sabato 1 novembre 2025

Ma la cosa peggiore è la giustizia

Fatta la riforma della giustizia, che come tutte le leggi è imperfetta, c’è chi la critica. E avrà pure ragione, di fatto, su questo o quel punto o anche sull’insieme. Ma: è possibile che la giustizia non necessiti di un riassetto, una riforma? E come è possibile, se di tutte le disfunzioni dello Stato quella peggiore – anche volgare, perfino maleolente – è della giustizia? Che pure è pubblica, quotidiana, una cosa con cui un po’ tutti di confrontano, e quindi sfrontata nella sua pochezza – quando non è (ma è molto diffusa) ingiusta: di parte o pregiudicata, cioè corrotta.
Alla Corte dei Conti giudica le procedure per la Grande Opera del governo Meloni una giudice che a tempo perso lavora per la sinistra: per Teresa Bellanova, la ministra renziana, ora vice-capo del Partito Democratico Europeo, e per il ministro 5 Stelle Patuanelli. Matteo Renzi, che per un decennio ha attaccato i giudici che inquisivano, anche abusivamente, i suoi genitori, e lo spiavano in autostrada, ora dice la riforma “non necessaria”. Perché anche lui ha i su
oi giudici, p.es. il Procuratore Capo e i due sostituti di Cosenza, quelli che avevano aperto un’inchiesta sul presidente della Regione Calabria giusto per farlo decadere – non ci sono riusciti, ma non vuol dire.

La giustizia è un apparato vasto e diversificato? Sì, ma il malcostume è la sua regola: i pm in rete per insultare Berlusconi e sbizzarrirsi come incriminarlo, la lottizzazione del Csm (il “metodo Palamara”), il continuo travaso con la politica, nella gestione dei ministeri, molto peggiore di quello tra Procure e Tribunali, l’irresponsabilità totale, anche nelle valutazioni per la carriera. E la lentezza. Dai dieci a vent’anni per un’assoluzione, o una condanna (di truffatori, ladri, evasori, concussori, gli stessi mafiosi).

Ingrid Bergman attrice brillante

Ingrid Bergman e Cary Grant, la coppia inaugurata da Hitchcock famosamente nel 1946 con “Notoriuous”, si ritrova due anni dopo in una commedia senza pretese, di autore anche sconosciuto, Noran Krasna – del genere detto in Francia boulevardier, spensierato. Con una tramina di coppia scacciapensieri: come catturare l’uomo dei sogni, niente di più, ricco, bello, amorevole, ma allergico al matrimonio, da parte di un’attrice molto brava e di successo in teatro, ma inguaribilmente sola.
Dialoghi serrati, le battute si sprecano, e non ci si annoia – pur sapendo come andrà a finire. Anche se lui si dice subito “sposato, senza possibilità di divorzio”. Soprattutto si segue per la Bergman in versione brillante, in sorprendente contrasto con l’aureola dell’algore.
Stanley Donen, Indiscreto, Tv2000, Play2000

venerdì 31 ottobre 2025

Letture - 594

letterautore

Regina Burckhardt Bardili – La bisavola materna (1599-1669) di Hölderlin François Fédier dice “capostipite di molti fra i più illustri scrittori tedeschi”. Detta la “signora dello spirito” sveva. Dalla sua numerosa figliolanza, col pastore poi spretato e medico Carl Bardili, nascquero Uhland, Wilhelm Hauff, Hölderlin, Ottilie Wildermuth, la scrittrice per bambini, Justinus Kerner, il medico scrittore di Ludwigsburg, e Friedrich Schelling, il filosofo. Nonché altri “poeti svevi” (di Germania naturalmente, non di Sicilia, come vorrebbe l’IA) – la targa commemorativa la dice “madre spirituale sveva”, oltre che “personalità rara e forte”.
 
Hőlderlin – Si diceva e si firmava volentieri Scardanelli, nei lunghi anni della “pazzia”. Un nome italiano, di cui però non si conosce l’etimo e non esiste un repertorio, in nessuna regione d’Italia. Suona lombardo-veneto – e questo potrebbe  spiegare la sua declinazione in ambito austro-tedesco. Uno Scaramelli era l’ambasciatore veneziano a Londra ai funerali della regina Elisabetta – quella di Shakespeare. Non propriamente presente, la repubblica veneziana non volendo dispiacere al papa, ma come tutti gli ambasciatori di Venezia bene informato nei suoi rapporti confidenziali.
 
La bio più veridica di Hölderlin curiosamente si trova in una lettera di Ernst Zimmer, il falegname (colto: non solo sapeva scrivere, aveva anche letto Hőlderlin) che lo ospitò in casa, al piano alto, per 36 dei suoi 73 anni - una lettera del 22 dicembre 1833 (Hőlderlin vivrà ancora dieci anni): “L’infelice H. era destinato alla sventura fin dal ventre materno. Mentre sua madre era incinta di lui, fece il voto che se fosse stato maschio lo avrebbe destinato al signore, come diceva, cioè farlo diventare teologo. Quando giunse il momento di andare in seminario, H. cercò di resistere, voleva diventare un medico, ma la sua religiosissima madre lo costrinse e così contro la sua volontà divenne teologo. Quando finì gli studi, l’allora cancelliere Leebret volle riceverlo come parroco in Wolfenhausen e che sposasse per questo sua figlia, ma H. rifiutò l’offerta, per primo perché non voleva obbligarsi per il servizio e poi perché non aveva mai avuto inclinazione alla teologia e non avrebbe mai potuto familiarizzarsi con essa, mentre gli piaceva molto la filosofia della natura. In seguito H. andò a Francoforte come istitutore nella casa di un ricco commerciante di nome Gontard, dove divenne molto intimo della padrona di casa, da ciò nacque un dissidio, H. lasciò la casa e si ritirò a Homburg…”.
In effetti, orfano di padre a due anni, di patrigno a nove, figlio della madre, ribelle (non farà il pastore, per cui aveva i titoli, ma solo l’istitutore), ma per questo sempre innamorato di una sola  unica donna, Suzette, un amore di sguardi e parole.
Muore nel 1843, di 73 anni, vergine, di cui 36 in cattività, dal falegname Zimmer. Cattività per modo di dire, è operosa: disegna e scrive, saggi e poesie – scrive bene, con la rima, con la metrica, con idee fini. Negli ultimi anni firmandosi con nomi di fantasia, italianati, Scardanelli, Salvator Rosa, Buonarotti (sic), Rosetti.
 
Letterato esistenziale – Una (rara) figura satirica di Heidegger al § 128 del quaderno “nero” XIII: tutto “spirito” e “valori supremi”, “che naturalmente legge «Hölderlin» e «Nietzsche», tiene in considerazione Spengler e Jünger, conosce Rilke e avverte inclinazioni romantiche verso la chiesa cattolica, rende attuale Pascal e non dimentica l’elemento popolare”.
 
