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Autorità – Il fondamento della politica
resta oscuro in Max Weber, ultimo o penultimo grande pensatore della politica con
Carl Schmitt– a parte la nozione certo eccellente di carisma: alla base dell’autorità
pone l’inverso speculare del carisma, la “devozione affettiva”, verso il sovrano.
In alternativa e in subordine ponendo il calcolo, la “motivazione razionale”,
nella forma del riconoscimento di un valore, in una sorta di scala gerarchica, oppure
per una propria finalità, uno scopo. E solo a questo punto, in questo quadro,
connette l’autorità alla forza, al potere. Per un problema forse suo personale,
di Max Weber cittadino tedesco. Che disprezzava profondamente il. Kaiser in
trono, Guglielmo II, vanitoso e vaneggiante, ma quando a fine 1918 l’Intesa
pretese, come precondizione dell’armistizio, che si assumesse la responsabilità
della guerra fece campagna infaticabile contro la richiesta, a difesa non del
personaggio ma dell’“autorità” imperiale – una forma di “devozione affettiva”?
Diverso, come i
lettori del sito sanno, il fondamento in Passerin d’Entrèves (e poi in Hannah
Arendt) – sistematizzato da ultimo nella “Dottrina dello Stato”, 1962: l’Auctoritas è il fondamento di ogni buon governo, anche democratico, non solo
dittatoriale (monolitico, imperiale, totalitario). È la romana “legittimazione”,
non la forza bruta. Passata nelle istituzioni moderne attraverso la chiesa, ed
è la base della libertà. In forme comunitarie, la libertà si dà solo
condivisa – per il mazziniano Passerin
d’Entrèves nella forma della nazione, la
famiglia di storia, lingua, modo d’essere (per questo una legittimazione che all’Italia
sempre è mancata, argomentava l’illustre studioso, piemontese, esiliato della
Repubblica, nell’ultima prolusione a Oxford - e il fatto emerge nodoso
nell’incapacità di adeguare/interpretare la Costituzione, una sorta di cerbero ottuso, o un vecchio venerabile legno.
W. Benjamin – “Ignaziano” lo trova Martino
Boni – accennando al suo mancato rapporto con Norbert Elias nella prefazione
alla breve raccolta di inediti di Elias che intitola “L’illusione del
quotidiano” (“avevano molto in comune, al di là delle origini ebraico-tedesche,
entrambi erano innamorati della cultura francese, entrambi erano stati
bistrattati dall’aristocrazia universitaria e cacciati dalla patria, entrambi
consideravano necessario volgere l’attenzione a dettagli minimali della vita
quotidiana per comprendere il senso della storia. Ma Benjamin aveva fame e sete
di materialismo storico”) - nell’attenzione al dettaglio: “Oggi Elias andrebbe
riletto tenendo in mente Benjamin e la sua accesa, quasi ignaziana, attenzione per
i dettagli: come negli Esercizi
spirituali del Loyola, tanto Elias quanto Benjamin, molto spesso, si
ritrovano a comporre esperienze di «composizione del luogo»”.
Caducità – È il valore, ciò che dà un
senso alla vita. Contro l’eternità, che sa invece di vuoto.
È una delle ultime riflessioni di Thomas Mann: “La caducità
conferiva a tutta l’esistenza valore, dignità e amabilità. Solo l’elemento episodico,
solo ciò che ha un principio e una fine è interessante e suscita simpatia,
animato com’è dalla caducità. E così tutto – tutto l’essere cosmico è animato
dalla caducità, mentre eterno e quindi inanimato e indegno di simpatia è solo
il nulla” –“Confessioni dell’impostore Felix Krull”, 132.
Classico – Semplice, è ciò che è sempre nuovo.
Complessità –
Si pubblica-pubblicizza “La sfida della complessità”, una collettanea di
studi-ricerche sulla complessità, con una ventina abbondante di contributi, e
non c’è, non autore ma nemmeno menzionato, Giorgio Parisi, che per la
complessità e il disordine è premio Nobel. Ancora e sempre le due culture?
Femminismo - Cos’è, dove è, il disagio, in una vita, ormai,
di femminismo, tre generazioni e forse quattro,
dagli anni 1960? Non è l’emprise, l’imposizione
monotematica, prolungata – si dirà l’era del femminismo. Al corpo liberato duemila anni fa da Cristo
le donne rimettono l’armatura. Lo rinchiudono coi ragni in cantina, ogni
rapporto è Sade, tutto è peccato nel corpo, anche lo sguardo. Non solo in
Sicilia, c’è nel poeta Michaux: “E mentre la guarda, le fa un figlio in
spirito”. Un peccato laico, con codici quindi e tribunali.
O la verità che non si può dire è che
nella liberazione della donna molte vergogne emergono della libertà, limiti e
pieghe oscure. Per un residuo di vezzi fisici e mentali, ruoli, psicologie, ma
anche per sofismi non tanto lievi. Quelli che portano alla disintegrazione anzitutto:
che libertà è quella che fa scoppiare?
Mondo – Tracima,
ovunque, in continuazione. “Il mondo è miliardi di volte più complicato della
mente umana e, per questo motivo, tutte le «spiegazioni» del mondo contengono
molta più «spazzatura» che verità. Ogni bambino, dalla nascita, è gettato in
una lotta senza fine per dare senso al mondo, ma è una battaglia che non
possiamo vincere. Semplicemente, non siamo abbastanza intelligenti”. Bill
James, statistico, analista degli sport di squadra, lo spiega sul “Corriere
della sera”: “Platone lo ha spiegato con
“l’analogia della caverna: creiamo immagini semplificate di realtà esterne complesse,
come ombre sulle pareti di una caverna, per fingere di capire cose che non
capiamo affatto”.
Natura – Ma è una proiezione umana. Mutevole
più per la mutevolezza del punto di vista che per per la “natura” propria.
C’è il mondo, con
i suoi materiali, con i loro processi, le cui leggi però noi stabiliamo – deduciamo,
ma di fatto argomentiamo, seppure con flessibilità, adattandoli.
È una costruzione
– umana. Interminabile e imponderabile –
anche se ora si pretende scientifica, quindi determinata e deterministica. È come
la vita in comune, che pure da qualche tempo si ritiene\vuole progettata,
materia di scienza, urbanistica, immobiliare: può andate bene e andare male –
la velocità, o la mobilità, p.es., contro la CO2, e le polveri sottili.
Statue - Nietzsche
vede i greci innalzare candide statue contro il nero abisso, per celarlo. Ma le
statue facevano variopinte, i greci sopra l’abisso ci danzavano. Si divertono,
sopravvissuti pure alla filologia: prima dei greci c’erano altri greci, non
erano tedeschi.
Verità – L’epoca era del dubbio anche al tempo di Dostoevskij, del saggio “Russia”, 1861? “Perché la maggior parte delle moderne verità”, si chiede, “appena accennate, in tono patetico, non assomiglia più a un libro stampato? Da che dipende che nel nostro secolo per dire la verità si sente il bisogno di ricorrere allo humour, alla satira, all’ironia; occorre addolcire con esse la pura verità come se fosse una pillola amara, rappresentare la propria convinzione al pubblico con la sfumatura di una certa spocchiosa indifferenza verso di essa, anche con una vena di irriverenza”.
zeulig@antiit.eu
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