lunedì 23 giugno 2025
Ombre - 779
Netanyahu
che prega in diretta per Trump è puro farisaismo, visivo. Ma col dubbio, il farisaismo
è di Netanyahu oppure del suo Dio?
Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"
Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni
senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le
condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento
in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità.
Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre
che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti
figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime
islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede
a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente.
Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma
con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada.
E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato,
equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori
e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo
secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià.
Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo
della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello
scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle
influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa
caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un
giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià,
che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che
però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del
complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi,
ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa
gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini,
ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga
vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate
del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore
e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.
Mohammad Rasoulof, Il seme del fico
sacro, Sky Cinema Due
domenica 22 giugno 2025
La notte brava di Trump - le macerie
Da qualsiasi punto lo si rigiri, il beau geste notturno di Trump,
coi suoi squadroni volanti invisibili, produce solo rovine.
Ha isolato gli Stati Uniti – più scombussolati i fedelissimi europei.
Non blocca il programma nucleare iraniano.
Impedisce qualsiasi trattativa per limitarlo.
Ha reso immortale il regime degli ayatollah.
Lo radicalizza, se mai ce ne fosse bisogno.
Ha piantato l’antiamericanismo negli iraniani, in patria e all’estero.
Terrorizza ogni potentato arabo, per quanto suddito fedele, dalla
minuscola Giordania all’Egitto e agli sceiccati padronali della penisola.
Allontana ogni dialogo con Putin, che sovrasterà Zelensky con molta più
forza che in passato.
Voleva giocare Putin e la Russia contro Xi e la Cina, li ha messi d’obbligo
insieme.
Rimette in gioco il gigante cinese, che per quanto malandato potrebbe riprendere
la rapida ascesa della via della Seta interrotta sei anni fa dal covid.
Ha isolato gli Stati Uniti, nonché nel vasto ex Terzo mondo, America
Latina in primis, nella stessa Europa, sola e confusa di fronte alla Russia
e alla Cina.
Ha isolato gli Stati Uniti per legarli a Netanyahu, un avventuriero - non
ha saputo-voluto prevenire la guerra di Hamas di cui lui tutto sa (ne ha ucciso
i capi uno per uno, vice compresi, e i capi e vice-capi di Hezbollah e Pasdaran),
e la allarga e intensifica oltre ogni ragionevole risposta, compreso il tiro alle
folle in coda per la fame.
Mettendo in crisi - negli Stati Uniti e altrove, anche in Israele - il sionismo
più avveduto, già perplesso su Netanyahu e la sua guerra di annientamento.
Ci sarebbe poi il danno reputazionale, bombardare mentre si negozia, ma a questo gli Stati Uniti ci hanno abituati, dal tempo degli indiani.
La guerra preventiva è un lasciapassare per qualsiasi malintenzionato.
Problemi di base nucleari - 868
spock
“La democrazia
americana potrebbe non sopravvivere a una guerra con l’Iran”, “The Atlantic”?
“Trump non era
supposto essere contro la guerra”, id.?
Truman-Trump,
la stessa, radice, nucleare?
Trum, dice il sanscrito,
è “colpire”, “uccidere”?
Anche con l’atomica,
gli “ariani” l’avevano già inventata?
Ma siamo
ariani o non-ariani, com’è questa storia?
O è la radice mercantile
che unisce i due bombaroli – muoia Sansone con tutti i filistei?
spock@antiit.eu
Vite intrepide di donne, un secolo prima dei diritti
“La vivace Vita
Sackville-West fu una delle ultime visitatrici britanniche nella casa di
Gertrude Bell a Baghdad nel 1926, pochi mesi prima della tragica morte di Bell
per overdose. Le due donne erano molto diverse per età, temperamento e
prospettive, ma avevano molto in comune, non ultimo il fatto di essere forze
della natura con storie personali avvincenti e una propensione a scuotere le
sbarre delle loro gabbie dorate e sessiste. Entrambe erano ribelli di genere,
snob e attratte dalla classe sociale, dai privilegi economici e dalle
circostanze. Nonostante fossero state negate posizioni, opportunità e proprietà
per non essere nate maschi, nessuna delle due era particolarmente femminista.
Donne ricche come Vita e Gertrude non avevano bisogno di esserlo.
“Vita
Sackville-West e Gertrude Bell furono autentiche britanniche coloniali di alto
livello all'estero negli anni del dopoguerra, in grado di permettersi di
viaggiare e vivere a loro piacimento in paesi come la Persia e l’allora neonato
Iraq, contribuendo a plasmare il caleidoscopico e complesso panorama politico
del Medio Oriente, in linea con gli interessi britannici e, al contempo,
sostenendo apertamente l’autodeterminazione araba. Entrambe conoscevano
personalmente le nuove famiglie reali del Medio Oriente e si muovevano con
disinvoltura tra diplomatici, leader militari e politici.
Londra,
Costantinopoli e Parigi.
“Le strade di
Sackville-West e Bell si erano già incrociate a Londra, durante le cene
organizzate dall'alta borghesia di Belgravia, Mayfair e Bloomsbury. Entrambe le
donne erano abituate a trascorrere periodi di vacanza in campagna
(rispettivamente nel Kent e nello Yorkshire), oltre a trascorrere del tempo
nelle loro case londinesi, intrattenendo ospiti e facendo visita a conoscenti.
Vita si sposò a 21 anni – il suo matrimonio con il bisessuale Harold Nicholson
fu piuttosto aperto anche per gli standard moderni – e Gertrude rimase single.
Una forma di libertà arrivò per loro in modo diverso.
“Le due donne si
incontrarono di nuovo a Costantinopoli nel 1914, prima dello scoppio della
guerra. Gertrude Bell era diventata un’esperta esploratrice del deserto,
archeologa e fotografa, e aveva da poco completato il suo straordinario viaggio
del 1913-14 attraverso vaste distese di terreno impervio, attraversando e
riattraversando la penisola arabica, disegnando mappe e scattando fotografie.
“Costantinopoli fu
una tappa del suo viaggio di ritorno a Londra. Le voci sulle imprese di Bell si
diffusero rapidamente e lei fu molto richiesta per raccontare le sue avventure.
Fu invitata a cena a casa di Philip Graves, il corrispondente del Times
, dove, a quanto si racconta, si diede alla pazza gioia fumando le sue
sigarette abituali. Erano presenti anche il giovane diplomatico Harold
Nicholson, appena sposato, e la moglie incinta Vita Sackville-West…”.
Uno di cinque contributi,
con molte immagini, di Eleanor Scott, la pubblicista inglese specialista di Roma antica, sul suo sito “Archeology”, su Gertrude Bell – con “The Death
of Gertrude Bell”, “Fine Dining in the Desert With Gertrude Bell”, “Gertrude
Bell–in Search of the ‘Real Woman’” e “Gertrude Bell’s Word War 1 – Beginnings”.
Quando la vita si
poteva vivere, e raccontare, senza ipocrisie – di colore, genere, sociali.
Manca, curiosamente
per un sito specializzato in archeologia, l’esperienza di G. Bell a Roma, a due
riprese, venuta espressamente per documentarsi e documentare (fotograficamente)
il grande lavoro di scavi in città e nei dintorni. Bene accolta e ben guidata dai
maggiori specialisti, Rodolfo Lanciani, il decano della grande archeologia
postunitaria, tra Rma e Ostia, Giacomo Boni, direttore degli scavi al Foro
omano, il direttore della British School at Rome, Thomas Ashby, ritenuto il maggiore
esperto, Richard Delbrück, il professore di archeologia classica che era direttore
del Deutsches Archäologisches Institut a Roma prima della Grande Guerra, quando
G. Bell vi fece ritorno. Personalità con le quali si trovò anche a tenere
conferenze. Un aspetto della vita tumultuosa di G. Bell che docuemnta ora l’Accademia
Americana a Roma nella mostra “Women&Ruins: Archeology, Photography, and
Landscape”.
Eleanor Scott, When
Gertrude met Vita: the Friendship of Gertrud e Bell And Vita Sackville-West,
free online
sabato 21 giugno 2025
Più svalutazione meno dazi
Col dollaro a 0,86851 sull’euro – ieri, in trend calante – si può
dire la missione quasi compiuta per Trump, il cui scopo è di bilanciare monetariamente,
prima e più che con i dazi, i rapporti commerciali con la Ue. Un mese fa il dollaro
era a 0,89. Sei mesi fa a 0,975, quasi la parità.
Oggi – ieri – un euro valeva 1,151 dollari. Oscilla - un mese fa era a 1,16.
Ma sei mesi fa era quasi alla parità, 1,04.
È per questo che la partita di Trump sui dazi ha perso ultimamente mordente.
Qualche dazio ci potrebbe essere, ma di piccola misura – forse solo per la facciata,
per celare la vera portata dell’offensiva pseudo-commerciale. Che è monetaria –
è anche per questo che Trump tuona periodicamente contro la Federal Reserve,
perché tiene altissimi, spropositatamente alti rispetto all’inflazione, i tassi
sul dollaro.
Con la Cina il negoziato è più complesso, perché la Cina ha molti modi di
manipolare il cambio. Ma non se la passa bene, e ha più dell’Europa interesse a
tenersi aperto il mercato americano.
Byd sotto accusa in Cina, troppi aiuto di Stato
Lo scandalo auto in Cina espone i trucchi del miracolo cinese all’esportazione:
aiuti di stato - in tutte le fasi della
produzione, dai materiali “rari” per le batterie al montaggio - defiscalizzazioni,
cambio artefatto.
Sotto accusa è la Byd, il colosso cinese dell’auto elettrica, da parte
degli altri costruttori cinesi. Privilegiata dai sussidi governativi, avrebbe
inondato il mercato, ingolfando i concessionari a danno dei concorrenti. Poi, a
fronte dell’invenduto, avrebbe tagliato i listini.
Le polemiche sono pubbliche. Azionate da Great Wall e da Geely (che in Europa
ha acquisito molti anni fa il marchio Volvo).
La lite mentre si prospetta una crisi di vendite anche interna – oltre alle
resistenze europee, e con Trump anche americane. Ora è in corso – dovrebbe essere
in corso – un tavolo di crisi al ministero dell’Industria, con l’obiettivo di porre
un freno all’eccesso di offerta, e alla “guerra” dei prezzi.
Il buon odore della maternità
Un film tutto al femminile, sia gli affari, sia la vita di famiglia. Un racconto
di maternità, voluta, gioita. Oppure sofferta, violenta. Ma sempre con garbo,
con rispetto, controcorrente al pensiero dominante – specie tra le done.
