“L’Italia
dei borghi a rischio”, scopre “Il Sole 24 Ore”: “In 10 anni persi 700 mila
abitanti”, per effetto dello spopolamento. No, la demografia non si dispiega in
dieci anni, ha tempo lunghi. Lo spopolamento è effetto delle “seconde case” di
famiglia abbandonate, di cui i tanti emigrati che ne mantenevano la titolarità
per affetto familiare si sono disfatti dopo le leggi Monti sulle “seconde
case”: Imu, Tari, acqua (consumi minimi), elettricità (la sola connessione
costa 400 euro l’anno).
Al
novantenne Giannelli, una vita al Monte dei Paschi, direttore dell’Ufficio
Legale e poi della Fondazione, non piace “questa fumosa ops su Mediobanca”. Ma
la vignetta viene confinata al “Corriere fiorentino,”, il supplemento locale –
in prima si deve inventare i dazi di Trump sui cocomeri. Non disturbare il
manovratore, l’editore del “Corriere” è un democratico inflessibile.
Unicredit
è in sospetto in Germania perché ha “in pancia” troppi Bot – gli odiati Bot, bisognerebbe
per statuto non venderli ai tedeschi. E in Italia che fa? Aumenta l’esposizione,
e la dettaglia nella trimestrale. Sono comunicazioni d’obbligo, ma con un forte
sospetto di beffa: la banca che il ministro Giorgetti dice la meno affidabile,
di proprietà straniera, è la più esposta su Bot e Btp.
È
chiaro che si scherza. Ma sulle banche? E Giorgetti, oltre che il leghista non
fa il ministro del Tesoro? E il golden
power, che è affare serio, delicato, perché farne ludibrio?
Urbano
Cairo presenta sul “Corriere della sera” il palinsesto di “La 7”: tutti nomi, e
trasmissioni, Pd – non di sinistra, proprio di partito, Pd: Saviano, Gramellini, Bianchi “Zoro”, Augias,
Formigli, Gruber, Floris, Gratteri (Gratteri?), Parenzo. Ma fa da sponda al
passaggio di mezza banca milanese, Bpm e Mediobanca, sotto la Lega. Mai una
perplessità sul suo giornale, il “Corriere della sera”, la Polizzi anzi
addetta a illustrare l’ops dei poveracci, e venerdì anzi una pagina di
pubblicità Bpm anti-ops Unicredit. Facendo
finta di nulla: “Mediobanca ha il 6 per cento di Rcs? Prendono ottimi dividendi…”
In
parallelo, l’editore Cairo mette in cascina anche un paio di pagine di
pubblicità di Bpm contro Unicredit. Pubblicità benedetta, commerciale, ben
pagata. Ma anche l’occhietto furbo al leghista
Giorgetti. Senza mai rilevare (una volta i giornalisti erano
indipendenti dalla proprietà, ora non
più) l’insolenza dello stesso, che il golden
power, strumento delicato a protezione dell’economia nazionale, ha imposto
contro Unicredit nel caso Bpm, nel mentre che dello stesso Bpm ha sollecitato e
realizzato il passaggio sotto il controllo francese. Per fare fronte con la Le
Pen?
Mediobanca
di oggi non è il centro di potere di Cuccia (Montedison, Pirelli, Generali,
Gemina, Sme, Fondiaria, Falck. Fiat….). Ha quote solo di Generali – e di Rcs. Si
può capire la fuga degli azionisti milanesi, meglio sbarazzarsene, le
plusvalenze sono grosse, piuttosto che passare azionisti di una semifallita
banca senese: Mediolanum (i figli Berlusconi), Gavio, Acutis, Monge, Pittini.
Milano non ha principi.
Curiosissimo
affare, questa ops Mps su Mediobanca-Generali, in cui il meno compra il più, a
un prezzo da saldo, micragnoso, sprezzante, in un’operazione politica, e
nemmeno un’ironia sui giornali, un sospetto, anche solo un epicedio sic transit gloria mundi, quelle cose. E
il famoso “allarme in piazza Affari”? C’è anche “Il Sole 24 Ore” a Milano,
oltre a Cairo, “Milano Finanza” (olo ha un sospetto di 'rischio per il sistema'), una serqua di testate online, e niente. Non
sanno più leggere?
Mediobanca
è forte nel wealth management – è
forse il gestore più importante per la clientela più danarosa. È strano che passi
di mano senza allarmi a una banca di pedigree
povero, di clientela medio-piccola, in un’operazione palesemente politica,
a nessun costo – azioni Mps…., e pure
poche. Tra gli eredi Del Vecchio il sospetto comincia a circolare – non hanno
mai lavorato, ma ai soldi ovviamente ci tengono. Caltagirone lo dicono
incontrollabile in famiglia, in fase di seconda o terza giovinezza. Ma “Milano”?
Non
si dice dell’intervento del Massimario della Cassazione sui decreti Sicurezza e
Albania che ha tracimato dalle competenze. Che sono elencate una per una. E sono
la sintesi con spiegazione delle sentenze, “e solo molto limitatamente, e solo
a scopo di segnalazione, delle novità legislative”. Lo dice solo Cassese, il
decano dei giuristi italiani, di autorevolezza indiscussa. Ma può dirlo solo nel
foro ridotto dei “QN”, non sul “Corriere della sera”, o sul “Sole”, di cui è
“una colonna”.
Un’attività,
spiega, la “massimazione”, o “sintesi del contenuto prescrittivo delle sentenze”,
che è “apprezzata da coloro che non leggono le sentenze e molto criticata dagli
osservatori stranieri dei nostri usi giurisprudenziali”.
