Cerca nel blog

sabato 3 maggio 2025

Letture - 577

letterautore


Adolescenti – La “morte degli adolescenti” Gioacchino Lanza Tomasi, storico dell’opera lirica, trova aver “prodotto tra i passi più alti di ogni letteratura e di ogni teatro musicale” – “Lampedusa e la Spagna”, p. 88: “Varianti del tema biblico della figlia di Jephte, storie dove il patetico estremo si manifesta come rito sacrificale della gioventù minacciata”.
 
Dialetto – “L’Italia è un Paese unico in Europa per quel patrimonio linguistico inestimabile che sono i dialetti – purché non vengano usati come marche identitarie, destinati alla tutela di un territorio” - Giuseppe Battiston.
 
Dolore – Ha mille forme, e applicazioni. Una classificazione quasi interminabile ne fa Guido Biasco, da direttore scientifico dell’Accademia bolognese di Scienze Palliative, introducendo la conferenza di Eco  “Riflessioni su dolore”: “Il dolore del fisico e il dolore dell’anima, il dolore percepito e il dolore provocato, la sofferenza come viatico per la redenzione, il dolore desiderato, il dolore dell’amore perduto, il compiacimento del dolore altrui e il dolore per i propri difetti, la raffigurazione del dolore e la descrizione del male, il dolore come generatore  di energie dello spirito, il dolore come strada per la conoscenza e la conoscenza del dolore come mezzo di sopportazione, la cultura e il controllo dei sintomi”.
 
Duemila –“Se facciamo sbrigativamente un bilancio dei primi venticinque anni del Duemila, la cosa che sorprende di più è l’esiguità, la povertà culturale e intellettuale”, Alfonso Berardinelli, “Il Foglio quotidiano”, sabato 26: “Il tempo attuale è soprattutto un rumore informativo e informatico che non sembra richiedere più un perché”.
 
Don Giovanni - Tirso de Molina, “L’ingannatore di Siviglia”, Lanza Tomasi dice che per Tomasi di Lampedusa era “il padre di tutti i donjuanes” – “Lampedusa e la Spagna”, 89.
 
Editing – È la fine della scrittura? Ed Dorn, il poeta, è quello che ha fatto emergere, e poi rivalutato, Lucia Berlin. Un racconto non gli è piaciuto, “El Tim”. Glielo ha rinviato, con ipotesi  di riscrittura. Berlin non dice niente per un po’, poi gli scrive: “Ricordi il racconto «El Tìm», senza più il «lieto» fine, o il caso problematico? Nessuna rivista (sul centinaio) l’ha voluto, , dicevano che era troppo delicato,  il «problema» cattolico – la monaca infoiata, suppongo – e la scorsa settimana una rivista cattolica l’ha comprata per 150 bigliettoni. Questa volta senza angosce o agitazioni “creative»”.
 
Fratelli Bandiera – “Dimenticati – dell’epos risorgimentale resiste solo Garibaldi - i fratelli Bandiera sono stati dei Garibaldi sfortunati”. Ritrovandosi nel 1931 presso Cosenza, “il funesto vallone di Rovito che vide falciata quell’eroica primizia, una strada infossata, all’occasione torrente”, che “un gran salice piangente ombreggia” – e sarà morto anche quello, come tutti i salici – ma che “pioggia più feconda non penetrò mai terra italiana”, Antonio Baldini (“Italia di Bonincontro”, p. 218) li ricorda: “Intunicati di nero e a piedi scalzi marciano al supplizio i fratelli Bandiera con gli altri sette e cantano a voce spiegata il coro della ‘Donna Caritea’. Non meno di tre scariche di fucileria occorrono per far tacere quel canto. Emilio cade alla prima, Attilio alla seconda”.
“Donna Caritea regina di Spagna” è un soggetto che fu musicato due volte nel primo Ottocento, da Carlo Coccia e da Mercadante. Il riferimento è al coro dell’opera di Mercadante al primo atto, “Aspra del militar bench’è la vita”, col verso “Chi per la patria muor, vissuto è assai”, subito diffuso tra gli ambienti carbonari, e poi per tutto il Risorgimento – in adattamento: il testo del libretto era “Chi per la gloria muor….”.
 
Gattopardo – Per un “errore” si sa che propendeva
 Gioacchino Lanza Tomasi, il figlio adottivo dei Tomasi di Lampedusa, per il titolo del romanzo - la parola dialettale in uno in Sicilia per leopardo. Errore in senso improprio, spiega in “Lampedusa e la Spagna”, perché “per Lampedusa la lingua astratta poteva anche essere popolare, meglio ancora doveva essere popolare per poter mimare i sentimenti comuni”.

 
Lady Chatterley – Era in Shakespeare, nella “stregata Titania” del “Sogno di una notte di mezza estate”, che finisce per innamorarsi di un “rude mechanical” - che sarebbe manichino, ma rende l’idea? Ramie Targoff, “Le sorelle di Shakespeare”, p.42, non ne fa l’ipotesi, ma l’accostamento rende  naturale col racconto degli intrattenimenti organizzati a Woodstock a fine estate 1575, da Sir Henry Lee, un affarista elevato a dignitario dalla “vergine” regina per il divertimento della stessa – a completamento della pausa estiva, summer regress: la corte si muoveva in progress, in varie località del regno e in diversi ambienti, anche se tutti altolocati, e soprattutto ricchi, dove veniva ricevuta e intrattenuta con grandi spettacoli.
 
Longobardi – Il popolo dalle “lunghe barbe”, langbart, che la Lega celebra(va), è nominato per la prima volta di sfuggita da Tacito, fra le tribù germaniche con cui i Romani combatterono negli anni di Augusto. Poalo Diacono, che ne ha fatto la storia in sei “libri” dopo la loro fine per opera di Carlo Magno, li chiama Winnili, sotto il soprannome tricologico, originari della Scania, passati in Germania, nella regione della Scoringa, sul Baltico. Scontratisi coi Vandali li vinsero con questa procedura: si allearono a Odino, il loro Dio, il quale allora spinse sua moglie Gambara, sacerdotessa di Freya, a rivolgersi alla dea. Freya consigliò di schierare anche le donne, con i capelli sciolti. La mattina fece in modo che Odino si voltasse dalla parte dei Winnili, e ovviamente chiedesse: “Ma chi sono queste lunghe barbe?” Al che la dea, furba, disse: “Hai dato loro il nome, dagli anche la vittoria”. E così i Winnili si fecero Longobardi.  
 