Un film intimo, in esterni. Girato da Verdesca con ritmi padani,
sottotono. Lacustri – un’ansa riposta, solitaria, del fiammeggiante lago di
Garda.
Tutto il film regge Bobulova, figlia e madre, scena dopo scena. Ma col contrappunto
fenomenale di Marie-Christine Barrault, la madre che ha rifiutato la figlia.
Con una curiosità. Il film è piaciuto alla critica, all’uscita prima di
Natale. Ma gli stessi critici hanno candidato ai Nastri d’Argento come attrice
non protagonista Sandrelli, che nel film appare, dice e fa poco, e non Barrault (una scelta fortemente voluta da Verdesca, che la fa borbottare in francese,
cioè non doppiata, piuttosto che in una qualunque forma semidialettale padana).
Forse perché Barrault meritava la candidatura
a protagonista?
Mimmo Verdesca, Per il mio bene, Sky Cinema
venerdì 20 giugno 2025
La Cina di Xi dalla corruzione alla corruzione
Il presidente cinese Xi Jinping si è creato un potere assoluto tramite la lotta alla corruzione.
Che ora lo indebolisce. Non da ora, dalla crisi dell’immobiliare cinque anni fa,
per la quale non seppe prendere decisioni drastiche. Sorride sempre, ma non
decide - ha persino smesso da qualche tempo l’ammuìna attorno a Taiwan,
alle isole, al Mar Cinese Meridionale. Nella contesa sui dazi con Trump è dato
vincente (ma solo in Italia), mentre accetta di fatto le accuse americane, che
la Cina fa dumping in vari modi, compreso quello monetario, ruba tecnologia a sbafo,
sovvenziona le esportazioni.
Si moltiplicano anche le indagini e gli scandali finanziari, quasi la Cina
fosse diventata un paese di ricettatori e riciclatori. Molti investimenti
cinesi in Europa si rivelano virtuali, coperture di speculazioni, evasione
fiscale, riciclaggio. Si moltiplicano i reati scovati dalle Fia europee, Financial
Information Unit. Da ultimo dalla Banca d’Italia, con fondi per almeno 100
milioni sifonati da una presunta banca cinese, di cui non c’è traccia in nessun
registro, che si rivela “un canale di pagamento per il riciclaggio di fondi
provenienti in gran parte da estese reti di imprese italiane”, sotto indagine
per frodi nelle fatturazioni e per abuso di fondi pubblici – tra questi in particolare
i bonus fiscali e le risorse del Pnrr.
Solo l’arte è universale
“È sorprendente
che tutti i popoli della Terra, per destino universale o per telepatia
spirituale, abbiano la stessa concezione estetica della natura circostante. In
tutti i popoli, dai più antichi d’Oriente ai più recentemente scoperti dai
nostri eroi geografici, possiamo osservare le stesse espressioni dello spettro
estetico: la Musica, con il suo complemento, la Poesia, e l’Architettura, con i
suoi due complementi, la Scultura e la Pittura. In queste cinque espressioni d’Arte
si svolge liintera vita estetica del mondo. È vero che una sesta espressione d’arte
ci sembra, per il momento, assurda, persino inconcepibile; nessun popolo è
stato in grado di concepirla, dopo migliaia di anni. Ma stiamo assistendo alla
nascita di questa sesta arte. Una tale affermazione in un’ora crepuscolare come
la nostra, vaga, ancora imprecisa come ogni epoca di transizione, agita i
nostri spiriti scettici. Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un
mondo e quello dell’alba di un altro. E la luce del crepuscolo è imprecisa e
confonde i contorni di ogni aspetto, dove solo occhi acuiti dal desiderio di
scoprire gesti invisibili e originali di esseri e cose possono navigare in
mezzo a questa visione aggrovigliata dell’anima mundi. Ma la
sesta arte prevale sullo spirito inquieto e indagatore. E sarà la magnifica
riconciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti Visive) e dei Ritmi del Tempo
(Musica e Poesia)”.
Ci sarà una seta e
anche una settima d’arte, il cinema. Questo è l’incipit della teoria – o constatazione
– dell’unitarietà dell’arte, della concezione dell’arte. Non minore “scoperta”
di Ricciotto Canudo, l’apulo-parigino inventore (teorizzatore) del cinema come
arte, un secolo fa. Quanto all’alba di un nuovo giorno, non gli se ne può fare
una colpa.
Ricciotto Canudo, La Naissance d'un
sixième Art. Essai sur le cinématographe,
https://www.filosofia.org/hem/191/9111025c.htm
giovedì 19 giugno 2025
Svanita la Mezzaluna sciita
Quale che sia l’esito della guerra Israele-Iran, un effetto è già acquisito: la Mezzaluna sciita, a guida iraniana, che il khomeinismo ha fomentato fin dagli inizi, mettendosi alla testa del movimento anti-sionista e per la “rigenerazione” dell’islam, per la “purezza” della fede, jihadismo compreso, è svanita. Quasi mezzo secolo di sovversione, complice anche il secolare senso di superiorità sui vicini di ogni bordo, mai smesso dal passato imperiale.
La proiezione
regionale dell’Iran sotto le bandiere sciite, in Afghanistan, Pakistan, Arabia
Saudita, Bahrein, Iraq è fallita da tempo. In Siria e in Libano, con gli arcipotenti
Hezbollah, è finita nella prima fase della guerra scatenata da Hamas. Resta in
Yemen, ma pallida: gli Houthi filo-iraniani sono singolarmente muti e inattivi dacché
Israele ha colpito in Iran.
Il Crescente sciita svanisce senza rimpianti. Dappertutto dove si è proiettato
lo sciismo iraniano ha portato rovina. Con Hezbollah, a lungo strapotente in
Libano, fino a ridurlo in (quasi) miseria, e ora improvvisamente scomparso, Israele
ha fatto la prova generale della guerra all’Iran: quadri dirigenti decimati, in
gruppo e singolarmente, basi missilistiche bombardate – senza difesa antiaerea.
I capi sopravvissuti sono scomparsi, i villaggi sciiti, già militanti, svuotati.
Singolare l’attacco all’Iraq: gli sciiti
iracheni si sono messi prima con Saddam Hussein, e poi sotto il “né America né
Iran”. Anche a Bahrein sembrava facile: popolazione sciita, monarchia sunnita.
Ma la monarchia è stata più abile. Perfino in Arabia Saudita gli ayatollah
hanno tentato il colpo. Nelle aree del petrolio, a Sud-Est, molte zone sono a maggioranza
sciite, facili anche da manovrare dai mullah – ma ogni passaggio, monitorato
dalle spie saudite, è fallito. Non era andata meglio con gli Hazara dell’Afghanistan.
E con i Turi del Pakistan.
Singolare è che la proiezione iraniana non
ha creato mai nulla di positivo, solo guerre civili (terrorismo) e macerie, dovunque
si è propagata. Malgrado la classe dirigente del Paese sia di antica e sempre
rinnovata saggezza, diplomatica e politica. Segno che gli ayatollah, che pure
facevano parte di questa larga élite dotta e saggia del Paese, hanno
tralignato col khomeinismo. Non lo sciismo delle lamentazioni ma un furor
religioso, che ha provato a fare della religione un’arma.
Ma col riarmo ci vuole la leva
Boris Pistorius, il ministro della Difesa, ne parla già da un paio d’anni,
il cancelliere Merz ora la prospetta pure lui: la leva militare. È una
proposta, quindi, cristiano-democratica, Merz e Pistorius sono Cdu, contro cui
sono schierate tutte le sinistre e i Verdi. Ma la reintroduzione della leva
militare è in effetti una necesità, se i piani di riarmo europei veranno
realizzati.
In Italia c’è più prudenza. La Lega si limita a proporre una leva
ausiliaria di 10 mila soldati, ma di soldati di mestiere in congedo.
Non sarà facile, non solo in Germania. L’Europa ha dimenticato la guerra
e i suoi connessi, non sarà facile tornare indietro.
Dove si combatte in Europa, tra Russia e Ucraina, le defezioni sono il numero
maggiore. L’anno scorso l’Ucraina ha dovuto ridurre i piani di mobilitazione per
mancanza di coscritti. Al “Financial Times” in agosto il presidente della Commissione
parlamentare Affari Economici, Dmitro Natalukha, zelenskyano, affermava che 800
mila giovani erano entrati in clandestinità per evitare l’arruolamento, cambiando
indirizzo, lavorando in nero – i Centri di Reclutamento Territoriali si basano
sulle persone al lavoro, presenti fisicamente in azienda (contemporaneamente
molte attività sono cessate per mancanza di manodopera).
Un altro dato di Kiev, emerso sempre in Parlamento, riguarda il grande numero di disertori: in 200 mila hanno disertato nei tre anni di guerra, di cui la
metà nel solo 2024.
Della Russia si sa meno. Ma le diserzioni sono “molte migliaia”. E la
renitenza di massa. Nel settembre del 2002, quando l’Operazione Speciale di
Putin si è trasformata in una guerra di trincee e furono chiamati alle armi
tutti i giovani in età, “oltre 600 mila” si sono sottratti passando in Paesi
vicini.
Buridano l'indeciso finisce per farsela addosso
Il titolo preciso
è wertmülleriano, “Lo sposo indeciso che non poteva o forse non voleva uscire
dal bagno”. Il tratto anche. E la resa. Un grottesco con tantissimi attori di
nome e di mestiere che si prestano a fare da caratteristi, accanto agli infelici
protagonisti, Gianmarco Tognazzi, il promesso, “professor Buridano”, professore
di Filosofia, e la sgallettata promessa, ragazza delle pulizie all’università,
Ilenia Pastorelli - una delle sue interpretazioni più riuscite: Ornella Muti,
Gerini, Pannofino, Colangeli, Jozef Gjura, e tantissimi altri. Però non ha
funzionato, non al botteghino e neanche con i critici.
Ha ritmo. E anche
inventiva. Ma va a un ritmo forsennato nella prima metà, e si fa ripetitivo nella
seconda. E il perché è forse nel nome del protagonista, Buridano, come quello del
famoso paradosso.
Il professor Buridano
ha trovato la felicità, dopo un matrimonio tremendo, con la ragazza delle polizia
all’università, borgatara, sempliciotta. Che lo ha innamorato, ringiovanito, ringalluzzito,
etc. Se non che il giorno del matrimonio è colpito d a una pollachiuria ininterrotta
– ininterrompibile. Perché? I migliori luminari non lo sanno. Il perché è nel
nome: il professore, come l’asino che porta il suo nome, non sa in realtà decidere
fra due situazioni, entrambe attraenti: la carriera
all’università o l’amore. Lo spettatore non è tenuto a saperlo, ma forse il finale
filosofico si poteva evitare – il grottesco, dopo tutto, deve sciogliersi, deve
risolversi. Restano le interpretazioni, che meritano i novanta minuti.
