sabato 1 novembre 2025
Ma la cosa peggiore è la giustizia
Fatta la riforma della giustizia, che come tutte le leggi è imperfetta, c’è chi la critica. E avrà pure ragione, di fatto, su questo o quel punto o anche sull’insieme. Ma: è possibile che la giustizia non necessiti di un riassetto, una riforma? E come è possibile, se di tutte le disfunzioni dello Stato quella peggiore – anche volgare, perfino maleolente – è della giustizia? Che pure è pubblica, quotidiana, una cosa con cui un po’ tutti di confrontano, e quindi sfrontata nella sua pochezza – quando non è (ma è molto diffusa) ingiusta: di parte o pregiudicata, cioè corrotta.
Ingrid Bergman attrice brillante
Ingrid Bergman e Cary Grant, la coppia inaugurata da
Hitchcock famosamente nel 1946 con “Notoriuous”, si ritrova due anni dopo in una
commedia senza pretese, di autore anche sconosciuto, Noran Krasna – del genere detto
in Francia boulevardier, spensierato. Con una tramina di coppia
scacciapensieri: come catturare l’uomo dei sogni, niente di più, ricco, bello,
amorevole, ma allergico al matrimonio, da parte di un’attrice molto brava e di
successo in teatro, ma inguaribilmente sola.
Dialoghi serrati, le battute si sprecano, e non ci si
annoia – pur sapendo come andrà a finire. Anche se lui si dice subito “sposato,
senza possibilità di divorzio”. Soprattutto si segue per la Bergman in versione
brillante, in sorprendente contrasto con l’aureola dell’algore.
Stanley Donen, Indiscreto, Tv2000, Play2000
venerdì 31 ottobre 2025
Letture - 594
letterautore
Regina
Burckhardt Bardili
– La bisavola materna (1599-1669) di Hölderlin François Fédier dice
“capostipite di molti fra i più illustri scrittori tedeschi”. Detta la “signora
dello spirito” sveva. Dalla sua numerosa figliolanza, col pastore poi spretato
e medico Carl Bardili, nascquero Uhland, Wilhelm Hauff, Hölderlin, Ottilie
Wildermuth, la scrittrice per bambini, Justinus Kerner, il medico scrittore di
Ludwigsburg, e Friedrich Schelling, il filosofo. Nonché altri “poeti svevi” (di
Germania naturalmente, non di Sicilia, come vorrebbe l’IA) – la targa commemorativa
la dice “madre spirituale sveva”, oltre che “personalità rara e forte”.
Hőlderlin – Si diceva e si firmava
volentieri Scardanelli, nei lunghi anni della “pazzia”. Un nome italiano, di cui
però non si conosce l’etimo e non esiste un repertorio, in nessuna regione d’Italia.
Suona lombardo-veneto – e questo potrebbe
spiegare la sua declinazione in ambito austro-tedesco. Uno Scaramelli era
l’ambasciatore veneziano a Londra ai funerali della regina Elisabetta – quella
di Shakespeare. Non propriamente presente, la repubblica veneziana non volendo
dispiacere al papa, ma come tutti gli ambasciatori di Venezia bene informato
nei suoi rapporti confidenziali.
La bio più veridica di Hölderlin curiosamente
si trova in una lettera di Ernst Zimmer, il falegname (colto: non solo sapeva
scrivere, aveva anche letto Hőlderlin) che lo ospitò in casa, al piano alto,
per 36 dei suoi 73 anni - una lettera del 22 dicembre 1833 (Hőlderlin vivrà ancora dieci anni):
“L’infelice H. era destinato alla sventura fin dal ventre materno. Mentre sua
madre era incinta di lui, fece il voto che se fosse stato maschio lo avrebbe
destinato al signore, come diceva, cioè farlo diventare teologo. Quando giunse
il momento di andare in seminario, H. cercò di resistere, voleva diventare un
medico, ma la sua religiosissima madre lo costrinse e così contro la sua
volontà divenne teologo. Quando finì gli studi, l’allora cancelliere Leebret volle
riceverlo come parroco in Wolfenhausen e che sposasse per questo sua figlia, ma
H. rifiutò l’offerta, per primo perché non voleva obbligarsi per il servizio e
poi perché non aveva mai avuto inclinazione alla teologia e non avrebbe mai
potuto familiarizzarsi con essa, mentre gli piaceva molto la filosofia della
natura. In seguito H. andò a Francoforte come istitutore nella casa di un ricco
commerciante di nome Gontard, dove divenne molto intimo della padrona di casa,
da ciò nacque un dissidio, H. lasciò la casa e si ritirò a Homburg…”.
In effetti, orfano di padre a due anni, di patrigno a
nove, figlio della madre, ribelle (non farà il pastore, per cui aveva i titoli,
ma solo l’istitutore), ma per questo sempre innamorato di una sola unica donna, Suzette, un amore di sguardi e
parole.
Muore
nel 1843, di 73 anni, vergine, di cui 36 in cattività, dal falegname Zimmer.
Cattività per modo di dire, è operosa: disegna e scrive, saggi e poesie –
scrive bene, con la rima, con la metrica, con idee fini. Negli ultimi anni
firmandosi con nomi di fantasia, italianati, Scardanelli, Salvator Rosa,
Buonarotti (sic), Rosetti.
Letterato
esistenziale – Una (rara) figura satirica di Heidegger al § 128 del quaderno “nero” XIII: tutto “spirito” e
“valori supremi”, “che naturalmente legge «Hölderlin» e «Nietzsche», tiene in
considerazione Spengler e Jünger, conosce Rilke e avverte inclinazioni
romantiche verso la chiesa cattolica, rende attuale Pascal e non dimentica
l’elemento popolare”.
Manomorta – Data dallo scisma
protestante, in Inghilterra prima che in Germania e in Francia: i nuovi ricchi
di Enrico VIII furono numerosi e subito potenti, come lo saranno i boiardi nell’Est
Europa alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, appropriandosi di abbazie e ricche
parrocchie. Ne fa il caso Ramie Targoff, la filologa americana di italianistica
e di anglistica, a proposito degli svelti arricchimenti – con titolo onorifico –
dei coniugi di alcune delle sue “Sorelle di Shakespeare”.
Ottava rima – “Il salmo78”
del Salterio Sidney (la traduzione di Philip Sidney e della sorella Mary), “il
secondo più lungo di tutti i salmi, è nella sofisticata forma italiana dell’ottava
rima (abababcc)” – Ramie Targoff, “Le sorelle di Shakespeare”, 79. La
“stanza” ritmica, “cantabile”, quella dell’“Orlando Furioso”, dei poemi
epico-cavallereschi, e ora dei residui cantastorie.
Pasolini – È uno “preciso”,
con molta cura di sé. Si pubblicano per i cinquanta anni della morte molte foto
anche inedite (i nudi commissionati da ultimo a Pederiali), e in tutte Pasolini
appare in posa, e estremamente curato, dalla pettinatura alla calzatura. Non se
ne trova una “istantanea”, rubata, a sorpresa, o con figura per qualche motivo
scomposta. Pasolini è sempre in posa, e con l’abbigliamento giusto – quello
(che riteneva) adatto all’occasione. Anche dei nudi, si precisa che non sono
pose rubate, ma al contrario contrattate e organizzate, nei dettagli.
