venerdì 7 novembre 2025

Ombre - 798

Muore la brigatista spietata Braghetti e l’allora capitano dei Carabinieri che nel 1980 riuscì ad arrestarla, Domenico Di Petrillo, spiega: “Decisivo fu un infiltrato che Ugo Pecchioli del Pci mise a disposizione del generale Dalla Chiesa, e che abbiamo gestito io e il capitano Bonaventura”. Che si vuole laudatorio del Pci, ma dice anche che il Pci sapeva.


Con l’elezione di Mamdani a New York, due donne indiane sono le (quasi) first lady d’America. La madre del neo sindaco, e già eletto oppositore numero uno di Trump, Mira Nair, regista acclamata, anche negli Stati Uniti, e la moglie di Vance, Usha Chilikuri, un’avvocatessa a cui il vice-presidente ha sempre attribuito, già col suo “Elegia americana”, il merito della propria “rigenerazione”, personale e politica, dopo gli anni bui dell’adolescenza e della prima giovinezza. Non male per un paese sprofondato nella “crisi della democrazia”.  

Un indiano, seppure di alto lignaggio, dopo un afroamericano: l’elettorato delle minoranze si mobilita in America, e fa la maggioranza. Con che effetto è da vedere. Il primo, il sindaco uscente Adams, anche lui plebiscitato, è stato un fallimento, da tutti i punti di vista. E si parla già di New York come di una nuova Washington – la capitale, dacché c’è il sindaco del Distretto di Columbia, 1975, è sempre stata amministrata da afroamericani, con risultati non positivi.

Mamdani, sindaco di New York, è l’anti-Trump per i media italiani. E la concorrente vittoria del partito Democratico per il governo di Virginia e New Jersey è la riscossa dello stesso partito. Senza dire che il New Jersey vota democratico da molti decenni, e che la Virginia vota alternato, una volta repubblicano, una volta democratico. Si tace anche che Mamdani divide, e non rilancia, il partito Democratico - lo scrittore Safran Foer racconta come si è recato al seggio per votare Mamdani e poi non se la è sentita, ha votato scheda bianca. Si direbbero i media italiani l’arcinemico di Trump, il ridicolo è pur sempre un’arma.    

“Bpm, il Ceo Castagna mette le cose in chiaro: «Mai pensato di acquistare Crédit Agricole Italia»”. Mentre è in corso l’acquisto di Bpm da parte del Crédit Agricole. Scade nella farsa la “resistenza” di Castagna all’ops Unicredit.Con il ministro Giorgetti che fa sapere di essere impegnato a Bruxelles a spiegare che, sì, no, che Unicredit è largamente presente in Italia – se non altro per le sette o otto banche che hanno dato vita al gruppo, che, per carità,se voleva acquisire Bpm lui non ha detto di no. Le ragioni della Lega – del potere – sono diverse da quelle della ragione.  
 
Si scopre oggi la “pornografia della povertà”, le immagini false di bambini gonfi dalla fame, o macilenti, e di un’Africa di sabbia, deserta, per commuovere piccoli e grandi donatori per le “opere di bene”. Tutto nacque nel 1968 coi i bambini della guerra del Biafra, della regione più ricca della Nigeria, che è – era – il paese meglio messo dell’Africa, auspice Susanna Agnelli, futura ministra degli Esteri. Cosa non si fa, (a spese) dell’Africa. È più il bene che fanno, la cooperazione e il terzo settore, oppure lo spreco delle risorse?
 
È come se lo Stato si ribellasse al governo, alle audizioni parlamentari sulla finanziaria 2026: Banca d’Italia, Istat, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare per il bilancio fanno a gara a denunciare bassezze e turpitudini del governo. In controtendenza con le agenzie di rating, e con i benefici fiscali per i lavoratori, al terzo o quarto anno. Lasciano il tempo che trovano, i lavoratori non leggono i resoconti parlamentari, e queste testimonianze, esageratamente sbilanciate, valgono a futura memoria, quando al governo tornerà il Pd. Ma testimoniano, la “gente” lo capisce, a favore del governo, che non ha esagerato col sistema delle spoglie –non dove poteva intervenire, p.es. all’Istat e all’Upb.
Come mai la sinistra, questa sinistra, “intellettuale”, istituzionale, burocratica, aiuta la destra?

Da Alfredo Reichlin, già ministro dell’Economia nel governo ombra del Pci, e Luciana Castellina si sono germogliati due economisti di chiara fama, Pietro, si scopre in occasione delle audizioni parlamentari sulla manovra, e Lucrezia, da tempo commentatrice principe sui grandi giornali. Buon sangue o buon partito? Pietro insegna alla Luiss, l’università dei ricchi.


465 coloni israeliani, inquadrati, protetti dalla polizia, entrano nel complesso della moschea Al Aqsa, il luogo più sacro dei mussulmani dopo la Mecca, protestando “visite turistiche guidate”, nel mentre che fanno riti purificatori. Al netto del ridicolo, è un segno di barbarie. Tanto più che è inavvertita – un diversivo come un altro. Da gente che si vuole molto devota.

È lite tra il giornalista Ranucci e il Garante della Privacy. Che però è stato nominato, nel 2020, dal governo Conte 2, il cosiddetto governo giallorosso, 5 Stelle col Pd, lo schieramento politico di Ranucci. Quattro membri su 5 di Pd e 5 Stelle. Ma questo non si dice.

