lunedì 23 giugno 2025

Ombre - 779

Netanyahu che prega in diretta per Trump è puro farisaismo, visivo. Ma col dubbio, il farisaismo è di Netanyahu oppure del suo Dio?
Perché, dopo, c’è la cerimonia propiziatoria della guerra al Muro del Pianto: con un altro Dio non sarebbe sacrilegio?
 
La falsa liberalizzazione dell’energia documentata da bollette “incomprensibili” (ma tutte uguali, cioè ingiustificatamente care) merita infine oggi un mezzo saggio di Ferruccio de Bortoli su “L’Economia”. Dove però non trova spazio l’essenziale, che l’80 per cento del caro energia, per le famiglie, è costituito da false imposte di scopo: “oneri di sistema”, “trasporto”, su strutture vecchie di decenni, e “gestione del contatore”, che si gestisce da solo, in automatico. Su cui pagare anche l’Iva – l’Iva sulle imposte… F7erruccio, ovvio, sa di che si tratta, ma non bisogna disturbare l’Arera - l’Agenzia pubblica che protegge il mercato, a danno degli utenti?
 
La Ducati mette in campo i fratelli Marquez e Bagnaia. Cui però dà una moto di seconda mano – corre, dice, “in balia di una Ducati” che non riconosce. Il mercato ispanico è molto più ampio di quello italiano, certo, ma lo sport è tutto qui, a chi fa vendere di più.
 
Il direttore dell’Agenza Internazionale per l’Energia, dopo avere offerto a Netanyahu l’innesco per il piano d’attacco all’Iran, fa marcia indietro: non “c‘è niente di vero”, “non esistono prove” sulla bomba atomica degli ayatollah, “un attacco armato contro le centrali nucleari non dovrebbe mai farsi, potrebbe provocare rilasci radioattivi, con gravi conseguenze, dentro e fuori dello Stato attaccato”. Rafael Marian Grossi si chiama il direttore. Argentino, diplomatico, di basso rango. Cambia qualcosa? Si, non si capisce perché sta all’Aiea – uno vale uno, Grillo dilaga?
O non sarà quello che attacca l’asino dove vuole il padrone.
 
Una gru alta 60 metri che deturpava da vent’anni il Piazzale degli Uffici, e anche la Signoria, incombendo sulla Loggia dei Lanzi, si è potuta infine rimuovere grazie alla donazione di 18 cittadini, diecimila euro ciascuno. Il Comune non ci aveva nemmeno provato, la Sovrintendenza non rispondeva, i curatori degli Uffizi si sono dovuto occupare in solitario della questione. La gru era stata montata per costruire i Nuovi Uffizi, un progetto di trent’anni fa, che la città però non sa-vuole-può realizzare – il concorso per l’ideazione era stato vinto nel 1998 dall’architetto Isozaki.
Il declino di Firenze ha aspetti incredibili.
 
“Spesa pubblica, frodi per 2 miliardi”, solo a Roma, solo nel 2024. Per l’ex reddito di cittadinanza, ma di più naturalmente per fatture false e fondi spariti – “mostre e convegni” sono i “veicoli” preferiti. Il Terzo Settore era una valvola all’inefficiente spesa pubblica al suo nascere, trenta e qualche anno fa, ora è il suo principale drenaggio.
 
Tifo da stadio per i bombardamenti israeliani delle centrali nucleari iraniane. Tanto,  se si “liberassero” un po’ di radiazioni sarebbe un problema per gli iraniani. Ma forse è solo superficialità, il giornale serve ormai effettivamente solo a incartare il pesce.
 
Fa un po’senso che a Taormina si premi come miglior libro di saggistica “Il suicidio di Israele”, di Anna Foa. Riflessione di un’ebrea, per quanto laica, ma dura con l’Israele di Netanyahu. Poi si riflette che da troppi giorni l’esercito israeliano, esercito di leva, non di professionisti più o meno maneschi, spara sulla folla inerme, assembrata per l’acqua o cibo. E l’immagine emerge dei Sondernkommando, che più volentieri non erano dei brutti tedeschi ma di baltici e di ucraini, e sterminavano più rapidi del gas.
 
Israele di oggi – già di prima della guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre - si dice vittima d Netanyahu, ma Netanyahu è ben Israele. Primo ministro di un governo eletto, attraverso varie coalizioni. Primo ministro da quasi trent’anni - con due intervalli, di dieci anni, e di un anno e mezzo.
 
“Se pesa la durezza degli allenamenti, rido”, spiega Antonio Conte, l’allenatore vincente del Napoli, su “7”: “Zidane e Del Piero si allenavano in modo molto più duro. Oggi si fa un terzo di quello che facevamo noi”.  E si vede, il calcio in fatto di atletismo è allo stadio zero, fra urla strazianti al menomo contatto e simulazioni perfino buffonesche.
 
Il direttore ministeriale della Cultura, Nicola Borrelli, serafico spiega che il quasi milione di cui il ministero ha gratificato il presunto regista americano che è ora n carcere per avere ucciso moglie e figlia, non lo ha dato all’americano folle, lo ha dato a un produttore italiano, Matteo Pedrotti. O
ra scomparso, insieme con la sua società di produzione, da vero pariolino – basta l’indirizzo, via Bertoloni, dietro Villa Taverna, parco dell’ambasciatore americano. Il suo omonimo milanese per questa strana avvedutezza gli avrebbe dato l’ergastolo, ma a Roma i soldi corrono facile.

 
Comica visita della Juventus alla Casa Bianca – a fini di beneficenza? Una folla di atleti che non sa l’inglese - a parte i due americani, Weah e McKennie, che sanno di che si tratta e tacciono. Tanto meno quello veloce e criptico delle conferenze stampa. A parte i dirigenti. Uno dei quali si assume il compito di dire le famose sette parole. Visita che il presidente non sa come gestire, se non coi suoi argomenti del giorno: un presidente Biden autopen (?) e il transgender nell’atletismo. “Avete belle atlete nel vostro team?”, chiedeva Trump, e nessuno capiva. Finché il nuovo manager Comolli ha detto infine le sette parole: “Abbiamo un team di donne molto vincente”.
 
Però Elkann aveva più di un motivo per provare ad agganciare Trump, e forse c’è riuscito – con l’aiuto generoso di Gianni Infantino, il presidente della Fifa, che ha saputo stuzzicare Trump sul suo lato, quello mercantile (quanti soldi questo strano Campionato mondiale sta facendo girare per gli Usa). Il mercato di Stellantis per un terzo almeno è in America, ma con macchine prodotte altrove, e un atto di grazia di Trump è necessario. Anche se con la svalutazione del dollaro il danno è già fatto, anche senza i dazi.
 
“Los Angeles brucia. Trump manda i marines”, bruciava cinque o dieci giorni fa. Poi all’improvviso più niente. Ma bruciava sui giornali italiani, su quelli americani, tutti anti-Trump, niente o quasi. È sempre st
rano il rapporto degli italiani (giornalisti) con gli Stati Uniti, che pure è il paese dei loro sogni. Non può essere ignoranza, c’è sempre una vena di sovietismo.

 
“Meloni crede di essere protagonista internazionale? Si culli nelle sue illusioni”. Singolare euresi (inventio)  di Cacciari in tv. Volgare per un filosofo, seppure narratologo - Nietzsche certo: appendere il nemico a un’immagine che è facile trafiggere. Singolare che un filosofo faccia la sera il Mauro Corona in tv – senza nemmeno la scusa del goccetto.
 
L’Anpi, L’Associazione dei Partigiani, che si mobilita a Venezia contro il matrimonio di Bezos, è da ridere. E forse a questo la “mobbilitazione” è intesa, a dare lustro all’“evento”. Ma che tristezza, un uso così sciocco dell’antifascismo.
 
L’indagato, Occhiuto, presidente della Regione Calabria, non ha le “carte”, “Domani”, il giornale di Carlo De Benedetti, sì. Il Procuratore di Catanzaro è della stessa loggia di De Benedetti? Progressista, certo.
 
“Macron fa scalo in Groenlandia e sfida Donald Trump”. Sicuro che no, ma sembra un programma dell’Opera dei Pupi a Palermo, del signor Cuticchio.
 
Macron al G 7 in Canada: no alla mediazione Putin fra Israele e Iran. C’è sempre Macron sui giornali italiani, deve avere un miele speciale – in Francia, dove è presidente, non gli danno molto spazio.

Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"

Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità. Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente. Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada. E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato, equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià. Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià, che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi, ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini, ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.     
Mohammad Rasoulof,
Il seme del fico sacro
, Sky Cinema Due

domenica 22 giugno 2025

La notte brava di Trump - le macerie

Da qualsiasi punto lo si rigiri, il beau geste notturno di Trump, coi suoi squadroni volanti invisibili, produce solo rovine.
Ha isolato gli Stati Uniti – più scombussolati i fedelissimi europei.
Non blocca il programma nucleare iraniano.
Impedisce qualsiasi trattativa per limitarlo.
Ha reso immortale il regime degli ayatollah.
Lo radicalizza, se mai ce ne fosse bisogno.
Ha piantato l’antiamericanismo negli iraniani, in patria e all’estero.
Terrorizza ogni potentato arabo, per quanto suddito fedele, dalla minuscola Giordania all’Egitto e agli sceiccati padronali della penisola.
Allontana ogni dialogo con Putin, che sovrasterà Zelensky con molta più forza che in passato.
Voleva giocare Putin e la Russia contro Xi e la Cina, li ha messi d’obbligo insieme.
Rimette in gioco il gigante cinese, che per quanto malandato potrebbe riprendere la rapida ascesa della via della Seta interrotta sei anni fa dal covid.
Ha isolato gli Stati Uniti, nonché nel vasto ex Terzo mondo, America Latina in primis, nella stessa Europa, sola e confusa di fronte alla Russia e alla Cina.
Ha isolato gli Stati Uniti per legarli a Netanyahu, un avventuriero - non ha saputo-voluto prevenire la guerra di Hamas di cui lui tutto sa (ne ha ucciso i capi uno per uno, vice compresi, e i capi e vice-capi di Hezbollah e Pasdaran), e la allarga e intensifica oltre ogni ragionevole risposta, compreso il tiro alle folle in coda per la fame.
Mettendo in crisi - negli Stati Uniti e altrove, anche in Israele - il sionismo più avveduto, già perplesso su Netanyahu e la sua guerra di annientamento.

Ci sarebbe poi il danno reputazionale, bombardare mentre si negozia, ma a questo gli Stati Uniti ci hanno abituati, dal tempo degli indiani.
La guerra preventiva è un lasciapassare per qualsiasi malintenzionato.

Problemi di base nucleari - 868

spock


“La democrazia americana potrebbe non sopravvivere a una guerra con l’Iran”, “The Atlantic”?
 
“Trump non era supposto essere contro la guerra”, id.?
 
Truman-Trump, la stessa, radice, nucleare?
 
Trum, dice il sanscrito, è “colpire”, “uccidere”?
 