Si confessa impolitico, scrivendo al\del fratello Guido, ucciso in
montagna da altri partigiani (negli scritti commemorativi recuperati da Graziella
Chiarcossi come “Lettera al fratello”, p. 21): “In quelle questioni di
patriottismo eri cieco… mentre io ero come protetto da quel mio continuo sognare
e vivere dentro me stesso, e da quella mia assoluta sfiducia in ogni illusione
che non fosse puramente mia”. Come a dire che la Resistenza non meritava.
Pasolini ha nell’Occupazione lo stesso sentimento di Pavese (il Pavese
del famoso “Taccuino segreto”) – al quale però è molto rimproverato.
Un Pasolini “schivo, a tratti burbero”, ricorda il barbiere di Torpignattara
a Roma, Franco Umbro, che qualche volta gli fece i capelli (lui dice la barba)
durane le riprese di “Accattone”.
Lo stesso lo ricordava, “scostante, superbo”, il signor Mario, del salone
in via Carini al piano terra dello stabile dove Pasolini ha abitato per un
periodo, vicino dei Bertolucci – Attilio Bertolucci era invece “comunicativo”,
cioè accettava di conversare.
Philip Sidney – Il poeta petrarchesco,
a lungo favorito della regina Elisabetta I, dedicatario, ancora in vita e ai
suoi vent’anni, di Giordano Bruno (“Spaccio de la bestia trionfante”, “Degli
eroici furori”), morto di soli 32 anni in guerra in Olanda, “fu onorato con uno
dei più grandiosi funerali mai organizzati per qualcuno fuori della famiglia reale”,
racconta Ramie Targoff trattando di Mary
Sidney, la sorella, una delle sue “Sorelle di Shakespeare”: “Storici moderni lo
hanno paragonato al funerale per Winston Churchill”. Se ne era fatto un eroe
della guerra contro la Spagna nelle Fiandre – era morto ad Arnhem di cancrena,
quattro settimane dopo una ferita al ginocchio non curata. Il funerale, opina
Targoff, serviva anche a distrarre l’attenzione: la cerimonia si tenne “otto giorni
dopo che Mary, la regina di Scozia, era stata decapitata”. E “dopo che la salma
era stata tenuta per tre mesi nella chiesa di Holy Trinity, Minories, mentre il
suocero provava a risolvere la questione dei debiti enormi che il poeta si lasciava
dietro”. Da questa chiesa, nell’East London, “un corteo di settecento notabili marciò
fino alla cattedrale di St. Paul”, e le strade erano cosi affollate che i partecipanti
ufficiali alla cerimonia ebbero difficoltà a seguire la bara.
Marcella Spann
Booth -
Alain Elkann, “Il silenzio di Pound”, p. 77, le attribuisce una relazione col poeta
- una delle di lui tante, secondo Elkann, anche se Pound risulta essere stato piuttosto
monogamo. In realtà Marcella Spann frequentò Pound negli anni in cui era
detenuto in America in ospedale psichiatrico. Collaborando, da americanista, all’antologia
poetica “Confucius to Cummings”, partendo dalle traduzioni di Confucio che
Pound aveva operato in gioventù. Fu, principalmente per questo, destinataria di
numerose missive – la corrispondenza ammonta a circa 700 lettere.
Il contenuto del
lascito Spann Booth nella collezione manoscritti dello Harry Ransom Center (“10
scatole, 3 scatole di grandi dimensioni, 4,87 piedi lineari”) è così sintetizzato:
“La collezione Marcella Spann Booth di Ezra Pound è composta da voci di diario,
bozze di manoscritti, frammenti e appunti di poesie, bozze di stampa,
corrispondenza, ritagli di giornale, fotografie, materiale pubblicato, un album
di ritagli e cimeli relativi al poeta Ezra Pound e alla professoressa Marcella
Spann Booth”.
Titania - Ma non è la
lady Chatterley di D .H.Lawrence? La Regina delle Fate di Shakespeare, “Sogno di
una notte di mezza estate”, che al risveglio da un incantesimo s’innamora di
Bottom – il fondo schiena, un bruto dalla testa d’asino.
letteratore@antiit.eu
Pasolini narcisista
Elsa Morante e Pasolini, un rapporto fraterno
(materno), finito male. Si dice dopo Valle Giulia, la solidarietà di Pasolini
con i poliziotti. Bardotti invece trova la frattura precedente, nel 1964. E,
ben delineata, di diversa natura: Morante rimprovera Pasolini di ipocrisia –
una forma, si direbbe, di malapartismo, un rimestare sapiente ma “borghese”, e
anche opportunista.
Nel 1964 Pasolini pubblicava la raccolta “Poesia in
forma di rosa”. Nella quale “Elsa scorgerà una radice narcisistica e una vena
di populismo che non aprezzerà”, e “scrive e invia all’amico un testo
«scherzoso», ‘Madrigale in forma di gatto’, un calligramma”. Scherzoso tra
virgolette è la parola giusta: è una critica, anche violenta. La stessa studiosa
non può non rilevarlo: “Lo accusa di ipocrisia, di finto amore, di malafede
ideologica”. Sottovaluta l’accusa perché parte dal presupposto che Pasolini
doveva essere per Morante “il nuovo Rimbaud”, mentre era uno che cavalcava il mainstream.
Il che è opinabile, l’attesa di un nuovo Rimbaud – da parte di Elsa Morante?
Per Bardotti Rimbaud è un benchmark, già
autrice di “Una lunga stagione in inferno. Rimbaud nell’opera di Pasolini”. Ma
non persuasivo nel caso di Elsa Morante. I rapporti si raffreddano. Finiranno
del tutto nel 1971, quando Ninetto Davoli decide di sposarsi, per la disperazione
di Pasolini, col plauso di Elsa Morante. Ma non ce n’erano già da qualche anno.
Non c’è ingiuria che il calligramma non sollevi, sotto
la forma parodistica, già dal titolo, “Madrigale in forma di gatto”, non tanto scherzosa
– questo il testo, pubblicato nella raccolta Einaudi delle “Lettere” di Pasolini,
a cura di Nico Naldini:
“La rosa è la forma delle beatitudini.
Beata l’angoscia in forma di rosa.
Beato il disordine e la libidine sanguinosa
la passione di sé invereconda gli eccessi di velocità e
le orge funebri
il nero rifiuto dello sposalizio le bandiere dell’oltran-
za le corazze dell’ignoranza
i vari equivoci dell’egoismo le mascherate degli
stracci
le carità pretestuose le immondizie deificate
i pregiudizi di casta l’alibi storicistico
le complicità attuali, l’adorazione ai padri farisei, la
paura della castrazione
il candido tradimento il pianto vantone
la corda sentimentale e la spada della ragione
beate le secrezioni i visceri della letteratura l’oratorio
la mistificazione
quando finalmente s’aprono in forma di rosa!