Si annuncia un tennis misto a Dubai per Capodanno - tra la prosperosa campionessa Sabalenka e un Kyrios ex campione che sopravvive per insultare Sinner - come la sfida del secolo, che “libera” le donne. Mentre è il solito circo per riempire gli alberghi e le tv –l’emiro del Dubai è nato grande commerciante. Si equivoca sul Rinascimento delle petromonarchie, sulla testimonianza pagata di Matteo Renzi tre o quattro anni fa. Mentre le donne, nonché in mutandine, non vi possono andare neanche in pantaloni, se non ricoperte da gramaglie che ne nascondano le forme.

Netanyahu fa arrestare la Procuratrice Militare perché ha denunciato un caso di tortura. E punta alla Procuratrice Generale che lo ha rinviato a processo per malversazioni. Se ne fa scandalo ma non troppo. Neanyahu non è un premier eletto?

Il governo Netanyahu al completo diserta la cerimonia per i trent’anni dall’assassinio del primo ministro Itzak Rabin.Nemmeno un commento dispiaciuto. E questa è la realtà di Israele, che da Rabin in poi vota a destra, e anche all’estrema destra. Cioè coloro che armarono l’assassino, e poi lo giustificarono. Sono fatti, non riducibili all’antipatia che può suscitare Netanyahu, l’opportunismo politico.


All’improvviso, dopo trent’anni dalla morte, si celebra in Israele Itzhak Rabin. Il generale e primo ministro socialista assassinato perché aveva  fatto la pace a Oslo – aveva provato a fare la pace. Come se Israele avesse capito che non potrà vincere tutte le guerre – questa è la terza dopo l’indipendenza e il Kippur, e la più lunga e cruenta, per giunta contro una forza che si svilisce, un gruppo terrorista.


L’assassinio di Rabin è stato un fatto grave. Ma liquidato, fino ad ora, come l’opera di un esaltato. Anche se ispirato, e praticamente armato, da un influente ministro di Netanyahu, Ben Gvir, uno di quelli che la Palestina vuole ripulita dei Palestinesi. Israele si è resa conto in questa guerra, contro “una banda terrorista”, che non può vincere tutte le guerre? Anche con le armi e i soldi degli Stati Uniti?

Si celebra l’arrivo di Spalletti ad allenatore della Juventus. E si dimentica che questo grande club, il più blasonato e ricco, e quindi in teoria il meglio organizzato, ha cambiato tre allenatori in sette mesi – nemmeno il pittoresco Gaucci del Perugia. Mentre si gravava di acquisti costosi di atleti che non fa giocare – non sanno giocare.

Il giacobino che fece fallire le riforme a Napoli

Poderosa biografia, con molta ricerca archivistica (Tigani Sava lavora a una “monumentale  bibliografia calabrese”), di un personaggio che fu molto attivo nel riformismo napoletano di fine Settecento e poi , col suo giacobinismo, che qualcuno sospetta finto, lo perdette. Originario di Parghelia (Tropea), abate di malavoglia, giusto per profittare degli studi gratuiti in seminario, presto in corrispondenza col Genovesi a Napoli, dove si trasferì alla maggiore età, e fece rapida carriera nelle istituzioni – sempre protetto da Genovesi. Al protrarsi della rivoluzione francese, andò a informarsene a Marsiglia, ospite di alcuni parenti Mazzitelli, con i qiuali i suoi frataelli avevano commerci, era il suo terzo viaggio di formazione\informazione, e ne tornò giacobino repubblicano. Quanto bastò, anche per la successiva esecuzione di Luigi XVI e poi di Maria Antonietta, soprattutto di questa, sorella dela regina di Napoli Carolina, per schierare la corte contro i riformisti, specie se massoni, cioè all’“aria di Francia”, come l’abate.
Massone, libero pensatore, riformista divenne sinonimo di terrorista. Non però per Jerocades, che l’anno dopo il viaggio a Marsiglia, nel 1791, ebbe la cattedra di Filologia all’università, e nel 1795 quella di Economia – da qui la nomea che fosse un moderno “provocatore”, uno che “esponeva”, se non li “indicava”, amici e compagni (Tigani Sava non prende posizione). Quando la Repubblica Partenopea cadde  sotto l’invasione delle “masse” del cardinale Ruffo, Jerocades era già a Marsiglia, dai parenti Mazzitelli. E fu anche capace, nel 1801, di ottenere un lasciapassare per il ritorno in patria, a condizone che non risiedesse a Napoli. Tornò a Parghelia, e morì pochi mesi dopo.
Antonio Jerocades poeta, lo dice google appena richiesto di informazioni. Fu in effetti poeta prolifico. Da giovane prete fu anche creatore, al suo paesino, di una scuola per bambini che anticipava don Milani: la scuola propriamente detta, per leggere e scrivere, era assortita di un “Giardino del lieto lavoro”, nel quale i ragazzi si esercitavano secondo proprie tendenze.  Treccani lo beneficia di una amplissima laudatio.
Francesco Tigani Sava, Antonio Jerocades, Sensazioni mediterranee, pp. 363, ill. € 10