Lucio Piccolo di Calanovella – “Oltre a essere notevole poeta, era un personaggio eminentemente poetico”, Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”, p.58. Di conversazione “sempre pronta all’iperbole… era un’antologia poetica vivente, poteva declamare a memoria migliaia di versi, anche in lingue di cui non conosceva affatto la fonetica, quali i testi persiani di Firdusi”. In questo caso aveva un metodo: “Dato che non aveva mai incontrato nessun persiano, e quindi non aveva mai praticato la conversazione in quella lingua, aveva inventato una propria pronuncia, in linea con la libertà con cui imparava tutto”. Da una trascrizione fonetica dei ghirigori dell’arabo-persiano?
 
Modestia e umiltà – “La modestia e l’umiltà non sono affatto la stessa cosa”, Lucia Berlin scrive a Helene e Ed Dorns nel novembre del 1960 (da New York, dove vive infelice, in una topaia, lasciata sola dal compagno jazzista per il quale si trasferita a New York”: “Non voglio la modestia, anzi proprio non mi piace. L’umiltà implica rispetto per qualcos’altro”.
 
Spagna - La “leggenda nera” (Inquisizione, oscurantismo) Lanza Tomasi trova, attribuendone la paternità a Tomasi di Lampedusa (“Lampedusa e la Spagna”), “orchestrata dai profughi fiamminghi in Inghilterra ai tempi della repressione del duca di Alba nelle Fiandre”. D’impatto peraltro limitato: “Soltanto la Russia e l’Italia erano rimaste attaccate alla teoria della leggenda”. Mentre el Siglo de Oro si trovava avere “rappresentato un antefatto culturale per le maggiori letterature europee, inglese, francese o tedesca”.
 
Storia falsa – Luciano Canfora, filologo, storico, se ne può dire lo specialista – un cacciatore, proficuo, di storie false. “Il testamento di Lenin” che ora ripubblica è trecento e più pagine per dimostrare che Stalin falsificò il testamento di Lenin a suo favore. Dopo avere indagato, con acribia, il dubbio comunismo di Concetto Marchesi, l’assassinio di Gentile, il massimo papirologo Goffredo Coppola, finito con Mussolini a piazzale Loreto, specialista di tanti complotti nell’Atene della (presunta) democrazia. Sempre volendosi comunista, e sempre polemizzando contro chi non si vuole comunista. Non sovietizzante, non classista, e nemmeno marxista – Canfora non si pone nemmeno il problema di sapere chi è Marx. O dell’impoliticità dell’impegno, come usava dire?
 
Tomasi di Lampedusa – Uno stratega, lo dice Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”: “Stratega clausewitziano”, “ammiratore incondizionato di Napoleone”, “fin da bambino aveva coltivato la conoscenza della strategia napoleonica ed era in grado di ricostruire le manovre salienti di tutte le battaglie del tempo”.

letterautore@antiit.eu

Quante specie di dolori

La conoscenza del dolore è, dovrebbe essere, parte dell’alfabetizzazione, è la conclusione: “La conoscenza, vorrei dire la cultura, alza la soglia della sofferenza”. Al termine di una conferenza – lectio magistralis - tenuta da Eco nel 2014 a Bologna, all’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa: sapere perché si soffre. Un’altra applicazione della passione classificatoria di Eco. Applicata, come è negli scopi dell’Accademia, non tanto o non solo alla malattia, e “in un contesto semiologico, storico, filosofino”, non medico.
Eco parte da Esiodo, dai mali sulla terra, passa per le teorie musulmane sui rimedi ai dolori d’amore, e si dilunga sul cristianesimo, che fa sue le pene del Cristo, nella trattatistica, nella preghiera, nelle immagini. Per Aristotele “il saggio cerca di raggiungere l’assenza del dolore, non il piacere”, per il cristiano il dolore è lo strumento della redenzione. Con estesa casistica.
Con Remo Bodei, poi, Eco esamina il dolore che fa il romanticismo. Da Hölderlin, e naturalmente Leopardi, fino a Schopenhauer, “per cui la stessa filosofia nasce dalla cognizione del dolore” – e a Nietzsche, id. A Dostoevskij, “I Demoni”, a Proust, al solito lucido Pavese del diario.
Nel Romanticismo è anche il dolore per la propria bruttezza – esemplare, anche se fuori periodo, quello di Sartre bambino ne “Le parole". Col Romanticismo anche la Schadenfreude, il gusto per il dolore degli altri. Fino alla “Poesia cimiteriale”. E, in parallelo, la letteratura “gotica” e il cinema alla Tarantino.
Umberto Eco, Riflessioni sul dolore
, La nave di Teseo, pp. 61 € 8

venerdì 2 maggio 2025

Il dottor Chiné, accusatore e giudice

C’è un luogo della giustizia italiana specialmente ingiusto – sfacciatamente, come una sfida, un ludibrio della giustizia. Satanico anzi, sotto forme democristiane, di sacrestia: quella della giustizia sportiva, da quando è gestita dal dottor Chiné. Di malefatte innumerevoli: l’ultima il Primo Maggio,  con l’assoluzione dell’Inter dalle evidenti, conclamate, ammesse, intese con le “curve” mafiose del “tifo organizzato”. Mafiose in senso proprio, assassine (due omicidi tra bande rivali, più molti feriti, in agguati al tifo avversario), oltre che estorsive (in primis della società, col bagarinaggio, e dei tifosi, col bagarinaggio e i posteggi).
Nel giorno e nell’ora della massima disattenzione - il giorno che sarà senza giornali, all’ora della pennichella dopo la scampagnata - il dottor Chiné sanziona Inzaghi e Çalhanoğlu, che hanno “dialogato” con i mafiosi delle “curve”, cosa proibitissima, a un giorno di “inibizione”. Cioè a niente.
Tutto normale, Inzaghi e Çalhanoğlu sono al di sopra di ogni sospetto? Ma qualche anno fa lo stesso inflisse alla Juventus, ai suoi dirigenti, l’inibizione di un anno da ogni attività, 20 mila euro di multa e due partite a porte chiuse. A un club che, a differenza dell’Inter, si era attivato in proprio, a scoprire e denunciare i mafiosi del tifo, e durante il procedimento aveva fornito le pezze d’appoggio  della loro condanna. Uno scandalo. Ma il dottor Chiné è al di sopra di ogni sospetto.
È solo la vecchia Dc, del potere indivisibile? Il dottor Giuseppe Chiné è un giudice amministrativo del Consiglio di Stato. Da cinque anni a capo dela Procura della Figc, la Federazione Gioco Calcio. Dove si è distinto per due o tre condanne della Juventus. Della sola Juventus, per ipotesi di reato contestati dalla giustizia ordinaria anche ad altri club – per le plusvalenze oltre che per le “curve”.
Il dottor Chiné è procuratore e giudice nello stesso tempo, come piace ai giudici italiani. Ma a Chiné in modo particolare, per una questione di potere. Prima che alla Figc era stato capo di gabinetto alla Sanità col governo Gentiloni, cioè di Lorenzin, poi capo di Gabinetto all’Istruzione col primo governo Conte, cioè di Busetti. Una carriera sfolgorante, considerato che all’epoca di tutte queste nomine non aveva cinquant’anni.
Lorezin, Busetti, Gravina (il presidente della Figc che lo ha nominato): vecchia Dc, residua, per questo tanto più intollerante? Ma un altro record del dottor Chiné è che probabilmente è l’unico espatriato calabrese di successo che non è indagato per mafia - pensa tu. E questo apre un’altra quinta, venendo il dottore dalla Locride, dove la massoneria è talmente forte che s’è impossessata dell’ospedale, dopo un paio di omicidi eccellenti, per mandarlo in rovina, e ha fatto cacciare per mafia monsignor Bragantini, il vescovo anti-mafia più onesto e provvido di tutto il Sud. La Dc in Calabria non ha demeritato, le massonerie invece sì.

