astolfo
Gertrude
Bell
– La mostra in corso a Roma, all’Accademia Americana al Gianicolo, “Women&Ruins: Archeology, Photography, and
Landscape”, la dice “la grande esploratrice inglese”. Ancora famosa nel
Medio Oriente, il suo terreno di caccia, dapprima con T.E.Lawrence poi contro
di lui, come “la madre dell’Iraq” nella Grande Guerra, ebbe a Roma una pausa
colta, a suo modo anche avventurosa, ai suoi quarant’anni, già viaggiatrice un paio di volte in giro per il mondo, a
Istanbul, in Persia, in Siria, nel Quarto Vuoto del deserto saudita, e sulle
cime delle Alpi, con lo zio diplomatico
o con gli amici, e con carovane da lei organizzate e gestite. In qualità di fotografa
documentaria di archeologia, dapprima per caso, in circostanze involontarie
(“ho fatto male a lasciare a casa gli apparecchi fotografici”, scrive in occasione
del primo viaggio, “devo farmeli prestare”), poi quasi professionale.
Fu
a Roma a due riprese dal 1910. Lasciando una copiosa documentazione fotografica
delle rovine prima della “sistemazione”. Specie del Foro Romano, dove contava
sulla protezione di Giacomo Boni, che ne dirigeva gli scavi. Parte, la dice la
mostra al Gianicolo, di un gruppo di donne, le archeologhe Van Deman, Blake e
Pasolini Ponti, e le sorelle Bulwer, che s’incaricarono di documentare
fotograficamente gli scavi e i ritrovamenti prima della risistemazione
urbanistica. Parte “di una élite intellettuale e sociale che consentiva loro di
viaggiare facilmente e di muoversi negli ambienti accademici”. A Roma le learned societies, gli ambienti intellettuali, “ruotavano attorno a
personaggi come Thomas Ashby, Giacomo Boni e Rodolfo Lanciani”, cioè gli archeologi
in titolo. Gertrude Bell (ricca e figlia di baronetto ma nessuna parentela con
i Bell di Virginia Woolf, n.d.r.) non fu seconda in questa crema intellettuale,
dice la mostra. Tenne anche lezioni di archeologia, “insieme con Ashby, Boni e
Richard Delbrück” – benché sportiva, come si mostra anche a Roma in qualche
posa, di profilo, su fondo agreste.
In guerra cercò la sua strada nella diplomazia, e fu
addetta presto al Medio Oriente, per l’esperienza maturate a Istanbul, presso
lo zio ambasciatore, e poi in proprio, ventenne, in Persia – a cavallo, esperta
di farsì – e in Siria. A studiare fondamentalmente come portare dalla propria
parte il nazionalismo arabo – e cioè le tribù - contro il sovrastante impero
ottomano. Con successo. Gertrude Bell non ha la fama di T.E.Lawrence – non ha
avuto un “creatore” analogo, il giornalista Lowell Thomas, che a “Lawrence
d’Arabia” costruì una vita da eroe vivente, e lo propagandò in tutto il mondo.
Ma con lui ha condiviso l’Ufficio arabo al Cairo dal 1915 in poi, per indurre
gli arabi alla guerra contro i turchi. La mente vera della sollevazione araba,
1915-1917, e di Londra nel mondo arabo dopo la fine della guerra, che a
differenza di Lawrence seppe portare sulla scena internazionale. In un percorso
meno eroicizzante ma solido e di senso politico - che sarebbe stato molto più
produttivo di quello che poi è stato se fosse stato seguito ovunque alla
dissoluzione dell’impero ottomano.
Lawrence non protesse e non difese a Versailles il
principe Feisal, al seguito del quale aveva fatto la cavalcata liberatoria in
Siria: la Siria fu passata alla Francia, Feisal fu lasciato solo in albergo,
con la sola assistenza di Gertrude Bell, che invece ne farà il re, eletto,
dell’Iraq, il primo Stato arabo indipendente, uno appositamente costruito per
abituare gli arabi alla concezione dello Stato e all’indipendenza, gli arabi
dell’area più tribale – insieme a quella libica.
“Le
tribù della Mesopotamia”, uno dei suoi contributi per il manuale
“The Arabs in Mesopotamia”, a uso dei funzionari inglesi, sulle tribù irachene,
all’ingrosso e al dettaglio, fa testo ancora oggi - è quello che ci manca per
la Libia di oggi. Per l’Iraq anche dopo la guerra a Saddam Hussein.
Dettagliato, tribù per tribù, fattuale, realistico e acuto, come tutti i suoi
scritti, preciso nei riferimenti, tutti veritieri e non inventati -
come T.E.Lawrence ha voluto dire di molti suoi scritti. Ancora oggi valido per
l’Iraq, nella professione sunnita o sciita dei vari gruppi tribali. “I Sabei”,
altro capitolo del manuale, è altrettanto valido e utile. Ma, soprattutto,
sull’un tema e sull’altro, le tribù e i Sabei, nulla si sa oggi, un secolo
dopo, più di quanto sapeva Gertrude, anzi non se ne sa nulla. Non in Europa,
non nell’“Occidente”.