Il giacobino che fece fallire le riforme a Napoli Poderosa biografia, con molta ricerca archivistica (Tigani Sava lavora a una “monumentale bibliografia calabrese”), di un personaggio che fu molto attivo nel riformismo napoletano di fine Settecento e poi , col suo giacobinismo, che qualcuno sospetta finto, lo perdette. Originario di Parghelia (Tropea), abate di malavoglia, giusto per profittare degli studi gratuiti in seminario, presto in corrispondenza col Genovesi a Napoli, dove si trasferì alla maggiore età, e fece rapida carriera nelle istituzioni – sempre protetto da Genovesi. Al protrarsi della rivoluzione francese, andò a informarsene a Marsiglia, ospite di alcuni parenti Mazzitelli, con i qiuali i suoi frataelli avevano commerci, era il suo terzo viaggio di formazione\informazione, e ne tornò giacobino repubblicano. Quanto bastò, anche per la successiva esecuzione di Luigi XVI e poi di Maria Antonietta, soprattutto di questa, sorella dela regina di Napoli Carolina, per schierare la corte contro i riformisti, specie se massoni, cioè all’“aria di Francia”, come l’abate. Massone, libero pensatore, riformista divenne sinonimoldi terrorista. Non però per Jerocades, che l’anno dopo il viaggio a Marsiglia, nel 1791, ebbe la cattedra di Filologia all’università, e nel 1795 quella di Economia – da qui la nomea che fosse un moderno “provocatore”, uno che “esponeva”, se non li “indicava”, amici e compagni (TiganiSava non prende posizione). Quando la Repubblica Partenopea cadde sotto l’invasione delle “masse” del cardinale Ruffo, Jerocades era già a Mariglia, dai parenti Mazzitelli. E fu anche capace, nel 1801, di ottenere un lasciapassare per il ritorno in patria, a condizone che non risiedesse a Napoli. Tornò a Parghelia, e morì pochi mesi dopo. Antonio Jeorcades poeta, lo dice google appena richiesto di informazioni. Fu in effetti poeta prolifico. Da giovane prete fu anche creatore, al suo paesino, di una scuola per bamini che anticipava don Milani: la scuola propriamente detta, per leggere e scrivere, era assortita di un “Giardino del lieto lavoro”, nel quale i ragazzi si esercitavano secondo proprie tendenze. Treccani lo beneficia di una amplissima laudatio. Francesco Tigani Sava, Antonio Jerocades, Sensazioni mediterranee, pp. 363, ill. € 10

 

Il giacobino che fece fallire le riforme a Napoli

Poderosa biografia, con molta ricerca archivistica (Tigani Sava lavora a una “monumentale  bibliografia calabrese”), di un personaggio che fu molto attivo nel riformismo napoletano di fine Settecento e poi , col suo giacobinismo, che qualcuno sospetta finto, lo perdette. Originario di Parghelia (Tropea), abate di malavoglia, giusto per profittare degli studi gratuiti in seminario, presto in corrispondenza col Genovesi a Napoli, dove si trasferì alla maggiore età, e fece rapida carriera nelle istituzioni – sempre protetto da Genovesi. Al protrarsi della rivoluzione francese, andò a informarsene a Marsiglia, ospite di alcuni parenti Mazzitelli, con i qiuali i suoi frataelli avevano commerci, era il suo terzo viaggio di formazione\informazione, e ne tornò giacobino repubblicano. Quanto bastò, anche per la successiva esecuzione di Luigi XVI e poi di Maria Antonietta, soprattutto di questa, sorella dela regina di Napoli Carolina, per schierare la corte contro i riformisti, specie se massoni, cioè all’“aria di Francia”, come l’abate.

Massone, libero pensatore, riformista divenne sinonimoldi terrorista. Non però per Jerocades, che l’anno dopo il viaggio a Marsiglia, nel 1791, ebbe la cattedra di Filologia all’università, e nel 1795 quella di Economia – da qui la nomea che fosse un moderno “provocatore”, uno che “esponeva”, se non li “indicava”, amici e compagni (TiganiSava non prende posizione). Quando la Repubblica Partenopea cadde  sotto l’invasione delle “masse” del cardinale Ruffo, Jerocades era già a Mariglia, dai parenti Mazzitelli. E fu anche capace, nel 1801, di ottenere un lasciapassare per il ritorno in patria, a condizone che non risiedesse a Napoli. Tornò a Parghelia, e morì pochi mesi dopo.

Antonio Jeorcades poeta, lo dice google appena richiesto di informazioni. Fu in effetti poeta prolifico. Da giovane prete fu anche creatore, al suo paesino, di una scuola per bamini che anticipava don Milani: la scuola propriamente detta, per leggere e scrivere, era assortita di un “Giardino del lieto lavoro”, nel quale i ragazzi si esercitavano secondo proprie tendenze.  Treccani lo beneficia di una amplissima laudatio.

Francesco Tigani Sava, Antonio Jerocades, Sensazioni mediterranee, pp. 363, ill. € 10

giovedì 6 novembre 2025

Problemi di base incestuosi - 887

spock


Da Wagner a T. Mann e a Musil, l’incesto è germanico?
 
Per risparmiare?
 
Per la purezza della stirpe?
 
Perché non c’è il diritto all’incesto?
 
Lgbtqia, ancra uno sfrozo?
 
Tanta letteratura, e il totem incesto è ancora lì – bisogna ricredersi sulla Germania?

spock@antiit.eu

Se Israele non minaccia ma è sotto attacco

 “Lo sfruttamento delle sofferenze degli ebrei” è il sottotitolo. Lo sfruttamento da parte di Israele - con Netanyahu ma anche prima. Si penserebbe un pamphlet politico, ma è un libro di storia. Di uno storico e politologo americano, ebreo, figlio di ebrei del ghetto di Varsavia, rinchiusi ad Auschwitz ma sopravvissuti fino alla liberazione, che  traccia la deriva dello stato d’Israele verso un nazionalismo identitario e imperialista, coloniale. Strumentalizzando l’Olocausto con cinismo politico, a scudo della sua intoccabilità. Come? Alimentando l’allarme per la sua propria scomparsa, per la scomparsa d’Israele come già dell’ebraismo al tempo di Hitler.
Finkelstein è indesiderato in Israele da una ventina d’anni. Quelli di Netanyahu e all’incirca da quando ha pubblicato questo libro. Che si impone ancora adesso per una novità prima sottostimata: l’allineamento sulle posizioni dell’Israele di Netanyahu delle associazioni sioniste della diaspora, prima benevolenti ma critiche. Passa il messaggio che ne va dell’esistenza di Israele, anche se Israele si espande e si rafforza, ed è sempre avamposto dell’Occidente, parte avanzata e protetta degli Stati Uniti e dell’Europa.                                                
Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto, Bur, pp. 384 € 13
 

mercoledì 5 novembre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (612)

