astolfo
Giulio Cogni – Poeta senese tra
le due guerre, razzista, poi dimenticato. Alain Elkann lo resuscita in “Il
silenzio di Pound”, p. 37. Dicendolo amico di Olga Rudge, la compagna di Pound
che a Siena “dirige l’Accademia Chigiana”. Lo resuscita tramite un “amico” di
Londra, Luke, rimasto vedovo, di 95 anni e a rischio depressione, un ebreo polacco
che si era convertito al cattolicesimo, sentitamente e non per opportunismo, che
era andato a trovare Olga Rudge a Siena: “Mi ha voluto presentare un suo
giovane amico, un poeta, Giulio Cogni. Cogni era uno piccolo di statura e
sapevo che era fascista e aveva scritto un libro sulla razza”.
Un’incongruità:
Luke, l’amico dello scrittore, è andato a Siena negli anni 1970-1980, quando
Olga Rudge non lavorava più all’Accademia Chigiana – di cui non era stata
direttrice, all’Accademia si era segnalata proponendo e realizzando la riscoperta
di Vivaldi, negli anni 1930.
Cogni è vissuto
fino al 1983, musicologo e autore prolifico di pubblicazioni esoteriche. Insegnava
Estetica e Psicologia al Conservatorio Cherubini di Firenze. Da giovane aveva
insegnato Filosofia al liceo classico di Perugia, e all’Istituto
italo-germanico di cultura ad Amburgo. Vantava di essere stato “il primo e il
più coerente” ricercatore impegnato a “introdurre l’approccio biologico
razzista nel pensiero e nella scienza italiani”, col volume “Saggio sull’Amore
come nuovo principio d’immortalità” – dedicato a Giovanni Gentile. Cui fece
seguire “Il razzismo” e “I valori della stirpe italiana”. All’Indice da parte
della Chiesa, deriso dagli studiosi liberali, De Ruggiero e Calogero, collaborò
per qualche tempo con Gentile. Ma presto anche Mussolini e l’arcirazzista
Telesio Interlandi lo tennero lontano. Da qui la conversione alla musicologia.
Maria Giudice – Oggi confinata
al ruolo di madre – peraltro assente – di Goliarda Sapienza nelle biografie
della scrittrice, fu militante socialista di primo piano, e poi comunista, molto
attiva nei primi decenni del Novecento. Goliarda infante era affidata alle cure
del fratellastro Ivanhoe, uno slavista, che “la allattava personalmente col latte
in polvere che facevano venire dalla Svizzera non avendone più Maria Giudice”,
dopo innumerevoli parti e una vita avventurosa. Giornalista, sindacalista e
attivista politica, contro la guerra e contro il matrimonio, benché abbia
vissuto con un solo uomo, un secondo dopo il primo, e abbia fatto molti figli.
Il padre di Goliarda,
catanese, attivo a Catania, era un avvocato penalista, già vedovo con tre figli
quando si unì a Maria Giudice, più altri figli naturali (legittimati). Un uomo
di molto interessi, compreso il teatro greco, e attento ai figli – ai quali imponeva
l’apprendimento dei mestieri manuali, dalla lavorazione del legno alle acciughe
sott’olio. Senza essere eccentrico: era molto quotato come avvocato difensore.
Maria Giudice è bene inquadrata da Angelo Pellegrino, nel lungo “Ritratto di
Goliarda Sapienza” ora in appendice a “L’arte della gioia”: “Portava dall’Italia
del nord in Sicilia l’eco delle grandi lotte socialiste degli inizi del secolo e
dell’estrema resistenza al dilagare del fascismo. Era stata in esilio in
Svizzera, dove aveva conosciuto l’élite rivoluzionaria internazionale. A Torino
era stata la prima donna a dirigere la Camera del Lavoro”. No, anche prima
aveva diretto la Camera del Lavoro, a Voghera e a Borgo San Donnino. In Svizzera
si era esiliata per evitare il carcere, dopo una condanna per sovversivismo,
dal quale era provvisoriamente esentata perché incinta. Aveva da poco avviato
una “libera unione” con Carlo Civardi, nella quale nacquero sette figli.