Manomorta – Data dallo scisma protestante, in Inghilterra prima che in Germania e in Francia: i nuovi ricchi di Enrico VIII furono numerosi e subito potenti, come lo saranno i boiardi nell’Est Europa alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, appropriandosi di abbazie e ricche parrocchie. Ne fa il caso Ramie Targoff, la filologa americana di italianistica e di anglistica, a proposito degli svelti arricchimenti – con titolo onorifico – dei coniugi di alcune delle sue “Sorelle di Shakespeare”.
 
Ottava rima – “Il salmo78” del Salterio Sidney (la traduzione di Philip Sidney e della sorella Mary), “il secondo più lungo di tutti i salmi, è nella sofisticata forma italiana dell’ottava rima (abababcc)” – Ramie Targoff, “Le sorelle di Shakespeare”, 79. La “stanza” ritmica, “cantabile”, quella dell’“Orlando Furioso”, dei poemi epico-cavallereschi, e ora dei residui cantastorie.
 
Pasolini – È uno “preciso”, con molta cura di sé. Si pubblicano per i cinquanta anni della morte molte foto anche inedite (i nudi commissionati da ultimo a Pederiali), e in tutte Pasolini appare in posa, e estremamente curato, dalla pettinatura alla calzatura. Non se ne trova una “istantanea”, rubata, a sorpresa, o con figura per qualche motivo scomposta. Pasolini è sempre in posa, e con l’abbigliamento giusto – quello (che riteneva) adatto all’occasione. Anche dei nudi, si precisa che non sono pose rubate, ma al contrario contrattate e organizzate, nei dettagli.
 
Si confessa impolitico, scrivendo al\del fratello Guido, ucciso in montagna da altri partigiani (negli scritti commemorativi recuperati da Graziella Chiarcossi come “Lettera al fratello”, p. 21): “In quelle questioni di patriottismo eri cieco… mentre io ero come protetto da quel mio continuo sognare e vivere dentro me stesso, e da quella mia assoluta sfiducia in ogni illusione che non fosse puramente mia”. Come a dire che la Resistenza non meritava.
Pasolini ha nell’Occupazione lo stesso sentimento di Pavese (il Pavese del famoso “Taccuino segreto”) – al quale però è molto rimproverato.
 
Un Pasolini “schivo, a tratti burbero”, ricorda il barbiere di Torpignattara a Roma, Franco Umbro, che qualche volta gli fece i capelli (lui dice la barba) durane le riprese di “Accattone”.
Lo stesso lo ricordava, “scostante, superbo”, il signor Mario, del salone in via Carini al piano terra dello stabile dove Pasolini ha abitato per un periodo, vicino dei Bertolucci – Attilio Bertolucci era invece “comunicativo”, cioè accettava di conversare.
 
Philip Sidney
– Il poeta petrarchesco, a lungo favorito della regina Elisabetta I, dedicatario, ancora in vita e ai suoi vent’anni, di Giordano Bruno (“Spaccio de la bestia trionfante”, “Degli eroici furori”), morto di soli 32 anni in guerra in Olanda, “fu onorato con uno dei più grandiosi funerali mai organizzati per qualcuno fuori della famiglia reale”, racconta Ramie Targoff  trattando di Mary Sidney, la sorella, una delle sue “Sorelle di Shakespeare”: “Storici moderni lo hanno paragonato al funerale per Winston Churchill”. Se ne era fatto un eroe della guerra contro la Spagna nelle Fiandre – era morto ad Arnhem di cancrena, quattro settimane dopo una ferita al ginocchio non curata. Il funerale, opina Targoff, serviva anche a distrarre l’attenzione: la cerimonia si tenne “otto giorni dopo che Mary, la regina di Scozia, era stata decapitata”. E “dopo che la salma era stata tenuta per tre mesi nella chiesa di Holy Trinity, Minories, mentre il suocero provava a risolvere la questione dei debiti enormi che il poeta si lasciava dietro”. Da questa chiesa, nell’East London, “un corteo di settecento notabili marciò fino alla cattedrale di St. Paul”, e le strade erano cosi affollate che i partecipanti ufficiali alla cerimonia ebbero difficoltà a seguire la bara.
 
Marcella Spann Booth - Alain Elkann, “Il silenzio di Pound”, p. 77, le attribuisce una relazione col poeta - una delle di lui tante, secondo Elkann, anche se Pound risulta essere stato piuttosto monogamo. In realtà Marcella Spann frequentò Pound negli anni in cui era detenuto in America in ospedale psichiatrico. Collaborando, da americanista, all’antologia poetica “Confucius to Cummings”, partendo dalle traduzioni di Confucio che Pound aveva operato in gioventù. Fu, principalmente per questo, destinataria di numerose missive – la corrispondenza ammonta a circa 700 lettere.
Il contenuto del lascito Spann Booth nella collezione manoscritti dello Harry Ransom Center (“10 scatole, 3 scatole di grandi dimensioni, 4,87 piedi lineari”) è così sintetizzato: “La collezione Marcella Spann Booth di Ezra Pound è composta da voci di diario, bozze di manoscritti, frammenti e appunti di poesie, bozze di stampa, corrispondenza, ritagli di giornale, fotografie, materiale pubblicato, un album di ritagli e cimeli relativi al poeta Ezra Pound e alla professoressa Marcella Spann Booth”.
 
Titania - Ma non è la lady Chatterley di D .H.Lawrence? La Regina delle Fate di Shakespeare, “Sogno di una notte di mezza estate”, che al risveglio da un incantesimo s’innamora di Bottom – il fondo schiena, un bruto dalla testa d’asino.  

