sabato 12 luglio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (598)

Giuseppe Leuzzi
 
Invitato da Sofri a “fare il nome” di chi a suo tempo lo convinse della sua colpevolezza nell’assassinio Calabresi, l’ex giudice Violante dice e non dice - fa capire che glielo ha detto uno intimo di Sofri e di cui lui stesso si fidava o si fida. A 53 anni di distanza. Da ex presidente dell’Antimafia, e luminare antimafia in tutte le scuole d’Itala, a predicare e spiegare il suo “Mafia e antimafia” – e i tanti altri a seguire. L’ex giudice ha mediato il linguaggio mafioso – e lo sa anche?
 
Salgono nella stima a Nord i politici eletti direttamente, sindaci e presidenti di regione, gli amministratori.  Scendono, fino anche a dimezzarsi nel consenso, quelli del Sud: presidenti di regione (Puglia, Basilicata….), i sindaci (Palermo, Trapani…) - e anche Gualtieri, il sindaco della Roma pure spendacciona, la Roma del giubileo. Otto dei primi dieci sindaci sono del Nord, sette degli ultimi dieci sono al Sud. Bilanci magri, domanda sociale sempre più vasta e invasiva. È l a trappola del Sud – con l’ecezione forse solo di Bari e della Puglia. Ma è anche il senso – e la capacità - dell’amministrazione.
 
Alcune cronache antimafia, p.es. l’inchiesta sull’insabbiamento dell’indagine di Falcone e poi di Borsellino su “mafia e appalti”, non interessano i giornali più sensibili all’antimafia, “la Repubblica” e il “Corriere della sera”. C’è un’antimafia di sinistra – quella che sbocca nei due giornali – e una di destra.
 
La questione meridionale in breve
Girando per il Chiapas e il Guatemala  nel 1997 (“Passeggiando tra i draghi addormentati”, 37-38) Arbasino ha un sobbalzo, da sperimentato social scientist, e lumeggia in dettaglio la “questione del Mezzogiorno” – in breve ma c’è tutto: “Furono i tormentoni del dopoguerra e del Mezzogiorno, poi superati dalle importazioni in container dei prodotti dell’agricoltura industriale – Ravenna docet. E dopo neanche mezza generazione i ‘cafoni’ che si sono spartite le terre del ‘barone’ passano all’impiego statale clientelare, alle ‘aspettative’ e ‘prospettive’  di provvidenze e pensioni e ‘inziative occupazionali’ a pioggia, all’illusione di una Ruhr paleo-Krupp con gli altiforni al posto degli uliveti nell’età dell’informatica, ai raggiri sui rimborsi della Comunità europea, al controllo mafioso sulle strutture interminabili, alla distruzione edilizia dei litorali con prospettive turistiche di tipo greco o tunisino di massa”.
 
Tanti tori, senza padri
Continua a restare sconosciuta la fine dei Micenei, attorno al 1.100 a.C, ma anche gran parte della loro storia, soprattutto “all’estero”: la prima colonizzazone del Mediterraneo, di cui pure tanti segni  restano evidenti, nelle costruzioni ciclopiche, e soprattutto nel mito del toro, come da tanta toponomastica residua nel Sud Italia – e forse nel Sud della Francia (e perché no in Spagna, da Bilbao a Siviglia), nello sport e nella danza, anche se non più rituale.
Papakostas, l’influencer rinomato dell’archeologia greca, se ne lava anche un po’ le mani nel suo abc della materia, “Omero in ascensore”: non sappiamo cosa fecero, fuori di Creta, e non sappiamo come e perché scomparvero intorno alla fine del secolo XIImo a.C.. Non per colpa dei Dori, si affretta a spiegare non richiesto, anche se senza argomenti – i Dori sono il ceppo germanico, faranno la nobiltà anche della Grecia, e comunque guai a metterglisi contro. Anche se, in parallelo con la loro discesa, “iniziarono i secoli bui”  – di cui nulla verrà detto, poiché nulla ne è rimasto, non hanno piantato un chiodo.
Che non ce ne siano tracce non è vero – dei Micenei. Dove si cercano si trovano. E anche casualmente, per esempio in alcuni scavi a Trebisacce, nell’Alto Jonio cosentino: monete, monili, cimeli. I Micenei sono finiti col terremoto di Santorini? O non piuttosto sotto i colpi dei Dori, il “popolo del Nord”, che si vuole avvolto nel mistero – allora non c’erano i “barbari”. Solo che subentrano, per caso, per miracolo, tre-quattro secoli di niente dopo tanto ingegno e attivismo, a Creta e in mezzo Mediterraneo. Non solo non si costruiscono più palazzi tipo Cnosso, né mura tipo Micene, niente si fa, nemmeno una catenina a tempo perso, un flauto, di corno, una moneta per quanto bruta, di ferrovecchio, un token - come oggi quelli cripto, sulle blockchain.
Non solo in Grecia, più in generale pesa sul Mediterraneo, sul Sud Europa, l’invasione dei Dori, di cui nulla si sa – nemmeno in ipotesi: come se si volesse non sapere. Erano nomadi, certo, e non costruivano. Ma ci sono moltissime testimonianza degli unni, i nomadi per eccellenza. E poi, mangiavano con le mani? Sulle frasche? Strappavano la cane, non la tagliavano? Non dormivano, non figliavano, non si sotterravano? Ma anche se si bruciavano qualcosa sarebbe rimasto. O si lasciavao seccare alle imtemperie. E pensare che proprio i nomadi amano gli oggetti, se asportabili, di più se preziosi. Non vogliamo sapere chi erano? O lo sappiamo, qualcosa si dice, si ammette, ma non ci piace indagare? L’omertà è così antica?
 