Giuseppe Leuzzi


Il pianista Carlo Maria Dominici è nato a “Villa San Giovanni, praticamente un’estensione di Reggio Calabria”, ma non ne ha altra memoria, né personale né familiare – e nemmeno curiosità. “Mio padre”, spiega ad Antonio Gnoli sul “Robinson”, “figlio di emigrati, era nato negli Stati Uniti e decise di tornarci”. Dopodiché ha fatto e ha fatto fare al figlio una vita molto americana – era andato a Villa San Giovanni, il paese dei genitori, probabilmente per sposarsi. La nascita è, al limite, ininfluente, l’appartenenza, cui molti emigrati tengono, anche alla seconda e terza generazione, è un fatto culturale e personale.
 
Le riforme a Napoli bloccate dalla rivoluzione francese
Il giacobinismo uccise le riforme. È vecchia, assodata, verità, ma del Regno di Napoli successe nella stessa famiglia, in ambito massonico. Il rinnovamento, economico e politico, avviato da Bernardo Tanucci col re Carlo e con lo stesso Ferinando IV, e continuato da giurisperiti ed economisti di fede e appartenenza laica, Filangieri, Pagano, Luigi de’ Medici, Galanti, Domenico e Francescantonio Grimaldi,  il viceré di Sicilia Caramanico, che hanno rifiutato poi di aderire alla Repubblica Giacobina, fu bloccato con la decapitazione dei reali di Francia e per le intemperanze radicali, e assolutiste, di altri liberi pensatori locali. Non altrettanto versati nelle scienze politiche, ma apostoli del tutto  subito: l’abate Antonio Jerocades, Eleonora Fonseca Pimentel, e poi lo stesso Mario Pagano.
Dopo il terremoto del 1783, che aveva letteralmente raso al suolo la Calabria Ultra, la provincia di Reggio, fu istituita una Cassa Sacra – un primo caso di manomorta: sequestro e vendita di beni ecclesiastici. Per ricostruire, e per allargare il numero e la qualità dei piccoli proprietari, con la redistribuzione di terre e immobili. Qualche anno dopo, nel 1790, poiché la riforma non funzionava, Luigi de’ Medici, massone, amico di Filangieri e di Pagano, fu mandato a scoprire perché. Riferì che i beni ecclesiastici erano andati a maggiorenti e notabili, che se ne  potevano permettere l’acquisto agevolmente. E che appartenenti alla massoneria, al seguito dell’abate Jerocades, che nel 1790 se ne era andato a Marsiglia per informarsi, si organizzavano per introdurre anche nel regno di Napoli una situazione analoga a quella francese.
Per il momento nonsuccesse nulla. Jerocades ebbe l’anno dopo, nel 1791, la cattedra di Filologia a Napoli, e nel 1793 quella di Economia e Commercio. Poi, con l’esecuzione di Maria Ant
onietta a ottobre dello stesso anno, sorella della regina Maria Carolina, l’atteggiamento della corona mutò: essere massone, anche moderato, liberale, diventò essere sospetto. Gli stessi mitissimi Grimaldi, e Galanti, furono messi in disparte. Testimonieranno per le riforme non aderendo alla repubblica giacobina, ma a nessun effetto, il re Ferdinandlo IV non ci sentiva più da quell’orecchio – negli anni dell’esilio palermitano adotterà pure una costituzione all’inglese, ma giusto per compiacere i suoi protettori.

