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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (598)
Giuseppe Leuzzi
Invitato da Sofri a “fare il
nome” di chi a suo tempo lo convinse della sua colpevolezza nell’assassinio
Calabresi, l’ex giudice Violante dice e non dice - fa capire che glielo ha
detto uno intimo di Sofri e di cui lui stesso si fidava o si fida. A 53 anni di distanza. Da ex presidente dell’Antimafia, e luminare antimafia in tutte le
scuole d’Itala, a predicare e spiegare il suo “Mafia e antimafia” – e i tanti
altri a seguire. L’ex giudice ha mediato il linguaggio mafioso – e lo sa anche?
Salgono nella stima a Nord i
politici eletti direttamente, sindaci e presidenti di regione, gli
amministratori. Scendono, fino anche a
dimezzarsi nel consenso, quelli del Sud: presidenti di regione (Puglia,
Basilicata….), i sindaci (Palermo, Trapani…) - e anche Gualtieri, il sindaco
della Roma pure spendacciona, la Roma del giubileo. Otto dei primi dieci sindaci
sono del Nord, sette degli ultimi dieci sono al Sud. Bilanci magri, domanda
sociale sempre più vasta e invasiva. È l a trappola del Sud – con l’ecezione
forse solo di Bari e della Puglia. Ma è anche il senso – e la capacità -
dell’amministrazione.
Alcune cronache antimafia,
p.es. l’inchiesta sull’insabbiamento dell’indagine di Falcone e poi di
Borsellino su “mafia e appalti”, non interessano i giornali più sensibili
all’antimafia, “la Repubblica” e il “Corriere della sera”. C’è un’antimafia di
sinistra – quella che sbocca nei due giornali – e una di destra.
La questione meridionale in breve
Girando per il Chiapas e il
Guatemala nel 1997 (“Passeggiando tra i
draghi addormentati”, 37-38) Arbasino ha un sobbalzo, da sperimentato social scientist, e lumeggia in dettaglio
la “questione del Mezzogiorno” – in breve ma c’è tutto: “Furono i tormentoni
del dopoguerra e del Mezzogiorno, poi superati dalle importazioni in container
dei prodotti dell’agricoltura industriale – Ravenna docet. E dopo neanche mezza generazione i ‘cafoni’ che si sono spartite
le terre del ‘barone’ passano all’impiego statale clientelare, alle
‘aspettative’ e ‘prospettive’ di
provvidenze e pensioni e ‘inziative occupazionali’ a pioggia, all’illusione di
una Ruhr paleo-Krupp con gli altiforni al posto degli uliveti nell’età dell’informatica,
ai raggiri sui rimborsi della Comunità europea, al controllo mafioso sulle
strutture interminabili, alla distruzione edilizia dei litorali con prospettive
turistiche di tipo greco o tunisino di massa”.
Tanti tori,
senza padri
Continua
a restare sconosciuta la fine dei Micenei, attorno al 1.100 a.C, ma anche gran
parte della loro storia, soprattutto “all’estero”: la prima colonizzazone del
Mediterraneo, di cui pure tanti segni restano evidenti, nelle costruzioni
ciclopiche, e soprattutto nel mito del toro, come da tanta toponomastica residua
nel Sud Italia – e forse nel Sud della Francia (e perché no in Spagna, da
Bilbao a Siviglia), nello sport e nella danza, anche se non più rituale.
Papakostas,
l’influencer rinomato dell’archeologia greca, se ne lava anche un po’ le mani nel suo abc della materia, “Omero in ascensore”: non sappiamo cosa fecero, fuori
di Creta, e non sappiamo come e perché scomparvero intorno alla fine del
secolo XIImo a.C.. Non per colpa dei Dori, si affretta a spiegare non richiesto,
anche se senza argomenti – i Dori sono il ceppo germanico, faranno la nobiltà
anche della Grecia, e comunque guai a metterglisi contro. Anche se, in
parallelo con la loro discesa, “iniziarono i secoli bui” – di cui nulla verrà detto, poiché nulla ne è
rimasto, non hanno piantato un chiodo.
Che
non ce ne siano tracce non è vero – dei Micenei. Dove si cercano si trovano. E
anche casualmente, per esempio in alcuni scavi a Trebisacce, nell’Alto Jonio cosentino:
monete, monili, cimeli. I Micenei sono finiti col terremoto di Santorini? O non
piuttosto sotto i colpi dei Dori, il “popolo del Nord”, che si vuole avvolto
nel mistero – allora non c’erano i “barbari”. Solo che subentrano, per caso,
per miracolo, tre-quattro secoli di niente dopo tanto ingegno e attivismo, a
Creta e in mezzo Mediterraneo. Non solo non si costruiscono più palazzi tipo
Cnosso, né mura tipo Micene, niente si fa, nemmeno una catenina a tempo perso,
un flauto, di corno, una moneta per quanto bruta, di ferrovecchio, un token -
come oggi quelli cripto, sulle blockchain.
Non
solo in Grecia, più in generale pesa sul Mediterraneo, sul Sud Europa,
l’invasione dei Dori, di cui nulla si sa – nemmeno in ipotesi: come se si
volesse non sapere. Erano nomadi, certo, e non costruivano. Ma ci sono
moltissime testimonianza degli unni, i nomadi per eccellenza. E poi, mangiavano
con le mani? Sulle frasche? Strappavano la cane, non la tagliavano? Non dormivano,
non figliavano, non si sotterravano? Ma anche se si bruciavano qualcosa sarebbe
rimasto. O si lasciavao seccare alle imtemperie. E pensare che proprio i
nomadi amano gli oggetti, se asportabili, di più se preziosi. Non vogliamo
sapere chi erano? O lo sappiamo, qualcosa si dice, si ammette, ma non ci piace indagare?