A Torino, può
continuare Pellegrino, Maria Giudice “diresse anche “Il Grido del
popolo”, dove aveva come redattore Antonio Gramsci, e nel 1917, in piena
guerra, organizzò la rivolta delle operaie dell’industria bellica, procurandosi
una dura condanna e una carcerazione che s’interruppe solo grazie all’amnistia
concessa dal governo in seguito alla vittoria. Fu poi inviata in Sicilia in
missione sindacale segreta. Condannata dal regime fascista al soggiorno
obbligato a Catania, poté lasciare la città soltanto dopo vent’anni, per accompagnare
Goliarda ancora minorenne a Roma nel 1941, quando, dopo aver vinto la borsa di
studio, fece il suo ingresso all’Accademia d’Arte Drammatica per diventare attrice”.
Una madre comunque ingombrante, continua Pellegrino, per la figlia scrittrice: “La
nobile figura di rivoluzionaria della madre la caricò di doveri ideali e morali
che aggravarono buona parte della sua vita, anche per l’amore e l’ammirazione
incondizionati che Goliarda le portò sempre, nonostante il poco affetto da lei
ricevuto, che mai Goliarda le rimproverò. La sapeva una donna dedita a una
causa ideale che non consentiva un amore borghese verso i propri figli, e
questo la stessa Maria Giudice glielo ricordava spesso. A lei che aveva per la
madre anche un forte trasporto fisico, carnale, che però veniva tormentato e
frustrato dalla sua apparente freddezza caratteriale”. Pellegrino parla di
Maria Giudice per sentito dire, da Goliarda, dato che Maria morì nel 1953 e Pellegrino
divenne il compagno di Goliarda una ventina di anni dopo. Il mancato rapporto
con la madre “le causò una sorta di buco nero affettivo che si portò dietro per
buona parte della vita e contro il quale si sforzò di combattere con tutte le
sue forze…. Il complesso bisogno di affetto che la segnava però non la lasciò
mai, la sua stessa affettività era quasi canina, poteva in teoria affezionarsi
a chiunque. Più che l’amore, che in fondo temeva, cercava di più gli affetti,
che era sempre pronta a ricevere”.
Anche nel “confino”
catanese Maria Giudice si mantenne attiva politicamente. Sempre a proposito della
figlia Goliarda, secondo Pellegrino: “Dalla madre apprese la letteratura
politica e filosofica socialista, pre e post marxismo”. E ad essa “riferì buona
parte del suo femminismo”. E la “libertà religiosa”: “La madre le fornì le basi
della libertà religiosa invitandola a conoscere i principali credi”. Del padre,
ultimo prolifico compagno di Maria Giudice, Goliarda evocava lo spirito in fine
“giornata di scrittura”: “Aiuto, papà Peppino, aiuto! Unico conoscitore di
anime assassine, e no!”. L’arte della cucina invece sosteneva di avere “ereditato
dalla madre” – “la rivoluzionaria Maria Giudice che esule in Svizzera aveva
spesso a cena, oltre alla sua cara amica Angelica Balabanoff, anche Lenin e
Mussolini, che pare fossero appassionatissimi dei suoi manicaretti”.
Claire Goll – Nota come moglie
del poeta Yvan Goll, e ancora di più per avere orchestrato una campagna denigratoria
contro Paul Celan, il maggior poeta di lingua tedesca del dopoguerra, che
accusava di plagio – probabilmente causandone il suicidio.