Altro contributo suo che ancora fa testo, dopo un
secolo e molte guerre, è la “Review of the civil administration of
Mesopotamia”. Come l’Iraq fu ricostruito dopo la liberazione dai turchi nel
1917. Quello che non è stato fatto, nemmeno tentato, in Iraq dopo
l’abbattimento di Saddam Hussein – o in Libia dopo Gheddafi: ricostruzione
materiale, ricostituzione dell’amministrazione, eliminando la corruzione
endemica, quindi con un guadagno, del fisco, della sanità, della scuola, delle
forze di sicurezza, creazione di uno Stato unitario. Proprio così: in pochi
mesi, ascoltando a facendo valere le intenzioni di tutte le tribù, una per una,
un referendum vero, per una creazione nuova per loro, uno Stato. Con un re a
capo – un re straniero, eletto: un miracolo. Nel mezzo
avendo superato un jihad, anti-britannico, anti-europeo, in
tutto l’Iraq. Nel 1919 la produzione era quattro volte quella sotto
amministrazione ottomana prima della guerra, le entrate fiscali dieci volte.
Si dice Gertrude Bell perché è stata un personaggio
eccezionale. Ma era la Gran Bretagna allora ad avere un occhio coloniale
moderno: aperto, costruttivo, conciliatorio (la storia del colonialismo non è
univoca, andrà rifatta). Era ancora il tempo in cui l’imperialismo poteva
essere liberatore. Contro
il jihad del 1920 nel futuro Iraq Londra – cioè Churchill,
ministro delle Colonie - mandò a Baghdad un paleo colonialista, A.T.Wilson, che
con le maniere forti stroncò il fenomeno. Ma già a fine anno lo sostituiva col
vecchio governatore Percy Cox, di cui Gertrude Belle era aiuto e mentore. E in
pochi mesi si ebbe un regno, costituzionale, con un parlamento e un governo.
(continua)
Ciriaco d’Ancona – Il primo
archeologo. Ciriaco Pizzicolli di nome, di una famiglia di mercanti, che si dedicò
a girare il mondo per cercare “reperti antichi”, il divulgatore di archeologia
Theòdoros Papakostas, “Omero in ascensore”, lo dice il primo ricercatore
esperto di antichità. Nato in Ancona nel 1391, morirà a Cremona nel 1452.
“Viaggiatore, antiquario e umanista” lo dice la Treccani, appassionato di
antichità, tanto “da eleggere a suo protettore Mercurio, e da rivolgere a lui, partendo
da Delo, una preghiera in latino”.
Fu
in viaggio, con al famiglia, fin da bambino, a quattro anni. Dal 1412 al 1414
viaggiò in Dalmazia, nell’Egeo e in Egitto, non a scopi commerciali. Dieci ani
dopo girovagò per l’Italia. Vent’anni dopo fu ancora nelle isole egee e a Costantinopoli.
Nel 1433 sarà chiamato per chiara fama a fare da guida all’imperatore Sigismondo
in visita a Roma. È in Oriente ancora tra il 1435 e il 1438, in Dalmazia
(Illiria, Epiro), Grecia, le Piramidi, poi di nuovo Atene, e per la prima volta
il Peloponneso. Riparte per l’Oriente nel 1443, per un anno, e ancora nel
1447-1448, un anno dedicato al Peloponneso. È il riferimento maggiore, con le
sue notazioni e i cataloghi, dei reperti greci prima dell’invasione turca.
Madame Des Houlières – Antoinette du Ligier de la Garde (1634/1638-1694), frequentatrice dei salotti del Marais, familiare di Madame de Scudéry e Madame de Sévigné, legata a Corneille, dotta in latino, italiano e castigliano, detta ”la Decima Musa”, e “la Calliope francese”, fu autrice apprezzata di idilli. Presto più nota in Russia, dove gli idilli ebbero successo un secolo dopo, a fine Settecento, che in Francia. A lei, lamenta Dostoevskij nel saggio “Russia”, del 1860, e ad Andrée Chénier (oggi ricordato solo per l’opera di Cilea, n.d.r.), i francesi fanno risalire l’opera di Puškin – “che forse, non si sa, l’ha pure letta”.
Carofiglio, “L’orizzonte della notte”,147, lo
ricorda: “Un genio. Ha scritto un testo di oltre mille pagine in cui descrive
con precisione cosa accadeva nella sua mente quando faceva matematica…. Tra l’altro
ammetteva di non essere in grado di leggere nessun testo sula materia, anche
semplice, finché non riusciva a crearsi le giuste immagini mentali. E
riconosceva la sua incapacità di seguire le conferenze tecniche perché andavano
sempre troppo veloci per lui. Spiega poi che, per tutta la vita, ha dovuto affrontare
la sensazione di non capire nulla di quanto studiava… Parliamo di uno dei più
grandi geni matematici del secolo scorso, forse della storia”.
Nessun commento:
Posta un commento