È  una questione di obbedienze - Juventus e Inter divise dalle logge?
Che c’entra il calcio, si direbbe? È la giustizia, non ci si sottrae.  

Ecobusiness

Non si dice, si aspetta che il tempo passi per disattivare la curiosità, ma il black-out della penisola iberica è stato causato dalle rinnovabili, dai pannelli solari. Per troppo avidità. Potenza in eccesso sulla portata della rete è stata immessa in rete per non perdere il sovraccarico momentaneo di produzione elettrica, per l’insolazione improvvisamente elevata. In assenza di controlli, oppure eludendoli.
Le energie alternative allo stato attuale, prima della fusione, si confermano distruttive dell’ambiente: acqua, terre, inquinamento sonoro, paesaggio. E più care. Il tutto a beneficio dei produttori, a spese del contribuente-utente – che da un decennio paga un’ingente “tassa di scopo”, sotto le denominazioni “oneri di sistema”, “trasporto e contatore”.
Ma tutta la transizione si manifesta ora unicamente un progetto industriale, a beneficio degli interessi costituiti, non a salvaguardia dell’ambiente, della natura. A partire dall’auto elettrica, che si vende al doppio - acquisto, consumi, durata. Con un peso e un ingombro doppio - consumo di materiali, di spazio (parcheggi, carreggiate). Vita breve. Riciclo altamente inquinante.

La liberazione del bambino

La generazione americana dei baby-boomers, dei nati, in quantità, subito dopo la guerra, e quella italiana successiva al boom economico, degli anni 1960, sono state cresciute col manuale del Dr. Spock. Una pediatria nuova, cha aggiornava Montessori portandola al livello, e alle capacità, delle famiglie, delle madri. Per un’infanzia e un’adolescenza trasformate, da fasciature, superabbigliamento, clausure, in una cura sorvegliata sì, ma per la libertà del pargolo, fisica e mentale. Senza più gli autoritarismi della famiglia tradizionale, ma con cura specifica per ogni figlio\a. Anche mentale e culturale, come si fa per quella fisica, materiale.

Oggi dimenticato (l’ultima edizione italiana è di vent’anni fa) ma non sostituito adeguatamente, se ne vedono i pregi in negativo, nelle sorti delle due-tre ultime generazioni, preda di una sorta di nemesi della libertà, che i ragazzi e perfino i bambini ha portato al silente e servile mattatoio dei cellulari, le cuffie, la playstation onanistica. All’isolamento e all’inattaccabilità, nel senso dell’incapacità di parlare, articolarsi, pensarsi. Esprimersi.

Durante la guerra Pocket Book commissionò al pediatra dr. Benjamin Spock una guida per la cura dei bambini. Il dr. Spock, giù campione olimpico di canottaggio, nel 1924, si era intanto arruolato in Marina, e il manuale vide la luce solo nel 1946, “Common Sense Book of Baby and Child Care”. Ma in tempo per il boom postbellico delle nascite. Che vide moltiplicarsi all’improvviso il numero dei genitori insperti, bisognosi di istruzioni su come comportarsi, dal pannolino al ruttino postprandiale, alle più variate indisposizioni. Un manuale perfeto per le nuove generazioni, di consultazione agevole, di soluzioni pratiche. Tutte all’insegna della naturalezza, della praticità, fino alla facilità, delle prime cure e dell’allevamento del bambino.

In America il “Baby and Chilad Care” ebbe sei edizioni, per una vendita di 45 milioni di copie.  Pubblicato in italiano nel 1962, da Longanesi, con il titolo “Il bambino. Come si cura e come si alleva”, ebbe anche in Italia largo successo per una quindicina d’anni, per due generazioni.

Ann Hulbert, Dr. Spock’s Baby, “The New Yorker”

giovedì 1 maggio 2025

Problemi di base bugiardi - 857

spock


“Ingannare significa umiliare, ciò spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi”, A. Koyrè?
 
“Si è sempre mentito, a se stessi e agli altri”, id.?
 
Anche per difendersi, è “è l
arma preferita degli inferiori e dei deboli”, id?

 
“La menzogna è un’arma”, id.?
 
È soprattutto l’arma del più debole, id.?
 
“Per il gruppo segreto è condizione d’esistenza”, id.?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – sanitarie (339)

La spesa sanitaria è negli Stati Uniti la causa di gran lunga maggiore dell’indebitamento, e dei fallimenti, delle famiglie. Su questo dato c’è convergenza fra Democratici e Repubblicani, in Congresso e negli Stati.
Il governantore della Florida, il repubblicano Ron De Santis, ha voluto una legge che facilita i ricorsi legali contro le fatture mediche, di specialisti, laboratori, ospedali. E riduce il periodo di tempo concesso agli ospedali per recuperare i crediti.
Molte città, grandi e piccole, da Los Angeles a Toledo, hanno usato i fondi federali per il Covid per cancellare debiti sanitari in essere. Nell’ultimo caso, la contea Cook dell’Illinois ha speso 12 milioni di fondi federali per sbloccare debiti per un miliardo di residenti a basso reddito.