 
Sudismi\sadismi – Il paradosso nordico
Non si uccidono più donne al Sud rispetto al Nord, anzi avviene il contrario, e questo turba le coscienze. È un paradosso, si dice. Studiosi eminenti ne fanno oggetto di ricerca. E l’esito è strano, cioè non convince i ricercatori, che temono di non avere impostato bene il problema.
Il risultato, presentato mercoledì 29 ottobre al Senato, alla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, a opera di economisti accreditati, Augusto Cerqua, Costanza Giannantoni, Marco Letta, Gabriele Pinto, trova che, se il tasso di omicidi in Italia si è dimezzato negli ultimi anni, a 0,55 omicidi ogni 100 mila abitanti, quasi alla metà della media europea, che è di 0,9, per i femminicidi questa tendenza non si avvera. Non solo, ma, questo il punto, non si uccidono più donne al Sud, “nelle zone più povere e arretrate del paese”, ma al Nord, “nelle aree dove le donne hanno raggiunto maggiori livelli di emancipazione”.
Un conclusione un po’strana per degli studiosi, per due motivi. Non si è più violenti dove si è meno ricchi – o più poveri (l’Italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo, vuole pensarsi sempre come “la grande proletaria”, in termini pauperistici). E perché si dovrebbe? I femminicidi saranno pure legati alla persistenza di una cultura patriarcale, ma perché è questa una dannazione meridionale? Al Sud gli uomini hanno rispetto per la donna, sono meno maneschi in casa, meno alcolizzati o drogati. Un Turetta al Sud sarebbe anomalo – che poi non è solo Turetta: la prevaricazione e lo sterminio di famiglie e innamorati\e non sono “patrimonio” meridionale, anzi, al contrario.
Perché si porta sempre il Sud come termine di paragone negativo – anche quando non lo sarebbe –non è un mistero della ricerca, della scienza. Forse non è nemmeno stupidità - leghista. È la forza del pregiudizio. Che spesso è rinfocolata da volenterosi del Sud, informatori e anche studiosi -  Cerqua è nome del basso Lazio-Campania, Pingo è apulo-campano, Letta è abruzzese-laziale, Giannantoni laziale-abruzzese.
Un’indagine seria, si suppone, gli economisti hanno “ricostruito manualmente (?) tutti i casi di femminicidio in Italia dal 2006 al 2022". Sulla base dei rari annali della bolognese Casa delle Donne, integrati per ogni caso dalle notizie locali, specie per la localizzazione esatta dei luoghi, per un prima ipotesi di deduzione… Poi, dovendo ipotizzare le cause, si sono fermati alla “cultura patriarcale”, cioè, nelle vulgata, al Sud. Sotto la specie di una backlash hypothesis elaborata da  studìosi nordici, che non sapendo come “giustificare” il maggior tasso di femminicidi nei loro paesi rispetto ai paesi mediteranei (c’è anche un sudismo\sadismo internazionale, oltre che italiano), si sono appellati alla “cultura patriatrcale”, cioè al Sud, al veleno che il Sud ha iniettato al Nord – non all’alcol, non alle droghe, non alla despondency o provocazione femminile (non si dice, ma ci sono anche ominicidi). Furbi, no?
 
Il felice paese più povero d’Europa
Dice “Il  Quotidiano di Calabria” che Dinami, in provincia di Vibo Valentia, sotto le Serre, è “il paese più povero d’Italia, e quindi d’Europa”. Lo dice per inciso, trattando dell’altro paese del vibonese già più povero, Nardodipace, ora al penultimo posto?, sito paloeolitico e borgo ridente, se non altro di boschi.
Ora, Dinami. Un’eco rimbalza fragorosa: ma era il paese della “cugina Palaja”, cugina materna, con cui ogni anno si facevano le visite reciproche, ad anni alterni, ora con una visita di lei ora con una visita nostra. Sempre rallegrate da cinque figlie, lei scurissima, loro chiarissime, tutte bellissime, la più grande delle quali aveva già fatto matrimonio, ricco e felice.
I destini personali certo non fanno le storie sociali. Anche se adesso, passandoci per curiosità, molte macchine si vedono a Dinami parcheggiate, quelle tedesche forse più numerose delle panda.
Ora, non si tratta di fare andare indietro il progresso. Né di fare grande il piccolo, o il minimo, il personale. E non si può obiettare alle statistiche – specie non a quelle del reddito, che in Italia sono un arcano. Ma le statistiche hanno un valore relativo – e sono complesse,vanno interpretate. Ma la realtà, compreso il povero e il ricco, è fatta di molte cose. Anche più tagnibili delle memorie personali: la tradizione e la storia, l’istruzione, il saper vivere.
 
Ma la malavita è meridionale
Anche quest’anno, come ogni anno, le stastistiche del “Sole 24 Ore” sulla criminalità la dicono più diffusa al Nord che al Sud, anche in numeri doppi che al Sud. Non c’è una città del Sud, nemmeno Napoli, fra le prime dieci in classifica per numero di crimini commessi per 100 mila abitanti: Milano (6.952 reati per 100 mila abitanti), nell’ordine, Firenze, Roma, Bologna, Rimini, Torino, Prato, Venezia, Livorno, Genova.
Anche per regione si parte sempre dalla Lombardia, quasi 7 mila reati per 100 mila abitanti (6.952), e a seguire la Toscana, il Lazio, l’Emilia Romagna, il Piemonte, tutti sopra i 6.000 (il Piemonte poco sotto,(5.828). Per trovare una regione meridionale, la Campania, bisogna scendere di altri tre posti: Veneto, Liguria, Friuli-Venezia Giulia. Il Sud si caratterizza semmai per avere, anche qui, le ultime tre posizioni, Abruzzi, Sardegna, Basilicata.
C’è un perché. Al Nord, Roma compresa in questa particolare specialità, la delinquenza è un fenomento urbano, e in alcuni  casi metropolitano: il crimine è fatto di scippi, furti, spaccio, e violenze sessuali, oltre che di lesioni alla persona (le violenze sessuali non lo sono?) – queste peraltro in singolare incremento al Centro-Nord, per motivi anche futili. Al Sud, dove sinora, malgrado le mafie,  latitano i reati contro la persona, questo è probabilmente un fatto di urbanizzazione relativamente ridotta, e quindi alle reti familiari e sociali, di quartiere, di paese, che agiscono da ammortizzatori della violenza.