Anche con l’atomica, gli “ariani” l’avevano già inventata?
 
Ma siamo ariani o non-ariani, com’è questa storia?
 
O è la radice mercantile che unisce i due bombaroli – muoia Sansone con tutti i filistei?

spock@antiit.eu

Vite intrepide di donne, un secolo prima dei diritti

“La vivace Vita Sackville-West fu una delle ultime visitatrici britanniche nella casa di Gertrude Bell a Baghdad nel 1926, pochi mesi prima della tragica morte di Bell per overdose. Le due donne erano molto diverse per età, temperamento e prospettive, ma avevano molto in comune, non ultimo il fatto di essere forze della natura con storie personali avvincenti e una propensione a scuotere le sbarre delle loro gabbie dorate e sessiste. Entrambe erano ribelli di genere, snob e attratte dalla classe sociale, dai privilegi economici e dalle circostanze. Nonostante fossero state negate posizioni, opportunità e proprietà per non essere nate maschi, nessuna delle due era particolarmente femminista. Donne ricche come Vita e Gertrude non avevano bisogno di esserlo.
“Vita Sackville-West e Gertrude Bell furono autentiche britanniche coloniali di alto livello all'estero negli anni del dopoguerra, in grado di permettersi di viaggiare e vivere a loro piacimento in paesi come la Persia e l’allora neonato Iraq, contribuendo a plasmare il caleidoscopico e complesso panorama politico del Medio Oriente, in linea con gli interessi britannici e, al contempo, sostenendo apertamente l’autodeterminazione araba. Entrambe conoscevano personalmente le nuove famiglie reali del Medio Oriente e si muovevano con disinvoltura tra diplomatici, leader militari e politici.
Londra, Costantinopoli e Parigi.
“Le strade di Sackville-West e Bell si erano già incrociate a Londra, durante le cene organizzate dall'alta borghesia di Belgravia, Mayfair e Bloomsbury. Entrambe le donne erano abituate a trascorrere periodi di vacanza in campagna (rispettivamente nel Kent e nello Yorkshire), oltre a trascorrere del tempo nelle loro case londinesi, intrattenendo ospiti e facendo visita a conoscenti. Vita si sposò a 21 anni – il suo matrimonio con il bisessuale Harold Nicholson fu piuttosto aperto anche per gli standard moderni – e Gertrude rimase single. Una forma di libertà arrivò per loro in modo diverso.
“Le due donne si incontrarono di nuovo a Costantinopoli nel 1914, prima dello scoppio della guerra. Gertrude Bell era diventata un’esperta esploratrice del deserto, archeologa e fotografa, e aveva da poco completato il suo straordinario viaggio del 1913-14 attraverso vaste distese di terreno impervio, attraversando e riattraversando la penisola arabica, disegnando mappe e scattando fotografie.
“Costantinopoli fu una tappa del suo viaggio di ritorno a Londra. Le voci sulle imprese di Bell si diffusero rapidamente e lei fu molto richiesta per raccontare le sue avventure. Fu invitata a cena a casa di Philip Graves, il corrispondente del Times , dove, a quanto si racconta, si diede alla pazza gioia fumando le sue sigarette abituali. Erano presenti anche il giovane diplomatico Harold Nicholson, appena sposato, e la moglie incinta Vita Sackville-West…”.
Uno di cinque contributi, con molte immagini, di Eleanor Scott, la pubblicista inglese specialista di Roma antica, sul suo sito “Archeology”, su Gertrude Bell – con “The Death of Gertrude Bell”, “Fine Dining in the Desert With Gertrude Bell”, “Gertrude Bell–in Search of the ‘Real Woman’” e “Gertrude Bell’s Word War 1 – Beginnings”.
Quando la vita si poteva vivere, e raccontare, senza ipocrisie – di colore, genere, sociali.
Manca, curiosamente per un sito specializzato in archeologia, l’esperienza di G. Bell a Roma, a due riprese, venuta espressamente per documentarsi e documentare (fotograficamente) il grande lavoro di scavi in città e nei dintorni. Bene accolta e ben guidata dai maggiori specialisti, Rodolfo Lanciani, il decano della grande archeologia postunitaria, tra Rma e Ostia, Giacomo Boni, direttore degli scavi al Foro omano, il direttore della British School at Rome, Thomas Ashby, ritenuto il maggiore esperto, Richard Delbrück, il professore di archeologia classica che era direttore del Deutsches Archäologisches Institut a Roma prima della Grande Guerra, quando G. Bell vi fece ritorno. Personalità con le quali si trovò anche a tenere conferenze. Un aspetto della vita tumultuosa di G. Bell che docuemnta ora l’Accademia Americana a Roma nella mostra “Women&Ruins: Archeology, Photography, and Landscape”.
Eleanor Scott, When Gertrude met Vita: the Friendship of Gertrud e Bell And Vita Sackville-West,
free online

sabato 21 giugno 2025

Più svalutazione meno dazi

Col dollaro a 0,86851 sull’euro – ieri, in trend calante – si può dire la missione quasi compiuta per Trump, il cui scopo è di bilanciare monetariamente, prima e più che con i dazi, i rapporti commerciali con la Ue. Un mese fa il dollaro era a 0,89. Sei mesi fa a 0,975, quasi la parità.
Oggi – ieri – un euro valeva 1,151 dollari. Oscilla - un mese fa era a 1,16. Ma sei mesi fa era quasi alla parità, 1,04.
È per questo che la partita di Trump sui dazi ha perso ultimamente mordente. Qualche dazio ci potrebbe essere, ma di piccola misura – forse solo per la facciata, per celare la vera portata dell’offensiva pseudo-commerciale. Che è monetaria – è anche per questo che Trump tuona periodicamente contro la Federal Reserve, perché tiene altissimi, spropositatamente alti rispetto all’inflazione, i tassi sul dollaro.
Con la Cina il negoziato è più complesso, perché la Cina ha molti modi di manipolare il cambio. Ma non se la passa bene, e ha più dell’Europa interesse a tenersi aperto il mercato americano.

 

Byd sotto accusa in Cina, troppi aiuto di Stato

Lo scandalo auto in Cina espone i trucchi del miracolo cinese all’esportazione: aiuti di  stato - in tutte le fasi della produzione, dai materiali “rari” per le batterie al montaggio - defiscalizzazioni, cambio artefatto.
Sotto accusa è la Byd, il colosso cinese dell’auto elettrica, da parte degli altri costruttori cinesi. Privilegiata dai sussidi governativi, avrebbe inondato il mercato, ingolfando i concessionari a danno dei concorrenti. Poi, a fronte dell’invenduto, avrebbe tagliato i listini.  
Le polemiche sono pubbliche. Azionate da Great Wall e da Geely (che in Europa ha acquisito molti anni fa il marchio Volvo).
La lite mentre si prospetta una crisi di vendite anche interna – oltre alle resistenze europee, e con Trump anche americane. Ora è in corso – dovrebbe essere in corso – un tavolo di crisi al ministero dell’Industria, con l’obiettivo di porre un freno all’eccesso di offerta, e alla “guerra” dei prezzi.

Il buon odore della maternità

Un film tutto al femminile, sia gli affari, sia la vita di famiglia. Un racconto di maternità, voluta, gioita. Oppure sofferta, violenta. Ma sempre con garbo, con rispetto, controcorrente al pensiero dominante – specie tra le done.
Un film intimo, in esterni. Girato da Verdesca con ritmi padani, sottotono. Lacustri – un’ansa riposta, solitaria, del fiammeggiante lago di Garda.  
Tutto il film regge Bobulova, figlia e madre, scena dopo scena. Ma col contrappunto fenomenale di Marie-Christine Barrault, la madre che ha rifiutato la figlia.

Con una curiosità. Il film è piaciuto alla critica, all’uscita prima di Natale. Ma gli stessi critici hanno candidato ai Nastri d’Argento come attrice non protagonista Sandrelli, che nel film appare, dice e fa poco, e non Barrault (una scelta fortemente voluta da Verdesca, che la fa borbottare in francese, cioè non doppiata, piuttosto che in una qualunque forma semidialettale padana). Forse  perché Barrault meritava la candidatura a protagonista?
Mimmo Verdesca, Per il mio bene
, Sky Cinema

venerdì 20 giugno 2025

La Cina di Xi dalla corruzione alla corruzione

Il presidente cinese Xi Jinping si è creato un potere assoluto tramite la lotta alla corruzione. Che ora lo indebolisce. Non da ora, dalla crisi dell’immobiliare cinque anni fa, per la quale non seppe prendere decisioni drastiche. Sorride sempre, ma non decide - ha persino smesso da qualche tempo l’ammuìna attorno a Taiwan, alle isole, al Mar Cinese Meridionale. Nella contesa sui dazi con Trump è dato vincente (ma solo in Italia), mentre accetta di fatto le accuse americane, che la Cina fa dumping in vari modi, compreso quello monetario, ruba tecnologia a sbafo, sovvenziona le esportazioni.
Si moltiplicano anche le indagini e gli scandali finanziari, quasi la Cina fosse diventata un paese di ricettatori e riciclatori. Molti investimenti cinesi in Europa si rivelano virtuali, coperture di speculazioni, evasione fiscale, riciclaggio. Si moltiplicano i reati scovati dalle Fia europee, Financial Information Unit. Da ultimo dalla Banca d’Italia, con fondi per almeno 100 milioni sifonati da una presunta banca cinese, di cui non c’è traccia in nessun registro, che si rivela “un canale di pagamento per il riciclaggio di fondi provenienti in gran parte da estese reti di imprese italiane”, sotto indagine per frodi nelle fatturazioni e per abuso di fondi pubblici – tra questi in particolare i bonus fiscali e le risorse del Pnrr.

Solo l’arte è universale

“È sorprendente che tutti i popoli della Terra, per destino universale o per telepatia spirituale, abbiano la stessa concezione estetica della natura circostante. In tutti i popoli, dai più antichi d’Oriente ai più recentemente scoperti dai nostri eroi geografici, possiamo osservare le stesse espressioni dello spettro estetico: la Musica, con il suo complemento, la Poesia, e l’Architettura, con i suoi due complementi, la Scultura e la Pittura. In queste cinque espressioni d’Arte si svolge liintera vita estetica del mondo. È vero che una sesta espressione d’arte ci sembra, per il momento, assurda, persino inconcepibile; nessun popolo è stato in grado di concepirla, dopo migliaia di anni. Ma stiamo assistendo alla nascita di questa sesta arte. Una tale affermazione in un’ora crepuscolare come la nostra, vaga, ancora imprecisa come ogni epoca di transizione, agita i nostri spiriti scettici. Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un mondo e quello dell’alba di un altro. E la luce del crepuscolo è imprecisa e confonde i contorni di ogni aspetto, dove solo occhi acuiti dal desiderio di scoprire gesti invisibili e originali di esseri e cose possono navigare in mezzo a questa visione aggrovigliata dell’anima mundi. Ma la sesta arte prevale sullo spirito inquieto e indagatore. E sarà la magnifica riconciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti Visive) e dei Ritmi del Tempo (Musica e Poesia)”.
Ci sarà una seta e anche una settima d’arte, il cinema. Questo è l’incipit della teoria – o constatazione – dell’unitarietà dell’arte, della concezione dell’arte. Non minore “scoperta” di Ricciotto Canudo, l’apulo-parigino inventore (teorizzatore) del cinema come arte, un secolo fa. Quanto all’alba di un nuovo giorno, non gli se ne può fare una colpa.
Ricciotto Canudo, La Naissance d'un sixième Art. Essai sur le cinématographe,  
https://www.filosofia.org/hem/191/9111025c.htm

giovedì 19 giugno 2025

Svanita la Mezzaluna sciita

Quale che sia l’esito della guerra Israele-Iran, un effetto è già acquisito: la Mezzaluna sciita, a guida iraniana, che il khomeinismo ha fomentato fin dagli inizi, mettendosi alla testa del movimento anti-sionista e per la “rigenerazione” dell’islam, per la “purezza” della fede, jihadismo compreso, è svanita. Quasi mezzo secolo di sovversione, complice anche il secolare senso di superiorità sui vicini di ogni bordo, mai smesso dal passato imperiale.