Il ragazzo che si intende protagonista del mondo
(protagonista anche se bandito, anzi di più perché bandito …
starà sempre beato al centro della rosa.
E lui beato ignorerà gli altri peccatori al bando della rosa
e al bando di se stessi
non protagonisti del mondo
non leggenda di se stessi
soli senza nessun addio. Agonie senza nessun pianto
e nessuna rosa.
Il gatto che non crepa[vi]”.
Sandra Bardotti, La regina esigente e la
madre consolatrice, Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa, free online
giovedì 30 ottobre 2025
Problemi di base nordici - 886
spock
I vichinghi non erano biondi?
E nemmeno rossi?
E perché non scrivevano – non sapevano?
Usavano le rune, una cosa come
il lineare A – saranno stati, anche loro, minoici, sbandati?
Quante cose non hanno fatto i
vichinghi, oltre che scoprire l’America e anche il Sud America, ma
perché non l’hanno detto, non
sapevano parlare?
Perché non si fa la storia vera
dei vichinghi?
spock@antiit.eu
Pasolini nostalgia
Una raccolta di interventi brevi, ricordi,
evocazioni, letture di Pasolini, e qualche analisi. Sul tema: “La sua forza 50
anni dopo”. Perfino crescente, si direbbe, oggi più vasta, se non più robusta,
di quando fu ucciso. Testi vari ma tutti curiosamente virati a “salvare” di Pasolini
la poesia. Più che – come ci si aspetterebbe da un quotidiano – il suo impegno
civile, giornalistico. Da ultimo con i famosi “fondi” corsari, allarmati e
allarmanti, sul Corriere della sera”. Il rifiuto del presente, l’insofferenza per
l’“Italietta” - “L’Italietta è piccolo-borghese, fascista, democristiana” di
una lettera a Calvino.
Con articoli sulla morte tragica: la scoperta del cadavere, l’idroscalo, “Pommidoro”. “Biondo Tevere”. Goffredo Bettini illustra la curiosa benevolenza che sempre riservava a lui e agli altri “giovani del Pci”. Matteo Palumbo
la passione per il calcio, sport di contatto ma di squadra. Silvia De Laude, la
curatrice con Siti dei “Romanzi e racconti” di Pasolini nei Meridiani, fa uno spaccato
della “scrittura” del secondo Novecento, al tempo della nascente industria editoriale
– che ha ribaltato il laboratorio creativo: “Ragazzi di vita”, in fattura dal
1950, “finito” dall’autore il 13 aprile 1955 e subito mandato dalla redazione in
composizione, “in tempo per poter partecipate al premio Strega”, bloccato da
Livio Garzanti per timore di un sequestro per oscenità, viene rapidamente censurato
in bozze dallo stesso autore all’inizio di maggio.
Vittorio Giacopini, “Il profeta e il poliziotto”,
prova ad addentrarsi nelle incoerenze del personaggio, tra il “desiderio folle
di regresso” e il “non c’è niente di più bello che inventare giorno per
giorno il linguaggio della protesta”. Pasolini non ci perderebbe se contradetto
– molto intelligente, e per questo più narcisista. Giacopini parte col
corvo di “Uccellacci e uccellini”: “È il suo autoritratto in maschera, e un
enigma”. Non propriamete un enigma, sotto l’aureola - lo studioso di Orwell,
Chiaromonte, Camus avrebbe potuto fare un passo avanti.
Il contributo critico più interessante è di Davi Pessoa,
che smonta e rimonta “Petrolio”. Il libro che Pasolini voleva “una sorta di
«riassunto» di tutte le esperienze, di tutti i miei ricordi”. Ma di cui ha
lasciato una babele, di testi e di propositi - “siamo convocati dallo
«scrittore argonauta» a vivere un altro «schema di viaggio», ancora da farsi”
(da solo, in automatico?).
Con una cospicua documentazione fotografica. Che accentua
il contrasto - che non si rileva, benché forte, quasi indisponente - tra propositi,
modi di vivere, affetti, per come dichiarati, sempre movimentati, e il Pasolini
invece “preciso”. In posa in tutte le foto, anche quelle di scena, suppostamente
rubate (in realtà programmate). E in abbigliamento in ordine, sempre “giusto”
per l’occasione, comprese le tenute da calcio, o i nudi, autoindulgenza da
cinquantenne, ordinati a Pederiali con minuzia, angolazioni, luci, tagli – il
lato Mishima, D’Annunzio, o più semplicemente Malaparte.
AA.VV., Rivoluzione Pasolini, “la Repubblica”,
2 voll., pp. 167 + 143, s.p. (gratuito col quotidiano)
mercoledì 29 ottobre 2025
Ombre - 797
Torna il nero nei gruppi pro-Palestina nelle università e anche nei licei, di barbe e chiome, disordinate, sporchicce, come nella remora “contestazione”. Barbe e chiome che però sono state adottate successivamente dagli islamisti e ne sono tuttora la divisa – una sorta di maschera. C’è una parentela? La rivoluzione è insoddisfazione, verso se stessi?
Alla Giornata del Risparmio una
ricerca Ipsos documenta un “deciso cambio di direzione”: accanto alla nota
propensione alla liquidità (che si imputa all’ignoranza in materia finanziaria
ma è – è evidente – la troppa insicurezza degli investimenti finanziari) risultano
pochi investimenti, se non nella forma di “ritorno al mattone”. Che in un anno
passa dal 26 al 34 per cento degli impieghi, quasi alla pari con gli “strumenti
finanziari sicuri”, i fondi e i Bot (36 per cento). Il governo identitario
nazionale ha fatto di tutto per spaventare il “popolo”.
Le familiarità, unicamente verbali,
che Trump si è preso con Melon sono nulla al confronto di quelle esibite nella
due giorni a Tokyo con la premier Sanae Takaichi. Specialmente eccessive a fronte
del “distanziamento” nipponico, l’etichetta del saluto senza contatto fisico. E
nessuno se n’è scandalizzato in Giappone. Che evidentemente riesce a vivere
senza “antifa” – senza perdere tempo.
Gli arbitri turchi del calcio
che scommettono “normalmente” sulle partite si rappresentano scherzosamente,
come un’esagerazione, una “cosa turca”. Mentre invece aprono uno spiraglio, per
capire come ma anti “errori” in una partita. Soprattutto ora, con la copertura
del, o della, Var. Prova inoppugnabile il fotogramma tv. Che un qualsiasi operatore
può aggiustare a piacimento.
Si difende Ranucci per ovvie
ragioni. Ma che squallore mandare in onda la telefonata della moglie di
Sangiuliano, che l’ex ministro faceva sentire all’amante. Terribile. Una
telefonata registrata illegalmente – illegalmente trascritta. Presentandola il
dileggio come forma di resistenza, di sinistra.
Senza pensare che c’è tra le forze
dell’ordine addette alla registrazioni chi se le vende. E c’è la Rai che le
compra.