Giorgio Amato, Lo
sposo indeciso, Rai 1, Raiplay
mercoledì 18 giugno 2025
Secondi pensieri - 564
zeulig
Dio - Dio
è donna lo sostiene Blixen, oltre agli gnostici: “Capiremmo la natura e le
leggi del Cosmo se riconoscessimo il suo creatore e padrone essere di sesso
femminile”. Ci spiegheremmo il mondo di sangue e lacrime se dicessimo la
Provvidenza una pastora e non un pastore: le lacrime sono per la donna perle
preziose, il sangue la ragazza lo versa per divenire vergine, la vergine per
diventare sposa, la sposa per diventare madre - “La relazione fra il mondo e il
Creatore è per la donna una storia
d’amore. E in una storia d’amore la ricerca e il dubbio sono assurdità”.
Femminismo – Le
donne non ci sono più dopo il femminismo, se non a causa di esso. C’è più donna
nella letteratura maschile, le frivolezze incluse di Fine Secolo, sulle sue
pulsioni e la stessa liberazione, inclusi i machos Tolstòj e Flaubert,
che in quella femminista. Dove la donna è una sola, che coltiva la nevrosi.
Ridotta all’uso genitale. Strana fissazione – è la liberazione di Sacher-Masoch,
lo stimato romanziere umanista, illuminista, storico, che ogni donna se la
facesse con chiunque.
Grecia – L’“invenzione della Grecia”, da Nietzsche a Heidegger, filologi
improvvisati - ma passando per Simone Weil, riflessiva e studiosa - è ora il
tema di un ponderoso studio di Mauro Bonazzi, antichista per eccellenza, “studioso
del pensiero politico greco e di Platone”, non si sa se con più danni, se non
delitti – Bonazzi è tutto per il beneficio. Di Platone soprattutto dapprima,
poi dei presocratici. Con l’incolpevole Omero fra tutti, naturalmente. Con il
fine di dare una nuova spinta al mondo, chiuso il costruttivismo (progressismo) illuminista-positivista.
Di fatto per espungere il cristianesimo, piccola scoria ebraica, “orientale”. Benché
la “scoperta” finisse – sia finita ma non per caso - per “giustificare” la
forza più che il senso critico, spogliato dalle sue certezze. Il “più” (saggio,
intelligente, acuto, potete), la concorrenza, la vittoria, cioè la competizione
o guerra. Il mercato. Che scoperta.
Ragione - Il
cherubino di Alain de Lisle ha tre paia d’ali, che tuttavia non eliminano la
pesantezza. La Natura, egli concluse, “forma un vero paralogismo”. Alain,
Alanus de Insulis, per il quale paralogismo è pure il coito di Pasifae col
toro, e sofisma: “Pasifae, da un’iperbolica Venere agitata di furori,
risolvendosi a un vergognoso paralogismo, commise col toro stupendo sofisma”.
Cosa credere, che si possa credere? Lo sviluppo della ragione è zero. Da
duemilacinquecento anni che esiste, dacché si raccolgono e confrontano i suoi
elaborati, la storia del pensiero è piatta. Anche il progresso è zero, in
quanto ragione. L’uomo è cresciuto in altezza e la vita media è triplicata, ma
c’erano una volta giganti, che vivevano mille anni – anche se, è indubbio,
l’età del ferro s’è perfezionata. Non c’è dunque nulla a cui credere.
L’uomo
dio di Hölderlin “quando pensa è un mendicante”. Perciò la scienza si ribella,
Whitehead lo dice di Galileo, scegliendo di nutrirsi d’ipotesi, armonie,
simmetrie, e d’ingenua fede, un moto antirazionalistico.
La ragione affascina perché è una sfida,
come il tempo, imprendibile. Si può credere in Dio, che è complicato ma
avvicinabile, è come voler bene a una persona, la fede è immaginazione. Di cui
poi dire che ci ha dato questo rompicapo, la ragione - Dio è anche un
passatempo.
La storia, la piccola micragnosa storia,
si lega per un fine filamento diabolico, la periodica insorgenza dell’argomentazione
impropria, inconclusiva, che esclude la ragione e la realtà. Da un secolo e
mezzo per esempio in forma di dialettica, che non porta in nessun posto ma si
vuole sistema del mondo e del reale. L’ambiguità è un passepartout – un
ruolo, una psicologia, una chiave letteraria – del riduzionismo intellettuale.
Tipico della cultura urbana, che ininterrottamente fa la cultura dal
Settecento, dall’unificazione cioè della cultura, fra colta e popolare, in un
genere medio, borghese, regolato, con canoni classificabili e per questo semplificati.
Per tutte le esperienze cancellate della narrazione – della rappresentazione –
si supplisce con l’ambiguità: specchio, doppio, mimetismo, ermafroditismo. E
per l’antico vezzo di celarsi.
Storia – È segnata dall’eternità, da percorsi (e tempi) a noi esterni e ignoti.
Suicidio – Ora che è
diventato semilegale, in Toscana per motivi terapeutici, si viene
normalizzando. È sempre autodistruzione, atto temibile, ma non più rimosso. Se
ne fanno statistiche, p.es. che in Italia è più maschile (11,8 per 100 mila nel 2024,
contro un 3,0 per le donne). Da tragedia greca a curiosità, al più. Sarà l’epoca
del suicidio – “assistito” certo?
Jason Zweig, che sul “Wall Street Journal” tiene una
rubrica di investimenti “intelligenti”, autore di un libro intelligente di grande
successo , “Your Money and Your Brain”, sulle neuroscienze dell’investimento –
applicate all’investimento – nonché rieditore del classico in materia, di Benjamin Graham, “The Intelligent Investor”,
ha preso una pagina del suo giornale per protestare contro il suo amico più
caro, Daniel Kahnemann, “uno degli studiosi più influenti al mondo”, Psicologo in
cattedra a Princeton, vincitore del Nobel per l’Economia nel 2002, per
la “Teoria del prospetto”, nel processo decisionale,
autore del best-seller mondiale “Pensieri veloci e lenti”. Perché a 90 anni,
ma perfettamente mobile e autonomo, festeggiò a Parigi gli anni con la famiglia,
e poi se ne andò in Svizzera, dove si era preparato il “suicidio assistito”.
Il suicidio non può essere una decisione
“intelligente”, né veloce né lenta - la psicologia è un po’ vaga, anche qui?
Viaggio – “Se ci si
fida dell’etimologia”, si spiega e spiega Armando Torno recensendo sul “Sole 24
Ore Domenica” Steven Runciman, “Alfabeto del viaggiatore”, “è il caso di
ricordare che il termine deriva dal provenzale ‘viatge’, il ‘veiage’ del
francese antico; quest’ultimo corrisponde al latino ‘viaticum’, la cui traduzione
è «provvista per il viaggio». In sostanza siamo dinanzi a qualcosa che nasce
dal viatico, da ciò che occorre per intraprendere, appunto, il viaggio”. E
aggiunge: “Il viaggiare si misura da quanto portiamo con noi. Per questo non tutti
gli spostamenti possono essere intesi come un viaggiare”. Anche perché il
viaggio, per quanto organizzato, è incerto – Torno conclude con Montaigne, che
nei “Saggi” spiega: “A chi mi domanda ragione dei miei viaggi solitamente
rispondo che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco”.
Il
viaggio, insomma, come una fuga – con un po’ di viatico? O come un’avventura,
in cerca dell’ignoto? Un po’ dell’una e un po’ dell’altra, certo.
zeulig@antiit.eu
La Ue riscopre l’innovazione
Gli Stati Uniti
innovano, la Cina copia, l’Europa regolamenta, questo è come i critici sintetizzano
l’approccio del Vecchio Continente all’innovazione tecnologica. Il caso più
incredibile dell’esagerazione regolatoria della Ue è l’ora famigerato Artificial
Intelligence Act, che governa l’IA – anche se il continente non ha ancora prodotto
un solo soggetto di peso in materia.
La produttività nelle
aziende tecnologiche americane è cresciuta di quasi il 40 per cento dal 2005,
mentre è stagnante tra le aziende europee. La spesa Usa per ricerca e sviluppo
in termini di quota dei fatturati è più del doppio di quella in Europa. Nessuna
azienda europea figura fra le dieci più grandi aziende in termini di
valutazione di mercato.
Qualcosa ora si
muove. Già alcune imprese europee sono brand globali: Spotify, la fintech
svedese Klarna, “buy now pay later”, la banca digitale britannica Revolut. L’Italia
ha una Italian Tech Alliance. La nuova Commissione di Bruxelles ha un
commissario all’innovazione - start-up, ricerca, sviluppo.
Alessandro Merli, Europe’s
Innovators are Waking Up, “F&D”, “Finance&Development”, Imf, free
online
martedì 17 giugno 2025
Il mondo com'è (483)
astolfo
Alice Barbi – È stata la
suocera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la madre di Alessandra “Licy” Wolff, la
moglie dell’autore del “Gattopardo”. Molto frequentata da Lampedusa da quando
si stabilì a Roma, sul finire degli anni 1920, moglie in secondo letto di Pietro
Tomasi della Torretta, zio di Tomasi di Lampedusa, fratello minore del padre
Giulio, secondo di cinque fratelli tutti maschi. Tomasi della Torretta era stato
un importante diplomatico. A Londra nel 1920 aveva sposato Alice, vedov del barone
tedesco-lettone Boris Wolff von Stomersee, il padre di “Licy”. Era poi stato ministro
degli Esteri del governo Bonomi, 1921-1922, su indicazione del re Vittorio
Emanuele III, che contemporaneamente lo nominò senatore. Al Senato era tornato nel
1927, dopo un lungo soggiorno a Londra come ambasciatore, quando fu escluso da
Mussolini dalla diplomazia - presiederà il Senato durante la Luogotenenza,
1944-1946, membro della Consulta, e nel 1948, dopo il primo voto politico,
membro di diritto del primo Senato, in base a una disposizione transitoria della
Costituzione (essendogli il nipote Giuseppe premorto, ereditò anche i titoli dei
Tomasi di Lampedusa connessi al maggiorascato: duca di Palma, principe di
Lampedusa, barone di Montechiaro, barone
della Torretta, Grande di Spagna di 1a classe).
