giovedì 14 agosto 2025
Letture - 587
U. Eco – De “Il nome della rosa” era Sean Connery l’autore per molti spettatori – non lettori – del film tratto dal romanzo, Giuliano Vigini ha scovato in un sondaggio “Gli italiani e la lettura” (di cui non dà la data, ma effettuato probabilmente attorno al 1990, non molto tempo fa). Alla domanda “Chi ha scritto «Il nome della rosa», con quattro opzioni di risposta, Hemingway, Connery, Busi, Eco, il 47 per cento era andato a Connery”, uno su due, “con Eco al terzo posto, con il 18 per cento”, dietro Hemingway evidentemente.
Roma – Borges a Roma, nel 1977, a colloquio con Arbasino, ne traccia una sorta di immortalità (A. Arbasino,“Passeggiando tra i draghi addormentati, 262): “Ci sono molti racconti di Kipling
Cronache dell’altro mondo – fiduciarie (352)
Pew Research, la società di sondaggi,
trova che chi ha votato Trump, i giovani e gli operai, lo rivoterebbe. E che –in un esercizio di ricerca meramente
ipotetico – Trump oggi avrebbe vinto anche tra chi a novembre si è astenuto,
specie se “giovane o non bianco”.
Un giornale estremamente anti-Trump,
“The Atlantic”, si interroga sul perché gli americani votano Trump. E si
risponde con un manifesto del 1932, della Germania pre-Hitler, pro-Hitler, come
se la crisi del 1931-32 fosse come oggi: mamme con bambini, lavoratori
disoccupati, vecchi, giovani inerti, e lo slogan “La nostra ultima speranza è
Hitler” - nelle intenzioni della rivista probabilmente una critica a a Trump,
novello Hitler.
Vite in maschera – o la valanga bio
“Biografo,
conosci te stesso!”, così Hermione Lee condensava la tesi di uno dei numerosi
libri del genere biografico che recensiva per la rivista nel 2001: “Quali sono
le tue motivazioni nella scelta del soggetto, quale posizione etica adotti, che
toni sceglierai?”.Qualche anno prima “John Updike aveva aperto la sua
riflessione sulla biografia letteraria con la domanda: «Perché ne abbiamo
bisogno?»”.
Una
riflessione curiosa ora che tutto è bio,
nel senso di vite delle persone illustri, specie al cinema e in tv. E in
letteratura con la dittatura del genere selfie
– specie dell’infanzia, che è facile da ricostruire, non oppone
resistenze. Siamo in epoca egotista, direbbe Stendhal, e la bio, altrui o
propria, è d’obbligo. E dunque?
Il
saggio resta ai margini, della biografia classica. Una sorta di scultura di un
personaggio. Molte per uno scrittore le motivazioni possibili per dedicarcisi – una forma, p,es., nuovissima è quella di
Carrère, che he esaltato la vecchia formula degli uomini non illustri,
“illustrandoli” lui, Limonov e Philip K. Dick.
Curiose
spesso anche le recensioni delle biografie. Bizzarre. All’uscita della prima biografia
di Georg Wilhelm Friedrich Hegel in inglese, un recensore Anthony Quinn poté ipotizzare
che il disinteresse per la vita del
filosofo fosse dovuto “al fatto che non sembra avere avuto un nome proprio
funzionante”. Una biografia di Mozart fu scritta, proclamò W.H.Auden nel 1965,
da «un pazzo anale»”. Oppure rivelatrici: “L’immagine folcloristica di Lincoln
che ara i campi e spacca le staccionate, coltivata tanto dal presidente quanto
dai biografi, James McPherson ha potuto spiegarla come “un simbolo potente di
ciò che gli americani vogliono credere sulla mobilità sociale, sull’opoprtunità
di progredire nella loro società”.
È
cambiato qualcosa col dilagare del genere bio?
“Traduttore traditore” pare amasse ripetere la regina Elisabetta - quella di
Shakespeare, che parlava l’italiano. E del biografo? Giù la maschera?
