hanno comandato sempre annientando l’uomo”. L’uomo?
“In fondo questa virilità siciliana si riduce a ben poco. Brancati l’ha messo
in luce”. Un matriarcato malefico: “È lei, la donna, a consigliare la viltà, la
prudenza, l’opportunismo, l’interesse particolare”.
Peggio, aggiunge Farinella, già capo redattore Rai a Palermo: “Nel lungo video che ho realizzato alla Rai
Sciascia afferma….: «Mi conforta il fatto che uno scrittore straniero, un
osservatore perspicace della realtà siciliana come Dominique Fernandez, abbia
visto anche la mafia collegata a questo impero della donna»”.
Da non credere. Sempre per épater
le bourgeois, scandalizzare i benpensanti? Sciascia non ne aveva bisogno.
Ma è vero che “visse sempre”, nota Farinella, “circondato da donne…. Sei donne
nella stessa casa con Leonardo Sciascia”, moglie, figlie e zie. E che la moglie, si può aggiungere, Maria, insegnante, buona cuoca, ospitando Marcelle Padovani, che col marito scriveva una lunga intervista, cucinò un ottimo pranzo, si schermì col dorso della mano dai complimenti che la ospite si apprestava a tributarle, e non disse verbo per tutto il pasto.
Se l’uzbeko è meglio del cubano
Sui medici
cubani in Calabria paginate, da anni, quasi ogni girono. Sugli infermieri
uzbeki a Milano e
Monza niente, solo il commediografo Massini artiglia la “non notizia” – in una breve riflessione, su un
settimanale letterario,
“Robinson”. Sui medici
cubani in corsia in Calabria una campagna di denigrazione triennale contro il
presidente della
Regione Calabria Occhiuto che ce li ha messi, in mancanza d’altro – prendendosi
la gestione della
sanità regionale, dopo che per un dodicennio era servita a laute pensioni
aggiuntive a cosiddetti “commissari,
prefetti in pensione e generali. E da ultimo una inchiesta giudiziaria scandalistica
della Procura renziana della Repubblica di Cosenza.
“Lombardia,
un progetto di formazione” è invece il titolo pudico (ipocrita) con cui si
comunica l’assunzione di 100 infermieri dell’Uzbekistan. Avanguardia di altre
centinaia - ma non si può dire: per ora sono soltanto “in formazione”. Da uno
dei tanti paesi, cioè, in cui deve operare Medici senza Frontiere – per
debellare la tubercolosi, che da alcuni decenni ha un ritorno in Asia centrale,
fino al Pakistan.
Occhiuto,
del resto, non rivoluzionava. L’Emilia-Romagna, p.es., regione insospettabile e
non criticabile,
impiega personale sanitario asiatico e latinoamericano da almeno un trentennio
– dopo avere
provato incentivare il personale formato al Sud con affitti bloccati e perfino
gratuiti. Ma in Calabria
no, niente funziona, figuriamoci i cubani – al calabrese non si dà da bere. La
questione meridionale
è bene anche una questione dei meridionali.
Singolare
anche la ricezione del “messaggio” della cosa, che la cosa suscita. L’artefice
delle due chiamate
straniere, in Calabria e in Lombardia, è lo stesso, Bertolaso, la ricezione è diversa.
Scandalizzata – “aristocratica”, passatista - in Calabria, la cui sanità
peraltro quotidianamente
ci si diletta a immiserire, mentre in Lombardia, lì sì che ci sanno fare.
Questa
puzza al naso delle pezze al culo farebbe una bella farsa, se non fosse un
dramma.
Cronache della differenza: Aspromonte
“Nessuno può
permettersi una vacanza a via Aspromonte”, intima il protagonista di Antonio Pennacchi,
“Mammut”, p. 116, il sindacalista Benassa, nel mentre che aizza i compagni di lavoro a
“occupare” la centrale nucleare di Latina – a via Aspromonte “dove c’è il
carcere giudiziario”,
spiega l’autore. La montagna forse più simpatica, alberata, luminosa, aperta da
tutti i lati sul mare,
sempre legata a morte e lutto. Anche a Latina.