letteratore@antiit.eu

Pasolini narcisista

Elsa Morante e Pasolini, un rapporto fraterno (materno), finito male. Si dice dopo Valle Giulia, la solidarietà di Pasolini con i poliziotti. Bardotti invece trova la frattura precedente, nel 1964. E, ben delineata, di diversa natura: Morante rimprovera Pasolini di ipocrisia – una forma, si direbbe, di malapartismo, un rimestare sapiente ma “borghese”, e anche opportunista.
Nel 1964 Pasolini pubblicava la raccolta “Poesia in forma di rosa”. Nella quale “Elsa scorgerà una radice narcisistica e una vena di populismo che non aprezzerà”, e “scrive e invia all’amico un testo «scherzoso», ‘Madrigale in forma di gatto’, un calligramma”. Scherzoso tra virgolette è la parola giusta: è una critica, anche violenta. La stessa studiosa non può non rilevarlo: “Lo accusa di ipocrisia, di finto amore, di malafede ideologica”. Sottovaluta l’accusa perché parte dal presupposto che Pasolini doveva essere per Morante “il nuovo Rimbaud”, mentre era uno che cavalcava il mainstream. Il che è opinabile, l’attesa di un nuovo Rimbaud – da parte di Elsa Morante?
Per Bardotti Rimbaud è un benchmark, già autrice di “Una lunga stagione in inferno. Rimbaud nell’opera di Pasolini”. Ma non persuasivo nel caso di Elsa Morante. I rapporti si raffreddano. Finiranno del tutto nel 1971, quando Ninetto Davoli decide di sposarsi, per la disperazione di Pasolini, col plauso di Elsa Morante. Ma non ce n’erano già da qualche anno.
Non c’è ingiuria che il calligramma non sollevi, sotto la forma parodistica, già dal titolo, “Madrigale in forma di gatto”, non tanto scherzosa – questo il testo, pubblicato nella raccolta Einaudi delle “Lettere” di Pasolini, a cura di Nico Naldini:
“La rosa è la forma delle beatitudini.
Beata l’angoscia in forma di rosa.
Beato il disordine e la libidine sanguinosa
la passione di sé invereconda gli eccessi di velocità e
le orge funebri
il nero rifiuto dello sposalizio le bandiere dell’oltran-
za le corazze dell’ignoranza
i vari equivoci dell’egoismo le mascherate degli
stracci
le carità pretestuose le immondizie deificate
i pregiudizi di casta l’alibi storicistico
le complicità attuali, l’adorazione ai padri farisei, la
paura della castrazione
il candido tradimento il pianto vantone
la corda sentimentale e la spada della ragione
beate le secrezioni i visceri della letteratura l’oratorio
la mistificazione
quando finalmente s’aprono in forma di rosa!
Il ragazzo che si intende protagonista del mondo
(protagonista anche se bandito, anzi di più perché bandito …
starà sempre beato al centro della rosa.
E lui beato ignorerà gli altri peccatori al bando della rosa
e al bando di se stessi
non protagonisti del mondo
non leggenda di se stessi
soli senza nessun addio. Agonie senza nessun pianto
e nessuna rosa.
Il gatto che non crepa[vi]”.
Sandra Bardotti, La regina esigente e la madre consolatrice, Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa, free online

giovedì 30 ottobre 2025

Problemi di base nordici - 886

spock


I vichinghi non erano biondi?
 
E nemmeno rossi?
 
E perché non scrivevano – non sapevano?
 
Usavano le rune, una cosa come il lineare A – saranno stati, anche loro, minoici, sbandati?
 
Quante cose non hanno fatto i vichinghi, oltre che scoprire l’America e anche il Sud America, ma
perché non l’hanno detto, non sapevano parlare?
 
Perché non si fa la storia vera dei vichinghi?

spock@antiit.eu

Pasolini nostalgia

Una raccolta di interventi brevi, ricordi, evocazioni, letture di Pasolini, e qualche analisi. Sul tema: “La sua forza 50 anni dopo”. Perfino crescente, si direbbe, oggi più vasta, se non più robusta, di quando fu ucciso. Testi vari ma tutti curiosamente virati a “salvare” di Pasolini la poesia. Più che – come ci si aspetterebbe da un quotidiano – il suo impegno civile, giornalistico. Da ultimo con i famosi “fondi” corsari, allarmati e allarmanti, sul Corriere della sera”. Il rifiuto del presente, l’insofferenza per l’“Italietta” - “L’Italietta è piccolo-borghese, fascista, democristiana” di una lettera a Calvino.
Con articoli sulla morte tragica: la scoperta del cadavere, l’idroscalo, “Pommidoro”. “Biondo Tevere”. Goffredo Bettini illustra la curiosa benevolenza che sempre riservava a lui e agli altri “giovani del Pci”. Matteo Palumbo la passione per il calcio, sport di contatto ma di squadra. Silvia De Laude, la curatrice con Siti dei “Romanzi e racconti” di Pasolini nei Meridiani, fa uno spaccato della “scrittura” del secondo Novecento, al tempo della nascente industria editoriale – che ha ribaltato il laboratorio creativo: “Ragazzi di vita”, in fattura dal 1950, “finito” dall’autore il 13 aprile 1955 e subito mandato dalla redazione in composizione, “in tempo per poter partecipate al premio Strega”, bloccato da Livio Garzanti per timore di un sequestro per oscenità, viene rapidamente censurato in bozze dallo stesso autore all’inizio di maggio.
Vittorio Giacopini, “Il profeta e il poliziotto”, prova ad addentrarsi nelle incoerenze del personaggio, tra il “desiderio folle di regresso” e il “non c’è niente di più bello che inventare giorno per giorno il linguaggio della protesta”. Pasolini non ci perderebbe se contradetto – molto intelligente, e per questo più narcisista. Giacopini parte col corvo di “Uccellacci e uccellini”: “È il suo autoritratto in maschera, e un enigma”. Non propriamete un enigma, sotto l’aureola - lo studioso di Orwell, Chiaromonte, Camus avrebbe potuto fare un passo avanti.
Il contributo critico più interessante è di Davi Pessoa, che smonta e rimonta “Petrolio”. Il libro che Pasolini voleva “una sorta di «riassunto» di tutte le esperienze, di tutti i miei ricordi”. Ma di cui ha lasciato una babele, di testi e di propositi - “siamo convocati dallo «scrittore argonauta» a vivere un altro «schema di viaggio», ancora da farsi” (da solo, in automatico?).
Con una cospicua documentazione fotografica. Che accentua il contrasto - che non si rileva, benché forte, quasi indisponente - tra propositi, modi di vivere, affetti, per come dichiarati, sempre movimentati, e il Pasolini invece “preciso”. In posa in tutte le foto, anche quelle di scena, suppostamente rubate (in realtà programmate). E in abbigliamento in ordine, sempre “giusto” per l’occasione, comprese le tenute da calcio, o i nudi, autoindulgenza da cinquantenne, ordinati a Pederiali con minuzia, angolazioni, luci, tagli – il lato Mishima, D’Annunzio, o più semplicemente Malaparte.
AA.VV., Rivoluzione Pasolini, “la Repubblica”, 2 voll., pp. 167 + 143, s.p. (gratuito col quotidiano)

mercoledì 29 ottobre 2025

Ombre - 797

Torna il nero nei gruppi pro-Palestina nelle università e anche nei licei, di barbe e chiome, disordinate, sporchicce, come nella remora “contestazione”. Barbe e chiome che però sono state adottate successivamente dagli islamisti e ne sono tuttora la divisa – una sorta di maschera. C’è una parentela? La rivoluzione è insoddisfazione, verso se stessi?


Alla Giornata del Risparmio una ricerca Ipsos documenta un “deciso cambio di direzione”: accanto alla nota propensione alla liquidità (che si imputa all’ignoranza in materia finanziaria ma è – è evidente – la troppa insicurezza degli investimenti finanziari) risultano pochi investimenti, se non nella forma di “ritorno al mattone”. Che in un anno passa dal 26 al 34 per cento degli impieghi, quasi alla pari con gli “strumenti finanziari sicuri”, i fondi e i Bot (36 per cento). Il governo identitario nazionale ha fatto di tutto per spaventare il “popolo”.

Le familiarità, unicamente verbali, che Trump si è preso con Melon sono nulla al confronto di quelle esibite nella due giorni a Tokyo con la premier Sanae Takaichi. Specialmente eccessive a fronte del “distanziamento” nipponico, l’etichetta del saluto senza contatto fisico. E nessuno se n’è scandalizzato in Giappone. Che evidentemente riesce a vivere senza “antifa” – senza perdere tempo.