Israele controlla e arma quattro gruppi, non concorrenti tra
di loro e anzi coordinati, di terroristi anti-Hamas. Finanziare e organizzare
gruppi terroristici contro il terrorismo è strategia sbagliata, oltre che immorale.
Roba da spie: Hamas fu organizzato, contro l’Olp di Arafat, da Israele, nel
1979, quando era primo ministro Begin, finanziando il Centro Islamico dello
sceicco Yassin, dal quale nel1987 emergerà Hamas.
Curioso, “Il Sole 24 Ore”, il giornale della
Confindustria, è il solo che si fa un dovere d’informare sulla Cisgiordania, sulle
tante forme di sopruso di Israele, sulle varie forme pacifiche di resistenza
dei palestinesi. Mantiene un inviato tra Gerusalemme e Cisgiordania, Roberto
Bongiorni, e questo è ancora più curioso: Bongiorni può svolgere il suo lavoro indisturbato,
mentre altri personaggi meno insidiosi, sanitari, funzionari Onu, pacifisti,
vengono respinti oppure espulsi. Israele vive in un’ambivalenza giuridica, tra
rispetto e rifiuto del diritto.
La tasse aumentano con la legge di bilancio e non diminuiscono.
Si sapeva, “Il Sole 24 Ore” fa il conto di quanto. Nei tre anni coperti dalla legge
l’Irpef sarà attenuata complessivamente di poco meno di 10 miliardi, rispetto
al gettito prevedibile senza correzioni. Ma l’Ires si aggraverà per le imprese,
di 6 miliardi, e altrui 4 miliardi e mezzo saranno pagati dai consumatori per
gli aggravi Iva, accise e fumo. La coperta è sempre corta, e questo si sapeva.
Ma “vendere” una politica di rigore fiscale come una di detassazione? Un governo
social, tutto si può dire?
Il Parlamento israeliano ha votato – due volte – per
l’annessione della Cisgiordania e non ne sapevamo niente. Non fosse stato per
il trucibaldo Vance, il vice di Trump, che si è detto “insultato dal voto della
Knesset” – hanno votato mentre lui si aggirava in “missione di pace”. Tanti
inviati a Tel Aviv, Gerusalemme, Gaza (Gaza no, Netanyahu non permette, sta
facendo pulizia) e non ne sapevamo nulla. Anche ora, dopo che Vance ha parlato.
Forse non sanno l’ebraico?
Richiesto di un progetto andato male, l’enologo di Vespa,
D’Alema, Cucinelli, Sting, Riccardo Citarella risponde secco: “La vigna in
Vaticano, partita con Ratzinger. Dopo due anni Bergoglio ha distrutto tutto con
le ruspe”. Il papa francescano menava.
Parte alle 18 la stagione concertistica di Santa Cecilia a Roma, con una esecuzione scenica della “Valchiria”, sold out da mesi, nella sala grande, da 2.800 posti, mentre nello stesso Parco della Musica si proiettano film e si svolgono cerimoniali della Festa del Cinema, e di fronte, oltretevere, c’è la partita della Roma. Tre grandi eventi tutti insieme nello stesso logo, lo stesso giorno alla stessa ora. Tutti finiti alle 23. Dopodiché si fa l’alba, senza cornetti caldi. Niente programmazione, niente vigili, e traffico bloccato a ogni incrocio (ogni 20-30 metri) dai semafori lasciati alla programmazione diurna. Roma è sempre un paese(one), non diventerà mai una metropoli – basta vedere la miseria della metro.
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Giallo filosofico - sragionevole
Il paradiso terrestre è fatto di visionari, in genere
egoisti, imbelli e imbroglioni - e perché non dovrebbe? E a tutti piace
accoppiarsi, facendo figli oppure no. Qui è alle Galapagos, all’isola Floreana
– un migliaio di km al largo dl’Ecuador ma, pare, ben servita. Il solito filosofo
tedesco vuole inverarvi Nietzsche, e vi predica il ritorno al pre-post-umano
strappandosi i denti per evitare infezioni, ma circondandosi di compagna con sclerosi
multipla, giusto per sbattersela ogni tanto. Celebrato in patria come tutti i ciarlatani, viene
raggiunto da un onesto reduce di guera con moglie e figlio, che è tubercolotico
e a cui quindi l’aria felice non può che fare bene. Finché non sbarca una finta
baronessa, con due veri servi amanti, che si si spupazza in ogni luogo e
posizione, e finte credenziali per fare dell’isola un resort pre-trumpiano.
Molti dispetti. Molta stupidità. E la cosa non finisce
bene - Nietzsche è irrealizzabile, era solo un follle. Ma il racconto non è da
poco, in cattiveria: un horror in forme borghesi, intime, da tinello. Con
in più le grazie, nn lesinate, della “baronessa”, Ana de Armas, nuova stella dello
schermo, che fa vibrare di erotismo. erotismo.
Howard è felice narratore di menti distorte –
cattive, distruttive, essenzialmente stupide. Dell’umanità per cui la ragione
è sragionevole.
Ron Howard, Eden, Sky Cinema
martedì 28 ottobre 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (611)
Giuseppe Leuzzi
Il mattone caldo ai piedi del letto le notti d’inverno,
per non raffreddarsi andando a dormire, scaldato al braciere e avvolto in un panno
sottile, ricorre anche in un racconto di Lucia Berlin, “Andado” – nella raccolta
“Sera in paradiso”. La giovane protagonista, Laura, americana, invitata in una finca
fuori Santiago del Cile, va a letto presto, per evitare contatti ravvicinati
con gli anfitrioni, scusandosi che ci va “prima che faccia freddo”. Ma trova
che Maria, la domestica incaricata di accudirla, “aveva messo un mattone caldo
ai piedi del letto”.
Scilla era maschio? Ovidio, nella
lettera III dal Ponto, alla (terza) moglie – perché interceda per la grazia presso
l’imperatore – premette che non le chiede molto. Non le chiede nemmeno di esporsi,
non con questo o con quello, né come “Scillaque, quae Siculas inguine terret
aquas”, come “Scilla, che con l’inguine terrorizza le acque sicule”.
“Epistula ex Ponto, III 1”, 122.
Ricorrono nelle cronache due
Mattia Filice, cognome che l’IA vuole “diffuso” ma calabrese, cosentino – con le
solite etimologie di fantasia: dal greco filikis, amichevole, dal latino
filices, felci, dal nome proprio. Entrambi artisti, uno in Francia, uno
in Italia. Il francese è in tv e sui giornali con un romanzo in prosa e in versi,
“Mécano”, rinforzato da una bio all’americana (ex proiezionista, macchinista di
treno per vent’anni) e foto lusinghiere. L’italiano, “regista e sceneggiatore indie”
su LinkedIn e Facebook, noto a se stesso e ai pochi amici. Non è emigrato
abbastanza lontano? L’emigrazione è creativa se si recidono le rardici?