leuzzi@antiit.eu

Pasolini avanguardista

Gli atti di un convegno internazionale, in tema, “Pasolini antesignano”, per l’attitudine che gli sarebbe stata congeniale di anticipare “movimenti, tempi, problematiche della più strett aattualità”,  per la parallela, non subordinata, capacità di “coniugare ideologia e pragmatismo”. Che è possibile, ma anche lodevole? Ma, poi, in forma di genio universale, “ideologia e pragmatismo coniugando in ogni fattispecie con introspezione e magisterialità, dalla biopolitica all’ecologia”, o ai temi del tempo (post e neo colonialismo) e personali (situabili nell’ambito poi detto dei gender studies). Nelle “modalità espressive del postmoderno”, che non vuole dir nulla in genere, e negli anni di Pasolini non c’era - Pasolini non c’era nel postmodernismo, e non lo ha anticipato.
Non un profeta, dicono poi gli stessi curatori, ma uno che “pre-dice” (un predicatore? sì, questo sì) e un anticipatore.
Ferroni stesso premette: “Pier Paolo Pasolini è enigma e anche mistero”. Aggiungendo tra parentesi  una riserva fondamentale: “E qui bisognerebbe distinguere le accezioni non sempre perspicue e oscillanti con cui egli stesso fa uso di questi termini” - anche in filologia Pasolini non è un cultore o un osservante, ci andava di forza, già da ragazzo - come con Contini, suo interlocutore illustre.
Ma su questo aspetto la raccolta ha un colpo di genio. Con Monica Venturini, che introduce la seconda giornata del convegno, sotto il titolo impegnativo “I dispositivi dello sguardo nelle macchine del potere – per un rapporto tra Pasolini e Foucault”. Semplicemente spiegando la parola, “antesignano” – non un profeta ma un precursore, su questo il comitato delle celebrazioni aveva raggiunto l’intesa: antesignano è all’origine il soldato romano schierato in prima linea. L’uso estensivo nella pratica è di chi precede gli altri e un po’li guida o li incita nell’azione – in questo caso nella dottrina. Quindi un maestro, come Pasolini si voleva alle origini, nella prima vocazione, precursore in chi se ne fa discepolo. Passatista ma di avanguardia, malgré lui.
Il convegno si è tenuto a gennaio del 2023, dal 18 al 20, con tre giornate distinte per ognuno dei trte atenei romani, Sapienza,Tor Vergata e Roma Tre, promosso dal Cmitato Nazionale per il centenario della nascita di Pasolini.
Giulio Ferroni-Maura Locantore (a cura di), Pasolini antesignano, Marsilio, pp. 276 € 24

martedì 4 novembre 2025

Cronache dell’altro mondo – razziali (367)

A settembre la Corte Suprema ha autorizzato, con un decreto urgente (fascicolo ombra nel gergo, shadow docket: si emettono provvisoriamente, prima della discussione e della sentenza motivata, quando l’attore ha motivi urgenti da far valere), la polizia dell’immigrazione ad arrestare chiunque, “sulla base dei seguenti fattori o presupposti, o combinazione di presupposti: (1) presenza di luoghi particolari, come fermate dei bus, lavaggi auto, posti di raccolta di lavoratori giornalieri, siti agricoli, e altrettali; (2) il tipo di lavoro svolto; (3) lingua parlata lo spagnolo, o inglese con un accento; (4) razza apparente o etnicità”. Mettendo da parte gli emendamenti Quarto, Quinto e Quattordicesimo, che salvaguardano contro atti di polizia irragionevoli o la sottrazione del principio della legale protezione .
I giudici della Corte Suprema sono di nomina presidenziale, e le circostanze del rinnovo (malattia, inabilitazione, morte) hanno favorito le presidenze repubblicane, sei a tre. Devono la  nomina a presidenti repubblicani: Clarence Thomas (George Bush), il presidente John Roberts (George W. Bush), Samuel Alito (id.), Neil Gorsych (Trump),Brett Kavanagh (id.), Amy Coney Barrett (id.). Sono state nominate da presidenti democratici: Sonia Sotomayor (Obama), Elena Kagan (id.), Ketanji Brown Jackson (Biden).

Liberi tutti ai referendum

Si sa che al voto politico decide il 5 per cento.  Il cosiddetto “voto di opinione”, così si chiamava quando c’era ancora un’opinione pubblica, prima dei social, che si formava nella campagna elettorale. Il grosso degli elettori vota per orientamenti radicati, a destra, da moderato a estremista, come a sinistra, da moderato a estremista, e sono due schieramenti che numericamente si valgono: decide il voto sciolto, di opinione. Un volume di voti he un tempo, quando la partecipazione era al 75 per cento, si calcolava sui 2 milioni e mezzo di elettori. E oggi, col voto al 50 per cento, potrebbe essersi ridotta a un milione e mezzo.
Nei referendum il voto è invece inverso: sia in quelli che non attraggono che in quelli a partecipazione stratosferica, gli spostamenti possono essere larghi.  Il referendum sul divorzio nel 1974 ha visto una partecipazione record dell’88 per cento degli aventi diritto (si disse per la mobilitazione, autonoma, nel profondo del cuore, delle donne al Sud), 33 milioni, e si concluse con un deciso 6-4. Un 6-4 si è avuto anche contro la riforma parlamentare Renzi, a fine 2016 – ma la partecipazione fu ridotta, il 65,5 per cento. Lo scostamento maggiore, 8-2, si è avuto al referendum contro il nucleare, quando però votò solo il 65 per centro – perché, si disse, si dava il risultato per scontato. 