Di Alice dice
tutto bene Gioacchino Lanza Tomasi nel libro di memorie, “Lampedusa e la Spagna”,
pp. 84-85: “Una donna autonoma e volitiva, vissuta lungo tempo all’estero. La
Barbi era un mezzosoprano di grande bellezza, un fiero e indipendente
carattere, era stata un perno delle serate di musica italiana da camera tenute
nel salone della regina Margherita, corrispondente e amica di Giuseppe Martucci,
prima di intraprendere una carriera di liederista in Germania, dove era stata l’ultima
fiamma di Johannes Brahms. Questi l’aveva accompagnata nel suo concerto di
addio, quando a quarant’anni aveva accolto la proposta di matrimonio del barone
baltico Boris Wolf von Stomersee”.
Nata a Modena nel
1858, morirà a Roma a novant’anni. Sposò Pietro della Torretta quindi a 62
anni.
Anche la sua
seconda figlia, nata due anni dopo Alexandra, Olga, sposò un diplomatico italiano,
Augusto Biancheri Chiappori, col quale vivrà poi a Roma. Olga è la madre di Boris
Banchieri, lo scrittore, anche lui diplomatico di rango, segretario generale
della Farnesina, che ha custodito molte memorie dello zio acquisito Tomasi di
Lampedusa, sempre a suo agio nella famiglia di Olga.
Giuseppe Becce – “È stato un
compositore italiano del cinema tedesco”, esordisce secca wikipedia. Oggi dimenticato,
è stato un personaggio importante, come attore e come musicista, del cinema in
Germania. Dove è morto, a Berlino Ovest, quasi centenario (di 96 anni), nel
1973. Era emigrato nel 1906, a 29 anni, originario di Lonigo (Vicenza), dopo
aver fatto studi, fra le tante applicazioni tentate, di musica e filosofia a
Padova. A Berlino approfondì gli studi musicali col maestro ungherese Arthur Nikisch,
e con Ferruccio Busoni, altro illustre espatriato – mezzo empolese, mezzo
triestino. Sarà compositore e direttore d’orchestra, ma fu famoso dapprima come
attore, di film importanti: “Richard Wagner” (1913), nel ruolo del compositore,
“Il gabinetto del dottor Caligari” (1920), “La tragedia di Pizzo Palù” (1929). Come
attore è ricordato anche per i Berg-Film, i film di montagna, dove ebbe come
co-protagonista anche Leni Riefenstahl.
È uno dei tre musicisti italiani di
maggior nome emigrati in Germania nel primo Novecento, con Busoni e Bruno
Maderna. Famoso soprattutto come compositore di musica per film. Che praticamente
ha inventato. Dapprima con gli accompagnamenti al piano, e con un piccolo complesso
orchestrale, Orchester des Berliner Mozartsaals –
che localizzò a Nollendorf Platz, “Nolli”, il centro della vita omosessuale a Berlino. Poi con la
colonna sonora. Musicista accreditato della Ufa, la maggiore casa di produzione
di cinema in Germania fra le due guerre, e nel dopoguerra con la Heimatfilm, tedesco-occidentale.
Per film musicali specialmente, su temi e arie d’opera e operetta. Editò dal
1920 per alcuni anni la rivista di settore (musica per film) più accreditata, “Film-Ton-Kunst”.
E pubblicò anche successivamente, nel 1927, il primo manuale della musica da
film, “Allgemeines Handbuch der Filmmusik”.
Ricciotto Canudo – Ricciotto Colombo Canuto Attilio Enrico
Canudo, conosciuto come Ricciotto Canudo, è l’inventore della “settima arte”, del cinema
come arte. Nel 1921, quando pubblicò il saggio-manifesto “La nascita della
settima arte”. A 44 anni, due prima di morire. A Parigi, dove viveva da 22
anni. Poligrafo (poeta, critico cinematografico, scrittore di varia umanità,
romanziere) apulo-parigino, è negli annali per questo, per l’invenzione della
“settima arte”. Ma anche per
esserne stato il primo studioso, sotto
molteplici aspetti.
Visse poco, dal
1877, quando nacque a Gioia del Colle, al 1923, quando morì a Parigi subito
dopo essersi sposato, e avere pubblicato il suo lavoro principale, “Riflessioni
sulla settima arte” –
“L’officina delle immagini”, che raccoglie i suoi migliori saggi sul cinema,
sarà pubblicato quattro anni più tardi, nel 1927, a opera dello scrittore
franco-belga Fernand Divoire. Ma operò e scrisse molto – non poco anche come
referente parigino di Gabriele D’Annunzio. Oggi sconosciuto ai più (la sola
traccia è una dissertazione di laurea una decina d’anni fa, allo Iulm, di
Giulia Mauri, per “Linguaggi dell’arte”, una monografia per “Un’estetica della
sintesi. Ricciotto Canudo teorico delle arti”), ma non in Francia, dove si
stabilì a 25 anni, abbandonando un modesto impiego al Comune di Roma. Si
stabilì a Parigi, visse per qualche tempo di stenti, ma presto diventò un
personaggio in vista del giornalismo e culturale. In Italia l’ultimo suo
ricordo risale al 1966, quando Mario Verdone, il critico cinematografico (papà
di Carlo), curò la prima, e poi unica, edizione italiana dell’opera maggiore di
Canudo, “L’officina delle immagini”, la raccolta curata da Divoire.
In Italia la sua memoria resta confinata a Villa Stampacchia, la
villa al mare, alla vecchia Marina di Bitonto, della madre Emilia Stampacchia,
che dopo varie vicissitudini è ora adibita dal Comune di Bitonto e dalle Belle
Arti a casa della sua memoria. Alta borghesia e genialità, la famiglia
Stampacchia, da cui Ricciotto può avere mediato carattere e predisposizioni.
Famiglia di giurisperiti e avvocati, gli Stampacchia di Bitonto – residenti a
Bari ma di origini leccesi. Un cugino di Ricciotto, Vito Mario Stampacchia,
nato cinque anni prima di lui, nel 1872, è stato nel dopoguerra, in tarda età,
deputato del Psi a Roma. Hanno costruito la villa due fratelli di Emilia,
entrambi avvocati e poi magistrati, due gemelli, nati a sei ore di distanza,
che moriranno a sei ore di distanza. Guido Stampacchia, di un ramo passato da
Lecce a Napoli, è stato nel secondo Novecento matematico illustre.
Ricciotto scartò. Fece pochi studi tecnici. A
18 anni si offrì volontario in sostituzione del fratello maggiore Raimondo al
servizio militare, fu ufficiale di complemento a Bari. Congedato, se ne andò a
Firenze, a studiare lingue orientali. Da Firenze esordiva nel 1898, a 21 anni,
come poeta, con una raccolta pubblicata a Bologna dell’editore Cappelli
(editore a spese dell’autore, come ancora nel 1923 per “La coscienza di Zeno”),
“Le piccole anime senza corpo”. Firmando “Karola, Olga, Edina”, la prima e l’ultima
due ragazze da lui mate, Olga la sigla di Onore, Lavoro, Gloria, Amore. Poi
passò a Roma, a studiare teosofia. Con un piccolo impiego.
Nel 1902, a 25 anni, è a
Parigi. Preso in benevolenza dal sociologo, criminologo e filosofo Gabriel Tarde,
che morirà nel 1904, entra nell’ambiente giornalistico, e della bohème intellettuale
e letteraria – vanterà l’amicizia di Apollinaire, Braque, Delaunay, Picasso,
Milhaud, Ravel. Dapprima come mediatore della cultura italiana - si adopererà
sempre molto per D’Annunzio, per i suoi scritti in francese e per la sua
ricezione a Parigi. E approfondirà la ricezione del cinema, la nuova arte. È
negli annali, gennaio 1908, un saggio sul cinema, che la rivista senese “Vita
d’Arte” pubblicò. Il 25 novembre dello stesso anno un suo “Trionfo del
cinematografo” fu pubblicato dal “Nuovo giornale” di Firenze. Nel 1911pubblicò
su “Les Entretiens idéalistes” la teorizzazione che veniva maturando della
nuova arte, detta allora la “sesta”, “La naissance d’un sixième art. Essai sur
le cinématographe”: “Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un mondo,
e quello dell’alba di un altro. La luce del crepuscolo è imprecisa, e i contorni di tutti gli aspetti sono confusi,
solo una vista affilata dalla volontà di scoprire gesti invisibili e originari
degli esseri e delle cose possono orientarsi in mezzo alla visione annebbiata dell’anima
mundi. Ma la sesta arte s’impone allo spirito inquieto e scrutatore. E sarà
la superba conciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti plastiche) e dei Ritmi
del Tempo (Musica e Poesia)”.
Un
saggio notevole per il concetto di “unità dinamica dell’arte”, delle
interconnessioni fra le arti, plastiche e dei “ritmi del tempo”, e della loro continua,
intrinseca, evoluzione, tecnica e creativa – “il teatro ha realizzato fin qui
questa conciliazione. Era effimera, perché la plastica del teatro s’identifica con
quella degli attori, ed è per conseguenza sempre diversa”, il cinema la
realizza. Un saggio che ebbe agio di leggere alla École des hautes études, per la presentazione
del film “L’Inferno”, di Giuseppe De Liguoro.
L’interesse
per il cinema sarebbe stato anche anteriore a questi scritti documentati. Sisto
Sallusti, pseudonimo redazionale, nella voce che la Treccani ha dedicato a Canudo nel vol. 18 (1975) del
“Dizionario biografico degli italiani”, lo fa anche “inventore, all’età di trent’anni,
nel 1907, (del) primo cineclub del mondo, che denomina «Le Club des Amis du Septième Art», in cui si parla di tecnica cinematografica,
montaggio, rapporti tra la luce e l’azione”. L’“invenzione del cineclub” è
dibattuta - ma non eravamo ancora alla “sesta” arte? Di certo, nel 1913 fondò e
diresse una rivista, “Montjoie”, per l’“unificazione” delle arti. Nel 1914, il
9 febbraio, pubblicò anche lui un suo “manifesto” su “Le Figaro”, sulla scia di
Marinetti nel 1908, contro il sentimentalismo e per la sperimentazione e l’innovazione,
“Manifeste de l’art cérébriste” - per “un’estetica indissolubilmente cerebrale
e sensuale, contro ogni sentimentalismo nell’arte e nella vita”.
Allo
scoppio della guerra si arruolò nella Legione straniera. Aggregato, col grado
di tenente, alla Legione Garibaldina, con la quale combatté nelle Argonne. Nel
1915, con l’entrata in guerra dell’Italia e lo scioglimento della Legione, fu
comandato in Algeria, a Orano, la città che sarà di Camus. Passò capitano,
tornò in Europa, e al comando di una compagnia di zuavi combatté contro la
Turchia, in Macedonia e nei Dardanelli. Fu ferito, forse, e comunque ottenne
numerose decorazioni militari, anche italiane.