La felicità - di scrivere - malgrado tutto

Il progetto di un libro poi abbandonato (1965) su tutte le case in cui la scrittrice ha vissuto. E sulle varie circostanze e i modi di essere e di vivere, a Nord e a Sud degli Stati Uniti, a Est e a Ovest, in Cile e in Messico. Un testo incompiuto, “una serie di ricordi dei posti che aveva chiamato casa” (Jeff Berlin, il figlio che ha curato la pubblicazione). E una scelta di lettere lunghe, minuziose. Per lo più a Ed e Helene Dorn, lui poeta, lei pittrice e scultrice, che in tutte le “case” e tutte le tumultuose circostanze familiari di lei la sostennero e aiutarono – Ed è stato l’editore e il “redattore” di Lucia per lungo tempo. Lettere scelte per la vivacità con cui racconta la vita bohémienne a New York negli anni 1970, grigia e triste, la desolazione del Sud, El Paso, Albuquerque, e a Oakland le cento invenzioni per sopravvivere con quattro figli. Con moltissime foto, collegate ai vari momenti del memoir e alle circostanze delle lettere. E una nota biografica. In copertina quella canonica, del 1971, ad Acapulco.

Tra memoir e lettere un appunto, “I problemi in tutte le case in cui ho vissuto”, una lunga dettagliata lista di 18 abitazioni che da sola vale la lettura, tra vicini, molesti e non, troppe cameriere, insetti di variatissima specie, terremoti, uragani, greggi di pecore “next door”, “niente acqua corrente, niente elettricità, niente bagno, e due bambini col pannolino”… Alaska, Idaho, Montana, Kentucky, le varie destinazione del padre tecnico minerario, dappertutto chiusi in una stanza (in Alaska piena di topi). A El Paso in una vera casa, quella dei nonni materni, tra gli effluvi e gli strani colori di raffinerie e acciaierie. Poco degli anni felici a Santiago del Cile, dove il padre è cresciuto di ruolo: molta servitù, molta spensieratezza, a scuola e ai balli. E poi in Arizona, una vera villa, anche qui con servitù.

Il tocco è sempre lieve, malgrado tutto - un tocco di scrittura, sorvegliata e non da franca narratrice, Gogol si menziona, anche Cechov. Sposa a diciott’anni, il marito Paul voleva che dormisse a pancia in giù, per appiattire il naso che invece guardava all’insù. Fanno subito un figlio, per evitare a lui il servizio militare. Quando nasce il secondo Paul se ne va: “Paul disse che la sola soluzione per lui era di partire, e così fece. Aveva una borsa di studio, un maestro, una villa e una fonderia a Firenze, e una nuova amica col naso dritto” (lo scultore Paul Suttman, accettato all’Accademia di Belle Arti a Firenze, lavorerà con Manzù, e resta in Italia dal 1962 al 1976, beneficiario di tre Borse dell’Accademia Americana al Gianicolo a Roma). Poi una lunga convivenza, con altri due figli, e molti spostamenti con un musicista jazz. Eccetera. I piccoli mestieri, da sopravvivenza. La cura dei figli, sempre. La scrittura - la perdita, anche, di tutti i materiali e taccuini nel trasferimento a Albuquerque.
Non è la vita travagliata il tema e il senso di questa compilazione “in memoria” disposta dal figlio Jeff. È la scrittura: “La mamma scriveva sempre”, a penna, a macchina, a matita. Per lo più consigliata e editata da Ed Dorn, il poeta, una sorta di Pigmalione. Ma non è un racconto delle difficoltà della vita, il memoir poi lasciato nonfinito. Lo sguardo è sempre sereno, e divertito – la cifra di Lucia Berlin. Tra i tanti aneddoti, una comica il contratto, con tanto di anticipo subito versato, per un romanzo che ancora deve scrivere, ma di cui non ha idea, anzi non sapeva nulla prima del pranzo organizzato per la firma. Organizzato dall’agente, per intascare subito la sua percentuale – che la consola: “Mettono la tua foto in copertina, e vendono milioni di copie”.
I momenti di svago sono molti. Ma ci sono anche i pusher, in America e in Messico, che perseguitano l’ultimo e sempre amato marito, Buddy Berlin. Che l’Fbi manovra per incastrare – incastrare lui e lei come trafficanti di droga (Berlin possedeva e pilotava un aereo): intercettazioni, falsi testimoni, pedinamenti, pressioni sui vicini, lettura della corrispondenza – “tutte queste scene fanno sembrare il Messico molto libero”. Ci sono problemi di saute, alla schiena e altrove. Di striscio, ma diabolico, il rapporto con la madre, spesso ubriaca – del padre unicamente sappiamo gli occhi “verdi smeraldo”.
La felicità di scrivere, di raccontare, in una vita in ogni momento difficile, anche dura - tradotta con la stessa agilità del testo originale da Manuela Faimali. Con humour, e la capacità, questa soprattutto, di fare racconto anche degli aspetti minuti, perfino squallidi, della vita. Una indistruttibile felicità malgrado tutto – la stessa vita si potrebbe dire miserabile.
Lucia Berlin, Welcome Home, Bollati Boringhieri, pp. 191, ill., ril. € 20


mercoledì 30 aprile 2025

Cronache dell’altro mondo – debitorie (338)

L’indebitamento totale delle famiglie americane ha superato i 18 mila miliardi. In rapporto al pil, il maggiore mercato di consumo al mondo è indebitato al livello di paesi come la Russia (dopo la guerra), il Pakistan, la Repubblica del Congo: nessuno paga più niente, se non a debito. Il debito medio per famiglia la Federal Reserve calcola in “oltre”100 mila dollari – a cui però la stessa Federal Reserve contribuisce, con i tassi alti da cinque anni a questa parte, e che non si vedono scendere, stante l’elevato tasso di sconto della Federa Reserve.
Sono moltiplicate le compagnie BNPL, buy now, pay later, compra oggi paga domani. Società di credito al consumo che hanno raggiunto estensioni inimmaginabili. Le insolvenze su carta di credito sono al massimo da un secolo, dal tempo della Grande Crisi.
DoorDash, la Deliveroo americana (di fatto ha assorbito Deliveroo), ha aperto una partnership con Klarna, una finanziaria del credito al consumo, cui molti ricorrono anche per piccole somme: si ordina la pizza a debito.
Un movimento, Poor People’s Campaign, si sta sviluppando, all’attenzione sia dei Repubblicani che dei Democratici, per una “piattaforma Giubileo” che potrebbe venire al centro della campagna politica di medio termine, per la cancellazione scaglionata dei debiti delle famiglie a basso reddito per esigenze primarie, casa, bollette, scuole.

