martedì 8 luglio 2025

Secondi pensieri - 565

zeulig


Autorità – Il fondamento della politica resta oscuro in Max Weber, ultimo o penultimo grande pensatore della politica con Carl Schmitt– a parte la nozione certo eccellente di carisma: alla base dell’autorità pone l’inverso speculare del carisma, la “devozione affettiva”, verso il sovrano. In alternativa e in subordine ponendo il calcolo, la “motivazione razionale”, nella forma del riconoscimento di un valore, in una sorta di scala gerarchica, oppure per una propria finalità, uno scopo. E solo a questo punto, in questo quadro, connette l’autorità alla forza, al potere. Per un problema forse suo personale, di Max Weber cittadino tedesco. Che disprezzava profondamente il. Kaiser in trono, Guglielmo II, vanitoso e vaneggiante, ma quando a fine 1918 l’Intesa pretese, come precondizione dell’armistizio, che si assumesse la responsabilità della guerra fece campagna infaticabile contro la richiesta, a difesa non del personaggio ma dell’“autorità” imperiale – una forma di “devozione affettiva”?
Diverso, come i lettori del sito sanno, il fondamento in Passerin d’Entrèves (e poi in Hannah Arendt) – sistematizzato da ultimo nella “Dottrina dello Stato”, 1962: l’Auctoritas è il fondamento di ogni buon governo, anche democratico, non solo dittatoriale (monolitico, imperiale, totalitario). È la romana “legittimazione”, non la forza bruta. Passata nelle istituzioni moderne attraverso la chiesa, ed è la base della libertà. In forme comunitarie, la libertà si dà solo condivisa  – per il mazziniano Passerin d’Entrèves  nella forma della nazione, la famiglia di storia, lingua, modo d’essere (per questo una legittimazione che all’Italia sempre è mancata, argomentava l’illustre studioso, piemontese, esiliato della Repubblica, nell’ultima prolusione a Oxford - e il fatto emerge nodoso nell’incapacità di adeguare/interpretare la Costituzione, una sorta di cerbero ottuso, o un vecchio venerabile legno.
 
W. Benjamin – “Ignaziano” lo trova Martino Boni – accennando al suo mancato rapporto con Norbert Elias nella prefazione alla breve raccolta di inediti di Elias che intitola “L’illusione del quotidiano” (“avevano molto in comune, al di là delle origini ebraico-tedesche, entrambi erano innamorati della cultura francese, entrambi erano stati bistrattati dall’aristocrazia universitaria e cacciati dalla patria, entrambi consideravano necessario volgere l’attenzione a dettagli minimali della vita quotidiana per comprendere il senso della storia. Ma Benjamin aveva fame e sete di materialismo storico”) - nell’attenzione al dettaglio: “Oggi Elias andrebbe riletto tenendo in mente Benjamin e la sua accesa, quasi ignaziana, attenzione per i dettagli: come negli Esercizi spirituali del Loyola, tanto Elias quanto Benjamin, molto spesso, si ritrovano a comporre esperienze di «composizione del luogo»”.
 
Caducità – È il valore, ciò che dà un senso alla vita. Contro l’eternità, che sa invece di vuoto.
È una delle ultime riflessioni di Thomas Mann: “La caducità conferiva a tutta l’esistenza valore, dignità e amabilità. Solo l’elemento episodico, solo ciò che ha un principio e una fine è interessante e suscita simpatia, animato com’è dalla caducità. E così tutto – tutto l’essere cosmico è animato dalla caducità, mentre eterno e quindi inanimato e indegno di simpatia è solo il nulla” –“Confessioni dell’impostore Felix Krull”, 132.

Classico – Semplice, è ciò che è sempre nuovo.


Complessità – Si pubblica-pubblicizza “La sfida della complessità”, una collettanea di studi-ricerche sulla complessità, con una ventina abbondante di contributi, e non c’è, non autore ma nemmeno menzionato, Giorgio Parisi, che per la complessità e il disordine è premio Nobel. Ancora e sempre le due culture?

Femminismo - Cos’è, dove è, il disagio, in una vita, ormai, di femminismo, tre generazioni  e forse quattro, dagli anni 1960? Non è l’emprise, l’imposizione monotematica, prolungata – si dirà l’era del femminismo. Al corpo liberato duemila anni fa da Cristo le donne rimettono l’armatura. Lo rinchiudono coi ragni in cantina, ogni rapporto è Sade, tutto è peccato nel corpo, anche lo sguardo. Non solo in Sicilia, c’è nel poeta Michaux: “E mentre la guarda, le fa un figlio in spirito”. Un peccato laico, con codici quindi e tribunali.
O la verità che non si può dire è che nella liberazione della donna molte vergogne emergono della libertà, limiti e pieghe oscure. Per un residuo di vezzi fisici e mentali, ruoli, psicologie, ma anche per sofismi non tanto lievi. Quelli che portano alla disintegrazione anzitutto: che libertà è quella che fa scoppiare?
 
Mondo – Tracima, ovunque, in continuazione. “Il mondo è miliardi di volte più complicato della mente umana e, per questo motivo, tutte le «spiegazioni» del mondo contengono molta più «spazzatura» che verità. Ogni bambino, dalla nascita, è gettato in una lotta senza fine per dare senso al mondo, ma è una battaglia che non possiamo vincere. Semplicemente, non siamo abbastanza intelligenti”. Bill James, statistico, analista degli sport di squadra, lo spiega sul “Corriere della sera”:  “Platone lo ha spiegato con “l’analogia della caverna: creiamo immagini semplificate di realtà esterne complesse, come ombre sulle pareti di una caverna, per fingere di capire cose che non capiamo affatto”.

Natura – Ma è una proiezione umana. Mutevole più per la mutevolezza del punto di vista che per per la “natura” propria.
C’è il mondo, con i suoi materiali, con i loro processi, le cui leggi però noi stabiliamo – deduciamo, ma di fatto argomentiamo, seppure con flessibilità, adattandoli.
È una costruzione – umana. Interminabile e imponderabile  – anche se ora si pretende scientifica, quindi determinata e deterministica. È come la vita in comune, che pure da qualche tempo si ritiene\vuole progettata, materia di scienza, urbanistica, immobiliare: può andate bene e andare male – la velocità, o la mobilità, p.es., contro la CO2, e le polveri sottili.

 
Statue - Nietzsche vede i greci innalzare candide statue contro il nero abisso, per celarlo. Ma le statue facevano variopinte, i greci sopra l’abisso ci danzavano. Si divertono, sopravvissuti pure alla filologia: prima dei greci c’erano altri greci, non erano tedeschi.

Verità – L’epoca era del dubbio anche al tempo di Dostoevskij, del saggio “Russia”, 1861? “Perché la maggior parte delle moderne verità”, si chiede, “appena accennate, in tono patetico, non assomiglia più a un libro stampato? Da che dipende che nel nostro secolo per dire la verità si sente il bisogno di ricorrere allo humour, alla satira, all’ironia; occorre addolcire con esse la pura verità come se fosse una pillola amara, rappresentare la propria  convinzione al pubblico con la sfumatura di una certa spocchiosa indifferenza verso di essa, anche con una vena di irriverenza”.  

zeulig@antiit.eu

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