Lauren
Kane, Get a Life, “The New York
Review of Books”, gratuito online, leggibile anche in italiano, Fatti una vita)
mercoledì 13 agosto 2025
Secondi pensieri - 567
zeulig
Adiafora
–Gli
“a parte” degli stoici, i quali distinguevano fra ciò che uno può fare, ciò che
non può fare, e le cose appunto indifferenti. Tra esse c’era il sesso. Ma non
la politica, che è un dover essere.
Non si vive nascondendosi, quella è
un’altra scuola.
Amore – Raccontato, è sempre più inverosimile – “fa ridere”, diceva Pessoa (che però
non amava, se non se stesso, in quattro o cinque persone diverse). O altrimenti
sfiora comico, negli approcci e la ginnastica sessuali.
Va bene solo in poesia. Perché è “inconsistente”, di una
consistenza immateriale. Le “cose” che lo manifestano o realizzano non sono
“amorevoli”, o induttori di amore – che non sia dichiarato.
Don
Giovanni – È il personaggio di tanti personaggi – quello di Da Ponte-Mozart
svettante su tutti gli altri, in parole e musica.
Si confonde con Casanova – il dissoluto libertino
“storico”, vero o falso che sia, gli si sovrappone. Mentre è tutt’altro, più
Faust che Casanova.
Il rapporto tra i due veneziani, Casanova e Da Ponte,
sarà stato sicuramente indagato. Ma Goethe, il “Faust”? Quanto è l’esito di
tanto Dr. Faustus, e niente di Casanova,
o di Da Ponte? Casanova memorialista sarà edito molto tardi, Da Ponte era in
scena da tre o quattro anni.
Si può anche pensare a un Casanova memorialista modellato
sul mito di don Giovanni, anche se sembra veridico, narratore di cose viste e
vissute.
Immaginazione
– Si direbbe di fatto sempre “al potere”, buono o
cattivo. O il potere non è altro che immaginazione - e volontà, certo, ma allora occorrono
accorgimenti.
Infinito
- L’infinito è ineguale. Cartesio ci trova la prova dell’esistenza di
Dio, come colui che ci ha messo in testa l’idea d’infinito. Mentre non si mette
in testa a qualcuno un’idea senza avercela già trovata, la cosa è stata
dimostrata da Socrate, o Platone che sia.
Morte
-
“Nella paura della morte
c’è qualcosa che fa pensare a un senso di colpa: con essa si manifesta forse la
vendetta della vita non abbastanza amata. La morte è un pregiudizio” – Lou Salomé.
Può
essere: parlano di morte i preti e le beghine, astinenti.
Dio ha creato l’eternità, il tempo è degli
orologiai. L’attesa, o paura, della morte è parte della storia degli orologiai.
Reale – È tutto, anche l’inesistente? Si può argomentare con Boerges, in
conversazione con Arbasino (“Passeggiando tra i draghi addormentati”, 257): “I
sogni sono reali, come lo stato di veglia. Le fantasticherie sono reali, il mio
passato è reale, come la memoria e la storia”.
Rivoluzione
- La rivoluzione vuole un altro
alfabeto e questo non è possibile.
L’ultima, il Sessantotto,
ci è andata vicino. Ha la pretesa di avere aperto nuove dimensioni, e questo è
possibile, se ci sono le undici del pazzo Gödel. Ma più quella dell’ordine che
ritorna: dopotutto il ‘68 è etico, cioè sistematico.
Storia – “È un sogno e un incubo «da cui cerco di svegliarmi», come diceva Joyce”,
Borges in A.Arbasino, “Passeggiando tra i draghi addormentati”.257.
È mutevole, ma è segnata dall’eternità, da
percorsi a noi esterni e ignoti – il vincolo non viene mai meno.
Suicidio - È bizzarro che si sia passati dal delitto, ecclesiastico e giuridico (“istigazione al
suicidio”) all’approvazione con tanto di raccomandazione, come a una pratica sociale,
socialmente utile e procurata – la Consulta che fa alle Asl l’obbligo di attrezzarsi
di strumentazione tecnica in grado di obbedire ai movimenti dell’occhio o della
testa del candidato suicida.