Infortuni nel calcio umido - ma non si può dire

Non ci sono solo i commessi e gli impiegati del calcio a sette o a cinque a riempire gli studi ortopedici e le palestre di fisioterapia, per ginocchia, caviglie, piedi dissestati, da qualche anno ci sono calciatori professionisti. Il calcio è una divinità che da qualche tempo vuole ossa rotte. Non c’è un atleta uno che se ne salvi nella stagione, nemmeno i portieri. Perché si gioca troppo, si dice. Douglas Luiz, brasiliano della Juventus, ne sa di più.
“Non sono mai stato un giocatore che si infortuna”, protesta, “ma ci son così tante cose che potrebbero avere causato questo che preferirei non commentare!”. Il suo club detiene probabilmente il record, quest’anno e i precedenti, di infortuni dei calciatori.
Problema di staff tecnico, di carichi sbagliati di lavoro? Ma alla Juventus è successo con tutti gli allenatori e relativi staff tecnici, che si sono succeduti, Conte, Allegri, Pirlo, Sarri, Motta e ora Tudor, che ne perde un paio a settimana. Tutti da quanto il club si è spostato al “nuovo centro sportivo”, alla Continassa.
Il calciatore brasiliano è stato sanzionato dal club e gli si impone di non parlare. E perché? Alla Continassa, zona umida, due ragazzi sono morti vent’anni fa, subito dopo l’inaugurazione, mentre cercavano un pallone nel laghetto che raccoglie(va) le acque canalizzate. Forse basterebbe bonificare l’area a fondo - il Milan lo ha fatto venti anni fa. Ma di questo non si può parlare.

L’Italia a piccole tappe, lente e minuziose

Si parte con acrimonia contro il viaggiare. Ma poi si viaggia con interesse, e anche con ilarità. In Romagna e Centro Italia un po’, da Peretola a Civitavecchia, Viterbo, Ferento, Baccano. Anagni, Casamari. E poi giù, per due terzi della raccolta: Capua, la Puglia in lungo e in alrgo, Padre Pio compreso, Potenza, Metaponto, molta Calabria anche, nint e Napoli, e poche pagine, svogliate, su Palermo e Caltanissetta. Una raccolta del 1940, di cronache e corrispondenze dal 1925 al 1931.
Uno dei pochi scrittori italiani di viaggi che si fa leggere. Qui in giro per “una minuscola Italia”, non “quella di Alinari”, oleografica, “una piccola Italia così poco conosciuta dagli stessi italiani anche tra le persone colte”. Bonincontro è un giurista del Trecento, decapitato a Bologna per cospirazione.
Con molti giochi di parole, ma significanti, non semplici ghirigori. Baldini padre – di Gabriele – prediligeva la forma elzeviristica: narrazioni brevi, di umori ricordi, impressioni, analisi, giudizi. Una forma finita un cinquantennio fa, con la fine della “terza pagina” nei giornali – con una coda per Sciascia e Camilleri, scrittori comunque di richiamo. Era nato conte, in Romagna, Antonio Bismarck Baldini, fu creatore della “Ronda” letteraria, con Cardarelli, Bacchelli, Barilli, Cecchi, cultore emerito della romanità, intesa quale indolenza, creatore di “Michelaccio” e di “Rugantino”. Con Cecchi condivise la passione, se non per i viaggi, che lamenta in apertura, per raccontare i viaggi. 
Una raccolta piena di cose. Una “guerra delle scope” pre-Trump, fra gli esportatori italiani e i produttori americani – con gli americani, “gente ristretta”, che preferiscono comprare scope a quattro soldi che subito fanno cilecca, un po’ come ora, con le merci a un dollaro dalla Cina. La scoperta di Mattia Preti a Taverna. Vibo Valentia esemplare di progettazione urbanistica – con ampio excursus sul nonno, o prozio, di Eugenio Scalfari, il professore Eugenio Leoluca. La Calabria “casa madre dell’Ospitalità Italiana”. Stendhal e la Calabria - dove come ora si sa però non c’è mai stato.
La Puglia dei miracoli; padre Pio giovane, fortissimamente muto, il sindacalista monco che dà i numeri del lotto, all’Italia impazzita, e una lunga disamina del “prete pugliese”, garantito nella libertà, di pensiero e di costumi, dalla marginalità. I vecchi “dintorni” di Firenze, Querceta, Peretola.
E qui e lì, senza parere, senza pesare, pensierini non angusti. “Di una donna che s’ami, s’ama tutto, piace tutto”. “Le case le tiene su il respiro dell’uomo, altrimenti cadono a pezzi”. “Solo chi va piano s’accorge di andare lontano”. “Il treno frettoloso fa i viaggiatori ciechi”.
Con molti incontri. La “ciociara di razza” - la Ciociaria “il ciociaro pronuncia Ciocerìa”. Al bivio fra Sutri e Nepi il secondo incontro, quello buono, tra il Barbarossa, tedesco, e il papa Adriano IV, inglese. C’è pure Ghino di Tacco. E un P.P.P., Pietro Paolo Parzanese, di memoria grata ad Ariano – la cui poesia però “s’impigliò nelle scuole elementari, non giunse mai al popolo”. Ariano allora di Puglia: “Ariano di Puglia è un paese di Lucania che tiene ancora d’Irpinia, vale a dire della Campania” – oggi ribattezzato Ariano Irpino. Anagni: “Anagni da sola ha dato in un secolo quattro papi alla Chiesa: Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Bonifacio VIII” – e di quest’ultimo trascura lo schiaffo che ad Anagni si beccò.
Un’apologia e pratica della lentezza, per la varietà. Da qui l’iniziale abominio dell’automobile, del treno – per la varietà.
Antonio Baldini, L’Italia di Bonincontro, pp. 287, pp.vv.

martedì 29 aprile 2025

Cronache dell’altro mondo – immobiliaristiche (337)

Atteggiamenti e politiche sorprendono, ma Trump è fondamentalmente un immobiliarista: “L’architettura può non essere la prima cosa che viene in mente pensando a Donald Trump”, e invece, “dopo tutto, dalle tariffe alle deportazioni agli attacchi alle università e alla deregulation ambientale, non c’è una sola azione da lui intrapresa come presidente che non riguardi l’architettura”.
“Nella prima presidenza si concentrò sulle guerre culturali. Tra esse il decreto del 2020 per la “promozione di belle architetture civiche federali”.  E anhe l’opposizione al Trump 1.0 si mosse su terreni estetici piutosto che politici. Questa volta è più utile guardare a Trump come a un presidente  anti-architetturale”.
(“The Nation”)
Qualcosa di simile all’“abusivismo di necessità”, che la sinistra in Italia teorizzava negli anni 1980?

