Il Carnevale di Irène, tra cinema a madre (“odiosa”)
Il racconto del titolo, quello analogo, “La
sinfonia dI Parigi”, e il “Natale”, le tre storie più importanti, storie d’amore,
sono pensate per il cinema – “trattamentoni”. Le altre pure, ma meno articolate:
suggestioni, atmosphere, scenette. Non scritte, buttate giù - “soggetti”. A un
certo punto, mentre contemporaneamente si avviava a scrivere i romanzi e i racconti
meglio riusciti, Irène puntava sul cinema, come mezzo espressivo più rapido e
più proficuo. S’inventa quindi personaggi, soprattutto ragazze, e situazioni che
avrebbero dovuto farla ricca con poco. Il tocco c’è sempre, ma sono prose pr lo
più svagate.
Quelle iniziali, le quattro storie di “Nonoche”,
danno il tono della raccolta: Nonoche e l’amica Louloute sono due ragazze
svagate e un po’ tonte, ma simpatiche come i diminutivi vogliono dire, all’avventura
in città, in cerca di un uomo ricco - ruoli comici. C’è una festa di fine anno,
di ragazze ricche e sbracate, in casa, con la mamma attempata, per strada, nei
bar, invidiate dalle prostitute. E molte scene, frammenti, più che racconti. “La
Njanja”, la tata russa, da anni attende una forte nevicata su Parigi. Un’altra
tata bussa alla porta di una coppia che si veste litigando per il cenone di Natale
per ricordare i bambini, che “vi aspettano da ore per appendere le calze al
camino”.
I racconti di Nonoche, in forma
di “dialoghi comici” con l’amica Louloute, altrettanto sgallettata, furono
pubblicati sulle riviste satiriche “Fantasio” e “Le rire”. I “Nonoche”, brevi
dialoghi tutto pepe, sono cinque. I quattro qui pubblicati sono di Irène
diciottenne, quando, approdata infine a Parigi attraverso mille peripezie dalla
Russia rivoluzionaria, frequentò per un periodo la Sorbona: “Dalla
chiaroveggente”, “Al Louvre”, “In villeggiatura”, “Al cinema”. È una vena
comica ignota ai critici. E anche ai biografi, Philipponnat e Lienhardt. Una
lievità che dà una luce nuova alla sua opera, e anche alla tragedia personale,
nella guerra e l’antisemitismo. Nonoche è un personaggio alla Colette, senza il
sussiego. Con qualcosa in anticipo su dadaismo e surrealismo, e molto in
anticipo su Queneau e Boris Vian.
In appendice una prosa diversa. Un racconto
mai scritto, anche se molto pensato, “I giardini di Tauride”, su un tema più
nelle corde della scrittrice, l’’emigrazione, l’ebraismo. Un progetto del 1934,
mentre scriveva “Il vino della solitudine”. Un testo che, più per la storia, si
legge per le note dell’autrice su se stessa, le riflessioni sui personaggi, i
caratteri, le espressioni che le si impongono.
Usando come titolo una di queste riflessioni,
“Forse un amante sarebbe di troppo?”, Teresa Lussone, che ha lunga
dimestichezza con l’eredità Némirovski e ha curato la raccolta, la spiega in
appendice. Irtène se lo chiede a proposito della “madre-tipo” di cui ha deciso
di scrivere (“non appena trovo una madre odiosa, acida, detestabile, sto subito meglio!”): “Forse, in un libro breve, un amante sarebbe di troppo?” – non graverà
la madre, nei tanti racconti “odiosi” che ne farà, di un amante.
Irène Némirovsky, Il Carnevale di Nizza
e altri racconti, Adelphi, pp. 310 € 19
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