Niente bagni a
Ostia, c’è la mafia
“Ostia viene associata alla mafia,
agli affari sporchi, e tutto quello che accade è letto in questa ottica. Viene
riparata la buca su un marciapiede? Abbiamo riportato la legalità»”, ironizza
il presidente dei balneari di Roma (Ostia è una città, ma è un quartiere di
Roma): “Da dieci anni si parla solo di legalità”, senza rimedio, “e intanto scontiamo
l’immagine negativa: Ostia uguale malavita”.
Il ripristino delle regole, facendo
chiarezza sulle concessioni, vecchio, insolubile?, problema? “Importantissimo.
Ma per farlo è stata cancellata una stagione balneare: stabilimenti chiusi,
senza concessione, spiagge libere date in gestione a metà luglio…”.
È vero, il bando per le
concessioni il Campidoglio l’ha fatto a fine maggio. E a fine giugno è riuscito
a rinnovarne alcune.
Inanto si circonda Ostia di checkpoint,
“anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale”, annuncia orgoglioso il
Campidoglio. Per controllare “veicoli sospetti all’ingresso nel Xmo Municipio” –
quello di Ostia. Che tutti sanno essere un “appaltino” a ditte amiche.
La presidente dell’Antimafia
Colosimo non cessa di proclamare: “Imprenditori, denunciate le estorsioni. E ai
giovani dico di non vendersi per 150 euro”. Quanti stipendi per giovani a Ostia,
da 1.000-1.200 euro, sono andati perduti solo perché il Campidoglio aveva altri
appalti di cui occuparsi, più rilevanti evidentemente del business,
purtroppo inscalfibile, delle concessioni balneari?
Ma come guidano (male) a Salerno
Anche il Sud è variegato. Forse più del Centro-Nord,
benché confuso ammasso “di laggiù”
nell’opinione
– semmai caratterizzato dalle mafie, ognuna delle quali, sì, avrebbe psicologia
e storia proprie. Lo è forse più del resto d’Italia, poiché ogni minuscola valle,
al Sud le acque hanno creato valli poco profonde e poco ampie, è caratterizzata–
e quasi sempre a dispetto o in concorrenza con la valle viciniore, quindi
mantenendo o accentuando caratteristiche proprie. Tanto che anche nell’uniformismo
tendenziale (l’“omologazione” di Pasolini, per stare sull’attualità), delle varie
regioni e località come meridionali - dei meridionali come italiani, degli italiani
come europei, degli europei come occidentali, e insomma, un po?, “amerikani” -
il meridionale nel Meridione ancora si distingue.
Come
vecchi frequentatori di Positano prima della gentrificazione, e poi più volte l’anno
dell’autostrada Salerno-Reggio da sempre, da quando fu costruita nei tardi anni
1960, è singolare, e resta praticamente immutata nei decenni, la guida
nel salernitano. La guida dell’auto. Non propriamente nel salernitano, provincia
molto lunga, nel tratto più trafficato, tra Salerno e Battipaglia, oggi forse
fino ad Atena Lucana. Per un nugolo di pratiche fuori norma – fuori abitudini
di guida. Nella Vecchia Napoli-Pompei-Salerno quello, in genere un furgone, che
entrava disinvolto in autostrada senza nemmeno guardare a sinistra, quello che
andava, imperturbato e imperturbabile, al centro della carreggiata (seguendo giustamente
la linea bianca, a cavalcioni), quello che frenava per uscire senza mai mettere
la freccia. Tornando da Positano, in genere a sera o la notte, era regolarmente
intasata – non per incidenti, o le restrizioni di carreggiata, che normalmente provocano
le code.
Sulla
Salerno-Reggio i segni sono molteplici. Di solito minimi, che non valgono il racconto.
Ma del tipo che rammenta che ormai stiamo vicini a Salerno – che abbiamo già
fatto, una soddisfazione nel lungo viaggio, il tratto fino a Salerno. Non per la velocità, il sistema di controllo Vergilius ha postazioni ogni 4-5 km, ma per andare a cavallo tra le corsie, per viaggiare lenti in seconda, e anche in terza corsia (nessuno sulla prima, a destra), per il non uso delle frecce. Il record storico (della memoria) è di un’ora e più di coda, nei trenta ultimi km fino a Salerno, che alla fine
si scopre provocata da due vecchiette in 500, che in seconda viaggiano, come ai vecchi tempi della Napoli-Pompei,
sulla linea bianca, fra le due corsie.
Un
modo di guidare simbolico? Di uno stare al mondo impermeabili, chiusi in se
stessi.
Centosette
giudici, per non fare giustizia
È forte l’antimafia. Ma giusto
per fare rigaggio, e carriera. È così un delitto sempre da indagare e punire, la
strage di via D’Amelio nel 1992, con l’ordigno piazzato nel punto esatto in cui
l’auto col magistrato si parcheggerà, che scoppia al momento preciso, quindi azionato
a vista, a un appuntamento improvvisato (la visita alla madre), di un uomo in teoria
superprotetto. Le indagini si sono fatte, ma per perdersi nel nulla. Con un colpevole
creato a tavolino, un falso pentito, Vincenzo Scarantino (pagato?), che devia
le indagini per sei-sette anni. Dopodiché non c’è più niente da fare. Si direbbe
una trama da servizio segreto, e invece è la verità della strage di via D’Amelio,
che eliminò l’inquirente principe Paolo Borsellino, e cinque degli agenti di
scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina
e Claudio Traina.
Il seguito è nella sintesi impressionante
di Sottile sul “Foglio” sabato 25: “Da quel depistaggio nacque poi una fitta
sequela di dossier e di processi – il «Borsellino bis», il «Borsellino ter» e
il «Borsellino quater» - nei quali si sono avvicendati, tra udienze di primo grado,
appello e Cassazione, centosette giudici. Un percorso titanico che non ha illuminato
alcuna verità, e che ha spinto la giustizia a schiantarsi – almeno finora – tra
piste, contropiste, reticenze, ammissioni, colpi di scena, silenzi detti e
contraddetti dei pentiti veri o riconosciuti tali. Un intramarsi di inganni, imposture,
di errori e anche di interessi. Non ultimi quelli, coltivati sottobanco da
alcuni uomini degli apparati - investigatori e pure magistrati – che hanno
brancolato nei misteri di Palermo per accaparrarsi un avanzamento di carriera o
altre opache utilità”.
Al netto delle incapacità, un
bel bottino per le antimafie.
L’antimafia è una corsia per le
carriere. Più facili se si inventano le “piste”. Invece che arrestare e condannare
i mafiosi, uno per uno. Quando commettono un’estorsione, una violenza qualunque.
Tanto più che non sono ignoti o inafferrabili.
Berlusconi santo
subito, o la mafia a Milano
L’assoluzione, incidentale, di
Berlusconi e Dell’Utri da una lunga lista di imputazioni per mafia, non ha
suscitato molte emozioni – a parte i figli di Berlusconi. Mentre tace Dell’Utri,
che di mafie antimafia è stato vittima, condannato anche, per il “concorso
esterno”, il reato di cui volentieri (per mestiere) si macchiano anche giudici e
investigatori, e su prove costituite dalle dichiarazioni di un pentito vanesio (basta scorrerne la biografia
scandalosamente benevola di wikipedia).