La proiezione regionale dell’Iran sotto le bandiere sciite, in Afghanistan, Pakistan, Arabia Saudita, Bahrein, Iraq è fallita da tempo. In Siria e in Libano, con gli arcipotenti Hezbollah, è finita nella prima fase della guerra scatenata da Hamas. Resta in Yemen, ma pallida: gli Houthi filo-iraniani sono singolarmente muti e inattivi dacché Israele ha colpito in Iran.
Il Crescente sciita svanisce senza rimpianti. Dappertutto dove si è proiettato lo sciismo iraniano ha portato rovina. Con Hezbollah, a lungo strapotente in Libano, fino a ridurlo in (quasi) miseria, e ora improvvisamente scomparso, Israele ha fatto la prova generale della guerra all’Iran: quadri dirigenti decimati, in gruppo e singolarmente, basi missilistiche bombardate – senza difesa antiaerea. I capi sopravvissuti sono scomparsi, i villaggi sciiti, già militanti, svuotati.
Singolare l’attacco all’Iraq: gli sciiti iracheni si sono messi prima con Saddam Hussein, e poi sotto il “né America né Iran”. Anche a Bahrein sembrava facile: popolazione sciita, monarchia sunnita. Ma la monarchia è stata più abile. Perfino in Arabia Saudita gli ayatollah hanno tentato il colpo. Nelle aree del petrolio, a Sud-Est, molte zone sono a maggioranza sciite, facili anche da manovrare dai mullah – ma ogni passaggio, monitorato dalle spie saudite, è fallito. Non era andata meglio con gli Hazara dell’Afghanistan. E con i Turi del Pakistan.
Singolare è che la proiezione iraniana non ha creato mai nulla di positivo, solo guerre civili (terrorismo) e macerie, dovunque si è propagata. Malgrado la classe dirigente del Paese sia di antica e sempre rinnovata saggezza, diplomatica e politica. Segno che gli ayatollah, che pure facevano parte di questa larga élite dotta e saggia del Paese, hanno tralignato col khomeinismo. Non lo sciismo delle lamentazioni ma un furor religioso, che ha provato a fare della religione un’arma.

Ma col riarmo ci vuole la leva

Boris Pistorius, il ministro della Difesa, ne parla già da un paio d’anni, il cancelliere Merz ora la prospetta pure lui: la leva militare. È una proposta, quindi, cristiano-democratica, Merz e Pistorius sono Cdu, contro cui sono schierate tutte le sinistre e i Verdi. Ma la reintroduzione della leva militare è in effetti una necesità, se i piani di riarmo europei veranno realizzati.
In Italia c’è più prudenza. La Lega si limita a proporre una leva ausiliaria di 10 mila soldati, ma di soldati di mestiere in congedo.
Non sarà facile, non solo in Germania. L’Europa ha dimenticato la guerra e i suoi connessi, non sarà facile tornare indietro.
Dove si combatte in Europa, tra Russia e Ucraina, le defezioni sono il numero maggiore. L’anno scorso l’Ucraina ha dovuto ridurre i piani di mobilitazione per mancanza di coscritti. Al “Financial Times” in agosto il presidente della Commissione parlamentare Affari Economici, Dmitro Natalukha, zelenskyano, affermava che 800 mila giovani erano entrati in clandestinità per evitare l’arruolamento, cambiando indirizzo, lavorando in nero – i Centri di Reclutamento Territoriali si basano sulle persone al lavoro, presenti fisicamente in azienda (contemporaneamente molte attività sono cessate per mancanza di manodopera).
Un altro dato di Kiev, emerso sempre in Parlamento, riguarda il grande numero di disertori: in 200 mila hanno disertato nei tre anni di guerra, di cui la metà nel solo 2024.
Della Russia si sa meno. Ma le diserzioni sono “molte migliaia”. E la renitenza di massa. Nel settembre del 2002, quando l’Operazione Speciale di Putin si è trasformata in una guerra di trincee e furono chiamati alle armi tutti i giovani in età, “oltre 600 mila” si sono sottratti passando in Paesi vicini.

Buridano l'indeciso finisce per farsela addosso

Il titolo preciso è wertmülleriano, “Lo sposo indeciso che non poteva o forse non voleva uscire dal bagno”. Il tratto anche. E la resa. Un grottesco con tantissimi attori di nome e di mestiere che si prestano a fare da caratteristi, accanto agli infelici protagonisti, Gianmarco Tognazzi, il promesso, “professor Buridano”, professore di Filosofia, e la sgallettata promessa, ragazza delle pulizie all’università, Ilenia Pastorelli - una delle sue interpretazioni più riuscite: Ornella Muti, Gerini, Pannofino, Colangeli, Jozef Gjura, e tantissimi altri. Però non ha funzionato, non al botteghino e neanche con i critici.
Ha ritmo. E anche inventiva. Ma va a un ritmo forsennato nella prima metà, e si fa ripetitivo nella seconda. E il perché è forse nel nome del protagonista, Buridano, come quello del famoso paradosso.
Il professor Buridano ha trovato la felicità, dopo un matrimonio tremendo, con la ragazza delle polizia all’università, borgatara, sempliciotta. Che lo ha innamorato, ringiovanito, ringalluzzito, etc. Se non che il giorno del matrimonio è colpito d a una pollachiuria ininterrotta – ininterrompibile. Perché? I migliori luminari non lo sanno. Il perché è nel nome: il professore, come l’asino che porta il suo nome, non sa in realtà decidere fra due situazioni, entrambe attraenti: la carriera all’università o l’amore. Lo spettatore non è tenuto a saperlo, ma forse il finale filosofico si poteva evitare – il grottesco, dopo tutto, deve sciogliersi, deve risolversi. Restano le interpretazioni, che meritano i novanta minuti.
Giorgio Amato,
Lo sposo indeciso, Rai 1, Raiplay

mercoledì 18 giugno 2025

Secondi pensieri - 564

zeulig

Dio - Dio è donna lo sostiene Blixen, oltre agli gnostici: “Capiremmo la natura e le leggi del Cosmo se riconoscessimo il suo creatore e padrone essere di sesso femminile”. Ci spiegheremmo il mondo di sangue e lacrime se dicessimo la Provvidenza una pastora e non un pastore: le lacrime sono per la donna perle preziose, il sangue la ragazza lo versa per divenire vergine, la vergine per diventare sposa, la sposa per diventare madre - “La relazione fra il mondo e il Creatore è per la donna una  storia d’amore. E in una storia d’amore la ricerca e il dubbio sono assurdità”.
 
Femminismo
Le donne non ci sono più dopo il femminismo, se non a causa di esso. C’è più donna nella letteratura maschile, le frivolezze incluse di Fine Secolo, sulle sue pulsioni e la stessa liberazione, inclusi i machos Tolstòj e Flaubert, che in quella femminista. Dove la donna è una sola, che coltiva la nevrosi. Ridotta all’uso genitale. Strana fissazione – è la liberazione di Sacher-Masoch, lo stimato romanziere umanista, illuminista, storico, che ogni donna se la facesse con chiunque.
 
Grecia – L’“invenzione della Grecia”, da Nietzsche a Heidegger, filologi improvvisati - ma passando per Simone Weil, riflessiva e studiosa - è ora il tema di un ponderoso studio di Mauro Bonazzi, antichista per eccellenza, “studioso del pensiero politico greco e di Platone”, non si sa se con più danni, se non delitti – Bonazzi è tutto per il beneficio. Di Platone soprattutto dapprima, poi dei presocratici. Con l’incolpevole Omero fra tutti, naturalmente. Con il fine di dare una nuova spinta al mondo, chiuso il costruttivismo (progressismo) illuminista-positivista. Di fatto per espungere il cristianesimo, piccola scoria ebraica, “orientale”. Benché la “scoperta” finisse – sia finita ma non per caso - per “giustificare” la forza più che il senso critico, spogliato dalle sue certezze. Il “più” (saggio, intelligente, acuto, potete), la concorrenza, la vittoria, cioè la competizione o guerra. Il mercato. Che scoperta.
 
Ragione - Il cherubino di Alain de Lisle ha tre paia d’ali, che tuttavia non eliminano la pesantezza. La Natura, egli concluse, “forma un vero paralogismo”. Alain, Alanus de Insulis, per il quale paralogismo è pure il coito di Pasifae col toro, e sofisma: “Pasifae, da un’iperbolica Venere agitata di furori, risolvendosi a un vergognoso paralogismo, commise col toro stupendo sofisma”. Cosa credere, che si possa credere? Lo sviluppo della ragione è zero. Da duemilacinquecento anni che esiste, dacché si raccolgono e confrontano i suoi elaborati, la storia del pensiero è piatta. Anche il progresso è zero, in quanto ragione. L’uomo è cresciuto in altezza e la vita media è triplicata, ma c’erano una volta giganti, che vivevano mille anni – anche se, è indubbio, l’età del ferro s’è perfezionata. Non c’è dunque nulla a cui credere.
 
L’uomo dio di Hölderlin “quando pensa è un mendicante”. Perciò la scienza si ribella, Whitehead lo dice di Galileo, scegliendo di nutrirsi d’ipotesi, armonie, simmetrie, e d’ingenua fede, un moto antirazionalistico.
 
La ragione affascina perché è una sfida, come il tempo, imprendibile. Si può credere in Dio, che è complicato ma avvicinabile, è come voler bene a una persona, la fede è immaginazione. Di cui poi dire che ci ha dato questo rompicapo, la ragione - Dio è anche un passatempo.
 