Gli arbitri turchi del calcio che scommettono “normalmente” sulle partite si rappresentano scherzosamente, come un’esagerazione, una “cosa turca”. Mentre invece aprono uno spiraglio, per capire come ma anti “errori” in una partita. Soprattutto ora, con la copertura del, o della, Var. Prova inoppugnabile il fotogramma tv. Che un qualsiasi operatore può aggiustare a piacimento.

Si difende Ranucci per ovvie ragioni. Ma che squallore mandare in onda la telefonata della moglie di Sangiuliano, che l’ex ministro faceva sentire all’amante. Terribile. Una telefonata registrata illegalmente – illegalmente trascritta. Presentandola il dileggio come forma di resistenza, di sinistra.
Senza pensare che c’è tra le forze dell’ordine addette alla registrazioni chi se le vende. E c’è la Rai che le compra.

Israele controlla e arma quattro gruppi, non concorrenti tra di loro e anzi coordinati, di terroristi anti-Hamas. Finanziare e organizzare gruppi terroristici contro il terrorismo è strategia sbagliata, oltre che immorale. Roba da spie: Hamas fu organizzato, contro l’Olp di Arafat, da Israele, nel 1979, quando era primo ministro Begin, finanziando il Centro Islamico dello sceicco Yassin, dal quale nel1987 emergerà Hamas.

Curioso, “Il Sole 24 Ore”, il giornale della Confindustria, è il solo che si fa un dovere d’informare sulla Cisgiordania, sulle tante forme di sopruso di Israele, sulle varie forme pacifiche di resistenza dei palestinesi. Mantiene un inviato tra Gerusalemme e Cisgiordania, Roberto Bongiorni, e questo è ancora più curioso: Bongiorni può svolgere il suo lavoro indisturbato, mentre altri personaggi meno insidiosi, sanitari, funzionari Onu, pacifisti, vengono respinti oppure espulsi. Israele vive in un’ambivalenza giuridica, tra rispetto e rifiuto del diritto.

La tasse aumentano con la legge di bilancio e non diminuiscono. Si sapeva, “Il Sole 24 Ore” fa il conto di quanto. Nei tre anni coperti dalla legge l’Irpef sarà attenuata complessivamente di poco meno di 10 miliardi, rispetto al gettito prevedibile senza correzioni. Ma l’Ires si aggraverà per le imprese, di 6 miliardi, e altrui 4 miliardi e mezzo saranno pagati dai consumatori per gli aggravi Iva, accise e fumo. La coperta è sempre corta, e questo si sapeva. Ma “vendere” una politica di rigore fiscale come una di detassazione? Un governo social, tutto si può dire?

Il Parlamento israeliano ha votato – due volte – per l’annessione della Cisgiordania e non ne sapevamo niente. Non fosse stato per il trucibaldo Vance, il vice di Trump, che si è detto “insultato dal voto della Knesset” – hanno votato mentre lui si aggirava in “missione di pace”. Tanti inviati a Tel Aviv, Gerusalemme, Gaza (Gaza no, Netanyahu non permette, sta facendo pulizia) e non ne sapevamo nulla. Anche ora, dopo che Vance ha parlato. Forse non sanno l’ebraico? 

Richiesto di un progetto andato male, l’enologo di Vespa, D’Alema, Cucinelli, Sting, Riccardo Citarella risponde secco: “La vigna in Vaticano, partita con Ratzinger. Dopo due anni Bergoglio ha distrutto tutto con le ruspe”. Il papa francescano menava.

Parte alle 18 la stagione concertistica di Santa Cecilia a Roma, con una esecuzione scenica della “Valchiria”, sold out da mesi, nella sala grande, da 2.800 posti, mentre nello stesso Parco della Musica si proiettano film e si svolgono cerimoniali della Festa del Cinema, e di fronte, oltretevere, c’è la partita della Roma. Tre grandi eventi tutti insieme nello stesso logo, lo stesso giorno alla stessa ora. Tutti finiti alle 23. Dopodiché si fa l’alba, senza cornetti caldi. Niente programmazione, niente vigili, e traffico bloccato a ogni incrocio (ogni 20-30 metri) dai semafori lasciati alla programmazione diurna. Roma è sempre un paese(one), non diventerà mai una metropoli – basta vedere la miseria della metro.  

Giallo filosofico - sragionevole

Il paradiso terrestre è fatto di visionari, in genere egoisti, imbelli e imbroglioni - e perché non dovrebbe? E a tutti piace accoppiarsi, facendo figli oppure no. Qui è alle Galapagos, all’isola Floreana – un migliaio di km al largo dl’Ecuador ma, pare, ben servita. Il solito filosofo tedesco vuole inverarvi Nietzsche, e vi predica il ritorno al pre-post-umano strappandosi i denti per evitare infezioni, ma circondandosi di compagna con sclerosi multipla, giusto per sbattersela ogni tanto.   Celebrato in patria come tutti i ciarlatani, viene raggiunto da un onesto reduce di guera con moglie e figlio, che è tubercolotico e a cui quindi l’aria felice non può che fare bene. Finché non sbarca una finta baronessa, con due veri servi amanti, che si si spupazza in ogni luogo e posizione, e finte credenziali per fare dell’isola un resort pre-trumpiano.
Molti dispetti. Molta stupidità. E la cosa non finisce bene - Nietzsche è irrealizzabile, era solo un follle. Ma il racconto non è da poco, in cattiveria: un horror in forme borghesi, intime, da tinello. Con in più le grazie, nn lesinate, della “baronessa”, Ana de Armas, nuova stella dello schermo, che fa vibrare di erotismo. erotismo.
Howard è felice narratore di menti distorte – cattive, distruttive, essenzialmente stupide. Dell’umanità per cui la ragione è sragionevole.
Ron Howard, Eden, Sky Cinema

martedì 28 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (611)

Giuseppe Leuzzi


Il mattone caldo ai piedi del letto le notti d’inverno, per non raffreddarsi andando a dormire, scaldato al braciere e avvolto in un panno sottile, ricorre anche in un racconto di Lucia Berlin, “Andado” – nella raccolta “Sera in paradiso”. La giovane protagonista, Laura, americana, invitata in una finca fuori Santiago del Cile, va a letto presto, per evitare contatti ravvicinati con gli anfitrioni, scusandosi che ci va “prima che faccia freddo”. Ma trova che Maria, la domestica incaricata di accudirla, “aveva messo un mattone caldo ai piedi del letto”.
 
Scilla era maschio? Ovidio, nella lettera III dal Ponto, alla (terza) moglie – perché interceda per la grazia presso l’imperatore – premette che non le chiede molto. Non le chiede nemmeno di esporsi, non con questo o con quello, né come “Scillaque, quae Siculas inguine terret aquas”, come “Scilla, che con l’inguine terrorizza le acque sicule”. “Epistula ex Ponto, III 1”, 122.
 