Si sorvola forse perché non è
una novità – ci sono più assoluzioni di politici per mafia che condanne, sia pure
dopo molti anni, “concorso” compreso. Né è una novità il carrierismo dei giudici,
che pur di non lavorare caricano tutto di mafia – ce n’è uno che ha fatto
carriera, tra Firenze e Prato, per (non) avere indagato sulla strage dei Georgofili
e le altre del 1993. Quanto a Berlusconi, la memoria è da poco virata sul santo
subito. Da parte di familiari, amici, conoscenti, beneficati, ma anche di alcuni
grossi calibri dell’accusa – manca solo Travaglio, ma con un “Berlusconi santo”
farebbe sfracelli in classifica.
Di Berlusconi non si sa che
dire. Passerà alla storia probabilmente come quello che ha domato l’estrema
destra italiana, quella dei “padani” secessionisti e quella neo-fascista reduce
dal terrorismo – a differenza della Francia, e negli ultimi sviluppi anche della
Gran Bretagna, della Germania, della Spagna, tre quarti di Europa insidiate da destre radicali. Un successo non da poco. Quello
che ora interessa e si può rilevare è la delusione dell’antimafia, e della Sicilia
– di chi scrive della Sicilia, siciliani e non. Se tutto non è mafia, non c’è
purtroppo altra antimafia – una che, p.es., punti il delitto, ora e non a babbo
morto.
La Sicilia invece è delusa.
Gli scribacchini delle Procure non solo - che possono comunque rifarsi frantumando
(condannando) l’assoluzione. È l’isola tutta intiera che trattiene il respiro,
come fosse una sconfitta, se la mafia, quel genio di Riina per dire, non governava
Berlusconi, Dell’Utri e Milano.
Un penserebbe che un Dell’Utri,
uno che va a Milano, da solo crea un mercato pubblicitario che Urbano Cairo se
lo sogna, il Grande Editore di oggi, dal niente (il mercato pubblicitario quarant’anni
fa era niente, 600 milioni, di lire, Dell’Utri lo portò a sei miliardi), sarebbe
stato motivo di orgoglio. E invece no – solo invidie.
L’isola, ricca e ricchissima,
ama cabotare. Come se si vergognasse, e invece è “femmina”, si sarebbe detto
quando si poteva dire, come di qualcuno che ama lasciarsi fare. E ora, da molti
decenni ormai, quasi un secolo, respira solo con l’ossigeno dell’antimafia,
altrimenti non respira – un’antimafia che tanto più è pervasiva, tanto più dice
la mafia grande, e l’isola, si pensa, con essa.
Si chiedeva (si chiede ancora?) ai pensionati alla
Posta la “dichiarazione di vivenza”. La Sicilia ha molte virtù e non è in
pensione, ma ecco, la mafia è la sua dichiarazione di vivenza.
leuzzi@antiit.eu
Giallo erotico
Lui è un tranquillo ingegnere, papà amorevole di una
bambina che accudisce, ricco pensionato di una chip di sua invenzione,
che il tempo libero passa con un paio di coetanei, filosfeggiando, quando non
esercita alla mountain-bike, e marito di una moglie giovane, bella e inquieta. Che
va a letto con chiunque capita, se ragazzotti, senza arte. I quali poi, uno dopo
l’altro, muoiono, per incidenti, cadute, etc.Un romanziere di gialli scopre l’assassino.
E poi muore, anche lui. Questa morte resuscita il desiderio della moglie irrequieta
per il quieto marito, al ritorno di lui con la solita mountain-bike - la fine è
come l’inizio.
Una trama che si vuole thrilling, ma è svolta
senza apprensione, giusto quel poco per chedersi se non ci sarà un autore
dietro le morti. o se non sia la donna che porta male. La suspense manifestamente
non importa al regista: A. Lyne fu famoso trenta, quarant’anni fa per film a
alta tensione sì ma erotica - senza essere porno. E ci riprova. Con un certo
successo, grazie alle grazie non nascoste, insaziabili, di Ana de Armas, neostella
cubano-spagnola il cui solo fisico, fotografato da ogni angolo e in ogni posizione,
dice tutto.
Ben Affleck, l’ingegnere inventore pensionato e
marito tradito, regge tutta la narazione, sempre presente, anhe a letto per la
verità, e insondabile. Ma la sua performance non conta, non incide – o forse
sì, rende più fresche e vivaci le grazie della moglie inquieta.
Adrian Lyne, Acque profonde, Sky Cinema, Now
lunedì 27 ottobre 2025
Se lo sfacelo ex Agnelli è colpa dell’allenatore
Un centravanti che fa fare gol al
terzino avversario, nella propria porta, roba da Ridolini, era ancora da vedere
in campo. Comprato a caro prezzo, come uno che fa molti gol – mentre di suo non
gliene riesce nemmeno uno.
Succede alla Juventus, il club degli Agnelli,
con l’ultimo acquisto strombazzato come letale – giustamente? Ma la colpa è
dell’allenatore, non di chi ha fatto l’affare. Che non è l’unico, sono ormai una
dozzina gli acquisti di brocchi a Torino, a caro prezzo.
L’eredità Agnelli, l’impero d’Italia, è
una serie di rovine, in tutti i settori non solo nel calcio. Dove hanno vinto
quando hanno avuto dirigenti capaci, Giraudo e Moggi prima, poi Marotta - che
variamente hanno provveduto a liquidare. Quella del calcio è un aspetto minore
della rovina, dopo quella della Fiat-Chrysler, ora perfino di Ferrari. Il capitalismo
familiare è alla moda in Italia, gettonato anche dai giornali di Elkann, l’ex
signor Fiat, ma il suo caso maggiore è da spavento.
Nel calcio è tale l’insipienza che si
vorrebbe fosse la coperta di un qualche mercato corrotto, di affari poco puliti –
tangenti, sfioramenti, pizzo. - dietro l’apparente scelleratezza di gestione.
Ma può darsi che non ci sia nemmeno quello – e non per buon’animo.
Secondi pensieri - 571
zeulig
Io - Da
solo non dà stimoli, in esso nulla si trova.
In questa insufficienza probabilmente l’origine della religione:
si crede in Dio, cioè si nega l’io – comunque lo si cela, lo si trascura.
Sicurezza-Sorveglianza – Siamo sicuri perché siamo sorvegliati?
L’età della sorveglianza è l’età della massima insicurezza. Satelliti spia,
droni, telecamere, furti online di ogni tipo (affetti, progetti, segreti, conti,
carte, identità, normalità – spostamenti, incontri, perfino le conversazioni e
gli interlocutori). Nella vita quotidiana, in tempo di pace.
In tempo di guerra praticamente non c’è più difesa possibile.
Israele ha eliminato (quasi) tutti i nemici Hezbollah, alcune migliaia, in
un colpo solo, entrando nei cellulari di ognuno e facendoli esplodere.
