Liberi tutti ai referendum
Si sa che al voto
politico decide il 5 per cento. Il cosiddetto
“voto di opinione”, così si chiamava quando c’era ancora un’opinione pubblica,
prima dei social, che si formava nella campagna elettorale. Il grosso degli
elettori vota per orientamenti radicati, a destra, da moderato a estremista,
come a sinistra, da moderato a estremista, e sono due schieramenti che numericamente
si valgono: decide il voto sciolto, di opinione. Un volume di voti he un tempo,
quando la partecipazione era al 75 per cento, si calcolava sui 2 milioni e
mezzo di elettori. E oggi, col voto al 50 per cento, potrebbe essersi ridotta a
un milione e mezzo.
Nei referendum il
voto è invece inverso: sia in quelli che non attraggono che in quelli a partecipazione
stratosferica, gli spostamenti possono essere larghi. Il referendum sul divorzio nel 1974 ha visto
una partecipazione record dell’88 per cento degli aventi diritto (si disse per la
mobilitazione, autonoma, nel profondo del cuore, delle donne al Sud), 33
milioni, e si concluse con un deciso 6-4. Un 6-4 si è avuto anche contro la riforma
parlamentare Renzi, a fine 2016 – ma la partecipazione fu ridotta, il 65,5 per
cento. Lo scostamento maggiore, 8-2, si è avuto al referendum contro il nucleare,
quando però votò solo il 65 per centro – perché, si disse, si dava il risultato
per scontato.
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