Ricorrono nelle cronache due Mattia Filice, cognome che l’IA vuole “diffuso” ma calabrese, cosentino – con le solite etimologie di fantasia: dal greco filikis, amichevole, dal latino filices, felci, dal nome proprio. Entrambi artisti, uno in Francia, uno in Italia. Il francese è in tv e sui giornali con un romanzo in prosa e in versi, “Mécano”, rinforzato da una bio all’americana (ex proiezionista, macchinista di treno per vent’anni) e foto lusinghiere. L’italiano, “regista e sceneggiatore indie” su LinkedIn e Facebook, noto a se stesso e ai pochi amici. Non è emigrato abbastanza lontano? L’emigrazione è creativa se si recidono le rardici?
 
Niente bagni a Ostia, c’è la mafia
“Ostia viene associata alla mafia, agli affari sporchi, e tutto quello che accade è letto in questa ottica. Viene riparata la buca su un marciapiede? Abbiamo riportato la legalità»”, ironizza il presidente dei balneari di Roma (Ostia è una città, ma è un quartiere di Roma): “Da dieci anni si parla solo di legalità”, senza rimedio, “e intanto scontiamo l’immagine negativa: Ostia uguale malavita”.
Il ripristino delle regole, facendo chiarezza sulle concessioni, vecchio, insolubile?, problema? “Importantissimo. Ma per farlo è stata cancellata una stagione balneare: stabilimenti chiusi, senza concessione, spiagge libere date in gestione a metà luglio…”.
È vero, il bando per le concessioni il Campidoglio l’ha fatto a fine maggio. E a fine giugno è riuscito a rinnovarne alcune.
Inanto si circonda Ostia di checkpoint, “anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale”, annuncia orgoglioso il Campidoglio. Per controllare “veicoli sospetti all’ingresso nel Xmo Municipio” – quello di Ostia. Che tutti sanno essere un “appaltino” a ditte amiche.
La presidente dell’Antimafia Colosimo non cessa di proclamare: “Imprenditori, denunciate le estorsioni. E ai giovani dico di non vendersi per 150 euro”. Quanti stipendi per giovani a Ostia, da 1.000-1.200 euro, sono andati perduti solo perché il Campidoglio aveva altri appalti di cui occuparsi, più rilevanti evidentemente del business, purtroppo inscalfibile, delle concessioni balneari?
 
Ma come guidano (male) a Salerno
Anche il Sud è variegato. Forse più del Centro-Nord, benché confuso ammasso “di laggiù”
nell’opinione – semmai caratterizzato dalle mafie, ognuna delle quali, sì, avrebbe psicologia e storia proprie. Lo è forse più del resto d’Italia, poiché ogni minuscola valle, al Sud le acque hanno creato valli poco profonde e poco ampie, è caratterizzata– e quasi sempre a dispetto o in concorrenza con la valle viciniore, quindi mantenendo o accentuando caratteristiche proprie. Tanto che anche nell’uniformismo tendenziale (l’“omologazione” di Pasolini, per stare sull’attualità), delle varie regioni e località come meridionali - dei meridionali come italiani, degli italiani come europei, degli europei come occidentali, e insomma, un po?, “amerikani” - il meridionale nel Meridione ancora si distingue.
Come vecchi frequentatori di Positano prima della gentrificazione, e poi più volte l’anno dell’autostrada Salerno-Reggio da sempre, da quando fu costruita nei tardi anni 1960, è singolare, e resta praticamente immutata nei decenni, la guida nel salernitano. La guida dell’auto. Non propriamente nel salernitano, provincia molto lunga, nel tratto più trafficato, tra Salerno e Battipaglia, oggi forse fino ad Atena Lucana. Per un nugolo di pratiche fuori norma – fuori abitudini di guida. Nella Vecchia Napoli-Pompei-Salerno quello, in genere un furgone, che entrava disinvolto in autostrada senza nemmeno guardare a sinistra, quello che andava, imperturbato e imperturbabile, al centro della carreggiata (seguendo giustamente la linea bianca, a cavalcioni), quello che frenava per uscire senza mai mettere la freccia. Tornando da Positano, in genere a sera o la notte, era regolarmente intasata – non per incidenti, o le restrizioni di carreggiata, che normalmente provocano le code.  
Sulla Salerno-Reggio i segni sono molteplici. Di solito minimi, che non valgono il racconto. Ma del tipo che rammenta che ormai stiamo vicini a Salerno – che abbiamo già fatto, una soddisfazione nel lungo viaggio, il tratto fino a Salerno. Non per la velocità, il sistema di controllo Vergilius ha postazioni ogni 4-5 km, ma per andare a cavallo tra le corsie, per viaggiare lenti in seconda, e anche in terza corsia (nessuno sulla prima, a destra), per 
il non uso delle frecce. Il record storico (della memoria) è di un’ora e più di coda, nei trenta ultimi km fino a Salerno, che alla fine si scopre provocata da due vecchiette in 500, che in seconda viaggiano,  come ai vecchi tempi della Napoli-Pompei, sulla linea bianca, fra le due corsie.

Un modo di guidare simbolico? Di uno stare al mondo impermeabili, chiusi in se stessi.
 
Centosette giudici, per non fare giustizia
È forte l’antimafia. Ma giusto per fare rigaggio, e carriera. È così un delitto sempre da indagare e punire, la strage di via D’Amelio nel 1992, con l’ordigno piazzato nel punto esatto in cui l’auto col magistrato si parcheggerà, che scoppia al momento preciso, quindi azionato a vista, a un appuntamento improvvisato (la visita alla madre), di un uomo in teoria superprotetto. Le indagini si sono fatte, ma per perdersi nel nulla. Con un colpevole creato a tavolino, un falso pentito, Vincenzo Scarantino (pagato?), che devia le indagini per sei-sette anni. Dopodiché non c’è più niente da fare. Si direbbe una trama da servizio segreto, e invece è la verità della strage di via D’Amelio, che eliminò l’inquirente principe Paolo Borsellino, e cinque degli agenti di scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Il seguito è nella sintesi impressionante di Sottile sul “Foglio” sabato 25: “Da quel depistaggio nacque poi una fitta sequela di dossier e di processi – il «Borsellino bis», il «Borsellino ter» e il «Borsellino quater» - nei quali si sono avvicendati, tra udienze di primo grado, appello e Cassazione, centosette giudici. Un percorso titanico che non ha illuminato alcuna verità, e che ha spinto la giustizia a schiantarsi – almeno finora – tra piste, contropiste, reticenze, ammissioni, colpi di scena, silenzi detti e contraddetti dei pentiti veri o riconosciuti tali. Un intramarsi di inganni, imposture, di errori e anche di interessi. Non ultimi quelli, coltivati sottobanco da alcuni uomini degli apparati - investigatori e pure magistrati – che hanno brancolato nei misteri di Palermo per accaparrarsi un avanzamento di carriera o altre opache utilità”.
Al netto delle incapacità, un bel bottino per le antimafie.
L’antimafia è una corsia per le carriere. Più facili se si inventano le “piste”. Invece che arrestare e condannare i mafiosi, uno per uno. Quando commettono un’estorsione, una violenza qualunque. Tanto più che non sono ignoti o inafferrabili.
 