Si
capisce però che Cassese non abbia spazio nei grandi giornali: senza “scontro per
la giustizia” come si riempie il giornale? Cassese è infatti molto critico su
questi scontri: “Quello che viene chiamato scontro sulla giustizia deriva da un
ristretto numero di magistrati militanti, che, grazie all’organizzazione
correntizia, si sono trasformati in una sorta di agitatori permanenti”. Per
dimenticare “il problema fondamentale della giustizia in Italia, che è quello del
grande ritardo, della scarsa produttività e dell’altissimo numero di procedimenti
pendenti”.
È
l’America di Trump che sblocca la costruzione della centrale nucleare ungherese
di Paks, a opera della russa Rosatom. Perché il premier ungherese Orban è di
destra, come Trump? Può darsi (ma non funziona così in America: la politica
estera è un fatto serio). Ma non è questo il fatto. Il fatto è che l’America
c’è sempre negli affari europei, anche se solo Meloni sembra capirlo – e il
laburista Starmer.
Il
placet americano alla Russia in
Ungheria, nel settore sensibilissimo del nucleare, è arrivato mentre l’Europa
si sbracciava nella diciassettesima o diciottesima infornata di sanzioni contro
la Russia. Senza nessun senso del ridicolo.
Un
milione di immigrati regolarizzati in cinque ani, 952 mila per l’esattezza, da
un governo di destra, Meloni. Di cui forse si sottostima la capacità di governo.
Le opposizioni lasciando alle ong e ai loro minitraffici umani, d’accordo con
le mafie attive (e feroci) in Libia e in Tunisia, e ai giudici carrieristi – non
gli basta nulla, anche se già in Cassazione, cioè al top della retribuzione: un
Tribunale, una Procura, un posto al Senato?
Papa
Francesco “andò a Lampedusa dopo il naufragio del 2013 dicendo che dovevamo
accogliere i migranti. Piccolo particolare: non era lui che se ne faceva carico
ma lo Stato italiano. E anzi: il Vaticano ha promulgato una legge severissima sulla immigrazioni dentro il suo
Stato” - Giuseppe Cruciani, “La Zanzara”, che pubblica ora un raccolta di “Ipocrisie”.
Intervista
scontata di Natalino Irti, giurista novantenne, sul “Robinson”: “Il diritto è
vuoto” – “non più legato a vincoli, né di sacralità religiosa né di tradizione profana”.
E non aggiunge “di coscienza”. Che è invece il vero problema, oggi. Non si
abiura, in Italia, in Europa,anche negli Stati Uniti, dall’uso dirompente della
giustizia politica, della giustizia come arma, politica, di parte, personale
del giudice. Altro che progressismo, altro che rivoluzione, è la barbarie. A
opera per lo più di incapaci, e perfino – Mani Pulite – di ladroni.
Un
capitale politico speso, fra Trump e gli ayatollah, per “liberarla” e poi
Cecilia Sala su X inneggia alla libertà in Iran, questa era da vedere: che a
Teheran le donne girano immuni senza velo, che in Iran ci sono molti più “rave”
che in Italia (che vorrà dire?), e che le impiccagioni non sono più di tre al
giorno. È una buona media? Che fosse in Iran non per “il Foglio”, per cui non
ha scritto, ma per un rave – con
l’oppio, gli ayatollah non l’avevano proibito?
Aveva
l’aria scocciata (“che mi tocca fare”) Bezos nella kermesse veneziana, in posa per una, due, tre “uscite” giornaliere,
da dare in pasto ai social. Prima
lui, poi lei, in campo ristretto ma ogni volta in acconciature e outfit diversi, e col triplice saluto urbi et orbi,7 manina al centro, poi a
destra e poi a sinistra. Una promozione per la vendita in contemporanea di 3,3
milioni di titoli Amazon – la prima di una serie, per 25 milioni di azioni - a
premio del 9 per cento rispetto all’ultima vendita, a novembre, e del 12 per cento
sulla quotazione annua, per un ricavo di
737 milioni di dollari (di cui 60 “donati” ai fini fiscali). Una vendita
che “val bene una messa”, a Venezia poi.
Questa
era sfuggita. A Gibuti sul mar Rosso, alla sezione elettorale del posto forse
meno attraente dell’Africa, l’affluenza per i referendum del 7-8 giugno è stata
del 102,41 per cento - con 39 schede invalidate. Da 15 anni è una base interforze,
per fare che non si sa (a parte maturare l’indennità sede disagiata), ma ospita
mediamente, tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, un centinaio di persone.
Ha votato anche chi non ci aveva diritto – non avendo altro da fare, certo? Ma,
e lo 0,45?
Curioso
libro “da banco”, da lettura. Tanto più per essere ben anteriore al Nobel,
quando Ernaux era solo la scrittrice de “Gli anni”. Raccoglie appunti, notazioni,
idee, piani, abbandoni, riprese, mutazioni di idee o progetti di narrazioni. Un
“laboratorio nascosto” o segreto. Anno dopo anno, dal 1982 al 2015. Anche molti
appunti, le pagine sono dense. Che forse potevano servire a un lavoro
filologico sulla scrittrice, sui suoi modi e i suoi progetti di scrittura.
Non
una metodologia, o un modo di fare, di produrre, di scrivere. Una sorta di
raccolta di “varianti”, che, si vede, attraggono solo se poche e brevi, per un
verso, una sintassi, una parola, come curiosità. La raccolta confonde – si
direbbe, ma non si può giurarlo, che non accende la curiosità mai.
Annie
Ernaux, L’atelier noir, L’Imaginaire Gallimard, pp. 76 € 10