Era Clara
Aischmann, nata a Norimberga, nel 1890. Sposa a 21 anni, nel 1911, a Lipsia, allora
capitale europea dell’editoria, con l’editore svizzero Heinrich Studer. Col
quale ebbe una figlia, Dorothea Elisabeth. Cinque anni dopo lasciava Lipsia e Studer,
nel pieno della guerra, per trasferirsi a Ginevra, per studiare all’università,
partecipare al movimento pacifista, e avviare una carriera indipendente, come
giornalista. Nel 1917, mentre divorziava
da Studer, incontrò incontrò il letterato e poeta “Yvan Goll”, nato Isaac Lang,
un francese naturalizzato tedesco, col quale si fidanzò. Un anno dopo ebbe una relazione
anche con Rilke – col quale sarebbe rimasta in corrispondenza – ma senza abbandonare
Goll. Ed esordiva con una raccolta di poesia, anche lei, e una di racconti. Con
Yvan Goll si erano stabiliti in Ascona. Nel 1919 si spostò con Goll a Parigi, e
nel 1921 se lo sposò. Continuò nei primi anni Venti a pubblicare poesia, in francese,
come scrittrice e poetessa franco-tedesca. E insieme con Yvan una “Canzone d’amore
condivisa” in tedesco, “Wechselgesang der
Liebe“.
Entrambi ebrei,
Claire e Yvan Goll nel 1939 ripararono a New York. Nel 1947 tornarono a Parigi.
Nel 1950 Yvan moriva. Claire vivrà fino al 1977. Un’esistenza segnata da una guerra
feroce contro
Celan, il massimo
peta di lingua tedesca del dopoguerra. Nonché, prima e dopo la morte di Yvan, da
un’intensa vita sociale, amica, spiega nelle sue memorie, “Cercando di
afferrare il vento” (un repertorio di celebrità, esattamente 53), del tout
Paris, come usava allora dire: Malraux, Léger, Cendrars, Chagall, Robert
Delaunay, Joyce, Rilke naturalmente, Picasso, Dalí, Einstein, Jung, Artaud,
Brancusi, Henry Miller – nonché Majakovskij, di passaggio a Parigi – sono solo alcuni
dei nomi dell’elenco.
Dario Borso la
esecra e la celebra sul “Robinson”, da traduttore e cultore di Paul Celan, cui
la Goll rese la vita durissima, nonché della stessa Goll, delle memorie “Cercando
di afferrare il vento”. Una guerra durata vent’anni, fino alla sua morte, nel
1977, sette anni ancora dopo il suicidio di Celan.
Dopo morte del marito,
Claire Goll si era resa celebre accusando “l’amico” Celan di avere letteralmente
copiatole poesie del defunto. La cosa si dimostra non vera a tutti gli esami comparatii.
Ma Celan, colpito da depressione, il 20 aprile del 1970 si buttava nella Senna.
Nelle memorie pubblicate
in vita, “Cercando di afferrare il vento”, a oltre 80 anni accusò Celan di molestie
sessuali a suo danno. Richiesta del perché non avesse denunciato le molestie
prima, se non altro nella vicenda del plagio, “si giustificò dicendo”, spiega Borso,
“di non averlo denunciato prima a causa di un giuramento sulla memoria sacra
del marito. Giuramento tra lei e lo stesso Celan…. Aggiunse che ora voleva
«smascherare pubblicamente Celan». E lo trattò alla stregua di un giuda che
aveva tradito il suo maestro, cioè Yvan Goll. Si spinse a dire che entrambi si
suicidarono – uno impiccandosi, l’altro gettandosi nella Senna - per uno
spaventoso senso di colpa”. Oltre che “terribile”, Borso la dice “anche
terribilmente bella e terribilmente intelligente. Era ebrea come Celan. La
schiera dei suoi amanti è una lista impressionante di nomi prestigiosi”. E li
elenca: “Joyce, Rilke, Malraux, Picasso, Chagall, Dalì, Einstein, Jung, Henry
Miller”. Pur precisando: “Non con tutti andò a letto”. Anche perché l’erotismo
non le interessava: “Nelle sue memorie confessò che il primo orgasmo lo aveva
provato a 76 anni!”. Soprattutto, si direbbe, amava odiare: “In un’intervista rilasciata
prima di morire fece notare che tutte le persone che le avevano fatto del male
erano crepate. In particolare ne citò tre: sua madre, l’editore Kurt Wolff e
Paul Celan.
La lista dei “suoi
amanti” la fa anche una mitomane, oltre che una perversa cattiva.
astolfo@antiit.eu
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