Vita semplice e arte complicata di Poe, scrittore meridionale

Cripte, sepolture, morbosità fisica: questi incubi sono presenti in modo prominente nei racconti di Edgar Allan Poe, un mondo immaginario in cui la parola che ricorre più spesso è orrore – questo il “catenaccio”-sintesi del saggio.
“Edgar Allan Poe fu ed è una turbolenza, un’anomalia tra i maggiori scrittori americani del suo periodo, un’anomalia ancora oggi. Stupì e allo stesso tempo inimicò i suoi contemporanei, che non riuscirono a escluderlo dal primo rango degli scrittori, sebbene molti ritenessero la sua opera moralmente discutibile, e sebbene lui li flagellasse regolarmente sulla stampa, con critiche a volte apertamente vendicative e spesso brillanti.
“Sembra che per Poe fosse vero che nessuno poteva guardarlo senza vedere più di quanto avrebbe desiderato o di quanto lui potesse tollerare. Il suo abbigliamento era sempre ordinato, signorile e curato. I suoi modi erano cortesi e raffinati, notoriamente patetici o scandalosi se gli capitava di bere. Però, era sempre troppo disperato per avere tatto nel sollecitare conoscenze, essendo l’unico sostegno di una moglie amata e tubercolotica, una cugina che aveva sposato quando lei non aveva ancora quattordici anni. Era uno scrittore popolare e un editore di grande successo, ma sempre pagato miseramente. La gentilezza, che era il suo antipasto e la sua armatura, era di tipo meridionale, e quindi non molto apprezzata dagli abitanti del New England che dominavano la vita letteraria. E la famiglia sua propria della Virginia, dalla quale aveva acquisito i modi e i gusti della raffinatezza, lo aveva rinnegato   senza un soldo.
Lo scrittore Thomas Wentworth Higginson disse che Poe subiva “l’effetto di un’ipersensibilità che, se incontrollata, può rivelarsi più degradante della volgarità”. E in effetti sembrava sopraffatto da se stesso, intollerabilmente sensibile, orgoglioso e intollerabilmente brillante, con il bere e l’amarezza che favorivano le sue sconfitte e umiliazioni. Detto questo, la sua strana piccola famiglia composta da zia/madre e cugina/moglie, in tutto ciò e finché durò, fu sempre descritta come calorosa e dolce. Era un uomo forte e atletico che, per tutta la sua carriera, sopportò le sue debolezze e le sue afflizioni abbastanza bene da essere molto produttivo, in particolare nell’inventiva unica e nella purezza bizzarra della sua narrativa”.
Marilynne Robinson, On Edgar Allan Poe, “The New York Review of Books”, 5 febbraio 2015, free online (leggibile anche in italiano, Su Edgar Allan Poe)

lunedì 3 novembre 2025

Chiese chiuse

Da qualche tempo si può indugiare al caffè a mezza mattina, anche leggersi il giornale, al Cafe Vert, il carro funebre più non staziona davanti a Regina Pacis, la chiesa di quartiere. Si vede che il quartiere si è ringiovanito. Oppure non si fanno funerali, l’incinerazione è tanto più comoda – non c’è più la vita oltre la morte.
Anche il vecchio rom che occupava la postazione ai gradini della chiesa per le elemosine non si vede più – non vecchio a guardarlo ma ingrugnito. Ci manda qualche volta il sostituto, ma è il solito giovane africano svagato, attaccato al cellulare.
Del resto, la chiesa quasi sempre è chiusa. Una volta si entrava nelle chiese, erano aperte a tutte le ore, eccetto la pennichella. Ora è chiusa spesso anche la mattina presto, venendo al caffè prima del lavoro.
Un tempo suonava la campana alle sette meno un quarto, e alle sette le gente entrava per la messa. Poi qualcuno si è lamentato, che le campane danno fastidio, alla mattina, a mezzogiorno eccetera, ha fatto causa e l’ha persa. Ma la chiesa poi si è chiusa. Forse perché ora il parroco fa t
utto da solo, Regina Pacis il parroco ce l’ha, e quando lui ha il raffreddore, o la sera ha fatto tardi, non c’è la perpetua o il sacrestano che apra.

La Cina è lontana quando invece è qui

La Cina era “vicina” con Bellocchio  quando era lontana, remota, estranea – mentre oggi, che è  prospera a casa nostra, si tende a non vederla per quello che è, presente e possente, e gentilmente minacciosa.
Non si penserebbero possibili le “dottrine “ di cinquant’anni fa, ma il repertorio che Giulio Meotti resuscita sul “Foglio” è perfino divertente tanto è balzano. Franco Basaglia: “In Cina i malati sono curati politicamente, col pensiero di Mao”. Umberto Eco, che curava “I fumetti di Mao” (ora escluso dalle sue opere): “L’uniformità del costume cinese è il segno del sacrificio che tutta una comunità fa per garantire un minimo di benessere a tutti”. Dario Fo: “Qui sa noi l’uomo è una  merce, in Cina c’è una concezione profonda della vita che determina tutto quanto”. Maria Antonieta Macciocchi, dapprima giornalista, poi europarlamentare Pci, che in “Dalla Cina “ fa parlare operai che rifiutano gli aumenti salariali.
Questo nel pieno della “rivoluzione culturale”, con la quale Mao, armando i giovani in qualità di Guardie Rosse, seminava il terrore tra i quadri del (suo stesso) partito e nelle (sue stesse) istituzioni.
Oggi che la Cina siamo noi, da Huawei e TikTok, a Temu, Shein e Uniqlo, e alle auto a metà prezzo, non se ne sa niente, se non che se la passa bene. Mentre la Cina è un regime, e un disegno politico, egemonico.