Lo scrittore austriaco
Friedrich Werner van Oestéren, che vi fece lunga randonnée a
dorso di mulo – mentre la
guida gli trotterellava accanto a piedi, per risparmiare sulla tariffa – “meravigliato”
lo trova “un altopiano completamente piatto, delimitato in lontananza dai margini di un bosco”
non “aspro” come si aspettava – come direbbe il nome. È solo arrivato ai Piani d’Aspromonte
in realtà, luogo privilegiato di colture, allora come oggi, malgrado
l’abbandono delle campagne,
di ortaggi e varietà pregiate di grano. Un terrazzato aperto sul mare:
“L’Aspromonte non era dunque
una catena di montagne, ma un grande altopiano!”. Ma non c’era più ignoranza
allora di oggi.
Il bosco è quello dove Garibaldi “fu ferito a una gamba”. Il ricordo di
fatta di laterizi
disposti a strati in modo grossolano”. Sarà succeduto
da altri monumenti grossolani
e come sinistri, specie quello odierno –
forse legati a sordità massoniche?
Garibaldi
van Oestéren trova affidato a “una lapide commemorativa fatta di laterizi grossolani disposti a strati in modo grossolano". Sarà succeduto da altri monumenti grossolani e come sinistri, specie quello odierno (che nessuno infatti ora più visita) - forse legati a simbologie massoniche?
Van Oestéren trova il suo
Aspromonte anche “incolto, spoglio”, ma
non si rende conto che è nella stagione
morta. È partito da
Sant’Eufemia alle quattro del mattino tra contadini e
contadine che lo
affiancavano a piedi nella lunga salita – “gente armata di
pala e
accetta”, in realtà di zappa e accetta.
Allora
e fino al dopoguerra, agli anni 1960, si saliva alla Montagna per sentieri, oggi
si va per nugoli di strade, ogni piccolo paese ne ha una sua.
Poi
il viaggiatore – in foto un aristocratico austriaco primissimo Novecento,
allora trentaquattrenne, molto azzimato, viaggiatore in solitario – incontra,
come si incontra oggi, l’abetaia, “una vera, magnifica abetaia formata da abeti
rossi, che si levavano imponenti verso il cielo! Dai rami emanava un profumo
delizioso, un forte e gradevole odore di resina”. Con proprietà terapeutiche:
popolate di “casetta di legno… con le pareti di abete rosso e un tetto di
tegole” (costruzioni stagionali, smontabili, in uso fino a qualche decennio fa),
dove “gente affetta da malattie polmonari veniva per curarsi e temprarsi all’aria
di montagna”.
E
poi i faggi: “Dopo una leggera salita cominciava il regno del faggio, un regno
molto esteso che giungeva sino alla cima del Montalto. Secco, e luminoso. Oggetto,
allora come oggi, di frequente disboscamento – c’è sempre una “industria
boschiva”. “Che questo albero stupendo cresca così bene da queste parti” lo gratifica
della interminabile lenta ascesa. Allora come oggi, “ogni tanto un cuculo,
senza mai stancarsi faceva risuonare il suo grido” – “per il resto solo un
grande silenzio”.
“L’acqua
in Alvaro”, lo scrittore dell’Aspromonte, “è l’elemento primario, vitale,
sacrale, liminare. Tra vita e morte, diluvio e fonte di memoria e di vita” -
Vito Teti, “La lunga notte di Alvaro”, in “Corriere della Calabria”, 8 giugno
2025: “Già nel libretto giovanile su Polsi sono dominanti la dimensione del
mangiare insieme, dell’acqua come purificazione, del pellegrino come errante
che cerca acqua fresca, verità e senso”.
Nello
stesso volumetto Alvaro riprende la leggenda dell’“Acqua della prena”,
della donna incinta (“prena” in dialetto), che si riposò a metà dell’erta tra
Polsi e Puntone della Croce, pregando la “Madonna affinché le facesse trovare
un po’ d’acqua per dissetarsi, e la sorgente zampillò.
Van
Oestéren, anche lui, non resiste al richiamo dell’acqua di sorgente dell’Aspromonte,
e nella faticosa ascesa al Montalto a dorso di mulo annota: “Quando un
ruscelletto” si accostò al margine del sentiero, il mulattiere-guida pedestre “si
piegò e bevve con tanto gusto”“ che anche il viaggiatore illustre se ne sente
attratto, e si fa riempire la tazza che porta alla cintura per le emergenze: “L’acqua
ghiacciata, purissima, era rinfrescante e ristorava magnificamente. Bevvi fino
all’ultima goccia”.
leuzzi@antiit.eu
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