Una pratica sociale matura all’improvviso? I cambiamenti
radicali sono nella storia istantanei?
“Bisogna amarsi molto per suicidarsi”, A. Camus.
Verità - Il sapere assoluto è un’idea da uguali.
Da uguali e distinti. Nella verità l’essere è invece intrecciato.
Il nostro rapporto con
l’infinito non è un sapere, è il desiderio. E il desiderio è un bisogno che non
può essere soddisfatto, si nutre del suo stesso appetito.
zeulig@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo – cripto (351)
La nuova legge
americana sugli stablecoin è così
buona “che le hanno dato il mio nome”, ha potuto scherzare Trump firmando il Guiding
and Establishing National Innovation for the Us Stablecoins (GENIUS).Gli stablecoin sono una forma vera di
valuta, con un prezzo stabile, grazie a un ancoraggio reale – se ancorati al
dollaro sono progettati per valere un dollaro.Le critovalute
sono piene di truffe. Basate sul nulla – come quelle della famiglia Trump,
$TRUMP, una moneta meme che oggi
varebbe 1,9 miliardi di dollari. Gli stablecoin
al contrario sono una delle innovazioni necessarie del sistema dei pagamenti internazionali,
una delle più efficaci. Di grande utilità, p.es., in paesi come la Turchia e la
Nigeria, dove non c’è fiducia nei governi e la paura dell’inflazione e degli
espropri è costante.(“The
Economist”)
Fabbrica e sindacato, storia faceta in memoriam
Sindacalisti
persi, puri e duri, che boicottano il sindacato giallo, anche a costo di
rimetterci in qualifiche e gratifiche – e in turni facili. Finché, “una buccia
di banana via buccia di banana” via un’altra, il sindacato giallo scompare. “Ma
non ci sono prove che Traveylo (il padrone, n.d.r.) gli abbia fatto una combine
con Cgil Cisl e Uil”. Nasceranno i sindacati di base… E via così, con scrittura lieve, allusiva, significante
soprattutto in prospettiva storica, della storia nel suo svolgersi già vista o
sentita nella sua verità, che resta pregna e allettante. Anche se non racconta che
la vita senza storia dell’operaio in fabbrica – quando c’erano le fabbriche.
Un
racconto del 1987, del genere inaugurato trent’anni prima da Ottieri con
“Donnarumma all’assalto”, poi drammatizzato da Volponi in “Corporale”, visto
dall’operaio, quale Pennacchi è stato – o comunque si vuole - invece che dal
sociologo (Ottieri, Volponi), che si legge come conclusivo di fatto di un’epoca
– già la fabbrica cominciava a non essere più “centrale”.
Si
legge per le verve della scrittura,
anche se il tema è la vita quotidiana degli operai. La guerriglia sindacale
(contro il sindacato più che contro la proprietà), il lavoro di notte, la
ripetitività. Con piccole parentesi: il picchetto, l’occupazione stradale, l’occupazione
della centtrale nucleare di Latina, il secondo lavoro. Per finire la casa, per
comprarsi una macchina più grande – l’elenco
delle seconde occupazioni (negli anni in cui il sociologo del lavoro Luciano
Gallino lo scopriva) prende cinque pagine fitte.
Sempre
arguto più che drammatico – non come in Volponi. Un’antistoria, faceta e seria,
del lavoro in fabbrica – e del sindacato. Quando c’erano, ieri.
Antonio
Pennacchi, Mammut, “Il Sole 24 Ore”,
pp. 147 € 12,50
Mondadori,
remainders Ibs, € 8,50
martedì 12 agosto 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (602)
Giuseppe Leuzzi
“Finché ci saranno, gli uomini continueranno a
rapportarsi con le mafie”, Nicola Gratteri, Procuratore Capo a Napoli. Da
Napoli in giù, naturalmente.
Lo dice ai festival ma lo insegna anche nelle scuole.
Meglio arrendersi subito?