La storia, la piccola micragnosa storia, si lega per un fine filamento diabolico, la periodica insorgenza dell’argomentazione impropria, inconclusiva, che esclude la ragione e la realtà. Da un secolo e mezzo per esempio in forma di dialettica, che non porta in nessun posto ma si vuole sistema del mondo e del reale. L’ambiguità è un passepartout – un ruolo, una psicologia, una chiave letteraria – del riduzionismo intellettuale. Tipico della cultura urbana, che ininterrottamente fa la cultura dal Settecento, dall’unificazione cioè della cultura, fra colta e popolare, in un genere medio, borghese, regolato, con canoni classificabili e per questo semplificati. Per tutte le esperienze cancellate della narrazione – della rappresentazione – si supplisce con l’ambiguità: specchio, doppio, mimetismo, ermafroditismo. E per l’antico vezzo di celarsi.
 
Storia – È segnata dall’eternità, da percorsi (e tempi) a noi esterni e ignoti.
 
Suicidio – Ora che è diventato semilegale, in Toscana per motivi terapeutici, si viene normalizzando. È sempre autodistruzione, atto temibile, ma non più rimosso. Se ne fanno statistiche, p.es. che in Italia è più maschile (11,8 per 100 mila nel 2024, contro un 3,0 per le donne). Da tragedia greca a curiosità, al più. Sarà l’epoca del suicidio – “assistito” certo?
 
Jason Zweig, che sul “Wall Street Journal” tiene una rubrica di investimenti “intelligenti”, autore di un libro intelligente di grande successo , “Your Money and Your Brain”, sulle neuroscienze dell’investimento – applicate all’investimento – nonché rieditore del classico in materia, di  Benjamin Graham, “The Intelligent Investor”, ha preso una pagina del suo giornale per protestare contro il suo amico più caro, Daniel Kahnemann, “uno degli studiosi più influenti al mondo”, Psicologo in cattedra a Princeton, vincitore del Nobel per l’Economia nel 2002, per la “Teoria del prospetto”, nel processo decisionale, autore del best-seller mondiale “Pensieri veloci e lenti”. Perché a 90 anni, ma perfettamente mobile e autonomo, festeggiò a Parigi gli anni con la famiglia, e poi se ne andò in Svizzera, dove si era preparato il “suicidio assistito”.
Il suicidio non può essere una decisione “intelligente”, né veloce né lenta - la psicologia è un po’ vaga, anche qui?
 
Viaggio – “Se ci si fida dell’etimologia”, si spiega e spiega Armando Torno recensendo sul “Sole 24 Ore Domenica” Steven Runciman, “Alfabeto del viaggiatore”, “è il caso di ricordare che il termine deriva dal provenzale ‘viatge’, il ‘veiage’ del francese antico; quest’ultimo corrisponde al latino ‘viaticum’, la cui traduzione è «provvista per il viaggio». In sostanza siamo dinanzi a qualcosa che nasce dal viatico, da ciò che occorre per intraprendere, appunto, il viaggio”. E aggiunge: “Il viaggiare si misura da quanto portiamo con noi. Per questo non tutti gli spostamenti possono essere intesi come un viaggiare”. Anche perché il viaggio, per quanto organizzato, è incerto – Torno conclude con Montaigne, che nei “Saggi” spiega: “A chi mi domanda ragione dei miei viaggi solitamente rispondo che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco”.
Il viaggio, insomma, come una fuga – con un po’ di viatico? O come un’avventura, in cerca dell’ignoto? Un po’ dell’una e un po’ dell’altra, certo.

zeulig@antiit.eu


La Ue riscopre l’innovazione

Gli Stati Uniti innovano, la Cina copia, l’Europa regolamenta, questo è come i critici sintetizzano l’approccio del Vecchio Continente all’innovazione tecnologica. Il caso più incredibile dell’esagerazione regolatoria della Ue è l’ora famigerato Artificial Intelligence Act, che governa l’IA – anche se il continente non ha ancora prodotto un solo soggetto di peso in materia.
La produttività nelle aziende tecnologiche americane è cresciuta di quasi il 40 per cento dal 2005, mentre è stagnante tra le aziende europee. La spesa Usa per ricerca e sviluppo in termini di quota dei fatturati è più del doppio di quella in Europa. Nessuna azienda europea figura fra le dieci più grandi aziende in termini di valutazione di mercato.
Qualcosa ora si muove. Già alcune imprese europee sono brand globali: Spotify, la fintech svedese Klarna, “buy now pay later”, la banca digitale britannica Revolut. L’Italia ha una Italian Tech Alliance. La nuova Commissione di Bruxelles ha un commissario all’innovazione - start-up, ricerca, sviluppo.
Alessandro Merli, Europe’s Innovators are Waking Up, “F&D”, “Finance&Development”, Imf, free online

martedì 17 giugno 2025

Il mondo com'è (483)

astolfo


Alice Barbi
– È stata la suocera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la madre di Alessandra “Licy” Wolff, la moglie dell’autore del “Gattopardo”. Molto frequentata da Lampedusa da quando si stabilì a Roma, sul finire degli anni 1920, moglie in secondo letto di Pietro Tomasi della Torretta, zio di Tomasi di Lampedusa, fratello minore del padre Giulio, secondo di cinque fratelli tutti maschi. Tomasi della Torretta era stato un importante diplomatico. A Londra nel 1920 aveva sposato Alice, vedov del barone tedesco-lettone Boris Wolff von Stomersee, il padre di “Licy”. Era poi stato ministro degli Esteri del governo Bonomi, 1921-1922, su indicazione del re Vittorio Emanuele III, che contemporaneamente lo nominò senatore. Al Senato era tornato nel 1927, dopo un lungo soggiorno a Londra come ambasciatore, quando fu escluso da Mussolini dalla diplomazia - presiederà il Senato durante la Luogotenenza, 1944-1946, membro della Consulta, e nel 1948, dopo il primo voto politico, membro di diritto del primo Senato, in base a una disposizione transitoria della Costituzione (essendogli il nipote Giuseppe premorto, ereditò anche i titoli dei Tomasi di Lampedusa connessi al maggiorascato: duca di Palma, principe di Lampedusa, barone di  Montechiaro, barone della Torretta, Grande di Spagna di 1a classe).
Di Alice dice tutto bene Gioacchino Lanza Tomasi nel libro di memorie, “Lampedusa e la Spagna”, pp. 84-85: “Una donna autonoma e volitiva, vissuta lungo tempo all’estero. La Barbi era un mezzosoprano di grande bellezza, un fiero e indipendente carattere, era stata un perno delle serate di musica italiana da camera tenute nel salone della regina Margherita, corrispondente e amica di Giuseppe Martucci, prima di intraprendere una carriera di liederista in Germania, dove era stata l’ultima fiamma di Johannes Brahms. Questi l’aveva accompagnata nel suo concerto di addio, quando a quarant’anni aveva accolto la proposta di matrimonio del barone baltico Boris Wolf von Stomersee”.
Nata a Modena nel 1858, morirà a Roma a novant’anni. Sposò Pietro della Torretta quindi a 62 anni.
Anche la sua seconda figlia, nata due anni dopo Alexandra, Olga, sposò un diplomatico italiano, Augusto Biancheri Chiappori, col quale vivrà poi a Roma. Olga è la madre di Boris Banchieri, lo scrittore, anche lui diplomatico di rango, segretario generale della Farnesina, che ha custodito molte memorie dello zio acquisito Tomasi di Lampedusa, sempre a suo agio nella famiglia di Olga.
 
Giuseppe Becce
– “È stato un compositore italiano del cinema tedesco”, esordisce secca wikipedia. Oggi dimenticato, è stato un personaggio importante, come attore e come musicista, del cinema in Germania. Dove è morto, a Berlino Ovest, quasi centenario (di 96 anni), nel 1973. Era emigrato nel 1906, a 29 anni, originario di Lonigo (Vicenza), dopo aver fatto studi, fra le tante applicazioni tentate, di musica e filosofia a Padova. A Berlino approfondì gli studi musicali col maestro ungherese Arthur Nikisch, e con Ferruccio Busoni, altro illustre espatriato – mezzo empolese, mezzo triestino. Sarà compositore e direttore d’orchestra, ma fu famoso dapprima come attore, di film importanti: “Richard Wagner” (1913), nel ruolo del compositore, “Il gabinetto del dottor Caligari” (1920), “La tragedia di Pizzo Palù” (1929). Come attore è ricordato anche per i Berg-Film, i film di montagna, dove ebbe come co-protagonista anche Leni Riefenstahl.
È uno dei tre musicisti italiani di maggior nome emigrati in Germania nel primo Novecento, con Busoni e Bruno Maderna. Famoso soprattutto come compositore di musica per film. Che praticamente ha inventato. Dapprima con gli accompagnamenti al piano, e con un piccolo complesso orchestrale, Orchester des Berliner Mozartsaals – che localizzò a Nollendorf Platz, “Nolli”, il centro della vita omosessuale a Berlino. Poi con la colonna sonora. Musicista accreditato della Ufa, la maggiore casa di produzione di cinema in Germania fra le due guerre, e nel dopoguerra
 con la Heimatfilm, tedesco-occidentale. Per film musicali specialmente, su temi e arie d’opera e operetta. Editò dal 1920 per alcuni anni la rivista di settore (musica per film) più accreditata, “Film-Ton-Kunst”. E pubblicò anche successivamente, nel 1927, il primo manuale della musica da film, “Allgemeines Handbuch der Filmmusik”.