La
“settima arte” nasce definitivamente nel 1921, col manifesto così intitolato,
“La nascita della settima arte”. Il cinema unisce spazio e tempo, le arti
plastiche con la musica e il movimento, la danza. Il cinema dunque arte totale,
“nuovo mezzo di espressione”, “officina delle immagini, “scrittura di luce”.
Pubblicò anche un romanzo (in francese, nel
1913, “Les Transplantés”), prose brevi, come quelle dell’esordio, “Piccole
anime senza corpo”, raccolte poetiche, tragedia, un balletto (una
rappresentazione con scene di Fernand Léger e musica di Honegger), saggi
musicali e sulla letteratura (anche su Dante, “L’âme dantesque”).
Trascurato nelle biografie, il balletto fa
di Canudo un personaggio centrale nella scena parigina dopo la Grande Guerra.
Ricordato per i costumi di Fernad Léger, il balletto “Skating Rink à
Tabarin/Ballet-aux-Patins/pour la musique”, coreografo Jean Börlin, musica di Arthur
Honegger, era una produzione 1922 dei Ballet Suédois, la compagnia fondata dal
collezionista d’arte svedese Rolf de Maré sul modello dei Ballets Russes di
Diaghilev, e si basa su una poesia dallo stesso titolo pubblicata da Canudo nel
1920.
Ricciotto scartò. Fece pochi studi tecnici. A 18 anni si offrì volontario in sostituzione del fratello maggiore Raimondo al servizio militare, fu ufficiale di complemento a Bari. Congedato, se ne andò a Firenze, a studiare lingue orientali. Da Firenze esordiva nel 1898, a 21 anni, come poeta, con una raccolta pubblicata a Bologna dell’editore Cappelli (editore a spese dell’autore, come ancora nel 1923 per “La coscienza di Zeno”), “Le piccole anime senza corpo”. Firmando “Karola, Olga, Edina”, la prima e l’ultima due ragazze da lui mate, Olga la sigla di Onore, Lavoro, Gloria, Amore. Poi passò a Roma, a studiare teosofia. Con un piccolo impiego.
Nel 1902, a 25 anni, è a Parigi. Preso in benevolenza dal sociologo, criminologo e filosofo Gabriel Tarde, che morirà nel 1904, entra nell’ambiente giornalistico, e della bohème intellettuale e letteraria – vanterà l’amicizia di Apollinaire, Braque, Delaunay, Picasso, Milhaud, Ravel. Dapprima come mediatore della cultura italiana - si adopererà sempre molto per D’Annunzio, per i suoi scritti in francese e per la sua ricezione a Parigi. E approfondirà la ricezione del cinema, la nuova arte. È negli annali, gennaio 1908, un saggio sul cinema, che la rivista senese “Vita d’Arte” pubblicò. Il 25 novembre dello stesso anno un suo “Trionfo del cinematografo” fu pubblicato dal “Nuovo giornale” di Firenze. Nel 1911pubblicò su “Les Entretiens idéalistes” la teorizzazione che veniva maturando della nuova arte, detta allora la “sesta”, “La naissance d’un sixième art. Essai sur le cinématographe”: “Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un mondo, e quello dell’alba di un altro. La luce del crepuscolo è imprecisa, e i contorni di tutti gli aspetti sono confusi, solo una vista affilata dalla volontà di scoprire gesti invisibili e originari degli esseri e delle cose possono orientarsi in mezzo alla visione annebbiata dell’anima mundi. Ma la sesta arte s’impone allo spirito inquieto e scrutatore. E sarà la superba conciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti plastiche) e dei Ritmi del Tempo (Musica e Poesia)”.
La “settima arte” nasce definitivamente nel 1921, col manifesto così intitolato, “La nascita della settima arte”. Il cinema unisce spazio e tempo, le arti plastiche con la musica e il movimento, la danza. Il cinema dunque arte totale, “nuovo mezzo di espressione”, “officina delle immagini, “scrittura di luce”.
Pubblicò anche un romanzo (in francese, nel 1913, “Les Transplantés”), prose brevi, come quelle dell’esordio, “Piccole anime senza corpo”, raccolte poetiche, tragedia, un balletto (una rappresentazione con scene di Fernand Léger e musica di Honegger), saggi musicali e sulla letteratura (anche su Dante, “L’âme dantesque”).
Trascurato nelle biografie, il balletto fa di Canudo un personaggio centrale nella scena parigina dopo la Grande Guerra. Ricordato per i costumi di Fernad Léger, il balletto “Skating Rink à Tabarin/Ballet-aux-Patins/pour la musique”, coreografo Jean Börlin, musica di Arthur Honegger, era una produzione 1922 dei Ballet Suédois, la compagnia fondata dal collezionista d’arte svedese Rolf de Maré sul modello dei Ballets Russes di Diaghilev, e si basa su una poesia dallo stesso titolo pubblicata da Canudo nel 1920.
astolfo@antiit.eu
Una favola nixoniana – quasi trumpiana
Curioso film si faceva a Hollywood venti e passa anni fa, molto
repubblicano, quasi trumpiano. Da un regista celeberrimo per “Smoke”, trent’anni
fa. Con attori impegnati e anche impegnatissimi, Jennifer Lopez, Ralph Fiennes,
Stanley Tucci, Bob Hoskins.
Marisa Ventura è cameriera in un albergo di lusso a Manhattan, che raggiunge
ogni mattina dal Bronx, dove abita, con un figlio adolescente un po’ svogliato,
anche perché il padre divorziato è volentieri assente. Si comincia con i soliti
problemi della dignitosa povertà. Se non che il ragazzo, appassionato di
storia, è convinto repubblicano, stima Nixon, etc.. L’incontro sarà fatale della
madre col giovane politico repubblicano candidato al Senato, che ha il quartier
generale elettorale in albergo.
Semplice, una commediola “hollywoodiana”, vecchio stile, di buoni
sentimenti, sulla traccia di “Cenerentola”: il bello, ricco e potente,
concupito da ereditiere e regine della scena, s’innamora della cameriera d’albergo,
onesta e assennata. La sorpresa è Nixon – allora Trump non era un fenomeno.
Wayne Wang, Un
amore a 5 stelle, Rai 1, Raiplay
lunedì 16 giugno 2025
Problemi di base sciocchi - 867
spock
“Nessuno vuole
essere sciocco”, F. Dostoevskij?
“Uno sciocco
propriamente non dovrebbe arrossire per la sua stupidità”, id.?
“Allo sciocco
è perdonato se non è più intelligente di chi è intelligente”, id?
“Apparteneva a
quella schiera di uomini indiscutibilmente intelligenti che per tutta la vita
non fano altro che sciocchezze”, id.?
“Le persone limitate
commettono assai meno sciocchezze di quelle intelligenti – da che dipende”,
id.?
“L’intelligenza,
l’intelligenza, la più allarmante paura
è per la propria intelligenza”, id.?
Russia sconosciuta e incompresa
“Se c’è al mondo
un Paese che è, per gli altri paesi distanti o confinanti con esso, più
sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile di tutti gli altri,
questo Paese è indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali”.
Parte pimpante Dostoevskij, emergendo a San Pietroburgo dal confino militare a Semipalatinsk,
da poco finita la guerra di Crimea, tre anni di stereotipi antirussi in Francia
e in Inghilterra, che però non ebbero niente come “I racconti di Sebastopoli”, come
Tolstoj, in questo saggio che doveva aprire una lunga riflessione sulla Russia
e inaugurava nel 1861 la rivista “Vremja” ideata e editata col fratello Michail.
Anche arrabbiato: “Essi anche tra di loro non si conoscono bene del tutto”. Il
che è pure vero un secolo e mezzo dopo. Ma senza acredine, le nazionalità sono
diversissime in Europa. E sono cattive in epoca di nazionalismi, esclusive e
ostili: “L’idea dell’umanità universale sempre si cancella fra di loro”.
Sarà un tema
costante in Dostoevskij, la misconoscenza della Russia in Europa. Lo riprenderà
in più passi del “Diario di uno scrittore”. Estate 1876: “Per l’Europa la Russia
rappresenta un dubbio, ogni sua azione rappresenta un dubbio, e così sarà fino alla
fine”. Non perplessità, è disprezzo, aggiungerà a gennaio del 1877: “Grattate,
dicono, un russo e vedrete il tartaro”. E aggiunge: “E intanto, noi non
possiamo in nessun modo rinunciare all’Europa. L’Europa è la nostra seconda
patria, io per pimo con passione lo confesso e l’ho sempre confessato. L’Europa
ci è quasi cara come la Russia”. Qui contesta l’immagine che della Russia viene
data in conseguenza della guerra – che non cita. Anche in campo militare: “Da
dove avete appreso che noi siamo dei fanatici, cioè che il nostro soldato è
mosso dal fanatismo… Se c’è al mondo un essere che non è affatto partecipe di
alcun fanatismo, questo è proprio il soldato russo”.
Seguono pagine divertenti
sui “viaggiatori” e “specialisti” europei al soccorso della Russia, nonché sui
ciabattini e altri in cerca di lavoro. Specie i tedeschi – i ciabattini dettano
legge, i dotti si fanno carriere catalogando moscerini, oppure “prendono la ‘Russiada’
di Cheraskov e la traducono in sanscrito”, un dotto tedesco sa bene il
sanscrito. Particolarmente incapaci di capire i russi sono i tedeschi, che sono
anche quelli che in più gran numero affluiscono in Russia, ma tutti, dal
ciabattino al ciambellano, invariabilmente invasi da un senso di superiorità
Molte le amenità
anche sui francesi, che sanno già tutto, non hanno bisogno di imparare. Molto
poi è dell’animo russo, “popolare”, boiardi e servi, niente classismo. Specie
nella letteratura, con molto Gogol’ – che ora si vuole ucraino (quale era, ma ora
quasi antirusso) e Lermontov. Incidentalmente Tolstoj, come Autore Supremo, e infine
Puškin, un cenno. “Qual boiardi qui! ... In tutti i nostri ceti ci sono più
punti di contatto che di separazione…. Ogni russo è anzitutto un russo e quindi
già appartiene a una certa classe”.
Con un lungo
appello, pagato un tributo al nuovo zar, Alessandro II, all’alfabetizzazione
obbligatoria.
Nella pubblicistica
di Dostoevskij il nazionalismo mancava – perlomeno del Dostoevskij conosciuto,
questa è la prima traduzione italiana. Non trinariciuto, anzi con una vena di
humour, e molta conoscenza di mondo.
A cura e con la traduzione
di Lucio Coco, lo studioso della religiosità russa. Che ha corredato il testo di molte - necessarie, informative - note. Con l’originale a fronte.