Ma qualcosa di buono il papa ha fatto

“Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici”, il cardinale Ruini, 94 anni, è sempre lucido: contro “il paradosso per cui favorevoli a Francesco sono per lo più i laici mente contrari sono spesso i credenti”. Lo è stato da vicario di Roma per vent’anni, e continua a prenderci: “Le istituzioni sono in parte destrutturate perché Bergoglio le voleva purificare”. Ma non se ne è occupato, la cosa lo deprimeva: papa Francesco era incostante, l’amministrazione non gli interessava - non la praticava e non la delegava.
La chiesa, si sa, è sempre quella del Concilio, con tutti i papi che si sono succeduti. Papa Francesco, di suo, è la chiesa DEI, diversità, equità, inclusione. E poco altro, non di buono. Le scarpacce, la macchina scassata, le esibizioni di scarpacce e macchina scassata, le nomine assurde, Immacolata Chaouqui, mons. Balda, boccacceschi minori, Pignatone giudice, uno che condanna senza motivazione, la guerra gossippara ai cardinali – Bertone, Becciu, non si sa ancora di quale delitto rei. I troppi cardinali senza storia, e senza funzione. La troppa, quotidiana, eccessiva, fastidiosa invasione dei media, come nessun altro influencer. Ma su un punto ha capito l’andazzo e non ha transatto: gli ospedali romani.
Gli stessi interessi “milanesi” (Bazoli, Rotelli, Corriere della sera) che si erano presi il San Raffaele, forse il miglior ospedale italiano, per quattro soldi, dopo avere aggredito, coi buoni uffici della Procura di Milano, il fondatore e gestore don Verzé, volevano a Roma per un euro simbolico altri due ospedali para-vaticani, l’Idi e il Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina. Sempre per la solfa che erano gestiti male. Con Francesco non ha attaccato: ha liquidato Bertone, il fautore della “privatizzazione”, parola magica, e l’Idi ha lasciato all’ordine che lo ha fondato e gestisce, tuttora prospero, il Fatebenefratelli ha passato al Gemelli.


A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (591)

Giuseppe Leuzzi
“Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati”, Antonio Tabucchi, “Viaggi e altri viaggi”. Ciò spiega perché non si è mai veramente emigrati: il radicamento sta al di fuori di noi.
 
“Le grandi aristocrazie del Meridione d’Italia, e quella siciliana in particolare, in assenza di una corte residente, che fra gli attributi della fons honorum avrebbe avuto anche la titolarità per stabilire precedenze e supremazie, si reputavano generalmente superiori a chicchessia” – Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”. Precedenze e supremazia la sola regola. E quindi l’anarchia, per mancanza di un re.
 
Lanza Tomasi dice questa aristocrazia autoreferente poca cosa: “Ne derivava questa gustosa aneddotica da circolo dei nobili che nell’«osservatore esterno» non mancava di sollevare qualche sorriso”. Un’aristocrazia da circolo, dei nullafacenti. Di cui, ridotta a circolo borghese, piccolo borghese, degli sfaccendati, diventeranno esegeti, bonari, e registi Sciascia e, più ancora, Camilleri.
 
“Il Sud è così ignorante”, scriveva Gramsci dal carcere, “che ha bisogno di essere educato, e questa educazione può essere fatta solo da intellettuali organici”. Cioè da funzionari di partito. Ma anche loro non hanno funzionato granché. Il Sud stanca.
 
“Civitavecchia ha un colore e un sapore di così accentuata meridionalità che non si potrebbe spiegare altrimenti che col mare: quel Mediterraneo orlato di palmizi che già a Marsiglia ti fa dire: «ecco Napoli»! Quegli storini colorati alle finestre…. E il caffè della Mammanona, dove senti Zena, e senti Napule, e Catànea senti!”
Nel tanto “colore” di cui si sovraccarica il Sud, questo di Antonio Baldini (“L’Italia di Bonincontro”, 67) ha qualche originalità: il Sud è mare, anche se non lo sa.
 
La donna lombarda è piemontese e fiorentina
La donna lombarda della canzone è ancora quella di Costantino Nigra, altre ricerche non sono state fatte. Basandosi su Paolo Diacono e Gregorio di Tours, Nigra ne fa una canzone del V secolo, per la regina longobarda Rosmunda, che avvelenò il marito, istigata da Longino, il prefetto bizantino, il nemico –  suo amante? Caterina Bueno non era d’accordo, ma non ha stimolato altri studi. Nigra è piemontese, Caterina fiorentina.
Manzoni ha una “donna lombarda”, nel romanzo. Nell’episodio della madre di Cecilia, la bambina morta di peste, al cap. XXXIV. Alla quale attribuisce “quella bellezza, molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo”. Che non sembra, la “donna lombarda” è invece minuta, la pelle opaca, senza riflessi, e svelta – celtica, di palude.
Se è la Rosmunda di Nigra, quella di Paolo Diacono, sarebbe anche temibile – il che non sembra. Nella Historia Longobardorum di Diacono Rosmunda, figlia del re dei Gepidi (l’antica Pannonia), sottomessa come sposa dal re dei Longobardi Alboino, in quanto trofeo di guerra, organizzò la congiura che nel 572 uccise Alboino, e provò a fare re l’amante Elmichi. Il piano non riuscì e i due si salvarono a Ravenna, sotto la protezione bizantina – accordata anche in virtù del tesoro longobardo, della parte del tesoro che i fuggiaschi erano riusciti a trafugare.
Ma neanche a Ravenna Rosmunda smise le pratiche di femme fatale. Sposò regolarmente Elmichi. E poi tentò di avvelenarlo. Elmichi se ne accorse e costrinse lei a bere, minacciandola con la spada,  la coppa avvelenata.
 