Berlusconi santo subito, o la mafia a Milano
L’assoluzione, incidentale, di Berlusconi e Dell’Utri da una lunga lista di imputazioni per mafia, non ha suscitato molte emozioni – a parte i figli di Berlusconi. Mentre tace Dell’Utri, che di mafie antimafia è stato vittima, condannato anche, per il “concorso esterno”, il reato di cui volentieri (per mestiere) si macchiano anche giudici e investigatori, e su prove costituite dalle dichiarazioni di un  pentito vanesio (basta scorrerne la biografia scandalosamente benevola di wikipedia).
Si sorvola forse perché non è una novità – ci sono più assoluzioni di politici per mafia che condanne, sia pure dopo molti anni, “concorso” compreso. Né è una novità il carrierismo dei giudici, che pur di non lavorare caricano tutto di mafia – ce n’è uno che ha fatto carriera, tra Firenze e Prato, per (non) avere indagato sulla strage dei Georgofili e le altre del 1993. Quanto a Berlusconi, la memoria è da poco virata sul santo subito. Da parte di familiari, amici, conoscenti, beneficati, ma anche di alcuni grossi calibri dell’accusa – manca solo Travaglio, ma con un “Berlusconi santo” farebbe sfracelli in classifica.
Di Berlusconi non si sa che dire. Passerà alla storia probabilmente come quello che ha domato l’estrema destra italiana, quella dei “padani” secessionisti e quella neo-fascista reduce dal terrorismo – a differenza della Francia, e negli ultimi sviluppi anche della Gran Bretagna, della Germania, della Spagna, tre quarti di Europa insidiate da destre radicali. Un successo non da poco. Quello che ora interessa e si può rilevare è la delusione dell’antimafia, e della Sicilia – di chi scrive della Sicilia, siciliani e non. Se tutto non è mafia, non c’è purtroppo altra antimafia – una che, p.es., punti il delitto, ora e non a babbo morto.
La Sicilia invece è delusa. Gli scribacchini delle Procure non solo - che possono comunque rifarsi frantumando (condannando) l’assoluzione. È l’isola tutta intiera che trattiene il respiro, come fosse una sconfitta, se la mafia, quel genio di Riina per dire, non governava Berlusconi, Dell’Utri e Milano.
Un penserebbe che un Dell’Utri, uno che va a Milano, da solo crea un mercato pubblicitario che Urbano Cairo se lo sogna, il Grande Editore di oggi, dal niente (il mercato pubblicitario quarant’anni fa era niente, 600 milioni, di lire, Dell’Utri lo portò a sei miliardi), sarebbe stato motivo di orgoglio. E invece no – solo invidie.
L’isola, ricca e ricchissima, ama cabotare. Come se si vergognasse, e invece è “femmina”, si sarebbe detto quando si poteva dire, come di qualcuno che ama lasciarsi fare. E ora, da molti decenni ormai, quasi un secolo, respira solo con l’ossigeno dell’antimafia, altrimenti non respira – un’antimafia che tanto più è pervasiva, tanto più dice la mafia grande, e l’isola, si pensa, con essa.
Si chiedeva (si chiede ancora?) ai pensionati alla Posta la “dichiarazione di vivenza”. La Sicilia ha molte virtù e non è in pensione, ma ecco, la mafia è la sua dichiarazione di vivenza.


leuzzi@antiit.eu

Giallo erotico

Lui è un tranquillo ingegnere, papà amorevole di una bambina che accudisce, ricco pensionato di una chip di sua invenzione, che il tempo libero passa con un paio di coetanei, filosfeggiando, quando non esercita alla mountain-bike, e marito di una moglie giovane, bella e inquieta. Che va a letto con chiunque capita, se ragazzotti, senza arte. I quali poi, uno dopo l’altro, muoiono, per incidenti, cadute, etc.Un romanziere di gialli scopre l’assassino. E poi muore, anche lui. Questa morte resuscita il desiderio della moglie irrequieta per il quieto marito, al ritorno di lui con la solita mountain-bike - la fine è come l’inizio.
Una trama che si vuole thrilling, ma è svolta senza apprensione, giusto quel poco per chedersi se non ci sarà un autore dietro le morti. o se non sia la donna che porta male. La suspense manifestamente non importa al regista: A. Lyne fu famoso trenta, quarant’anni fa per film a alta tensione sì ma erotica - senza essere porno. E ci riprova. Con un certo successo, grazie alle grazie non nascoste, insaziabili, di Ana de Armas, neostella cubano-spagnola il cui solo fisico, fotografato da ogni angolo e in ogni posizione, dice tutto.
Ben Affleck, l’ingegnere inventore pensionato e marito tradito, regge tutta la narazione, sempre presente, anhe a letto per la verità, e insondabile. Ma la sua performance non conta, non incide – o forse sì, rende più fresche e vivaci le grazie della moglie inquieta.
Adrian Lyne, Acque profonde, Sky Cinema, Now

lunedì 27 ottobre 2025

Se lo sfacelo ex Agnelli è colpa dell’allenatore

Un centravanti che fa fare gol al terzino avversario, nella propria porta, roba da Ridolini, era ancora da vedere in campo. Comprato a caro prezzo, come uno che fa molti gol – mentre di suo non gliene riesce nemmeno uno.
Succede alla Juventus, il club degli Agnelli, con l’ultimo acquisto strombazzato come letale – giustamente? Ma la colpa è dell’allenatore, non di chi ha fatto l’affare. Che non è l’unico, sono ormai una dozzina gli acquisti di brocchi a Torino, a caro prezzo.
L’eredità Agnelli, l’impero d’Italia, è una serie di rovine, in tutti i settori non solo nel calcio. Dove hanno vinto quando hanno avuto dirigenti capaci, Giraudo e Moggi prima, poi Marotta - che variamente hanno provveduto a liquidare. Quella del calcio è un aspetto minore della rovina, dopo quella della Fiat-Chrysler, ora perfino di Ferrari. Il capitalismo familiare è alla moda in Italia, gettonato anche dai giornali di Elkann, l’ex signor Fiat, ma il suo caso maggiore è da spavento.
Nel calcio è tale l’insipienza che si vorrebbe fosse la coperta di un qualche mercato corrotto, di affari poco puliti – tangenti, sfioramenti, pizzo. - dietro l’apparente scelleratezza di gestione. Ma può darsi che non ci sia nemmeno quello – e non per buon’animo.

Secondi pensieri - 571

zeulig


Io
- Da solo non dà stimoli, in esso nulla si trova.
In questa insufficienza probabilmente l’origine della religione: si crede in Dio, cioè si nega l’io – comunque lo si cela, lo si trascura.
 