Fëdor Dostoevskij,
Russia, Aragno, pp. 188 €18
domenica 15 giugno 2025
Ombre - 778
Pride a Roma: un milione di partecipanti secondo gli organizzatori, 30 mila secondo la Questura. Non è una questione di opinioni, il richiamo delle “adunate oceaniche “ è irresistibile. “Di destra", direbbe Celentano da via Gluck, “e di sinistra”.
L’ex
presidente francese Sarkozy privato della Legion d’honneur, il primo dopo
il maresciallo Pétain, collaboratore dell’occupante tedesco, non se ne parla,
ma è stato il nemico dell’Italia – l’unico che l’Italia abbia avuto nel dopoguerra:
dapprima contro il debito italiano, poi contro la Libia di Gheddafi, perché troppo
legata all’Italia. Di Gheddafi da cui era stato finanziato, ed è il motivo per
cui è stato condannato, al carcere.
Finalmente,
dopo due mesi e qualche giorno, “Il Sole 24 Ore” scopre l’abuso del golden
power da parte del ministro leghista Giorgetti - lo fa scoprire, in piccolo,
in basso, a p. 8, da Renzi, dichiaratore ora di professione (da “rottamatore” arcipotente
a “dichiaratore” , quasi un piazzista…): “Golden power? Bomba nucleare. Tra le
banche vinca il libero mercato”.
Ma no, a
ripensarci, oh Renzi, che bomba? “Soltanto” un ministro che si appropria di
mezza finanza, considerando Unicredit una banca estera…. Per di più senza giurisdizione della Baca
entrale europea. E della Unione Europea.
La Lega
se non ci fosse sarebbe difficile da inventare (ma, poi, la Lega non è Milano, ben
legata alla curia e ben protestante, io e il mio Dio?).
Leggere
il ritratto che Caruso fa sul “Foglio” di Galeazzo Bignami, capogruppo di Meloni
alla Camera, fa quasi buonumore - come dire: “L’abbiamo scampata”. Il padre professore
di Matematica “gambizzato” perché fascista – poi ne morirà – da Nuclei Armati
Proletari. “Per impedire che venisse curato” in ospedale “i sindacalisti della Cgil
organizzarono i picchetti”. Ad Almirante “i comunisti impedirono fisicamente di
entrare in ospedale, le infermiere consigliarono, per strada, di dimenticarsi di
quel paziente”. Personalmente bullizzato con costanza e con ferocia per cinque
anni “al liceo Righi, una preside comunista – camminare a quattro zampe, con il
guinzaglio”, il panino “passato sul bordo del water”. A Bologna, città modello
che il Pci vendeva alla stampa internazionale. Si capisce che non si fa la storia
della Repubblica.
Un’altra
storia che non si fa, da “Mani Pulite” in qua - ma anche da prima - è quella della
magistratura. Che è roba da ancien régime, e non per gli ermellini e le
mazze. Un covo di “irritualità”, come scherzava Di Pietro, o era Borrelli, l’andreottiano,
il re dei “resistenti”: sul “caso Palamara” (le nomine decise in petit comité,
divise per correnti sindacali) “molto è stato insabbiato", può dire incontestato
Nordio, il ministro: “Non possiamo credere che lo scandalo Palamara si sia limitato
a quei quattro poveretti che si sono dimessi”.
Qualsiasi
cosa succeda nel mondo - ora la guerra di Israele contro l’Iran - in Italia è
tutto uno “Scholz – o è Merz? – si sente con Macron e Starmer”, e tutt’e tre
fanno non si sa che. Mentre non fanno niente. E non contano niente.
Macron,
che “minaccia” di riconoscere lo Stato palestinese – che una dozzina di paesi
europei da tempo riconoscono, al seguito della Spagna (in Spagna, al tempo di
Franco, quindi fino al 1975, si scriveva “Israele”) – non è nemmeno riuscito a
liberare due giovani francesi tenuti in ostaggio da tre anni dagli ayatollah –
Meloni ci è riuscita in tre giorni.
Ma il
curioso è che non c’è questa agitazione a tre nei giornali inglesi, né in quelli
francesi – questi conoscono Macron, è uno più macho, se possibile, dell’emerito
Sarkozy.
“Alta
Società" sul “Foglio” (non più Carlo Rossella?) dà forse la chiave del mistero
dei media italiani, tutti così monocordi. Sono tutti (vedovi)
democristiani? Al matrimonio sul Tevere di Fabrizio Roncone, simpatica
canaglia (pettegoliere) del “Corriere della sera”, “Alta Società” ha infatti
trovato, benché svogliati, noti democristiani – oltre naturalmente agli
ornamentali Pd, Rutelli, Veltroni e Gualtieri, in qualità di sindaci di Roma.
L’intervista
di Marco Cremonesi si legge un po’ azzoppata, ma merita la lettura Roberto Calderoli,
il dentista bergamasco, ma anche pilota spericolato di rally, quando se
ne facevano, che spiega sul “Corriere della sera” come “si fa” la politica, i trucchi,
le furbate, e come le istituzioni si difendono:
https://roma.corriere.it/notizie/politica/25_giugno_15/calderoli-referendum-9d6cbb93-7f4a-4c91-a6c5-e52384248xlk.shtml
“Arriva
Sbarra nel governo (con polemiche)”. Poi uno va a leggere e le polemiche non ci
sono. C’è solo Appendino, chi era costei?, alla quale giustamente è lasciata una
riga – “una nomina sconcertante” (forse perché Sbarra è calabrese, non torinese
come Appendino?).
Però,
Sbarra con Meloni, cioè la Cisl dopo Coldiretti. È la “pancia Dc” che punta
diretto su Meloni, - con più convinzione che, a suo tempo, su Berlusconi. Lo
steso Manfred Weber, capo dei Popolari europei, e Ursula von der Leyen. Acculare
Meloni al fascismo come fanno i media, è l’ultimo trucco del solito “partito della
crisi” – azzoppare il governo, quale che sia.
Il Procuratore
Federale di Los Angeles, favorevole alla politica trumpiana contro l’immigrazione
illegale, è figlio di indiani. Intervistato da Viviana Mazza sul “Corriere della
sera” non si giustifica. Spiega una miriade di modi come le “autorità locali”,
per motivi politici, proteggono i clandestini anche se rei condannati e
carcerati. L’Italia se li è presi, gli indesiderabili, condannati, all’uscita
dal carcere. La questione immigrazione è semplice, ma l’immigrato serve alla
piccola politica.
Molte pagine,
otto o nove anni fa, agli immigrati via Libia che denunciavano l’Italia (di
Minniti e Gentiloni) alla Corte europea – agli avvocati dei migranti, autonominatisi.
Poche righe per la sentenza, di rigetto del ricorso. Titta l’informazione è all’ora
della cronaca nera, l’importante è fare scandalo, fare rumore – non c’è distinzione
fra scandalismo e informazione. Non c’è più stampa seria.
Copertina
da “studio”, in posa, molte foto lusinghiere e molte pagine su “7” per Alessandro
Benetton, che pubblica un nuovo libro, “Mai fermi”, e con i tre figli, e nemmeno
una parola per dire che sua moglie, la madre dei tre figli, è o era Deborah Compagnoni
– che pure è un personaggio leggendario. Su un settimanale diretto da una donna.
“Jobs
Act? Il vero problema sono i salari bassi”. Anche il Pd ha chi sa come le cose
vanno, anche se non ci vuole molto, solo un po’ di buonsenso - e Enrico
Morando, che ne è stato a lungo suo rappresentante al ministero dell’Economia,
naturalmente non ha dubbi. Ma non può raccontarlo al suo partito.
Mercoledì
l’argomento referendum non è la sconfitta (il sottinteso è la vittoria nella sconfitta,
vecchio sovietismo) ma la riforma del referendum. La colpa è del referendum. Ce ne vuole uno senza
quorum, insomma: un referendum delle minoranze, giusto o sbagliato che sia (è
sbagliato), ma è onesto? I grandi giornali, “la Repubblica”, “Corriere della
sera”, “la Stampa”, sono per informare e indirizzare i lettori o per fregarli,
spingendoli su binari morti?
Mercoledì
il “Corriere della sera” ha ben sei articoli contro Trump in California, con l’esercito
contro i manifestanti. I giornali americani anti-Trump, “New York Times”, “Washington
Post”, ne hanno meno – e sulla questione specifica, immigrazione incontrollata
e teppismo, prudenti. Il vecchio antiamericanismo dei vetero-compagni, seppure
emigrati a New York? La revoluciòn -
il sud americanismo in agguato? Una questione di logge?
“Cittadinanza,
tra i 5 Stelle vince il no”, è la valutazione dell’Istituto Cattaneo di
Bologna, specialista dei flussi elettorali: 61 per cento di no a Milano, 67 per
cento a Genova, ben il 69 per cento a Bologna. Sono valutazioni e non dati, però… Dall’altra parte, non pochi “leghisti e
meloniani” hanno detto sì l’abolizione dell’art. 18.
“Landini
e la sconfitta: «Dare le dimissioni? Non ci penso proprio». È la conferma: uno
che primeggia ai talk-show, anche se attore mediocre, monocorde, monoespressione
(l’Incazzato), a capo di un sindacato che non sa più nemmeno di esistere.
Come si
finanzia il sindacato? Le aziende pagano ancora secondo le vecchie,
vecchissime, quote associative?
Si sprecano
commenti su Sinner-Alcaraz. Tra il tecnico (“vi dico io come si fa”), il
sentimentale (la madre di Sinner), e il politico (l’antitalianismo francese,
del Roland Garros). Segno di una grande delusione. Il tennis italiano, come il
nuoto, è in fiore, a livello agonistico e dilettantistico, ma questo non è un
primato, la buona gestione, la buona politica. Primato è solo il trofeo – anche
se vince uno antipatico come lo spagnolo, che a ogni colpo riuscito chiede
l’applauso.
L’Europa
è con le pezze al culo. È l’analisi dell’ultimo “Economist”, edizione speciale,
sotto il titolo “Insopportabile autocompiacimento dell’Europa”. Uno speciale
che si apre col “Gattopardo”: “Perché le cose rimangano le stesse, tutto deve
cambiare”. O la furbizia – rassegnazione – di progettare riforme che si
rinviano – “dammi la volontà di fare le riforme, Signore, ma non si potrebbe domani?, dice la rivista, non un cartoon. Una riflessione condita con
molti indici, in un’ottica europeista (il settimanale era anti-Brexit).
Appena arrivato
in Italia, direttore tecnico o quello che è della Juventus, la squadra di
calcio, Comolli ha detto subito la verità che nessuno dice: con la squadra di
Gianni Agnelli l’Italia ha vinto due Mondiali, 1986 e 2006, senza non si è nemmeno
qualificata a due Mondiali, e ora fatica al terzo. Semplice: ci vuole una squadra per
vincere al calcio.