Le essenze, un miraggio
Antonio Bismarck Baldini, conte romagnolo di Roma, letterato col gusto dell’elzeviro, sul quale innesterà molti “buon’incontri”, con persone, memorie e cose, creatore della “Ronda” letteraria, con Cardarelli, Bacchelli, Barilli, Cecchi, padre di Gabriele, cultore emerito della romanità, intesa quale indolenza, creatore di Michelaccio e Rugantino, amava anche viaggiare e scriverne. La raccolta “Italia di Bonincontro” chiudeva nel 1940 con un testo del 1925, in giro per la Calabria. Culminato a Reggio con la visita alla R. Stazione Sperimentale delle Essenze e dei Derivati dagli Agrumi, istituita nel 1920, col concorso dello Stato, dalla Camera di Commercio di Reggio e dalla Camera Agrumaria di Messina. Ed è, un secolo fa, qualcosa di nemmeno immaginabile nella Reggio di oggi: un paradiso, una promessa di paradiso, produttivo e commerciale, una miniera, verde – la “transizione”, il grande “mercato” di oggi, già ampiamente fatta.
Nei laboratori Baldini padre si aggira estasiato “in piena canzone di Mignon: con le essenze nobilissime del gelsomino, del mughetto, della rosa, della violetta, della giunchiglia, dell’iris, della tuberosa, del giacinto”. Con i fiori degli agrumi, arancio dolce, mandarino, cedro, “l’essenza dell’agnocasto”, e il bergamotto. Essenze trattate con i sistemi chimici più aggiornati, per “distillazione e strizzamento” o con “solventi volatili a freddo”. A scopi commerciali, per un mercato internazionale. Con tutte le specie di erbe aromatiche comuni: l’essenza di finocchio, l’erba janca o artemisia, “l’assenzio degli antichi farmacisti locali”, la menta, l’origano, la nepitella, la salvia, la lavanda, il timo sepillo, il rosmarino, l’eucalipto. E il neroli e il petit-grain che si estraggono “dai fiori freschi e dai frutti immaturi del melangolo, soavissimi fra tutti”.
“Lo scopo della R. Stazione Sperimentale è non solo quello di contribuire, mediante analisi, prove, esperimenti, pubblicazioni, consigli allo studio di tutti i problemi riguardanti la produzione delle essenze e dei derivati dagli agrumi, di denunciare i prodotti sofisticati, e illuminare i consumatori…. Anche di sfruttare largamente la flora spontanea atta a fornire materia per l’industria dei profumi, dei liquori, dei medicinali, e di promuovere e indirizzare sul luogo nuove coltivazioni di piante da fiori, da fronda, da legno, da frutta, per qualunque varietà utilizzabile, a maggior incremento della ricchezza locale, regionale e nazionale”. Con laboratori di analisi, e campi di sperimentazione, uno sopra Reggio e uno a Santo Stefano d’Aspromonte. Oggi l’istituto si occupa, poco, del solo bergamotto.
Molte sostanze chimiche hanno sostituito le essenze base. Ma non si è nemmeno tentato di trovare e dare nuove applicazioni e usi alle essenze naturali. Semplicemente, finita la rendita di posizione, tutto è stato abbandonato.    
 
Cronache della differenza: 
Milano

“Questa nuova Milano non la riconosco più”, dice Calbi, che a Parigi dirige l’Istituto italiano, a Montefiori, sul “Corriere della sera”: “Mi sembra un luna park del lusso e dell’architettura sciapa”.
Grand commis della cultura, direttore di teatri a Milano, Roma (Eliseo, Argentina), Siracusa (Inda), Calbi fa anche il confronto: “Milano è una città usata, Roma è vissuta”. E intende: “I romani sanno tutto di ogni via, di ogni chiesa”. Milano come città di profughi, temporanei, anche se permanenti?
 
È una città ricca, si sa, ma forse superricca. Ha 115 mila milionari, oltre uno su dieci abitanti, e 7 miliardari. La città europea che ne ha di più, dopo Parigi e Londra – che però hanno superficie e popolazione cinque-sei volte quelle di Milano. Produce pro capite quasi il doppio della media italiana, 63 mila euro nel 2023 la provincia o città metropolitana, 66 mila la sola città, contro la media nazionale di 39 mila euro. Cui bono?
 
Nel particolare stato di diritto che è Milano, della sopraffazione, la Lega s’impossessa di mezze banche italiane – e mette in gabbia le altre che le sfuggono, Unicredit e forse Intesa. Con questa filosofia – dixit Giorgetti: “Invidio l’idea virile d’interesse nazionale degli Usa”.
La signorilità di Milano è sempre del “ce l’ho più duro”.
 
Non si parla spesso, o altrimenti poco, delle mafie milanesi, p.es. le “curve” dell’Inter e del Milan,  con assassinii, droga, bagarinaggio e parcheggi. Né dello spionaggio Equalize. Se non quando si può imputare il tutto a un calabrese, a un siciliano. Si prenda questa “inchiesta” di Ferrarella, il cronista giudiziario principe del “Corriere della sera”
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_15/equalize-la-ndrangheta-e-la-maxi-estorsione-fallita-ai-costruttori-arrestato-il-re-del-superbonus-lorenzo-sbraccia-c692a5ed-61cc-4e6a-8c88-d21cc0fd4xlk.shtml
Non si capisce nulla come al solito, ma il titolo è chiaro: Equalize, “curve”, superbonus-truffa? Tutto ‘ndrangheta.
 
“Milano è il luogo del potere, e manca un po’ di libertà”. Sandro Ferri, l’editore di e\o, spiega così la scelta cinquant’anni fa di avviare la casa editrice a Roma.
 
Incassa senza farsi problemi l’entrata nella top ten delle città più stressanti al mondo – dietro Zurigo, ma pur sempre all’ottavo posto. Per il sovraffollamento (troppi “turisti”, per fiere e affari) e l’insicurezza (è già tanto, ma non si dice, che capeggia la classifica italiana delle città “insicure e pericolose”). E per l’inquinamento acustico, e il traffico – compresa la difficoltà di parcheggio. 
 
Ma non si nasconde, troppe le magagne: le trame, anche omicide, attorno a Inter e Milano, e ora i “compagni di merende” all’ombra del “Salva Milano”, la legge speciale – l’idea stessa di una legge speciale.
Non può non riconoscere i mali passi, per esempio il sindaco Sala, ma si autoassolve. Ammirevole – è una ricetta talmente semplice: non scusarsi, non maciullarsi.
 
La napoletana Matilde Serao pubblicò il romanzo “La conquista di Roma”, una sorta di prima pietra dell’abc della capitale città dell’indifferenza, a Firenze, già nel 1885, con la casa editrice Barbèra. Il “Corriere della sera” ne fece il feuilleton dell’estate, a puntate. C’era già la capitale morale.
 
A un certo punto, nota Ulderico Nisticò nella “Controstoria delle Calabrie”, “Guardia, che si chiamava da sempre dei Lombardi, preferì, con maggiore esattezza, Piemontese”.
Guardia Lombardi è rimasto in Irpinia, sotto il monte Cerreto. Molti Lombardi ricorrono nei cognomi e anche nei toponimi, un tempo si emigrava da Nord a Sud, i lombardi erano apprezzati scalpellini e muratori.
 