Qua si campa d’aria
Peppe Smorto s’inttrattiene con Daniele Castrizio, due reggini, su “l’Altravoce – Reggio Calabria”, della disattenzione o i
gnoranza locale del proprio patrimonio archeologico. “Mi faccia dire che spiegare la Calabria sempre e solo con la ‘ndrangheta è francamente scoraggiante”, dice Smorto, una vita a “Repubblica”, cacciatrice di ‘ndranghete. “Le assicuro che a Reggio ci si innamora”, gli ribatte l’interlocutore, “e c’è gente che scrive delle buone poesie”. 
Però, anche i Bronzi pesano. Non in sé, così aerei benché forti, ma c’è chi li vuole di Pesaro, chi di  Puglia, chi di Siracusa – “e c’è sempre uno ‘ndraghetista che se li è caricati sulle spalle”. Altrimenti come arrivavano a Reggio.

Beh sì, “qua si campa d’aria”, come cantava Profazio. Non ci resta che ridere - il cazzeggio, 'a zannella.
 
Cronache della differenza: Napoli
“Festeggia 2.500 anni con il titolo di capitale della cultura d’impresa”, può titolare Francesco Palmieri sul “Foglio”. Che non è una sorpresa, si sa che è la città più industriosa - oltre che “metropolitana” - d’Italia, per ingegneria e per tutto quel sommerso, che richiede capacità imprenditoriali e manageriali decuplicate. Ma con dati anche sostanziosi: il pil pro capite cittadino (poco meno di 31 mila euro) è superiore alla media nazionale – il pil certificato, senza il nero. In un ambiente economico sempre più vivave: nel triennio 2022-204 la crescita è stata “quasi il doppio delle regioni centro-settentrionali”.
 
Una
realtà “contro il cliché gomorresco”, titola il giornale. Ma, poi, il “tasso di occupazine” è il 41 per cento. Niente – il tasso ufficiale, con l’Inps e il tfr. Lavorano quattro napoletani su dieci – il napolatano è sfaticato, si sa.

 
“La pizza migliore del mondo? Si mangia a NewYork” . “la Repubblica”. Come se fosse americana e non napoletana. Come tutto ciò che di buono – nuovo – si mangia a New YorK: le crudités, zucchina, carota, sedano, l’accia sulla pizza e l’oregano fresco – gli aromi, le erbe, le piante. Sono napoletani che hanno insegnato ai britannici, fino a Inverness, e agli americani, fino a Vancouver, le verdure e le piante aromatiche. Come lo hanno fatto a Milano negli anni 1960 – Milano bolliva e basta, le verdure fino all’insapore, e non sapeva fare le insalate.
 
Non farebbe bene a inventarsi un Popov cittadino – questo le manca, fra tanti personaggi d’inventiva, magari solo o anche al presepe? Quello che al tempo dell’Urss si era “inventato” tutto. Commercialmente potrebbe non rendere, ma qualche soddisfazione se ne potrebbe ricavare, invece dello Sfaticato, che (più) non si trova.
 
Saviano celebra amaro sul Corriere della sera” lo scudetto del Napoli: “Tutti i napoletani in diaspora e in città hanno rancore per la propria città”, afferma entrando in tema - dopo il ricordo commosso del padre, che per lui bambino con la squadra ci passava il tempo. È vero, c’è una diaspora, specie quella di “Milano” (editoria, pubblicità, tv), in lite perpetua con la città.
 
Saviano va oltre – sempre a “celebrazione” dello scudetto: la città è “difficile, incasinata, piena di miseria e imbroglio, niente che funziona mai”. Era “Napoli gentile”, anche “Napoli nobilissima”, benché gravata, anche allora, da lazzari, circumvesuviani e casertani. L’emigrazione, specie quella intellettuale, è una brutta bestia.
 
Ma poi, sempre Saviano, aggiunge. “Ogni volta che il Napoli vince, soprattutto con squadre del Nord,  sento come un riscatto”. Proprio lui, che è “Saviano” grazie al Nord, al tradimento di Napoli con “Gomorra”, e le successive puntate, tanto gradite al Nord. Eh sì, Napoli era e resta uno “ghiommero”.
 
Il Napoli Calcio vincente è prima di tutto opera imprenditoriale e manageriale. La passione conta, ma poco – si veda l’As Roma, che ha lo stadio più grande, 63-65 mila spettatori, e sempre pieno, anche con l’Avellino, e non vince mai.
 
Prima Caivano, poi l’America’s Cup – e magari ripuliscono anche Bagnoli. O Berlusconi che al tempo liberò la città dai rifiuti in pochi giorni – e poi anche dalle costossissime ecoballe. Napoli si può dire ben governata da destra – anche se a distanza. Cose solide, niente a che vedere col “Rinascimento” del Pci-Pds-Ds che deindustrializzò la città – per l’“economia dei camerieri” che faceva disperare lo sconsolato, e vero compagno, Mariano D’Antonio. Ma vota sempre a sinistra. Si direbbe una città della speranza, indefettibile.


leuzzi@antiit.eu

Nessun commento:

Posta un commento