“L’era
dei frugali è finita, i tempi sono cambiati, ora la cosa importante è riarmare
l’Europa”, Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca. È sempre un’Europa
“loro”, prima frugali, poi spendaccioni. La “legge dei più” – cosa?
“Per la prima
volta dal 2008, in Spagna la disoccupazione scende sotto i 2,5 milioni”.
Evviva! In Italia, 59 milioni di persone, undici in più della Spagna, il numero
dei disoccupati è d 1,5 milioni. Ciò nonostante, la crescita del pil in Spagna
è analoga a quella dell’Italia, e qualche trimestre con uno o due decimi in
più. L’economia va meglio con i disoccupati?
“Il Sole
24 Ore” che ammonisce o decreta in prima pagina: “Rischio crack, i bond
Usa come quelli greci?”, non è anti-trumpismo (e come può essere, anche la
Confindustria è anti-Trump?), o a chi le spara più grosse (“Il Sole” è timorato
di Dio). Perché il debito federale Usa sale di 3 mila miliardi nel 2030, per effetto
della legge Trump di bilancio federale? Ma non è aumentato di 8.400 miliardi
nei soli quattro anni di Biden, “Il Sole 24 Ore” non se n’è accorto?
Più curioso
ancora è che il giorno prima il “Financial Times”, anch’esso a forti caratteri
in prima pagina, assicurava: “Gli Usa non saranno mai insolventi sul loro
debito”. Anche perché stampano loro i dollari, no? È una guerra di opposti
estremismi? Il “mercato” ci guadagna con l’uno e con l’altro allarme? E poi,
Trump non è pazzo? Nessuno che dica che il dollaro si è svalutato di quel 12-14
per cento che Trump voleva - anche con la
furbissima Cina – coi suoi dazi a sproposito.
I baroni coldiretti
Lo storico ritorna sullo studio
dei suoi esordi, che è anche il testo ormai canonico del Cinquecento di Napoli,
“Economia e Società nella Calabria del Cinquecento” (che ha avuto quattro
riedizioni, dal 1965 al 1995, di cui tre con parziale rifacimento), ridefinendo
alcune polemiche insorte successivamente. Specie sulla “rifeudalizzazione” al
tempo della prima monarchia spagnola del viceré De Toledo, e poi con i
successori.
Una storia che ha come tema la
Calabria ma si svolge per pratiche e normative che interessavano tutto il Regno,
tutto il Meridione. E un approccio, sulla rifeudalizzazione, che trova la conferma
ancora nella realtà della Calabria postbellica, a metà Novecento, quando le
riforme agrarie frantumarono marchesati e baronie, la cosiddetta “rifeudalizzazione”
consistendo nella moltiplicazione dei titoli baronali, una forma di
rimpinguamento dell’erario, mentre il vecchio come il neo barone si configura come
un proprietario terriero, a contatto quotidiano con fittavoli o braccianti, con
più o meno sagacia o fortuna – niente di più dell’odierno “coltivatore diretto”.
La feudalità è tutt’altra cosa – ed è, si direbbe a occhio, quella che è mancata
alla Calabria: una cornice di diritto, sia pure oppressiva, con debiti e non
solo crediti – storici, sociali, di classe.
Una trattazione piena di cose, oltre
che di polemiche accademiche più o meno scoperte. Galasso sarà stato uno dei pochi
storici che nel secondo Novecento hanno voluto e saputo frugare fra realtà vive
e documenti, non limitandosi, anzi escludendoli programmaticamente, ai facili paraocchi
ideologi, alle storie delle formule vuote.
Giuseppe Galasso, La Calabria
spagnola, Rubbettino, p. 238 € 12
sabato 14 giugno 2025
La Sei Giorni degli ayatollah
Non è detto che questa guerra duri Sei Giorni, come nel 1967, ma l’effetto
è già lo stesso. Israele non ha distrutto l’aviazione iraniana, missili compresi,
a terra, ma ne ha decapitato i comandi. Anche le giornate sono le stesse,
allora 5-11 giugno. E l’effetto politico: Nasser durò ancora tre anni, cioè
fino alla morte, nel 1970, ma il nasserismo finì con la guerra. Allora come oggi
l’appoggio russo si rivela inefficace – e la Cina è, e si vuole, distante.
Quanto dureranno gli ayatollah al dominio dell’Iran è problema minore –
il Medio Oriente non ha movimenti politici organizzati. Ma, mentre Nasser significava
molte cose popolari, la modernizzazione, un po’di socialismo, molto panarabismo,
con le quali aveva segnato il risorgimento del mod arabo, gli ayatollah si sono
ostracizzati tutti i vicini: Iraq, Siria, Libano, Afghanistan, lo stesso Yemen e
i potentati della penisola arabica, l’Egitto e il Maghreb (l’Algeria farebbe un
funerale di tutto il khomeinismo). La loro unica causa è l’islamismo, sharia
e jihad, col quale hanno solo alimentato morti, a milioni, e odio. Il loro
stesso Paese, antico, civile e di grande cultura, hanno violentato in tutti i modi, con la censura,
le impiccagioni, il carcere, la proibizione di pensare – e gli assassini mirati (uno ache a Roma, Hossein
Naghdi). Non reggeranno alla guerra.
Più debito che pil
Il debito pubblico
mondiale si avvia al 100 per cento del pil globale alla fine della decade. Oltre
a emettere nuovo debito, molti Paesi sempre più sperimentano e utilizzano forme
opache di finanziamento. Che rendono difficile la proiezione, ma la tendenza è
netta.
La spinta maggiore
viene dai paesi emergenti, Cina compresa, e dalle economie in via di sviluppo. Che ora contestano, si può aggiungere, le agenzie di rating - i vigilanti. Tra i Paesi industrializzati gli Stati Uniti sono in corsa, dalla crisi del covid,
verso un rapido raddoppio del debito. Il primo bilancio della presidenza Trump
porterà a un aumento del debito di 3.000 miliardi in dieci anni, poco meno del
10 per cento di aumento sul debito in essere, 36.200 miliardi. Ma il grande balzo
è stato già fatto nei quattro anni dell’amministrazione Biden, con un balzo del
debito di ben 8000 miliardi, da 27.800 a 32.600.
Disclosing Debt. International
Monetary Fund. Weekend Read, f ree online
venerdì 13 giugno 2025
Le banche alla Lega
“Una procedura con 4 stranezze, 4 invitati, e 4
identici prezzi in 9 minuti. Le modalità con le quali nel novembre 2024 il ministero del Tesoro ha ceduto, attraverso
incarico a Banca Akros, il 15 % per cento di Monte dei Paschi di Siena a Banco
Bpm (5%), Caltagirone (3,5%), Delfin (3,5%) e
Anima (3%) sono oggetto di una inchiesta della Procura di Milano con persone
iscritte nel registro degli indagati («modello 21»)”. Prudentemente, in pagina
interna, il “Corriere della sera” infine interrompe con Ferrarella, il suo cronista giudiziario,
il fragoroso silenzio sul “banche a me” del ministro Giorgetti” – il “riassetto”
bancario che Giorgetti governa per conto della Lega. Il più grosso scandalo
politico dopo “Mani Pulite”.
Un fatto molto evidente, perfino a questo sito
http://www.antiit.com/2025/02/ombre-758.html
http://www.antiit.com/2025/01/lopa-di-roma-su-milano.html
http://www.antiit.com/2024/11/ombre-747.html
sul quale finora non una parola –
Milano è pettegola, ma quando vuole (altrove si direbbe mafiosa).
Le stranezze, sulle quali la Procura
di Milano non può più, dopo sette mesi, non indagare (anche perché Mediobanca si
è querelata - e Unicredit potrebbe farlo, se lo spesso muro della
iperredditività dovesse incrinarsi), sono evidenti. Giorgetti dà incarico a Banca
Akros di vendere in fretta – accelerate book
building – il 15 per cento di Mps. L’11 novembre 2024? Giovedì 14 l’affare è
fatto: Akros, gruppo Bpm, ha collocato il 5 per cento con Bpm, il 3 per cento
con Anima, sempre gruppo Bpm, e il 7 per cento in due quote eguali a due “compagni
di merende” di Giorgetti, Caltagirone e gli eredi Luxottica. La compagine con la
quale due mesi dopo il ministro ha lanciato l’ops su Mediobanca-Generali.
Semplice.
Berlinguer, famolo santo
“Il film indaga perché Enrico
Berlinguer è il politico più amato a quarant’anni dala sua scomparsa” – questo il
blurb di presentazione. La nostalgia si può capire, magari in chi
nasceva quando Benigni furbo si affermava col “Berlinguer, ti voglio bene”,
1977. Ma a quarant’anni di distanza c’è appunto la distanza. E non si capisce.
Forse perché visto dopo la
scorpacciata di apologie del papa Francesco, sa particolarmente di falso. Un’apologia
si regge se in qualche misura, per qualche aspetto, anche solo per la distanza o
la lontananza, è condivisa, accomuna Ma
qui quello che va in scena non è Berlinguer, sono gli autori e i loro –
possibili, previsti – spettatori. Per
dire: anche di paga Bergoglio si sono fatti una decina o dozzina di film tutti
insieme, come per Berlinguer, ma non altrettanto stucchevoli.
Pesa
poi anche la distanza, la prospettiva storica. E non si vede come si possa
glorificare un leader vita di partito
che ha distrutto il suo partito. Letteralmente, volutamente. Che si voleva
lontano dal sovietismo ma il suo partito non lo voleva altrettanto lontano, nei
finanziamenti, nell’organizzazione, nelle procedure. Che piuttosto che farne un
partito socialista o socialdemocratico lo ha appaltato all Dc. Alla Dc? Si veda
ancora oggi a Roma, nella comune, irrefrenabile, spudorata corruzione, in opere
e omissioni, in appalti e trabocchetti.
Una
trama di ricordi personali scelti e montati ovviamente “al punto”. Un’enfatizzazione
del disacco dal sovietismo – quado tutti sanno che il partito fu finanziato da
Mosca fino al 1989. Un personaggio che sarà stato anche simpatico (in
Parlamento e coi cronisti non lo era), ma al congresso del 1975, quando già
aveva lanciato il “compromesso storico”, al congresso del Pcus, il partito
comunista sovietico, ribadiva la la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per
l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono
sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Superiore negli
anni di Breznev? Mah.