Ricciotto Canudo – Ricciotto Colombo Canuto Attilio Enrico Canudo, conosciuto come Ricciotto Canudo, è l’inventore della “settima arte”, del cinema come arte. Nel 1921, quando pubblicò il saggio-manifesto “La nascita della settima arte”. A 44 anni, due prima di morire. A Parigi, dove viveva da 22 anni. Poligrafo (poeta, critico cinematografico, scrittore di varia umanità, romanziere) apulo-parigino, è negli annali per questo, per l’invenzione della “settima arte”. Ma anche per esserne stato il primo studioso, sotto molteplici aspetti.
Visse poco, dal 1877, quando nacque a Gioia del Colle, al 1923, quando morì a Parigi subito dopo essersi sposato, e avere pubblicato il suo lavoro principale, “Riflessioni sulla settima arte” – “L’officina delle immagini”, che raccoglie i suoi migliori saggi sul cinema, sarà pubblicato quattro anni più tardi, nel 1927, a opera dello scrittore franco-belga Fernand Divoire. Ma operò e scrisse molto – non poco anche come referente parigino di Gabriele D’Annunzio. Oggi sconosciuto ai più (la sola traccia è una dissertazione di laurea una decina d’anni fa, allo Iulm, di Giulia Mauri, per “Linguaggi dell’arte”, una monografia per “Un’estetica della sintesi. Ricciotto Canudo teorico delle arti”), ma non in Francia, dove si stabilì a 25 anni, abbandonando un modesto impiego al Comune di Roma. Si stabilì a Parigi, visse per qualche tempo di stenti, ma presto diventò un personaggio in vista del giornalismo e culturale. In Italia l’ultimo suo ricordo risale al 1966, quando Mario Verdone, il critico cinematografico (papà di Carlo), curò la prima, e poi unica, edizione italiana dell’opera maggiore di Canudo, “L’officina delle immagini”, la raccolta curata da Divoire.
In Italia la sua memoria resta confinata a Villa Stampacchia, la villa al mare, alla vecchia Marina di Bitonto, della madre Emilia Stampacchia, che dopo varie vicissitudini è ora adibita dal Comune di Bitonto e dalle Belle Arti a casa della sua memoria. Alta borghesia e genialità, la famiglia Stampacchia, da cui Ricciotto può avere mediato carattere e predisposizioni. Famiglia di giurisperiti e avvocati, gli Stampacchia di Bitonto – residenti a Bari ma di origini leccesi. Un cugino di Ricciotto, Vito Mario Stampacchia, nato cinque anni prima di lui, nel 1872, è stato nel dopoguerra, in tarda età, deputato del Psi a Roma. Hanno costruito la villa due fratelli di Emilia, entrambi avvocati e poi magistrati, due gemelli, nati a sei ore di distanza, che moriranno a sei ore di distanza. Guido Stampacchia, di un ramo passato da Lecce a Napoli, è stato nel secondo Novecento matematico illustre.
Ricciotto scartò. Fece pochi studi tecnici. A 18 anni si offrì volontario in sostituzione del fratello maggiore Raimondo al servizio militare, fu ufficiale di complemento a Bari. Congedato, se ne andò a Firenze, a studiare lingue orientali. Da Firenze esordiva nel 1898, a 21 anni, come poeta, con una raccolta pubblicata a Bologna dell’editore Cappelli (editore a spese dell’autore, come ancora nel 1923 per “La coscienza di Zeno”), “Le piccole anime senza corpo”. Firmando “Karola, Olga, Edina”, la prima e l’ultima due ragazze da lui mate, Olga la sigla di Onore, Lavoro, Gloria, Amore. Poi passò a Roma, a studiare teosofia. Con un piccolo impiego.  
Nel 1902, a 25 anni, è a Parigi. Preso in benevolenza dal sociologo, criminologo e filosofo Gabriel Tarde, che morirà nel 1904, entra nell’ambiente giornalistico, e della bohème intellettuale e letteraria – vanterà l’amicizia di Apollinaire, Braque, Delaunay, Picasso, Milhaud, Ravel. Dapprima come mediatore della cultura italiana - si adopererà sempre molto per D’Annunzio, per i suoi scritti in francese e per la sua ricezione a Parigi. E approfondirà la ricezione del cinema, la nuova arte. È negli annali, gennaio 1908, un saggio sul cinema, che la rivista senese “Vita d’Arte” pubblicò. Il 25 novembre dello stesso anno un suo “Trionfo del cinematografo” fu pubblicato dal “Nuovo giornale” di Firenze. Nel 1911pubblicò su “Les Entretiens idéalistes” la teorizzazione che veniva maturando della nuova arte, detta allora la “sesta”, “La naissance d’un sixième art. Essai sur le cinématographe”: “Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un mondo, e quello dell’alba di un altro. La luce del crepuscolo è imprecisa, e i contorni di tutti gli aspetti sono confusi, solo una vista affilata dalla volontà di scoprire gesti invisibili e originari degli esseri e delle cose possono orientarsi in mezzo alla visione annebbiata dell’anima mundi. Ma la sesta arte s’impone allo spirito inquieto e scrutatore. E sarà la superba conciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti plastiche) e dei Ritmi del Tempo (Musica e Poesia)”.
Un saggio notevole per il concetto di “unità dinamica dell’arte”, delle interconnessioni fra le arti, plastiche e dei “ritmi del tempo”, e della loro continua, intrinseca, evoluzione, tecnica e creativa – “il teatro ha realizzato fin qui questa conciliazione. Era effimera, perché la plastica del teatro s’identifica con quella degli attori, ed è per conseguenza sempre diversa”, il cinema la realizza. Un saggio che ebbe agio di leggere alla École des hautes études, per la presentazione del film “L’Inferno”, di Giuseppe De Liguoro.
L’interesse per il cinema sarebbe stato anche anteriore a questi scritti documentati. Sisto Sallusti, pseudonimo redazionale, nella voce che la Treccani ha dedicato a Canudo nel vol. 18 (1975) del “Dizionario biografico degli italiani”, lo fa anche “inventore, all’età di trent’anni, nel 1907, (del) primo cineclub del mondo, che denomina «Le Club des Amis du Septième Art», in cui si parla di  tecnica cinematografica, montaggio, rapporti tra la luce e l’azione”. L’“invenzione del cineclub” è dibattuta - ma non eravamo ancora alla “sesta” arte? Di certo, nel 1913 fondò e diresse una rivista, “Montjoie”, per l’“unificazione” delle arti. Nel 1914, il 9 febbraio, pubblicò anche lui un suo “manifesto” su “Le Figaro”, sulla scia di Marinetti nel 1908, contro il sentimentalismo e per la sperimentazione e l’innovazione, “Manifeste de l’art cérébriste” - per “un’estetica indissolubilmente cerebrale e sensuale, contro ogni sentimentalismo nell’arte e nella vita”.
Allo scoppio della guerra si arruolò nella Legione straniera. Aggregato, col grado di tenente, alla Legione Garibaldina, con la quale combatté nelle Argonne. Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia e lo scioglimento della Legione, fu comandato in Algeria, a Orano, la città che sarà di Camus. Passò capitano, tornò in Europa, e al comando di una compagnia di zuavi combatté contro la Turchia, in Macedonia e nei Dardanelli. Fu ferito, forse, e comunque ottenne numerose decorazioni militari, anche italiane.
La “settima arte” nasce definitivamente nel 1921, col manifesto così intitolato, “La nascita della settima arte”. Il cinema unisce spazio e tempo, le arti plastiche con la musica e il movimento, la danza. Il cinema dunque arte totale, “nuovo mezzo di espressione”, “officina delle immagini, “scrittura di luce”.
Pubblicò anche un romanzo (in francese, nel 1913, “Les Transplantés”), prose brevi, come quelle dell’esordio, “Piccole anime senza corpo”, raccolte poetiche, tragedia, un balletto (una rappresentazione con scene di Fernand Léger e musica di Honegger), saggi musicali e sulla letteratura (anche su Dante, “L’âme dantesque”).
Trascurato nelle biografie, il balletto fa di Canudo un personaggio centrale nella scena parigina dopo la Grande Guerra. Ricordato per i costumi di Fernad Léger, il balletto “Skating Rink à Tabarin/Ballet-aux-Patins/pour la musique”, coreografo Jean Börlin, musica di Arthur Honegger, era una produzione 1922 dei Ballet Suédois, la compagnia fondata dal collezionista d’arte svedese Rolf de Maré sul modello dei Ballets Russes di Diaghilev, e si basa su una poesia dallo stesso titolo pubblicata da Canudo nel 1920.  

astolfo@antiit.eu

Una favola nixoniana – quasi trumpiana

Curioso film si faceva a Hollywood venti e passa anni fa, molto repubblicano, quasi trumpiano. Da un regista celeberrimo per “Smoke”, trent’anni fa. Con attori impegnati e anche impegnatissimi, Jennifer Lopez, Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Bob Hoskins.
Marisa Ventura è cameriera in un albergo di lusso a Manhattan, che raggiunge ogni mattina dal Bronx, dove abita, con un figlio adolescente un po’ svogliato, anche perché il padre divorziato è volentieri assente. Si comincia con i soliti problemi della dignitosa povertà. Se non che il ragazzo, appassionato di storia, è convinto repubblicano, stima Nixon, etc.. L’incontro sarà fatale della madre col giovane politico repubblicano candidato al Senato, che ha il quartier generale elettorale in albergo.    
Semplice, una commediola “hollywoodiana”, vecchio stile, di buoni sentimenti, sulla traccia di “Cenerentola”: il bello, ricco e potente, concupito da ereditiere e regine della scena, s’innamora della cameriera d’albergo, onesta e assennata. La sorpresa è Nixon – allora Trump non era un fenomeno.
 
Wayne Wang,
Un amore a 5 stelle, Rai 1, Raiplay

lunedì 16 giugno 2025

Problemi di base sciocchi - 867

spock

“Nessuno vuole essere sciocco”, F. Dostoevskij?

 

“Uno sciocco propriamente non dovrebbe arrossire per la sua stupidità”, id.?

 

“Allo sciocco è perdonato se non è più intelligente di chi è intelligente”, id?

 

“Apparteneva a quella schiera di uomini indiscutibilmente intelligenti che per tutta la vita non fano altro che sciocchezze”, id.?

 

“Le persone limitate commettono assai meno sciocchezze di quelle intelligenti – da che dipende”, id.?

 

“L’intelligenza, l’intelligenza,  la più allarmante paura è per la propria intelligenza”, id.?

 spock@antiit.eu


Russia sconosciuta e incompresa

“Se c’è al mondo un Paese che è, per gli altri paesi distanti o confinanti con esso, più sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile di tutti gli altri, questo Paese è indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali”. Parte pimpante Dostoevskij, emergendo a San Pietroburgo dal confino militare a Semipalatinsk, da poco finita la guerra di Crimea, tre anni di stereotipi antirussi in Francia e in Inghilterra, che però non ebbero niente come “I racconti di Sebastopoli”, come Tolstoj, in questo saggio che doveva aprire una lunga riflessione sulla Russia e inaugurava nel 1861 la rivista “Vremja” ideata e editata col fratello Michail. Anche arrabbiato: “Essi anche tra di loro non si conoscono bene del tutto”. Il che è pure vero un secolo e mezzo dopo. Ma senza acredine, le nazionalità sono diversissime in Europa. E sono cattive in epoca di nazionalismi, esclusive e ostili: “L’idea dell’umanità universale sempre si cancella fra di loro”.
Sarà un tema costante in Dostoevskij, la misconoscenza della Russia in Europa. Lo riprenderà in più passi del “Diario di uno scrittore”. Estate 1876: “Per l’Europa la Russia rappresenta un dubbio, ogni sua azione rappresenta un dubbio, e così sarà fino alla fine”. Non perplessità, è disprezzo, aggiungerà a gennaio del 1877: “Grattate, dicono, un russo e vedrete il tartaro”. E aggiunge: “E intanto, noi non possiamo in nessun modo rinunciare all’Europa. L’Europa è la nostra seconda patria, io per pimo con passione lo confesso e l’ho sempre confessato. L’Europa ci è quasi cara come la Russia”. Qui contesta l’immagine che della Russia viene data in conseguenza della guerra – che non cita. Anche in campo militare: “Da dove avete appreso che noi siamo dei fanatici, cioè che il nostro soldato è mosso dal fanatismo… Se c’è al mondo un essere che non è affatto partecipe di alcun fanatismo, questo è proprio il soldato russo”.
Seguono pagine divertenti sui “viaggiatori” e “specialisti” europei al soccorso della Russia, nonché sui ciabattini e altri in cerca di lavoro. Specie i tedeschi – i ciabattini dettano legge, i dotti si fanno carriere catalogando moscerini, oppure “prendono la ‘Russiada’ di Cheraskov e la traducono in sanscrito”, un dotto tedesco sa bene il sanscrito. Particolarmente incapaci di capire i russi sono i tedeschi, che sono anche quelli che in più gran numero affluiscono in Russia, ma tutti, dal ciabattino al ciambellano, invariabilmente invasi da un senso di superiorità
Molte le amenità anche sui francesi, che sanno già tutto, non hanno bisogno di imparare. Molto poi è dell’animo russo, “popolare”, boiardi e servi, niente classismo. Specie nella letteratura, con molto Gogol’ – che ora si vuole ucraino (quale era, ma ora quasi antirusso) e Lermontov. Incidentalmente Tolstoj, come Autore Supremo, e infine Puškin, un cenno. “Qual boiardi qui! ... In tutti i nostri ceti ci sono più punti di contatto che di separazione…. Ogni russo è anzitutto un russo e quindi già appartiene a una certa classe”.
Con un lungo appello, pagato un tributo al nuovo zar, Alessandro II, all’alfabetizzazione obbligatoria.
Nella pubblicistica di Dostoevskij il nazionalismo mancava – perlomeno del Dostoevskij conosciuto, questa è la prima traduzione italiana. Non trinariciuto, anzi con una vena di humour, e molta conoscenza di mondo.   
A cura e con la traduzione di Lucio Coco, lo studioso della religiosità russa. Che ha corredato il testo di molte - necessarie, informative - note. Con l’originale a fronte.