Per la morte di Alessandra
Balocco evocazioni rispettose di tutti i giornali e tg - sviluppo dell’azienda, rispetto
delle maestranze, qualità dei prodotti. etc. Senza ma ricordare il fatto per cui
Balocco è soprattutto nota, il falso messagio per vendere il pandoro uno o due
anni fa. Tutta colpa di Chiara Ferragni, il messaggio promozionale ingannevole per
cui la stessa è indagata? Ma è giusto; delimitare il danno. A una Balocco di
Palermo non sarebbe stato concesso.
“Mi persuado sempre più”, nota Borges a un certo punto
ne “L’Aleph”, che la poesia moderna esige il balsamo del riso”. Lo fa dire a
Carlos Augusto, un cugino dell’amata Beatriz morta troppo presto che l’autore
va ogni anno a riverire, un piccolo bibliotecario di periferia, un po’ trombone
– un po’ Borges. “Decisamente ha la parola Goldoni!”, lo fa concludere. Ma è
“‘a zannella” che molti al Sud privilegiano, l’ironia benevola, non è lo
“scherzo” italiano che incuriosiva Borges, ma gli si sarebbe meglio adattata.
Lo Stonewall Inn, il bar gay del Greenwich Village a
New York entrato nella storia della liberazione omosessuale per la resistenza
opposta dai frequentatori alla Polìzia che ne voleva lo sgombero nel 1969, era
tenuto dalla mafia. Senza scandalo, ne dà notizia Edmund White, fra i più
frequenti frequentaori in “Gli amori della mia vita”, le memorie postume. Tante
storie della mafia e manca l’essenziale.
Quando si scopre il cadavere,
all’inizio del “Giallo sul giallo”, Gianni Mura ha, rivolto al suo alter ego, presunto colpevole,
il rituale insulto “porco assassino” pronunciato da “una voce con l’accento del
Midi”. Che non è un indizio. È un di più, riflesso condizionato leghista, da
bravo brianzolo – il giallo il giornalista dedica al padre, maresciallo dei
Carabinieri, “Il Maigret della Brianza”.
L’idea del Ponte
– ultimi scavi in Magna Grecia
No,
il Ponte non è di Salvini. È anche di Conte – chi era costui? Insomma, quello reddito di cittadinanza. No, era già del Pd: Delrio quando era
ministro se ne occupò molto, e poi Paola De Micheli, e poi Enrico Giovannini.
Il prof. Cascetta, professore infuente
dei Sistemi di Trasporto alla Federico II, l’università di Napoli, già
assessore di Bassolino, membro della “struttura di missione” del ministro dei
Lavori Pubblici del primo Conte, presidente dell’Anas, che pure non sembra un
fondamentalista, del Ponte precisa: ”Un’idea di Berlusconi? No, di Cavour”.
Che
però si può giustificare, allora nessuno sapeva dello Stretto –figurarsi
Cavour, che del Sud aveva cognizioni vaghe. Tanta unanimità, di fronte al nulla
(ancora), significa che il Ponte è popolare. Ma è un mostro. Tanto più sapendo
che si faranno i “piloni”, di 150 metri di altezza – se si faranno, dopo aver
scavato qualche miliardo di metri cubi (se ne farà una montagna, un’altra in
Calabria, e dove?) – e poi più nulla, la campata unica di tre km. e mezzo
(sic!) non esiste.
Un
Ponte da 13 miliardi preventivi, che poi saranno 130, per servire,
ipoteticamente, un traffico modesto, e per lunghi periodi inesistente. Solo una
scommessa ingegneristica. Certo un record. Sia che si faccia veramente (1 per
cento di probabilità) sia che rimanga ai piloni, anzi forse solo agli scavi – il movimento terra lo sappiamo fare. Sarà
l’abitudinario “Ultimi scavi in Magna Grecia”.