E
la “questione morale” come scudo?. Morale di chi riceveva e gestiva non solo le
tangenti pretese da Eni e Finsider dal Pcus e depositate in Svizzera, ma anche
oro, pelli, e perfino dollari, in mazzette? Onesto a suo modo: nel 1984, poco
prima della morte, a Minoli che in tv gli chiedeva quale era la personalità internazionale
che più ammirava rispose: Janos Kadar, il capo del partito e del governo
ungherese che aveva rovesciato con i russi al rivolta del 1956. Uno che chiuse
il partito, piuttosto che farlo socialista, in “deriva solipsistica” (Piero
Fassino), con la sempre incresciosa “autoconsolatoria riaffermazione di
diversità” (id). Maneggiato peraltro da Tonino Tatò, un filibustiere politico,
la quinta colonna “democristiana” al suo fianco.
Per
quale motivo Miriam Mafai, buona comunista da una vita, chiedeva di
“Dimenticare Berlinguer”, nel 1996? “Col passare degli anni quella opzione
strategica (il “compromesso storico”, n.d.r.) appare sempre più chiaramente
come uno dei fattori – se non addirittura come una delle cause principali –
della difficoltà della sinistra italiana, e della crisi politica e istituzionale che ancora travaglia il nostro
Paese”.
Un
film “con il contributo della presidenza del consiglio dei ministri” - nel
2025? Prodotto dalla Fondazione Cespe, che dunque ancora esiste - la creazione di Eugenio Peggio (quanti problemi con Enrico...).
Farina,
“sociologo e saggista”, che “nel 2009, a vent’anni, crea enricocoberlinguer.it,
il primo sito web su Enrico Berlinguer”, è anche autore con Bianca Berlinguer di
un “Per Enrico, per esempio. L’eredità politica di Enrico Berlinguer”. Qual è? Ma
gli autori vanno a passo di marcia, “Enrico Berlinguer continua ad essere il leader
politico più amato della storia repubblicana”, e si risparmiano la risposta.
Pierpaolo
Farina, Berlinguer. A Love Story
giovedì 12 giugno 2025
Se la Russia guarda all’Europa
La Ue è alla 17ma o 18ma sanzione contro
Mosca. E si riarma con ben due programmi miliardari, Rearm e Safe, sempre
contro la Russia. Ma la cosa non sembra essere presa sul serio a Mosca. Non dai
russi che ovviamente si sentono e pensano europeo. Non dal regime, questo è il
punto. Dai vari istituti di politica estera, tutti più o meno al governo.
Non molto tempo fa il ministro degli
Ester Lavrov ricordava nostalgico sul sito del ministero “i vertici due volte l’anno,
cosa che la Ue non ha mai fatto con nessun altro Paese”. In contemporanea il teorico
sovranista Vladimir Surkov lamentata sul settimanale francese “L’Express”: “La Russia da anni si dice pronta a parlare
con l’Europa, l’Europa avrebbe potuto rispondere e aprire un dialogo, ma non l’ha
fatto”. Perfino Putin ultimamente apriva una finestra, con “ottimismo e
speranza” – ma distinguendo fra Ue e Stati: “Prima o poi ci muoveremo al ripristino
di relazioni costruttive con gli Stati europei”.
Putin e i suoi parlano come se, finita
la guerra in Ucraina, le cose torneranno al loro corso abituale. “naturale”.
Non mancano le ipotesi di un interesse
comune. Di fronte alla sfida cinese, e in genere del Sud del mondo. Un mondo s’immagina
triangolare, Usa-Cina-Europa, con dentro (in Europa) la Russia. E perfino una
sorta di Occidente nordico, per fronteggiare la sfida del Sud del mondo.
Letture - 581
letterautore
Arabia Saudita – Oggi al centro delle “industrie culturali” (promozioni socio-politiche)
di ogni tipo, architettoniche, green, calcistiche, tennistiche, etc., con numerosi
testimonial ben pagati (tra essi Matteo
Renzi, in qualità di ex sindaco di Firenze, con un ruolo molto semplice: dire
ogni tanto che “l’Arabia Saudita è in pieno Rinascimento”) era per Elemire
Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto
del mondo che resista all’industria culturale”.
Compromesso storico – Lo storico –mite
- Giuseppe Galasso ne rivendica – polemicamente - la primogenitura in nota a “La
Calabria spagnola”, una delle sue ultime opere, 2012 (rifacimento di uno dei suoi
primi lavori di storico, “La Calabria nel Cinquecento”, 1963). Spiegandone
anche l’intrinseco ossimoro. Senza riferimenti all’uso berlingueriano, o politico,
della formula, ma con curioso puntiglio, riferendosi a se stesso come a terza persona:
“La
formula del «compromesso storico» è stata usata – con consapevole anacronismo terminologico, voluto a fini pratici di semplicità e di icasticità espressiva – da G.
Galasso in molti dei suoi lavori fin dagli anni in cui imperversava la polemica
sulla cosiddetta «rifeudalizzazione», che avrebbe caratterizzato la storia
politico-sociale del Regno nel secolo XVI. Poi, in progresso di tempo, la rifeudalizzazione
(di cui Rosario Villari fu il maggiore sotenitore) ha perduto la massima parte
della sua attrazione, se non è addirittura scomparsa, come tema storiografico
di persuasiva fondatezza”.
Rosario Villari
è stato uno storico e un esponente Pci, promotore e poi direttore di “Studi Storici”,
la rivista dell’Istituto Gramsci, membro del Comitato Centrale del Pci, e
parlamentare. La polemica sulla “rifeudalizzazione” seguì la pubblicazione nel
1967 della sua storia del Regno di Napoli nella prima metà del Seicento, “La
rivolta antispagnola a Napoli. Le origini, 1585-1647”. Il compromesso storico di Galasso è quello intercorso fra la monarchia spagnola di Napoli e la feudalità
Domani – È il nuovo
motto dell’Europa per l’ “Economist”, nello speciale che il settimanale ha dedicato
al continente nel numero dell’1 giugno. Aperto col “Gattopardo” - col “se vogliamo che tutto rimanga com’è,
bisogna che tutto cambi”, detto dal giovane Tancredi, garibaldino e futuro
senatore, l’uomo dei tempi nuovi. Come dire dell’irresolutezza, dei buoni
propositi e gli efferati fatti, del quieto vivere, della rassegnazione. Si sostituiranno
nella koiné europea, nella lingua
franca occidentale, i vecchi mañana e bukra (insha Allah), l’indolenza e il rinvio in
spagnolo e in arabo, con l’italianissimo domani?
Ebraismo - L’identitarismo viene dalla diaspora
– che invece dovrebbe annacquarlo? Era l’idea di Kafka, a proposito
dell’ambiente estraneo, in viaggio: se fatto in compagnia, le difficoltà
cementano i rapporti, le amicizie. Lo ricorda Daria Galateria in “Atlante degli
artisti in affari”, a proposito della visita all’editore Kurt Wolff, a Lipsia,
nel 1912, cui Max Bord costrinse il
timido Kafka. Che, usciti dall’ufficio di Wolff, avrebbe a sua volta
rimproverato l’amico per non avere proposto la guida turistica di cui vaneggiavano
per fare qualche soldo. Ribadendo: “Vediamo noi stessi meglio di quanto ci vedano
gli altri, perché noi stiamo viaggiando”.
Gadda - Con
“200 termini in spagnolo” Gadda mette “a distanza di sicurezza…. tutto lo
gnòmmero (il nodo) di Gonzalo (sé medesimo)” nella “Cognizione del dolore”, per
“parlare della mamma e della sua odiata villa in Brianza” – Daria Galateria,
“Atlante degli artisti in affari”, p. 184.
Proto-femmininismo – Aveva mille nomi, e mille funzioni, Iside Regina nelle “Metamorfosi” di
Apuleio, qualche millennio fa, all’XI
libro:
“Io sono la genitrice dell’universo,
la sovrana di tutti gli elementi,
l’origine prima dei secoli,
la totalità dei poteri divini,
la regina degli spiriti,
la prima dei celesti;
l’immagine unica di tutte le divinità maschili e femminili:
sono io che governo
col cenno del capo
le vette luminose della volta celeste,
i salutiferi venti del mare,
i desolati silenzi degli inferi.
Indivisibile è la mia essenza,
ma nel mondo io sono venerata ovunque sotto molteplici forme,
con riti diversi, sotto differenti nomi.
Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli dei
[Grande Madre, Cibele],
adorata in Pessinunte;
gli Attici autoctoni, Minerva Cecropia;
i Ciprioti bagnati dal mare,
Venere di Pafo;
i Cretesi abili arcieri, Diana Dictinna;
i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia;
gli abitanti dell’antica Eleusi,
Cerere Attea;
alcuni Giunone; altri Bellona;
gli uni Ecate; gli altri Rammusia [Nemesis].
Ma le due stirpi degli Etiopi,
gli uni illuminati dai raggi nascenti
del dio Sole all’alba,
gli altri da quelli morenti al tramonto,
e gli Egiziani
valenti per l’antico sapere,
mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi chiamano
col mio vero nome:
Iside Regina.
O Regina del
cielo,
tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato
tua figlia, eliminasti l’antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere,
rivelando agli uomini un cibo più mite,
ora dimori nella terra di Eleusi;
tu Venere celeste,
che agli inizi del mondo congiungesti
la diversità dei sessi
facendo sorgere l’Amore
e propagando l’eterna progenie
del genere umano,
ora sei onorata nel tempio di Pafo
che il mare circonda;
tu [Diana] sorella di Febo,
che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte,
hai fatto nascere tanti popoli,
ora sei venerata nel tempio illustre
di Efeso;
tu Proserpina,
che la notte con le tue urla spaventose
e col tuo triforme aspetto
freni l’impeto degli spettri
e sbarri le porte del mondo sotterraneo,
errando qua e là per le selve,
accogli propizia
le varie cerimonie di culto;
tu [Luna] che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città
e col tuo rugiadoso splendore
alimenti la rigogliosa semente
e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,
sotto qualunque aspetto
è lecito invocarti:
concedimi il tuo aiuto
nell’ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna,
e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo”.
Russia - Scriveva Proust a un’amica nel novembre del 1914, quando la guerra era già sanguinosa: “Se invece che con la Germania fossimo in guerra con la Russia, cosa si direbbe di Tolstoj e di Dostoevskij?”
Sartre – Di “profondo e (Dio ci perdoni) elegante talento comico” lo vuole la francesista
Daria Galateria (“Atlante degli artisti
in affari”, 195-196). Perlomeno a Roma, per il progetto poi incompiuto de “L’ultimo
turista”. Ultimo già nel 1952?
Se si ripercorre la sua enorme produzione e, soprattutto,
le sue attività quotidiane, anche del pensiero, della riflessione, testimoniate
variamente da Simone de Beauvoir nelle sue numerose memorie, un taglio azzeccato
– giusto, vero.
letterautore@antiit.eu