Fëdor Dostoevskij, Russia, Aragno, pp. 188 €18

domenica 15 giugno 2025

Ombre - 778

Pride a Roma: un milione di partecipanti secondo gli organizzatori, 30 mila secondo la Questura. Non è una questione di opinioni, il richiamo delle “adunate oceaniche “ è irresistibile. “Di destra", direbbe Celentano da via Gluck, “e di sinistra”.


L’ex presidente francese Sarkozy privato della Legion d’honneur, il primo dopo il maresciallo Pétain, collaboratore dell’occupante tedesco, non se ne parla, ma è stato il nemico dell’Italia – l’unico che l’Italia abbia avuto nel dopoguerra: dapprima contro il debito italiano, poi contro la Libia di Gheddafi, perché troppo legata all’Italia. Di Gheddafi da cui era stato finanziato, ed è il motivo per cui è stato condannato, al carcere.

Finalmente, dopo due mesi e qualche giorno, “Il Sole 24 Ore” scopre l’abuso del golden power da parte del ministro leghista Giorgetti - lo fa scoprire, in piccolo, in basso, a p. 8, da Renzi, dichiaratore ora di professione (da “rottamatore” arcipotente a “dichiaratore” , quasi un piazzista…): “Golden power? Bomba nucleare. Tra le banche vinca il libero mercato”.
 
Ma no, a ripensarci, oh Renzi, che bomba? “Soltanto” un ministro che si appropria di mezza finanza, considerando Unicredit una banca estera….  Per di più senza giurisdizione della Baca entrale europea. E della Unione Europea.
La Lega se non ci fosse sarebbe difficile da inventare (ma, poi, la Lega non è Milano, ben legata alla curia e ben protestante, io e il mio Dio?).    
 
Leggere il ritratto che Caruso fa sul “Foglio” di Galeazzo Bignami, capogruppo di Meloni alla Camera, fa quasi buonumore - come dire: “L’abbiamo scampata”. Il padre professore di Matematica “gambizzato” perché fascista – poi ne morirà – da Nuclei Armati Proletari. “Per impedire che venisse curato” in ospedale “i sindacalisti della Cgil organizzarono i picchetti”. Ad Almirante “i comunisti impedirono fisicamente di entrare in ospedale, le infermiere consigliarono, per strada, di dimenticarsi di quel paziente”. Personalmente bullizzato con costanza e con ferocia per cinque anni “al liceo Righi, una preside comunista – camminare a quattro zampe, con il guinzaglio”, il panino “passato sul bordo del water”. A Bologna, città modello che il Pci vendeva alla stampa internazionale. Si capisce che non si fa la storia della Repubblica.
 
Un’altra storia che non si fa, da “Mani Pulite” in qua - ma anche da prima - è quella della magistratura. Che è roba da ancien régime, e non per gli ermellini e le mazze. Un covo di “irritualità”, come scherzava Di Pietro, o era Borrelli, l’andreottiano, il re dei “resistenti”: sul “caso Palamara” (le nomine decise in petit comité, divise per correnti sindacali) “molto è stato insabbiato", può dire incontestato Nordio, il ministro: “Non possiamo credere che lo scandalo Palamara si sia limitato a quei quattro poveretti che si sono dimessi”.
Qualsiasi cosa succeda nel mondo - ora la guerra di Israele contro l’Iran - in Italia è tutto uno “Scholz – o è Merz? – si sente con Macron e Starmer”, e tutt’e tre fanno non si sa che. Mentre non fanno niente. E non contano niente.
 
Macron, che “minaccia” di riconoscere lo Stato palestinese – che una dozzina di paesi europei da tempo riconoscono, al seguito della Spagna (in Spagna, al tempo di Franco, quindi fino al 1975, si scriveva “Israele”) – non è nemmeno riuscito a liberare due giovani francesi tenuti in ostaggio da tre anni dagli ayatollah – Meloni ci è riuscita in tre giorni.
Ma il curioso è che non c’è questa agitazione a tre nei giornali inglesi, né in quelli francesi – questi conoscono Macron, è uno più macho, se possibile, dell’emerito Sarkozy.
 
“Alta Società" sul “Foglio” (non più Carlo Rossella?) dà forse la chiave del mistero dei media italiani, tutti così monocordi. Sono tutti (vedovi) democristiani?  Al matrimonio sul  Tevere di Fabrizio Roncone, simpatica canaglia (pettegoliere) del “Corriere della sera”, “Alta Società” ha infatti trovato, benché svogliati, noti democristiani – oltre naturalmente agli ornamentali Pd, Rutelli, Veltroni e Gualtieri, in qualità di sindaci di Roma.
 
L’intervista di Marco Cremonesi si legge un po’ azzoppata, ma merita la lettura Roberto Calderoli, il dentista bergamasco, ma anche pilota spericolato di rally, quando se ne facevano, che spiega sul “Corriere della sera” come “si fa” la politica, i trucchi, le furbate, e come le istituzioni si difendono:
https://roma.corriere.it/notizie/politica/25_giugno_15/calderoli-referendum-9d6cbb93-7f4a-4c91-a6c5-e52384248xlk.shtml
  
“Arriva Sbarra nel governo (con polemiche)”. Poi uno va a leggere e le polemiche non ci sono. C’è solo Appendino, chi era costei?, alla quale giustamente è lasciata una riga – “una nomina sconcertante” (forse perché Sbarra è calabrese, non torinese come Appendino?).
 
Però, Sbarra con Meloni, cioè la Cisl dopo Coldiretti. È la “pancia Dc” che punta diretto su Meloni, - con più convinzione che, a suo tempo, su Berlusconi. Lo steso Manfred Weber, capo dei Popolari europei, e Ursula von der Leyen. Acculare Meloni al fascismo come fanno i media, è l’ultimo trucco del solito “partito della crisi” – azzoppare il governo, quale che sia.
 
Il Procuratore Federale di Los Angeles, favorevole alla politica trumpiana contro l’immigrazione illegale, è figlio di indiani. Intervistato da Viviana Mazza sul “Corriere della sera” non si giustifica. Spiega una miriade di modi come le “autorità locali”, per motivi politici, proteggono i clandestini anche se rei condannati e carcerati. L’Italia se li è presi, gli indesiderabili, condannati, all’uscita dal carcere. La questione immigrazione è semplice, ma l’immigrato serve alla piccola politica.
 
Molte pagine, otto o nove anni fa, agli immigrati via Libia che denunciavano l’Italia (di Minniti e Gentiloni) alla Corte europea – agli avvocati dei migranti, autonominatisi. Poche righe per la sentenza, di rigetto del ricorso. Titta l’informazione è all’ora della cronaca nera, l’importante è fare scandalo, fare rumore – non c’è distinzione fra scandalismo e informazione. Non c’è più stampa seria.
 
Copertina da “studio”, in posa, molte foto lusinghiere e molte pagine su “7” per Alessandro Benetton, che pubblica un nuovo libro, “Mai fermi”, e con i tre figli, e nemmeno una parola per dire che sua moglie, la madre dei tre figli, è o era Deborah Compagnoni – che pure è un personaggio leggendario. Su un settimanale diretto da una donna.
 
“Jobs Act? Il vero problema sono i salari bassi”. Anche il Pd ha chi sa come le cose vanno, anche se non ci vuole molto, solo un po’ di buonsenso - e Enrico Morando, che ne è stato a lungo suo rappresentante al ministero dell’Economia, naturalmente non ha dubbi. Ma non può raccontarlo al suo partito.  
 
Mercoledì l’argomento referendum non è la sconfitta (il sottinteso è la vittoria nella sconfitta, vecchio sovietismo) ma la riforma del referendum. La colpa è del referendum. Ce ne vuole uno senza quorum, insomma: un referendum delle minoranze, giusto o sbagliato che sia (è sbagliato), ma è onesto? I grandi giornali, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, “la Stampa”, sono per informare e indirizzare i lettori o per fregarli, spingendoli su binari morti?
 
Mercoledì il “Corriere della sera” ha ben sei articoli contro Trump in California, con l’esercito contro i manifestanti. I giornali americani anti-Trump, “New York Times”, “Washington Post”, ne hanno meno – e sulla questione specifica, immigrazione incontrollata e teppismo, prudenti. Il vecchio antiamericanismo dei vetero-compagni, seppure emigrati a New York? La revoluciòn - il sud americanismo in agguato? Una questione di logge?
 
“Cittadinanza, tra i 5 Stelle vince il no”, è la valutazione dell’Istituto Cattaneo di Bologna, specialista dei flussi elettorali: 61 per cento di no a Milano, 67 per cento a Genova, ben il 69 per cento a Bologna. Sono valutazioni e non dati, però…  Dall’altra parte, non pochi “leghisti e meloniani” hanno detto sì l’abolizione dell’art. 18.
 
“Landini e la sconfitta: «Dare le dimissioni? Non ci penso proprio». È la conferma: uno che primeggia ai talk-show, anche se attore mediocre, monocorde, monoespressione (l’Incazzato), a capo di un sindacato che non sa più nemmeno di esistere.
Come si finanzia il sindacato? Le aziende pagano ancora secondo le vecchie, vecchissime, quote associative?
 
Si sprecano commenti su Sinner-Alcaraz. Tra il tecnico (“vi dico io come si fa”), il sentimentale (la madre di Sinner), e il politico (l’antitalianismo francese, del Roland Garros). Segno di una grande delusione. Il tennis italiano, come il nuoto, è in fiore, a livello agonistico e dilettantistico, ma questo non è un primato, la buona gestione, la buona politica. Primato è solo il trofeo – anche se vince uno antipatico come lo spagnolo, che a ogni colpo riuscito chiede l’applauso.
 