Orwell è riferimento obbligato, “1984”, con l’occhiuto Amore che presiede alla
sicurezza, poiché tutto sa. Ma c’è di più: la pluralità “democratica” dei ladri
come dei controllori, da cui l’impossibilità pratica di difendersi, nonché il
sospetto o il peso di attività sanzionabile, qualora si potesse.
C’è anche da rifare le nozioni – le tante nozioni orma classiche – di
potere.
Storia - La storia vera è un serpentone pieno di
nodi, ognuno dei quali è un altro serpente. O è fatta di lampi, razzi sparati
nel cielo, frecce scoccate in ogni direzione. Al modo di Prometeo, di un
dibattersi contro catene invisibili quanto solide.
La storia delle cose è zero, e il contesto è contestabile. L’umanità
è un affollato battaglione in surplace,
testa eretta, tendini tesi, che non si stacca da terra. Lancia messaggi,
organizza tiri, apre squarci, ma sempre fermo dove e com’era, spingendo,
minacciando, brontolando.
La storia – il progresso - è aerea, l’umanità è terrena, di materia
greve. Ma non si può dire inerte.
Dei re e imperatori, che sono stati in gran numero, quando uno è
intelligente trova un posto nella storia. Per il che pare che la storia sia
fatta da principi, re e imperatori, e tutti intelligenti. I quali invece in più
gran numero e per il maggior tempo vivono di caccia, malevolenze, tirannie. I
pochi se ne appropriano perché la scrivono.
Fa la storia chi la scrive. La storia è opera letteraria, per
questo trae in inganno.
Non è utile. La storia – il tempo - non è maestra di verità, è una
fiera, un teatro. Solo serve, se serve, a far sognare.
Non ha neppure spessore, spazio. È un infinitesimo della
fantasmagoria dell’universo. Il tempo è statico, il tempo mentale e biologico,
della specie umana. A meno di non ricorrere ai miti, alle genesi, che poi si
ripetono uguali: Dante, Origene, Platone, Pitagora, la Bibbia, il Libro dei
Morti, il Libro di Veda, e l’analogo che ci sarà in Cina, o Giappone.
La storia non ha senso, né può averne. L’uomo è agli inizi della
conoscenza, il linguaggio comincia ad articolarsi. Nuovi linguaggi daranno
conto di nuove realtà. L’astrofisica, benché agli inizi, elabora realtà già al
di là dell’esperienza concettuale, della capacità di espressione. La biologia bisogna
fermarla, già più non si padroneggia. La matematica, pur limitata e limitante
come ogni linguaggio, ha capacità d’arricchimento inesauste, perché linguaggio
a impianto non storicizzato, meno condizionabile.
Ma nell’attesa si segna il passo.
La storia non si può dire
immobile. Per la potenza della grazia nel battito di ciglia. O nelle pieghe e gli sbuffi che fa il torrente
di montagna quando incontra una roccia alta un metro nella visione di Ruskin.
Ma non è del tutto mutevole. E ha delle costanti, anche dopo periodi lunghi,
che fanno i popoli, l’anima del popolo: la storia sempre varia e sempre si connette per
invarianti.
Forse non varia neppure la periodicità. È la fisicità della storia
– per riflesso condizionato, per destino?
Gli elementi periodici sono rilevanti nella storia e non gli
eventi, annota Jünger nel ‘39, averne smarrito la consapevolezza è una delle
cause della rovina incombente. Che non vuol dire che ciò che è avvenuto avverrà,
ma che bisogna vigilare. O la verità è che non abbiamo storia, non abbiamo
passato? Ce l’abbiamo ma possiamo cambiarlo, questa è la verità della storia. Ci
viene più spesso cambiato, da un terremoto, uno tsunami, ma si può cambiare.
Verità –
Per Marx in particolare, ma per tutti i filosofi con ambizioni pratiche, in tutti
i rapporti, anche familiari, il criterio della verità diventa distacco critico:
io e gli altri. È la forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia,
il fastidio dell’umana imperfezione.
La verità è la condanna dello spirito laico. È per i santi e i
ciabattini, un tempo si diceva. Chi ha il senso tragico, oppure religioso, del
mondo, sa che Dio è la maschera d’ogni cosa. La verità, se si vuole, è nella
maschera. Il Figlio di Dio visse nascosto, tra un padre e dei fratelli
putativi, poi mise in scena se stesso. Dio si nasconde, nella Trinità, le
Dominazioni, i Profeti. È una lunga serie di suoi doppi ha ispirato, dal
califfo delle ‘Mille e una notte’
a Shakespeare. Ci sono desideri e paure, buone intenzioni, fantasie, progetti,
e il tutto si rimescola in casuali figurazioni all’impronta. Non c’è decoro, o
rigore che tenga.
zeulig@antiit.eu
Ma tutto è dazio - il libero scambio non è mai libero
I dazi non sono tutto, altri e più efficaci sono gli strumenti
che gli Stati adottano per “proteggere” le proprie economie.
“Negli accesi dibattiti sulla politica commerciale, a
Washington e altrove, i dazi sono spesso descritti come lo strumento
principale, o addirittura l’unico, con cui i governi intervengono nel commercio
globale. Sono facili da quantificare, più facili da politicizzare e prontamente
utilizzati nei negoziati bilaterali. Ma questa attenzione ai dazi è fuorviante.
Oscura i meccanismi più fondamentali attraverso i quali i paesi modellano le
loro relazioni commerciali con il mondo. Poiché gli squilibri interni di un
paese tra consumi e produzione devono sempre essere coerenti con i suoi
squilibri esterni, qualsiasi cosa influisca sui primi non può che influire sui
secondi, e viceversa. I dazi sono solo uno dei tanti strumenti che un governo
può utilizzare per modificare lo squilibrio interno di un paese.
“Come la maggior parte di questi strumenti, i dazi
funzionano spostando il reddito dai consumatori ai produttori. Ma a causa della
loro visibilità, sono spesso tra gli strumenti politicamente più controversi.
Al contrario, molti degli interventi commerciali più incisivi nel mondo
odierno non si presentano
come dazi, ma come scelte politiche che non sembrano affatto
correlate al commercio. Decisioni fiscali, strutture normative, politiche del
lavoro e norme istituzionali possono influenzare la distribuzione del reddito e
l’equilibrio tra consumi e produzione nelle economie, con implicazioni di vasta
portata per il commercio globale.
Per capire perché i dazi ricevano un’attenzione così
sproporzionata, è utile considerarne la visibilità. Un dazio è una voce di
spesa in una negoziazione commerciale che influisce sul prezzo di un bene
importato. È facile da
identificare, facile da usare come arma, facile da revocare ed è ovviamente
collegato al commercio. Ma la stessa semplicità che rende un dazio
politicamente rilevante lo rende anche un indicatore poco efficace della
politica commerciale nel suo complesso.