Milano capitale della protezione
Ritorna sul “Corriere della
sera l’ovvietà che Milano è la calamita dell’Italia. Però questo
dell’urbanistica sarà
pure l’ennesimo episodio di protagonismo giudiziario, di “giustizia a
orologeria” (ma l’orologio della giustiza è semovente), etc., ma alcuni fatti ci
sono. La Corte dei Conti aveva già a processo i funzionari comunali che hanno
avallato progetti di “sviluppo immobiliare” poi fasulli. Il megaedificio di sette
piani su larga fronte, che ha sostituito come ristrutturazione, all’interno di un
cortile, una villetta-opificio di due piani e mezzo. Una Leontina srl è fallita, sotto sequestro da un anno per abusi
di ogni tipo - comprese cospicue caparre per abitazioni da consegnare a
novembre e di cui mai aveva iniziato la costruzione.
Tutto
questo altrove non sarebbe stato possibile.
I
fatti c’erano già prima, solo i media,
pure così sensibili alla cronaca nera, non se ne erano accorti. E non ne
parlano, se non a denti stretti, non ci fanno ampi servizi, giusto parole
smozzicate, qua e là. Niente scandalismi, Milano si protegge. Da chi, da che?
Il Ratto di Philip K. Dick e “padrone e sotto”
Nella cronaca dell’ultimo G
7 in Canada, lo scrittore francese Carrère che ha avuto il privilegio di
seguire il vertice da presso, volendo dare un’immagine negativa del presidente
americano Trump lo assimila al “Ratto”. Un personaggio, dice, inventato da
Philip K. Dick –di cui Carrère è stato biografo
- per movimentare il noioso Monopoli di cui erano entusiaste le
figliastre. E lo spiega così:
“Il
Banco in questa variante si chiama il Ratto, e invece di accontentarsi del
ruolo di arbitro detiene un potere
discrezionale” totale. Decide “quando vuole, come vuole, senza che nessuno
abbia il diritto di chiedergli conto dei suoi ukase, e senza che lo impegnino a nulla per il seguito. È la tabula rasa perpetua, la dittatura allo
stato puro, la negazione dell’idea di diritto”.
Ma è il gioco della romana
“passatella”, detto in Calabria del “padrone e sotto”. A Roma non più in uso,
non essendoci più le osterie, in Calabria invece sì, essendosi sempre giocato
nei bar, e con la birra. A una passata di carte da briscola, diventa “Padrone”
chi ha la più alta. La carta più alta della mano successiva designa il “Sotto”.
Il Padrone decide chi e
perché può bere, e quanto. Il Sotto può bloccare la scelta del Padrone,
motivandola, ma non può determinate chi può bere.
Umanesimo greco in Italia - 2
Proseguendo nella rassegna
degli studi di Anna Meschini Pontani sull’umanesimo italogreco, uno dei
contributi maggiori, che hanno segnato tutta la vita della studiosa, è sulla
vita e l’opera del protagonista forse maggiore di questa esperienza culturale, Giano Làskaris, costantinopolitano, filologo,
bibliofilo, poeta e diplomatico, studioso
di codici, autore di epigrammi, nonché di copiosa corrispondenza. Girò a lungo per
l’Europa nel tentativo di creare un’alleanza contro i turchi - e a questo
effetto, purtroppo, al servizio di Carlo VIII quando invase barbaramente
l’Italia. Ma visse prevalentemente a Roma, fino quasi ai novant’anni, primo editore
anche di opere greche in Itaia, in traduzione e in originale.
Un gruppo di cinque umanisti
greci attivi in Italia tra la fine del ’400 (Demetrio Mosco) e i primi decenni
del ’500 (Cristoforo Kondoleon, Michele e Manuele Sofianòs, Teodoro Rendios) ha
meritato un’altra serie di indagini di Meschini Pontani. Prima assai poco noti
agli stessi studiosi, sono stati autori di opere a vario titolo interessanti, di
poesia, di filologia e filosofia, nonché collezionisti di opere a vario titolo
poi importanti. Forse il lavoro di scavo più incisivo della studiosa, che ha
reperito testimonianze autografe o comunque originali, editiones principes di
trattati, lettere, cataloghi, epigrammi, epilli, commentari.