Sicurezza-Sorveglianza – Siamo sicuri perché siamo sorvegliati? L’età della sorveglianza è l’età della massima insicurezza. Satelliti spia, droni, telecamere, furti online di ogni tipo (affetti, progetti, segreti, conti, carte, identità, normalità – spostamenti, incontri, perfino le conversazioni e gli interlocutori). Nella vita quotidiana, in tempo di pace.
In tempo di guerra praticamente non c’è più difesa possibile.
Israele ha eliminato (quasi) tutti i nemici Hezbollah, alcune migliaia, in un colpo solo, entrando nei cellulari di ognuno e facendoli esplodere.  
Orwell è riferimento obbligato, “1984”, con l’occhiuto Amore che presiede alla sicurezza, poiché tutto sa. Ma c’è di più: la pluralità “democratica” dei ladri come dei controllori, da cui l’impossibilità pratica di difendersi, nonché il sospetto o il peso di attività sanzionabile, qualora si potesse.

 
C’è anche da rifare le nozioni – le tante nozioni orma classiche – di potere.
 
Storia - La storia vera è un serpentone pieno di nodi, ognuno dei quali è un altro serpente. O è fatta di lampi, razzi sparati nel cielo, frecce scoccate in ogni direzione. Al modo di Prometeo, di un dibattersi contro catene invisibili quanto solide.
La storia delle cose è zero, e il contesto è contestabile. L’umanità è un affollato battaglione in surplace, testa eretta, tendini tesi, che non si stacca da terra. Lancia messaggi, organizza tiri, apre squarci, ma sempre fermo dove e com’era, spingendo, minacciando, brontolando.
 
La storia – il progresso - è aerea, l’umanità è terrena, di materia greve. Ma non si può dire inerte.
 
Dei re e imperatori, che sono stati in gran numero, quando uno è intelligente trova un posto nella storia. Per il che pare che la storia sia fatta da principi, re e imperatori, e tutti intelligenti. I quali invece in più gran numero e per il maggior tempo vivono di caccia, malevolenze, tirannie. I pochi se ne appropriano perché la scrivono.
Fa la storia chi la scrive. La storia è opera letteraria, per questo trae in inganno.
 
Non è utile. La storia – il tempo - non è maestra di verità, è una fiera, un teatro. Solo serve, se serve, a far sognare.
Non ha neppure spessore, spazio. È un infinitesimo della fantasmagoria dell’universo. Il tempo è statico, il tempo mentale e biologico, della specie umana. A meno di non ricorrere ai miti, alle genesi, che poi si ripetono uguali: Dante, Origene, Platone, Pitagora, la Bibbia, il Libro dei Morti, il Libro di Veda, e l’analogo che ci sarà in Cina, o Giappone.
 
La storia non ha senso, né può averne. L’uomo è agli inizi della conoscenza, il linguaggio comincia ad articolarsi. Nuovi linguaggi daranno conto di nuove realtà. L’astrofisica, benché agli inizi, elabora realtà già al di là dell’esperienza concettuale, della capacità di espressione. La biologia bisogna fermarla, già più non si padroneggia. La matematica, pur limitata e limitante come ogni linguaggio, ha capacità d’arricchimento inesauste, perché linguaggio a impianto non storicizzato, meno condizionabile.
Ma nell’attesa si segna il passo.
 
La storia non si può dire immobile. Per la potenza della grazia nel battito di ciglia. O nelle pieghe e gli sbuffi che fa il torrente di montagna quando incontra una roccia alta un metro nella visione di Ruskin. Ma non è del tutto mutevole. E ha delle costanti, anche dopo periodi lunghi, che fanno i popoli, l’anima del popolo: la storia sempre varia e sempre si connette per invarianti.
Forse non varia neppure la periodicità. È la fisicità della storia – per riflesso condizionato, per destino?
 
Gli elementi periodici sono rilevanti nella storia e non gli eventi, annota Jünger nel ‘39, averne smarrito la consapevolezza è una delle cause della rovina incombente. Che non vuol dire che ciò che è avvenuto avverrà, ma che bisogna vigilare. O la verità è che non abbiamo storia, non abbiamo passato? Ce l’abbiamo ma possiamo cambiarlo, questa è la verità della storia. Ci viene più spesso cambiato, da un terremoto, uno tsunami, ma si può cambiare.
 
Verità – Per Marx in particolare, ma per tutti i filosofi con ambizioni pratiche, in tutti i rapporti, anche familiari, il criterio della verità diventa distacco critico: io e gli altri. È la forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio dell’umana imperfezione.
 
La verità è la condanna dello spirito laico. È per i santi e i ciabattini, un tempo si diceva. Chi ha il senso tragico, oppure religioso, del mondo, sa che Dio è la maschera d’ogni cosa. La verità, se si vuole, è nella maschera. Il Figlio di Dio visse nascosto, tra un padre e dei fratelli putativi, poi mise in scena se stesso. Dio si nasconde, nella Trinità, le Dominazioni, i Profeti. È una lunga serie di suoi doppi ha ispirato, dal califfo delle ‘Mille e una notte’ a Shakespeare. Ci sono desideri e paure, buone intenzioni, fantasie, progetti, e il tutto si rimescola in casuali figurazioni all’impronta. Non c’è decoro, o rigore che tenga.