L’Europa è con le pezze al culo. È l’analisi dell’ultimo “Economist”, edizione speciale, sotto il titolo “Insopportabile autocompiacimento dell’Europa”. Uno speciale che si apre col “Gattopardo”: “Perché le cose rimangano le stesse, tutto deve cambiare”. O la furbizia – rassegnazione – di progettare riforme che si rinviano – “dammi la volontà di fare le riforme, Signore, ma non si potrebbe domani?, dice la rivista, non un  cartoon. Una riflessione condita con molti indici, in un’ottica europeista (il settimanale era anti-Brexit).     
 
Appena arrivato in Italia, direttore tecnico o quello che è della Juventus, la squadra di calcio, Comolli ha detto subito la verità che nessuno dice: con la squadra di Gianni Agnelli l’Italia ha vinto due Mondiali, 1986 e 2006, senza non si è nemmeno qualificata a due Mondiali, e ora fatica al terzo. Semplice: ci vuole una squadra per vincere al calcio.
 
“L’era dei frugali è finita, i tempi sono cambiati, ora la cosa importante è riarmare l’Europa”, Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca. È sempre un’Europa “loro”, prima frugali, poi spendaccioni. La “legge dei più” – cosa?
 
“Per la prima volta dal 2008, in Spagna la disoccupazione scende sotto i 2,5 milioni”. Evviva! In Italia, 59 milioni di persone, undici in più della Spagna, il numero dei disoccupati è d 1,5 milioni. Ciò nonostante, la crescita del pil in Spagna è analoga a quella dell’Italia, e qualche trimestre con uno o due decimi in più. L’economia va meglio con i disoccupati?
 
“Il Sole 24 Ore” che ammonisce o decreta in prima pagina: “Rischio crack, i bond Usa come quelli greci?”, non è anti-trumpismo (e come può essere, anche la Confindustria è anti-Trump?), o a chi le spara più grosse (“Il Sole” è timorato di Dio). Perché il debito federale Usa sale di 3 mila miliardi nel 2030, per effetto della legge Trump di bilancio federale? Ma non è aumentato di 8.400 miliardi nei soli quattro anni di Biden, “Il Sole 24 Ore” non se n’è accorto?
 
Più curioso ancora è che il giorno prima il “Financial Times”, anch’esso a forti caratteri in prima pagina, assicurava: “Gli Usa non saranno mai insolventi sul loro debito”. Anche perché stampano loro i dollari, no? È una guerra di opposti estremismi? Il “mercato” ci guadagna con l’uno e con l’altro allarme? E poi, Trump non è pazzo? Nessuno che dica che il dollaro si è svalutato di quel 12-14 per cento che Trump voleva  - anche con la furbissima Cina – coi suoi dazi a sproposito.

I baroni coldiretti

Lo storico ritorna sullo studio dei suoi esordi, che è anche il testo ormai canonico del Cinquecento di Napoli, “Economia e Società nella Calabria del Cinquecento” (che ha avuto quattro riedizioni, dal 1965 al 1995, di cui tre con parziale rifacimento), ridefinendo alcune polemiche insorte successivamente. Specie sulla “rifeudalizzazione” al tempo della prima monarchia spagnola del viceré De Toledo, e poi con i successori.
Una storia che ha come tema la Calabria ma si svolge per pratiche e normative che interessavano tutto il Regno, tutto il Meridione. E un approccio, sulla rifeudalizzazione, che trova la conferma ancora nella realtà della Calabria postbellica, a metà Novecento, quando le riforme agrarie frantumarono marchesati e baronie, la cosiddetta “rifeudalizzazione” consistendo nella moltiplicazione dei titoli baronali, una forma di rimpinguamento dell’erario, mentre il vecchio come il neo barone si configura come un proprietario terriero, a contatto quotidiano con fittavoli o braccianti, con più o meno sagacia o fortuna – niente di più dell’odierno “coltivatore diretto”. La feudalità è tutt’altra cosa – ed è, si direbbe a occhio, quella che è mancata alla Calabria: una cornice di diritto, sia pure oppressiva, con debiti e non solo crediti – storici, sociali, di classe.
Una trattazione piena di cose, oltre che di polemiche accademiche più o meno scoperte. Galasso sarà stato uno dei pochi storici che nel secondo Novecento hanno voluto e saputo frugare fra realtà vive e documenti, non limitandosi, anzi escludendoli programmaticamente, ai facili paraocchi ideologi, alle storie delle formule vuote.  
Giuseppe Galasso,
La Calabria spagnola, Rubbettino, p. 238 € 12

sabato 14 giugno 2025

La Sei Giorni degli ayatollah

Non è detto che questa guerra duri Sei Giorni, come nel 1967, ma l’effetto è già lo stesso. Israele non ha distrutto l’aviazione iraniana, missili compresi, a terra, ma ne ha decapitato i comandi. Anche le giornate sono le stesse, allora 5-11 giugno. E l’effetto politico: Nasser durò ancora tre anni, cioè fino alla morte, nel 1970, ma il nasserismo finì con la guerra. Allora come oggi l’appoggio russo si rivela inefficace – e la Cina è, e si vuole, distante.
Quanto dureranno gli ayatollah al dominio dell’Iran è problema minore – il Medio Oriente non ha movimenti politici organizzati. Ma, mentre Nasser significava molte cose popolari, la modernizzazione, un po’di socialismo, molto panarabismo, con le quali aveva segnato il risorgimento del mod arabo, gli ayatollah si sono ostracizzati tutti i vicini: Iraq, Siria, Libano, Afghanistan, lo stesso Yemen e i potentati della penisola arabica, l’Egitto e il Maghreb (l’Algeria farebbe un funerale di tutto il khomeinismo). La loro unica causa è l’islamismo, sharia e jihad, col quale hanno solo alimentato morti, a milioni, e odio. Il loro stesso Paese, antico, civile  e di grande cultura, hanno violentato in tutti i modi, con la censura, le impiccagioni, il carcere, la proibizione di pensare – e gli assassini mirati (uno ache a Roma, Hossein Naghdi). Non reggeranno alla guerra.

Più debito che pil

Il debito pubblico mondiale si avvia al 100 per cento del pil globale alla fine della decade. Oltre a emettere nuovo debito, molti Paesi sempre più sperimentano e utilizzano forme opache di finanziamento. Che rendono difficile la proiezione, ma la tendenza è netta.
La spinta maggiore viene dai paesi emergenti, Cina compresa, e dalle economie in via di sviluppo. Che ora contestano, si può aggiungere, le agenzie di rating - i vigilanti. Tra i Paesi industrializzati gli Stati Uniti sono in corsa, dalla crisi del covid, verso un rapido raddoppio del debito. Il primo bilancio della presidenza Trump porterà a un aumento del debito di 3.000 miliardi in dieci anni, poco meno del 10 per cento di aumento sul debito in essere, 36.200 miliardi. Ma il grande balzo è stato già fatto nei quattro anni dell’amministrazione Biden, con un balzo del debito di ben 8000 miliardi, da 27.800 a 32.600.
Disclosing Debt. International Monetary Fund. Weekend Read, f ree online
 

venerdì 13 giugno 2025

Le banche alla Lega

“Una procedura con 4 stranezze, 4 invitati, e 4 identici prezzi in 9 minuti. Le modalità con le quali nel novembre 2024 il ministero del Tesoro ha ceduto, attraverso incarico a Banca Akros, il 15 % per cento di Monte dei Paschi di Siena a Banco Bpm (5%), Caltagirone (3,5%), Delfin (3,5%) e Anima (3%) sono oggetto di una inchiesta della Procura di Milano con persone iscritte nel registro degli indagati («modello 21»)”. Prudentemente, in pagina interna, il “Corriere della sera” infine interrompe con Ferrarella, il suo cronista giudiziario, il fragoroso silenzio sul “banche a me” del ministro Giorgetti” – il “riassetto” bancario che Giorgetti governa per conto della Lega. Il più grosso scandalo politico dopo “Mani Pulite”.
Un fatto molto evidente, perfino a questo sito  
http://www.antiit.com/2025/02/ombre-758.html
http://www.antiit.com/2025/01/lopa-di-roma-su-milano.html
http://www.antiit.com/2024/11/ombre-747.html
sul quale finora non una parola – Milano è pettegola, ma quando vuole (altrove si direbbe mafiosa).
Le stranezze, sulle quali la Procura di Milano non può più, dopo sette mesi, non indagare (anche perché Mediobanca si è querelata - e Unicredit potrebbe farlo, se lo spesso muro della iperredditività dovesse incrinarsi), sono evidenti. Giorgetti dà incarico a Banca Akros di vendere in fretta – accelerate book building – il 15 per cento di Mps. L’11 novembre 2024? Giovedì 14 l’affare è fatto: Akros, gruppo Bpm, ha collocato il 5 per cento con Bpm, il 3 per cento con Anima, sempre gruppo Bpm, e il 7 per cento in due quote eguali a due “compagni di merende” di Giorgetti, Caltagirone e gli eredi Luxottica. La compagine con la quale due mesi dopo il ministro ha lanciato l’ops su Mediobanca-Generali. Semplice.