Corona l’umanesimo italogreco una serie di studi studi
di Anna Meschini Pontani attorno alle esegesi operate sugli epigrammi
dell’Antologia Greca. Alle annotazioni, definite “fondamentali”, di Marco
Musuro, cretese di Candia (e, in misura minore, su quelle di Giano Làskaris e
Angelo Poliziano), altri dotti greci e italiani del primo Cinquecento sono
riscoperti, in quanto filologi, epigrammisti, versificatori: Matteo Devarìs (“Matteo di Bari”, “Matteo Greco”), corfiota, Lazzaro Bonamico, o da Bassano, il senese Lattanzio Tolomei,
ambasciatore di Siena in Vaticano, Niccolò Leonico Tomeo, greco d’Albania.
Cronache della differenza: Napoli
Brucia il versante alberato
del Vesuvio, il tutto in pochi giorni. Nella disattenzione. Il governo ha mobilitato la Protezione civile nazionale. Ma
niente di drammatico, non abbastanza, l’Italia non è stata in pena per Napoli.
Non c’è delitto.
È solo un secolo, anche meno,
malgrado Gladstone e la scombinata unificazione dell’Italia, che era meta di
predilezione di molta intellettualità europea, la città e le isole. Fra i tanti,
il supplemento “Mimì” de “L’altravovce” può ricordare Celeste Somerville,
astronoma e matematica – quella per la quale fu coniato il neologismo “scienziata”:
“Sul finire dell’Ottocento, lungo la spiaggia di Chiaia si poteva spesso
incontrare un’elegante ultraottantenne, seduta su una sedia in legno, intenta a
scrivere…”
Il giudice Gratteri, che è
calabrese, quando dirigeva le Procure in Calabria era specializzato in arresti
di massa – la maggior parte abusive. Pescava a strascico. Adesso che ha
culminato la carriera a Napoli non più.
Non ci sono delinquenti a Napoli.
Da Napoli, calcola Laura Valente
sul “Robinson”, tra il 1860 e il 1960
“ha preso vita l’esodo di circa trenta milioni di italinai”, che vi si
imbarcavano per gli Stati Uniti. Non solo italiani, si partiva per la Terra
Promessa da Napoli soprattutto, più che da Marsiglia, nel Mediteraeo, e da Le
Havre sull’oceano. A Napoli arrivava in Europa tutta l’Asia, Cina, India,
Giappone.
Scomparsa nel “colore”, resta presente nel
linguaggio e negli usi. C’è ora anche l’aperitivo “sospeso”, come tradizionalmente
il caffè – e la pizza, pare, secondo la rete, e il giocattolo.
Saviano celebra sul “Corriere della sera” lo scudetto
del Napoli: “Tutti i napoletani in diaspora e in città hanno rancore per la
propria città”, afferma entrando in tema, dopo il ricordo commosso del padre,
che per lui bambino ci passava il tempo. Possibile? La città è “difficile,
incasinata, piena di miseria e imbroglio, niente che funziona mai”. Era “Napoli
gentile”, anche “Napoli nobilissima”, benché gravata da lazzari, circumvesuviani,
e casertani.
Ma poi aggiunge:“Ogni volta che il Napoli vince,
soprattutto con squadre del Nord, sento come un riscatto”. Proprio lui, che è
“Saviano” grazie al Nord, al tradimento di Napoli con “Gomorra”, e le
successive puntate. Tanto gradite al Nord.
Il Napoli Calcio vincente è prima di tutto opera imprenditoriale
e manageriale. La passione conta, ma poco – si veda l’As Roma, che ha il (grande)
stadio sempre pieno, 63 e 65 mila spettatori, anche con l’Avellino, e non vince
mai.
Prima
Caivano, poi l’America’s Cup – e magari ripuliscono anche Bagnoli. Berlusconi che
al tempo liberò la città dai rifiuti in pochi giorni – e poi anche dalle costossissime
ecoballe. Napoli si può dire ben governata da destra – anche se a distanza.