Tosca è un'altra. cantata al naturale

Il dramma è francese, 1887, opera di Vìctorien Sardou – Roma è un set privilegiato, storico-monumentale e esotico insieme di molta narrativa francese, dalle “Cronache italiane” di Stendhal, L’opera è di una dozzina d’anni dopo, tenuta a battesimo al teatro Costanzi di Roma in apertura di secolo,  ai primi di gennaio del 1900. Forse per questo si è speso tanto, a giudicare dalle scenografie monumentali e i costumi molteplici dei coristi,, che per questa rappresentazione celebrativa, per i 125 anni dell’opera, in mondovisione, si sono voluti esumare.
Una rappresentazione spettacolare. Comprese, per gli spettatori alla tv, la fine dal vivo, di Cavaradossi e di Tosca, da una delle terrazze del Castel Sant’Angelo. Ma soprattutto spettacolare il Cavaradossi di Jonathan Tetelman, della voce solida e sonora di petto delle due romanze,  “Recondita armonia”, “E lucevan le stelle”. Un gigante, anche musicale, un tenore naturale, a cui non si è più abituati.
Giacomo Puccini, Tosca, Opera di Roma, Rai 3 – Raiplay

domenica 2 novembre 2025

L’Italia gioca in difesa

 Non ci sono molti calciatori italiani in giro per l'Europa, o non sono molto apprezzati, Mente ci sono molti allenatori, nel calcio che conta, Inghilterra e Spagna, e anche  Francia, Dopo la famosa prima di Trapattoni al Bayern di Monaco, col suo fantatedesco.
Ce ne sono stati e ce ne sono anche vincenti, Capello, Ranieri, Ancelotti, lo stesso Trapattoni, ma non è questo che ne fa l’attrattiva: sanno insegnare che si vince a patto di sapersi difendere.
Pochi i calciatori per il fatto della lingua – con gli allenatori è diverso: un po’ impapocchiano, un po’ fanno full immersion, da persone adulte, e poi usano un linguaggio tecnico, limitato.

Si vince al calcio con la lingua

Si vince al calcio nel Millennio con la lingua: o squadre inglesi, che pescano nel vastissimo mondo dell’anglofonia, o squadre spagnole, che pescano in America latina. Si dice che inglesi e spagnoli vincono per i soldi, ma i soldi sono ovunque, e altrove non  vincono – vedi Commisso a Firenze, mentre il Psg ha vinto, male, dopo un quarto di secolo di spese forsennate (fallendo con enormi campioni, Neymar, Messi, Mbappé, etc,). La lingua condivisa rafforza lo spogliatoio e dà sintonia alle squadre in campo.
In Italia gli innesti stranieri sono stati a lungo limitati, del tempo in cui l’impero aglo-ispanico non si era consolidato, e hanno agito come “innesti”, fuori serie:  Platini, i tre olandesi, Cristiano Ronaldo (innesto costosissimo non riuscito), e poi gli argentini, da Sivori a Maradona, Batistuta, Higuaìn, Tevez, Dybala – ma qui per un’affinità sempre etno-linguistica.
 

 

Essere un autore non è essere un genio

È un “romanzo” per dire che l’autore “non avrebbe scritto un romanzo” – e “in fondo non voleva scriverlo”, non voleva dargli quell’importanza. In effetti svagato, molto, a parte l’antipatia, si direbbe niente – divagazioni.
Elkann vuole scrivere di Pound, poeta e antisemita, e non gli bastano le due donne, la moglie Dorothy, madre del figlio Omar, e la compagna di una vita (Elkann dice “l’amante”), madre della figlia Mary, che ne è la traduttrice in italiano e l’erede sentimentale e letteraria, gliene inventa una terza, Vera – e forse una quarta, Marcella. Vera è una cinquantenne dai capelli lunghi, ricca, avventurosa, ebrea. Dopo aver simpatizzato, il muto Pound del tardo esilio a Venezia, con un “amico siciliano”, Alfio, che si reca a Venezia a parlare lungamente col poeta, poi se ne torna in Sicilia, e si uccide. Ma anche qui senza drammi: Pound si è servito di Alfio a Venezia come “uomo dello schermo”,  per sfuggire al controllo ferreo dell’“amante” Olga, e ritrovare in albergo Vera.
Il silenzio, dunque? Ci sono anche Beckett e la moglie al ristorante, “in albergo in valle d’Aosta”, in silenzio. Ma nemmeno questo è. Il fulcro è un dialogo, anzi due dialoghi. Uno con l’“amico siciliano”: E uno con l’amante giovane “Vera”. Il primo è un dialogo tra un padre e un figlio. Il secondo tra un amante attempato e l’amante giovane - quello che uno vorrebbe sentirsi dire in tarda età, o solo si sogna.
Senza simpatia per Pound, acculato all’antisemitismo. Ma senza capo né coda. Elkann
fa i conti col proprio essere ebreo, come una rivendicazione di identità. E di Pound muto non ha timore: “Il silenzio di Pound a Venezia non voleva dire che si fosse pentito o che non avesse più niente da esprimere. Era l’ultimo capitolo di un narcisismo sfrenato”. Può darsi, ma non vediamo come.
Di fatto non è vero: Pound, semplicemente, non aveva più nulla da dire - non la lasciato nemmeno un appuntino volante. E il silenzio, perché no, potrebbe anche essere una maniera di proteggersi, dalla vergogna.
Il silenzio è del genio. Tra esseri speciali che non parlano. È il silenzio, in realtà, di Elkann, dell’autore. Dell’esilio a Londa. Al tempo del Covid. Con tre amici, lontani. Sul tema del perché (non) si è un genio. Pound non è e non è stato poeta di chiara fama: “Pound era invece l’artefice e la vittima della sua storia”.
Pound come una proiezione di sé, di quello che l’autore è, buon giocatore di tennis e di scacchi?
Alain Elkann,
Il silenzio di Pound, Bompiani, pp. 158 € 15