L’omertà è così antica?
Qua si campa
d’aria
Peppe Smorto s’inttrattiene
con Daniele Castrizio, due reggini, su “l’Altravoce – Reggio Calabria”, della
disattenzione o ignoranza locale del proprio patrimonio archeologico. “Mi
faccia dire che spiegare la Calabria sempre e solo con la ‘ndrangheta è
francamente scoraggiante”, dice Smorto, una vita a “Repubblica”, cacciatrice di
‘ndranghete. “Le assicuro che a Reggio ci si innamora”, gli ribatte
l’interlocutore, “e c’è gente che scrive delle buone poesie”. Però, anche i Bronzi pesano.
Non in sé, così aerei benché forti, ma c’è chi li vuole di Pesaro, chi di Puglia, chi di Siracusa – “e c’è sempre uno
‘ndraghetista che se li è caricati sulle spalle”. Altrimenti come arrivavano a
Reggio.
Beh sì, “qua si campa
d’aria”, come cantava Profazio. Non ci resta che ridere - il cazzeggio, 'a zannella.
Cronache della
differenza: Napoli
“Festeggia
2.500 anni con il titolo di capitale della cultura d’impresa”, può titolare
Francesco Palmieri sul “Foglio”. Che non è una sorpresa, si sa che è la città
più industriosa - oltre che “metropolitana” - d’Italia, per ingegneria e per
tutto quel sommerso, che richiede capacità imprenditoriali e manageriali
decuplicate. Ma con dati anche sostanziosi: il pil pro capite cittadino (poco
meno di 31 mila euro) è superiore alla media nazionale – il pil certificato,
senza il nero. In un ambiente economico sempre più vivave: nel triennio
2022-204 la crescita è stata “quasi il doppio delle regioni centro-settentrionali”.
Una
realtà “contro il cliché gomorresco”, titola il giornale. Ma, poi, il “tasso di
occupazine” è il 41 per cento. Niente – il tasso ufficiale, con l’Inps e il
tfr. Lavorano quattro napoletani su dieci – il napolatano è sfaticato, si sa.
“La pizza migliore del mondo? Si mangia a NewYork” .
“la Repubblica”. Come se fosse americana e non napoletana. Come tutto ciò che di
buono – nuovo – si mangia a New YorK: le crudités,
zucchina, carota, sedano, l’accia sulla pizza e l’oregano fresco – gli aromi, le erbe, le piante. Sono napoletani che
hanno insegnato ai britannici, fino a Inverness, e agli americani, fino a Vancouver,
le verdure e le piante aromatiche. Come lo hanno fatto a Milano negli anni 1960
– Milano bolliva e basta, le verdure fino all’insapore, e non sapeva fare le insalate.
Non farebbe bene a inventarsi un Popov cittadino –
questo le manca, fra tanti personaggi d’inventiva, magari solo o anche al
presepe? Quello che al tempo dell’Urss si era “inventato” tutto. Commercialmente
potrebbe non rendere, ma qualche soddisfazione se ne potrebbe ricavare, invece
dello Sfaticato, che (più) non si trova.
Saviano celebra amaro sul Corriere della sera” lo
scudetto del Napoli: “Tutti i napoletani in diaspora e in città hanno rancore
per la propria città”, afferma entrando in tema - dopo il ricordo commosso del
padre, che per lui bambino con la squadra ci passava il tempo. È vero, c’è una
diaspora, specie quella di “Milano” (editoria, pubblicità, tv), in lite
perpetua con la città.
Saviano va oltre – sempre a “celebrazione” dello
scudetto: la città è “difficile, incasinata, piena di miseria e imbroglio,
niente che funziona mai”. Era “Napoli gentile”, anche “Napoli nobilissima”,
benché gravata, anche allora, da lazzari, circumvesuviani e casertani.
L’emigrazione, specie quella intellettuale, è una brutta bestia.
Ma poi, sempre Saviano, aggiunge. “Ogni volta che il
Napoli vince, soprattutto con squadre del Nord,
sento come un riscatto”. Proprio lui, che è “Saviano” grazie al Nord, al
tradimento di Napoli con “Gomorra”, e le successive puntate, tanto gradite al
Nord. Eh sì, Napoli era e resta uno “ghiommero”.
Il Napoli Calcio vincente è prima di tutto opera
imprenditoriale e manageriale. La passione conta, ma poco – si veda l’As Roma,
che ha lo stadio più grande, 63-65 mila spettatori, e sempre pieno, anche con
l’Avellino, e non vince mai.
Prima
Caivano, poi l’America’s Cup – e magari ripuliscono anche Bagnoli. O Berlusconi
che al tempo liberò la città dai rifiuti in pochi giorni – e poi anche dalle costossissime
ecoballe. Napoli si può dire ben governata da destra – anche se a distanza.
Cose solide, niente a che vedere col “Rinascimento” del Pci-Pds-Ds che
deindustrializzò la città – per l’“economia dei camerieri” che faceva disperare
lo sconsolato, e vero compagno, Mariano D’Antonio. Ma vota sempre a sinistra. Si direbbe una città della speranza, indefettibile.
leuzzi@antiit.eu
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