zeulig@antiit.eu

Ma tutto è dazio - il libero scambio non è mai libero

I dazi non sono tutto, altri e più efficaci sono gli strumenti che gli Stati adottano per “proteggere” le proprie economie.
“Negli accesi dibattiti sulla politica commerciale, a Washington e altrove, i dazi sono spesso descritti come lo strumento principale, o addirittura l’unico, con cui i governi intervengono nel commercio globale. Sono facili da quantificare, più facili da politicizzare e prontamente utilizzati nei negoziati bilaterali. Ma questa attenzione ai dazi è fuorviante. Oscura i meccanismi più fondamentali attraverso i quali i paesi modellano le loro relazioni commerciali con il mondo. Poiché gli squilibri interni di un paese tra consumi e produzione devono sempre essere coerenti con i suoi squilibri esterni, qualsiasi cosa influisca sui primi non può che influire sui secondi, e viceversa. I dazi sono solo uno dei tanti strumenti che un governo può utilizzare per modificare lo squilibrio interno di un paese.
“Come la maggior parte di questi strumenti, i dazi funzionano spostando il reddito dai consumatori ai produttori. Ma a causa della loro visibilità, sono spesso tra gli strumenti politicamente più controversi. Al contrario, molti degli interventi commerciali più incisivi nel mondo odierno non si presentano come dazi, ma come scelte politiche che non sembrano affatto correlate al commercio. Decisioni fiscali, strutture normative, politiche del lavoro e norme istituzionali possono influenzare la distribuzione del reddito e l’equilibrio tra consumi e produzione nelle economie, con implicazioni di vasta portata per il commercio globale.
Per capire perché i dazi ricevano un’attenzione così sproporzionata, è utile considerarne la visibilità. Un dazio è una voce di spesa in una negoziazione commerciale che influisce sul prezzo di un bene importato. È facile da identificare, facile da usare come arma, facile da revocare ed è ovviamente collegato al commercio. Ma la stessa semplicità che rende un dazio politicamente rilevante lo rende anche un indicatore poco efficace della politica commerciale nel suo complesso.
“In sostanza, un dazio è un’imposta sulle importazioni. Rendendo più costosi i beni esteri, offre ai produttori nazionali un vantaggio in termini di prezzo. Questo può avvantaggiare alcuni settori e preservare posti di lavoro. Ma questi benefici hanno un costo: i consumatori pagano di più per beni e servizi. L’effetto netto è un trasferimento di reddito dalle famiglie alle imprese, ed è questo trasferimento che, riducendo la quota di pil delle famiglie, riduce i consumi complessivi rispetto alla produzione.
Questo spostamento del reddito dai consumatori ai produttori è l’essenza dell’intervento commerciale. Che si tratti di una tariffa, di un sussidio fiscale o di una legge sul lavoro che comprime i salari, il risultato è un cambiamento nella distribuzione interna del reddito che ha anche implicazioni esterne. Se i consumi sono tassati e la produzione è sussidiata, è probabile che le esportazioni nette aumentino. Al contrario, se le politiche spostano il reddito dai produttori ai consumatori, è probabile che le esportazioni nette diminuiscano. In questo senso, qualsiasi politica che influenzi l’equilibrio tra consumi delle famiglie e produzione totale influirà anche sull’equilibrio tra  risparmio interno e investimenti interni, e quindi è di fatto una politica commerciale.
“Consideriamo la politica valutaria. Quando un paese interviene sui mercati valutari per mantenere la propria valuta sottovalutata, raggiunge gli stessi obiettivi di un dazio. Una valuta più debole rende le importazioni più costose e le esportazioni più economiche, sovvenzionando la produzione e tassando i consumi. Come i dazi, questo rappresenta un trasferimento di reddito dagli importatori netti (il settore delle famiglie) agli esportatori netti (il settore dei beni commerciabili), ma avviene attraverso i tassi di cambio anziché sotto forma di dazi.
“La restrizione finanziaria può avere lo stesso effetto. Nei paesi in cui il sistema bancario serve principalmente il lato dell’offerta dell’economia, la soppressione dei tassi di interesse rappresenta di fatto una tassa sul reddito dei risparmiatori netti (il settore delle famiglie) e un sussidio al credito per i debitori netti (il settore produttivo). Trasferire il reddito dai primi ai secondi crea uno squilibrio interno – proprio come quello creato dai dazi doganali o da una moneta sottovalutata – tra consumi e produzione. Questo si manifesta sotto forma di maggiori esportazioni nette.
“Le politiche fiscali e regolatorie possono funzionare in modo simile. I governi potrebbero fornire sussidi diretti o indiretti a settori strategici, anche attraverso la costruzione di infrastrutture su misura per i distretti manifatturieri. Queste misure potrebbero non violare le norme internazionali sull’intervento commerciale, ma modificano gli incentivi relativi all'interno dell'economia in modi che rispecchiano il protezionismo tradizionale. Rendendo più economico o più attraente produrre che consumare, raggiungono lo stesso obiettivo: un cambiamento interno che produce un effetto esterno”.
E non è tutto: l’ecoonmia è forse più complessa e polivalente della politica, da gestire con accortezza. Per questo Adam Smith si appellava - si dice si appellasse – alla “mano invisibile”, dell’aggiustamento autonomo, graduale, non imposto. Si appellava alla provvidenza.  
Michael Plettis, Behind the Veil of Tariff Fixation, Imf “F &D” – “Finance&Development” settembre 2025 (leggibile anche in italiano, Dietro il velo dell’ossessione tariffaria)

domenica 26 ottobre 2025

Industrie in fuga dalla Germania

Torna la delocalizzazione industriale in Germania. Come a inizio millennio, quando il governo socialista dovette liberalizzare il mercato del lavoro, con la riforma Hartz. Ma non nella stessa direzione. Allora si delocalizzava all’Est, a costo minore di  manodopera. Oggi la manodopera non sarebbe un problema, per l’immissione massiccia di immigrati – a parità di mansioni, si stima che un immigrato costi mediamente il 70 per cento di un tedesco. I problemi sarebbero quello non nuovo della burocrazia, e quello nuovo del costo dell’energia. L’industria tedesca si era adagiata su un costo dell’energia ridotto, grazie agli accordi con la Russia – si era giunti per questo anche all’arresto anticipato delle centrali nucleari – ora bloccati.
La delocalizzazione non è accentuata, le riduzioni o chiusure sono limitate. Ma produzione e investimenti registrano valori negativi da due d’anni, e gli investimenti in cantiere non sono previsti in Germania. La tendenza sarebbe verso altri siti europei, la Cina, e gli Stati Uniti di Trump.
Pone problemi anche il lavoro immigrato. Il deficit remunerativo è  coperto dallo Stato, con un’offerta a costi ridotti o a titolo gratuito per alloggio e sanità. Un trattamento giudicato un privilegio da porzioni vaste dell’elettorato – gli elettori dell’estrema destra Afd, divenuta rapidamente il partito a maggior seguito.

Cronache dell’altro mondo – newyorchesi (366)

Ha già vinto le elezioni per sindaco, anche se non si è votato. È anzi il pupillo della Nazione: si chiama Zohran Mamdani, è mussulmano e attivista palestinese, è un candidato indipendente, non ha una “macchina” di partito dietro, di 34 anni, in America da quando ne aveva sette, cittadino americano appena dal 2018. Proveniente da Kampala, la capitale dell’Uganda, con la famiglia di notabili dell’antica colonia indiana dell’East Africa britannico. Il padre, Mahmood, è stato chiamato a insegnare Antropologia alla Columbia University, la madre, Mira Nair, è regista di cinema di molte opere e buona fama, Leone d’oro a Venezia nel 2001 (“Matrimonio indiano) – anch’essa in organico alla Columbia.
Socialista, animatore dei Democratici Socialisti d’America, erede di fatto dell’anziano capofila dei Democratici socialisti, Bernie Sanders – concorrente sfortunato alla candidatura Democratica per le presidenziali 2016 (poi vinte da Trump), contro Hillary Clinton – Mamdani spopola tra i media, e nei sondaggi.

La detective cieca ora vede confuso

Una terza serie inutilmente complicata – anche per la protagonista: Maria Chiara Giannetta sembra svogliata, è spicciativa. Dalla produzione, alla ricerca di un pubblico diversificato (quello delle adozioni\affido, e dei bambni che scmpaiono)? Dalla sceneggiatura?
Blanca, la detective cieca, che dava tanta fiducia a chi incontrava, amiche, banbine, cani, il babbo, i coleghi in questura, è nevrotica e nevrotizza. Come tema sussidiario ai casi, e filo conduttore per tutta la serie, sono stati introdotti un personaggio e una storia tanto complicati quanto non credibili. E col nuovo personaggio, di cui diffida, fa perfino un figlio. Assurdo. Si spiegano le sue inquietudini - e la scarsa voglia di seguire il filo.
Nicola Abbatangelo, Blanca, Rai 1, Raiplay