Berlinguer, famolo santo

“Il film indaga perché Enrico Berlinguer è il politico più amato a quarant’anni dala sua scomparsa” – questo il blurb di presentazione. La  nostalgia si può capire, magari in chi nasceva quando Benigni furbo si affermava col “Berlinguer, ti voglio bene”, 1977. Ma a quarant’anni di distanza c’è appunto la distanza. E non si capisce.
Forse perché visto dopo la scorpacciata di apologie del papa Francesco, sa particolarmente di falso. Un’apologia si regge se in qualche misura, per qualche aspetto, anche solo per la distanza o la lontananza, è condivisa, accomuna  Ma qui quello che va in scena non è Berlinguer, sono gli autori e i loro – possibili, previsti – spettatori.  Per dire: anche di paga Bergoglio si sono fatti una decina o dozzina di film tutti insieme, come per Berlinguer, ma non altrettanto stucchevoli.
Pesa poi anche la distanza, la prospettiva storica. E non si vede come si possa glorificare un leader  vita di partito che ha distrutto il suo partito. Letteralmente, volutamente. Che si voleva lontano dal sovietismo ma il suo partito non lo voleva altrettanto lontano, nei finanziamenti, nell’organizzazione, nelle procedure. Che piuttosto che farne un partito socialista o socialdemocratico lo ha appaltato all Dc. Alla Dc? Si veda ancora oggi a Roma, nella comune, irrefrenabile, spudorata corruzione, in opere e omissioni, in appalti e trabocchetti.
Una trama di ricordi personali scelti e montati ovviamente “al punto”. Un’enfatizzazione del disacco dal sovietismo – quado tutti sanno che il partito fu finanziato da Mosca fino al 1989. Un personaggio che sarà stato anche simpatico (in Parlamento e coi cronisti non lo era), ma al congresso del 1975, quando già aveva lanciato il “compromesso storico”, al congresso del Pcus, il partito comunista sovietico, ribadiva la la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Superiore negli anni di Breznev? Mah.
E la “questione morale” come scudo?. Morale di chi riceveva e gestiva non solo le tangenti pretese da Eni e Finsider dal Pcus e depositate in Svizzera, ma anche oro, pelli, e perfino dollari, in mazzette? Onesto a suo modo: nel 1984, poco prima della morte, a Minoli che in tv gli chiedeva quale era la personalità internazionale che più ammirava rispose: Janos Kadar, il capo del partito e del governo ungherese che aveva rovesciato con i russi al rivolta del 1956. Uno che chiuse il partito, piuttosto che farlo socialista, in “deriva solipsistica” (Piero Fassino), con la sempre incresciosa “autoconsolatoria riaffermazione di diversità” (id). Maneggiato peraltro da Tonino Tatò, un filibustiere politico, la quinta colonna “democristiana” al suo fianco.
Per quale motivo Miriam Mafai, buona comunista da una vita, chiedeva di “Dimenticare Berlinguer”, nel 1996? “Col passare degli anni quella opzione strategica (il “compromesso storico”, n.d.r.) appare sempre più chiaramente come uno dei fattori – se non addirittura come una delle cause principali – della difficoltà della sinistra italiana, e della crisi politica e  istituzionale che ancora travaglia il nostro Paese”.
Un film “con il contributo della presidenza del consiglio dei ministri” - nel 2025? Prodotto dalla Fondazione Cespe, che dunque ancora esiste - la creazione di Eugenio Peggio (quanti problemi con Enrico...).
Farina, “sociologo e saggista”, che “nel 2009, a vent’anni, crea enricocoberlinguer.it, il primo sito web su Enrico Berlinguer”, è anche autore con Bianca Berlinguer di un “Per Enrico, per esempio. L’eredità politica di Enrico Berlinguer”. Qual è? Ma gli autori vanno a passo di marcia, “Enrico Berlinguer continua ad essere il leader politico più amato della storia repubblicana”, e si risparmiano la risposta.
Pierpaolo Farina, Berlinguer. A Love Story

giovedì 12 giugno 2025

Se la Russia guarda all’Europa

La Ue è alla 17ma o 18ma sanzione contro Mosca. E si riarma con ben due programmi miliardari, Rearm e Safe, sempre contro la Russia. Ma la cosa non sembra essere presa sul serio a Mosca. Non dai russi che ovviamente si sentono e pensano europeo. Non dal regime, questo è il punto. Dai vari istituti di politica estera, tutti più o meno al governo.
Non molto tempo fa il ministro degli Ester Lavrov ricordava nostalgico sul sito del ministero “i vertici due volte l’anno, cosa che la Ue non ha mai fatto con nessun altro Paese”. In contemporanea il teorico sovranista Vladimir Surkov lamentata sul settimanale francese “L’Express”:  “La Russia da anni si dice pronta a parlare con l’Europa, l’Europa avrebbe potuto rispondere e aprire un dialogo, ma non l’ha fatto”. Perfino Putin ultimamente apriva una finestra, con “ottimismo e speranza” – ma distinguendo fra Ue e Stati: “Prima o poi ci muoveremo al ripristino di relazioni costruttive con gli Stati europei”.
Putin e i suoi parlano come se, finita la guerra in Ucraina, le cose torneranno al loro corso abituale. “naturale”.
Non mancano le ipotesi di un interesse comune. Di fronte alla sfida cinese, e in genere del Sud del mondo. Un mondo s’immagina triangolare, Usa-Cina-Europa, con dentro (in Europa) la Russia. E perfino una sorta di Occidente nordico, per fronteggiare la sfida del Sud del mondo.

Letture - 581

letterautore


Arabia Saudita
– Oggi al centro delle “industrie culturali” (promozioni socio-politiche) di ogni tipo, architettoniche, green, calcistiche, tennistiche, etc., con numerosi testimonial ben pagati (tra essi Matteo Renzi, in qualità di ex sindaco di Firenze, con un ruolo molto semplice: dire ogni tanto che “l’Arabia Saudita è in pieno Rinascimento”) era per Elemire Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto del mondo che resista all’industria culturale”.  
 
Compromesso storico
– Lo storico –mite - Giuseppe Galasso ne rivendica – polemicamente - la primogenitura in nota a “La Calabria spagnola”, una delle sue ultime opere, 2012 (rifacimento di uno dei suoi primi lavori di storico, “La Calabria nel Cinquecento”, 1963). Spiegandone anche l’intrinseco ossimoro. Senza riferimenti all’uso berlingueriano, o politico, della formula, ma con curioso puntiglio, riferendosi  a se stesso come a terza persona:
“La formula del «compromesso storico» è stata usata – con consapevole anacronismo terminologico, voluto a fini pratici di semplicità e di icasticità espressiva – da G. Galasso in molti dei suoi lavori fin dagli anni in cui imperversava la polemica sulla cosiddetta «rifeudalizzazione», che avrebbe caratterizzato la storia politico-sociale del Regno nel secolo XVI. Poi, in progresso di tempo, la rifeudalizzazione (di cui Rosario Villari fu il maggiore sotenitore) ha perduto la massima parte della sua attrazione, se non è addirittura scomparsa, come tema storiografico di persuasiva  fondatezza”.
Rosario Villari è stato uno storico e un esponente Pci, promotore e poi direttore di “Studi Storici”, la rivista dell’Istituto Gramsci, membro del Comitato Centrale del Pci, e parlamentare. La polemica sulla “rifeudalizzazione” seguì la pubblicazione nel 1967 della sua storia del Regno di Napoli nella prima metà del Seicento, “La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini, 1585-1647”. Il compromesso storico di Galasso è quello intercorso fra la monarchia spagnola di Napoli e la feudalità

 
Domani
– È il nuovo motto dell’Europa per l’ “Economist”, nello speciale che il settimanale ha dedicato al continente nel numero dell’1 giugno. Aperto col “Gattopardo” -  col “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, detto dal giovane Tancredi, garibaldino e futuro senatore, l’uomo dei tempi nuovi. Come dire dell’irresolutezza, dei buoni propositi e gli efferati fatti, del quieto vivere, della rassegnazione. Si sostituiranno nella koiné europea, nella lingua franca occidentale, i vecchi mañana  e bukra (insha Allah), l’indolenza e il rinvio in spagnolo e in arabo, con l’italianissimo domani?
 
Ebraismo
-  L’identitarismo viene dalla diaspora – che invece dovrebbe annacquarlo? Era l’idea di Kafka, a proposito dell’ambiente estraneo, in viaggio: se fatto in compagnia, le difficoltà cementano i rapporti, le amicizie. Lo ricorda Daria Galateria in “Atlante degli artisti in affari”, a proposito della visita all’editore Kurt Wolff, a Lipsia, nel 1912, cui Max  Bord costrinse il timido Kafka. Che, usciti dall’ufficio di Wolff, avrebbe a sua volta rimproverato l’amico per non avere proposto la guida turistica di cui vaneggiavano per fare qualche soldo. Ribadendo: “Vediamo noi stessi meglio di quanto ci vedano gli altri, perché noi stiamo viaggiando”.
 
Gadda
- Con “200 termini in spagnolo” Gadda mette “a distanza di sicurezza…. tutto lo gnòmmero (il nodo) di Gonzalo (sé medesimo)” nella “Cognizione del dolore”, per “parlare della mamma e della sua odiata villa in Brianza” – Daria Galateria, “Atlante degli artisti in affari”, p. 184.
 
Proto-femmininismo
– Aveva mille nomi, e mille funzioni, Iside Regina nelle “Metamorfosi” di Apuleio,  qualche millennio fa, all’XI libro:
“Io sono la genitrice dell’universo,
la sovrana di tutti gli elementi,
l’origine prima dei secoli,
la totalità dei poteri divini,
la regina degli spiriti,
la prima dei celesti;
l’immagine unica di tutte le divinità maschili e femminili:
sono io che governo
col cenno del capo
le vette luminose della volta celeste,
i salutiferi venti del mare,
i desolati silenzi degli inferi.
Indivisibile è la mia essenza,
ma nel mondo io sono venerata ovunque sotto molteplici forme,
con riti diversi, sotto differenti nomi.
Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli dei [Grande Madre, Cibele],
adorata in Pessinunte;
gli Attici autoctoni, Minerva Cecropia;
i Ciprioti bagnati dal mare,
Venere di Pafo;
i Cretesi abili arcieri, Diana Dictinna;
i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia;
gli abitanti dell’antica Eleusi,
Cerere Attea;
alcuni Giunone; altri Bellona;
gli uni Ecate; gli altri Rammusia [Nemesis].
Ma le due stirpi degli Etiopi,
gli uni illuminati dai raggi nascenti
del dio Sole all’alba,
gli altri da quelli morenti al tramonto,
e gli Egiziani
valenti per l’antico sapere,
mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi chiamano
col mio vero nome:
Iside Regina.
O Regina del cielo,
tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato
tua figlia, eliminasti l’antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere,
rivelando agli uomini un cibo più mite,
ora dimori nella terra di Eleusi;
tu Venere celeste,
che agli inizi del mondo congiungesti
la diversità dei sessi
facendo sorgere l’Amore
e propagando l’eterna progenie
del genere umano,
ora sei onorata nel tempio di Pafo
che il mare circonda;
tu [Diana] sorella di Febo,
che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte,
hai fatto nascere tanti popoli,
ora sei venerata nel tempio illustre
di Efeso;
tu Proserpina,
che la notte con le tue urla spaventose
e col tuo triforme aspetto
freni l’impeto degli spettri
e sbarri le porte del mondo sotterraneo,
errando qua e là per le selve,
accogli propizia
le varie cerimonie di culto;
tu [Luna] che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città
e col tuo rugiadoso splendore
alimenti la rigogliosa semente
e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,
sotto qualunque aspetto
è lecito invocarti:
concedimi il tuo aiuto
nell’ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna,
e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo”.


Russia -  Scriveva Proust a un’amica nel novembre del 1914, quando la guerra era già sanguinosa: “Se invece che con la Germania fossimo in guerra con la Russia, cosa si direbbe di Tolstoj e di Dostoevskij?”


Sartre – Di “profondo e (Dio ci perdoni) elegante talento comico” lo vuole la francesista Daria Galateria  (“Atlante degli artisti in affari”, 195-196). Perlomeno a Roma, per il progetto poi incompiuto de “L’ultimo turista”. Ultimo già nel 1952?
Se si ripercorre la sua enorme produzione e, soprattutto, le sue attività quotidiane, anche del pensiero, della riflessione, testimoniate variamente da Simone de Beauvoir nelle sue numerose memorie, un taglio azzeccato – giusto, vero.

letterautore@antiit.eu