“In sostanza, un dazio è un’imposta sulle
importazioni. Rendendo più costosi i beni esteri, offre ai produttori nazionali
un vantaggio in termini di prezzo. Questo può avvantaggiare alcuni settori e
preservare posti di lavoro. Ma questi benefici hanno un costo: i consumatori
pagano di più per beni e servizi. L’effetto netto è un trasferimento di reddito
dalle famiglie alle imprese, ed è questo trasferimento che, riducendo la quota
di pil delle famiglie, riduce i consumi complessivi rispetto alla produzione.
Questo spostamento del reddito dai consumatori ai
produttori è l’essenza dell’intervento commerciale. Che si tratti di una
tariffa, di un sussidio fiscale o di una legge sul lavoro che comprime i
salari, il risultato è un cambiamento nella distribuzione interna del reddito
che ha anche implicazioni esterne. Se i consumi sono tassati e la produzione è
sussidiata, è probabile che le esportazioni nette aumentino. Al contrario, se
le politiche spostano il reddito dai produttori ai consumatori, è probabile che
le esportazioni nette diminuiscano. In questo senso, qualsiasi politica che
influenzi l’equilibrio tra consumi delle famiglie e produzione totale influirà
anche sull’equilibrio tra risparmio interno e investimenti interni,
e quindi è di fatto una politica commerciale.
“Consideriamo la politica valutaria. Quando un paese
interviene sui mercati valutari per mantenere la propria valuta sottovalutata,
raggiunge gli stessi obiettivi di un dazio. Una valuta più debole rende le
importazioni più costose e le esportazioni più economiche, sovvenzionando la
produzione e tassando i consumi. Come i dazi, questo rappresenta un
trasferimento di reddito dagli importatori netti (il settore delle famiglie)
agli esportatori netti (il settore dei beni commerciabili), ma avviene
attraverso i tassi di cambio anziché sotto forma di dazi.
“La restrizione finanziaria può avere lo stesso
effetto. Nei paesi in cui il sistema bancario serve principalmente il lato dell’offerta
dell’economia, la soppressione dei tassi di interesse rappresenta di fatto una
tassa sul reddito dei risparmiatori netti (il settore delle famiglie) e un
sussidio al credito per i debitori netti (il settore produttivo). Trasferire il
reddito dai primi ai secondi crea uno squilibrio interno – proprio come quello
creato dai dazi doganali o da una moneta sottovalutata – tra consumi e
produzione. Questo si manifesta sotto forma di maggiori esportazioni nette.
“Le politiche fiscali e regolatorie possono
funzionare in modo simile. I governi potrebbero fornire sussidi diretti o
indiretti a settori strategici, anche attraverso la costruzione di
infrastrutture su misura per i distretti manifatturieri. Queste misure
potrebbero non violare le norme internazionali sull’intervento commerciale, ma
modificano gli incentivi relativi all'interno dell'economia in modi che
rispecchiano il protezionismo tradizionale. Rendendo più economico o più
attraente produrre che consumare, raggiungono lo stesso obiettivo: un
cambiamento interno che produce un effetto esterno”.
E non è tutto: l’ecoonmia è forse più complessa e polivalente
della politica, da gestire con accortezza. Per questo Adam Smith si appellava -
si dice si appellasse – alla “mano invisibile”, dell’aggiustamento autonomo,
graduale, non imposto. Si appellava alla provvidenza.
Michael Plettis, Behind the Veil of Tariff
Fixation, Imf “F &D” – “Finance&Development” settembre 2025 (leggibile
anche in italiano, Dietro il velo dell’ossessione tariffaria)
domenica 26 ottobre 2025
Industrie in fuga dalla Germania
Torna la delocalizzazione industriale in
Germania. Come a inizio millennio, quando il governo socialista dovette liberalizzare
il mercato del lavoro, con la riforma Hartz. Ma non nella stessa direzione. Allora
si delocalizzava all’Est, a costo minore di manodopera. Oggi la manodopera
non sarebbe un problema, per l’immissione massiccia di immigrati – a parità di mansioni,
si stima che un immigrato costi mediamente il 70 per cento di un tedesco. I
problemi sarebbero quello non nuovo della burocrazia, e quello nuovo del costo
dell’energia. L’industria tedesca si era adagiata su un costo dell’energia ridotto,
grazie agli accordi con la Russia – si era giunti per questo anche all’arresto
anticipato delle centrali nucleari – ora bloccati.
La delocalizzazione non è accentuata, le
riduzioni o chiusure sono limitate. Ma produzione e investimenti registrano valori
negativi da due d’anni, e gli investimenti in cantiere non sono previsti in
Germania. La tendenza sarebbe verso altri siti europei, la Cina, e gli Stati Uniti
di Trump.
Pone problemi anche il lavoro immigrato.
Il deficit remunerativo è coperto dallo
Stato, con un’offerta a costi ridotti o a titolo gratuito per alloggio e sanità.
Un trattamento giudicato un privilegio da porzioni vaste dell’elettorato – gli elettori
dell’estrema destra Afd, divenuta rapidamente il partito a maggior seguito.
Cronache dell’altro mondo – newyorchesi (366)
Ha già vinto le elezioni per sindaco, anche se non si è votato. È anzi
il pupillo della Nazione: si chiama Zohran Mamdani, è mussulmano e attivista
palestinese, è un candidato indipendente, non ha una “macchina” di partito
dietro, di 34 anni, in America da quando ne aveva sette, cittadino americano appena
dal 2018. Proveniente da Kampala, la capitale dell’Uganda, con la famiglia di notabili
dell’antica colonia indiana dell’East Africa britannico. Il padre, Mahmood, è
stato chiamato a insegnare Antropologia alla Columbia University, la madre,
Mira Nair, è regista di cinema di molte opere e buona fama, Leone d’oro a
Venezia nel 2001 (“Matrimonio indiano) – anch’essa in organico alla Columbia.
Socialista, animatore dei Democratici Socialisti
d’America, erede di fatto dell’anziano capofila dei Democratici socialisti,
Bernie Sanders – concorrente sfortunato alla candidatura Democratica per le
presidenziali 2016 (poi vinte da Trump), contro Hillary Clinton – Mamdani
spopola tra i media, e nei sondaggi.
La detective cieca ora vede confuso
Una terza serie inutilmente complicata – anche per la
protagonista: Maria Chiara Giannetta sembra svogliata, è spicciativa. Dalla produzione,
alla ricerca di un pubblico diversificato (quello delle adozioni\affido, e dei bambni
che scmpaiono)? Dalla sceneggiatura?
Blanca, la detective cieca, che dava tanta fiducia a chi
incontrava, amiche, banbine, cani, il babbo, i coleghi in questura, è nevrotica
e nevrotizza. Come tema sussidiario ai casi, e filo conduttore per tutta la
serie, sono stati introdotti un personaggio e una storia tanto complicati
quanto non credibili. E col nuovo personaggio, di cui diffida, fa perfino un
figlio. Assurdo. Si spiegano le sue inquietudini - e la scarsa voglia di seguire
il filo.
Nicola Abbatangelo, Blanca, Rai 1, Raiplay
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