Pasolini sbarca a Roma, crepuscolare
Due dei primi racconti romani di Pasolini, di
ambientazione e, tentativamente, di lingua. Due “pischelli” scoprono il mare e la
pesca, tra Terracina e il Circeo, dopo aver raggiunto Terracina in bici,
rubata. Un “maschietto” sfugge ai controlli familiari e si avventura in mare su
un moscone, sempre più lontano.
Più che racconti impressioni, linguistiche
(acustiche) e coloristiche, e sensazioni. Più spesso adagiate sul discorso
indiretto libero. Per un esito qui accentuato del crepuscolarismo che resterà
la cifra della narrativa di Pasolini - e anche della poesia: non al modo cantabile
di Gozzano, ma sì di Govoni e, le prose, di Marino Moretti. Con il “solicello”,
la “finestrella”, la “fiumarella”, la “spiaggetta”, le “paranzelle”, i
“mammocci”, la “cordicella”, il “monticello”, tutto diminutivo.
Prose disadorne. Di ambienti e di umori, semplici,
abituali. Di esistenze umbratili, evasive, ripetitive, silenziose, e modi
minimi, casuali. In ambienti spogli.
Con qualche residuo toscanismo di maniera – “si va”… E
il vocabolario libresco della pesca, preciso e freddo. Con le prime prove del
romanesco, specie nella sintassi – Ungaretti trovò nel racconto del titolo “la
voce del Belli”.
Du testi pubblicati con lo pseudonimo Paol Mari. Un
elzeviro di terza pagina, “Santino nel mare di Ostia”, su “Il Quotidnano”, l’11
settembre 1951, e il racconto lungo del titolo, col quale Pasolini concorse nel
1950 al premio Taranto – non premiato benché lodato da Ungaretti - pubblicato
in parte sullo stesso quotidiano, il 19 aprile e il 7 giugno del 1951. Due
racconti di mare, di ragazzi al mare, “pischelli”, “maschietti”, tra Terracina
e Circeo, e a Ostia.
Pier Paolo Pasolini, Terracina, Garzanti, pp.
63 € 5,90
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