Cose solide, niente a che vede col “Rinascimento” del Pci-Pds-Ds che deindustrializzò
la città – per l’“economia dei camerieri” dello sconsolato, e vero compagno, economista
Mariano D’Antonio. Ma vota sempre a sinistra.
leuzzi@antiit.eu
Se l’IA si fa servopadrona
Il
settimanale affronta l’intelligenza artificiale dal punto di vista
dell’innovazione, e quindi con ottimismo: ogni innovazione ha creato problemi
ma l’effetto generale è stato di miglioramento. Anche perequativo, con una più
ampia distribuzione della ricchezza creata con la novità. Di processo o di
produzione. Ma ogni novità comporta degli adattamenti, e delle linee-guida, dei
manuali d’uso. Dal punto di vista dei codici, ma anche da quello della
produzione, degli effetti economici complessivi. Sul lavoro, dalla
programmazione ai controlli, costanti; sulla produzione (organizzazione,
massimizzazione dei fattori): sulla distribuzione del reddito.
I rischi già prevedibili dell’IA sull’economia sono
presto detti: l’imprevedibilità, la radicalizzazione degli effetti.
L’intelligenza artificiale è un servocomando che può riuscire essere
utilissimo, per abbreviare i tempi decisionali, e anche queli esecutivi, anche
quelli ripetitivi. Ma è rischioso.
Il settimanale non dice come, ma sarà come già avvenuto
in Borsa con i servo automatismi. Per cui può avvenire che un movimento
limitato su un titolo o una valutazione di indicatore di mercato scateni (ha
scatenato, anche se pochissime volte), movimenti ampi incontrollati. Un
servocomando a rischio servo padrone.
The
Economics of superintelligence, “The Economist”
lunedì 11 agosto 2025
C’è i cinesi
“Cècinesi” è vecchio calembour livornese contro gli abitanti di Cecina, i quali al primo comizio democratico della neonata Repubblica, scapparono alla seconda parola dell’oratore: “Compagni, Cecinesi” - avendo capito: “C’è i cinesi”. Fuori di scherzo, ora “c’è i cinesi”: è bizzarro, al limite dell’incredibile, poiché evento fausto prospettato su “la Repubblica”, sul “Corriere della sera”, come soluzione auspicabile, felice, di grande futuro – forse nel quadro del giornalismo “anti-Trump” (interesserà a qualcuno?): quanto sarebbe più conveniente per l’Europa farsi partner privilegiato della Cina, invece di restare legata agli Stati Uniti. Della stessa Cina dove Liu Jinchao, direttore onnipresente del dipartimento Internazionale del partito Comunista Cinese, conosciuto in mezzo mondo, semplicemente è stato fatto scomparire.
È così, tutto è Stato in Cina. E lo
Stato è l’insondabile partito Comunista. Di cui è capo inossidabile, costituzionalmente a vita ma non si sa mai, Xi
Jinping – uno che è stato ai vertici e anche ai campi di lavoro, forzato.
Si faccia a meno del “comunismo” – in Cina è dichiarato ma non più di fatto, il partito è solo la cerniera del potere - del regime, la Cina esemplifica l’ideale, e l’incubo, dello Stato (quasi) perfetto. Per molti aspetti il sogno di molti. P.es. il finanziamento senza limiti della ricerca scientifica e tecnica - in bianco, senza limiti di spesa o di ritorno economico. O le partnership “incondizionate” con gli istituti di ricerca stranieri – i programmi “Confucio”. Il sostegno incondizionato della produzione, fino a che non sarà leader di mercato. Di cellulari, di quinta o sesta generazione. Di automobili elettriche (gli altri produttori- cinesi - sono in causa col governo per avere stratosfericamente finanziato uno di loro, la Byd, ora vincente e imbattibile, anche sui mercati esteri). Di gestione dei porti e di controllo del traffico marittimo – che sembra assurdo, i porti avendo rilevanza “militare”. O del Canale di Panama – che, certo, è un affare, gestito da una società cinese privata, ma questa società non è libera di rivenderselo, a caro prezzo.
È incredibile, e non può essere solo
frutto di ignoranza, come e quanto si sottovaluta la Cina. Che avrà raggiunto lo
stadio di pace armoniosa dell’ultimo Orwell, “1984”, ma allora a maggior ragione
da incubo – i tre slogan della grande Oceania orwelliana che si leggono al
contrario: “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.