Sei mesi di traccheggiamenti e zàcchete, appena Milano ha potuto arrestare un calabrese, naturalmente ‘ndrangheststa, l’inchiesta finalmente si muove, quella sullo spionaggio elettronico. Nei sette mesi non si è trovato il tempo nemmeno d’interrogare il fondatore, padrone e animatore dell’azienda di spionaggio, gisto incolpare i suoi affidatari, un ex commissario di polizia, poi felicemente morto, e un tecnico informatico.
 
Gli inquirenti di Equalize erano disperati? Dovevano arrestare il padrone della ditta? Ma ecco emergere nelle intercettazioni Annunziatino Romeo, un “pentito di ‘ndrangheta”, e l’incastro è perfetto, altri sei mesi di farniente. Questo Romeo deve avere sui sessant’anni - è quello che aveva dato la dritta per liberare la signora Sgarella, un sequestro degli anni 1990. E deve vivere isolato, con altra identità. L’ipocrisia fa bene agli affari? Le chiavi del successo devono essere molte, ma l’autoassoluzione ne è il fondamento.
Tutto l’opposto della Calabria, del Sud, specie in questi ultimi trent’anni, del tuttomafia.
 
Non si capisce niente dalle cronache dei delitti della “curva Inter”, che hanno registrato un paio di assassinii, e un grosso giro di denaro. Se non che è una questione di mafia, di ‘ndrangheta. Perché uno degli assassinati è un Bellocco di Rosarno, dove i Bellocco non contano niente. E l’ambrosiano Boiocchi, “legato alle cosche calabresi della «faida delle Preserre»”. Le Preserre? Ma, poi, anche su questo fronte si smette presto. Milano Camilla Cederna la voleva incostante, frou-frou.

leuzzi@antiit.eu

Sciuscià conquista New York

Come finire da Napoli, impoverita senza più gli “americani”, orfani di guerra, vivendo di espedienti, a New York. Passeggeri clandestini ma non proprio. E in America salvare una sorella che si proclama orgogliosa assassina dell’amante fedifrago violento. Un movimento nazionale suscitando, femminista e non solo, contro gli uomini violenti. Salvati dalla fame e dal suicidio da ragazzini neri. Cullati da una inattesa coppia senza figli, in una grande casa.
Un film sulla grande migrazione, povera, di massa, italiana. C’è anche chi muore, di stenti e di disperazione, durante il viaggio, nelle stie del transatlantico. Verso un paese che faceva, allora, dell’accoglienza la sua cifra. A periodi alterni – la sorella assassina conquista la giuria quando il suo avvocato legge in aula gli orridi dibattiti parlamentari sugli immigrati italiani cinquant’anni prima.  Ma senza enfasi, e senza la politica.   
Una favola “dal vero”, pare, rimasta nella penna di Pinelli, che l’aveva scritta per Fellini. Raccontata da Salvatores in due ore di triste-allegra commedia. Un po’ come in “Mediterraneo”: clima disteso nella tragedia. Con ruoli misurati, soprattutto quelli – tanti – comici. Qui soprattutto un altro inverosimile Favino, che a questo punto è il mago Brachetti della recitazione italiana.
Gabriele Salvatores, Napoli New York, Sky Cinema

lunedì 28 aprile 2025

Ombre - 772

Partenza mesta del risiko bancario con l’Ops Unicredit su Bpm. In Italia niente è mai “rivoluzionario” e “decisivo”. Ma in questo caso è il governo, un governo di coalizione, di “convergenze parallele” per definizione, che per quanto diviso e in concorrenza fa l’inverosimile: occupa il campo di gioco.
 
Un partito si prende mezzo mondo bancario, Monte dei Paschi, Mediobanca, Bpm, con contorno di Generali, e nessuno dice niente. I baluardi del mercato tacciono, “Il Sole 24 Ore”, “la Repubblica”, il “Corriere della sera”. E non solo si prende mezzo mondo bancario, mette i bastoni fra le ruote ai concorrenti, oggi Unicredit domani Intesa. D’arbitrio. Illegalmente. E niente, silenzio.
L’onesto de Bortoli non può fare a meno di rilevarlo, ma lo relegano a un supplemento. E lui stesso si cautela, distingue, chiede scusa. La Lega, che non ha voti, ha tanti giornali – editori, affari?
 
“Mi hanno premiato dopo 55 film”, con il Davide di Donatello alla carriera. È amaro Pupi Avati, 87 anni: “Cade un Muro. Prima mi ignoravano perché sono sempre stato un liberale”. Come non detto – c’è censura in Italia?
 
Giganteggia il cardinale Re, m. 1,90, 91 anni, agile e forte per due ore di cerimonia, voce sonora, omelia concisa e significante, concetti semplici e filati, dotto figlio di contadini. Lo specchio di un papa vero, che però non può essere: il papato è regolato dall’anagrafe.
 
Sembra l’ultima eccentricità di papa Bergoglio quella di farsi seppellire fuori dal Vaticano, costringendo i venerabili cardinali a una cerimonia interminabile, con corteo infine a Santa Maria Maggiore. Ma poi ci si ricorda che la basilica sta dietro l’Ambasciata a Roma dell’Argentina.
 
Si sa solo per caso che la moglie di Trump è cattolica, e che Trump quindi è venuto a Roma, per poche ore, compreso il giro di golf, per compiacere la moglie. L’odio contro Trump è totale? C’è una fede unica nei media – una volta si sarebbe detto nel giornalismo?
 
Unici assenti al funerale del papa gli olandesi. Che si giustificano – avevamo un altro impegno. Ma poi si scopre che non sono venuti mai, a nessuno dei funerali mediatici, quelli degli ultimi cinquant’anni, Paolo VI, Giovanni XXIII, i due Giovanni Paolo, Benedetto. L’ipocrisia si sarebbe detta cattolica, ma la protestante non è da meno.
 
Il ministro Giorgetti dopo il no all’Ops Unicredit su Bpm: “Invidio l’idea virile di interesse nazionale degli Usa!”. Vorrebbe decidere lui che cosa un’azienda può o non può fare. Singolare. Ma più singolare ancora è che Giorgetti dia Mps in mano a Caltagirone, con Mediobanca e Generali. Assurdo, no?
 
Si scopre in morte che combatteva per la Russia il figlio di un’alta dirigente Cia. Una scelta personale, certo. Ma “un dettaglio incredibile”, nota la corrispondente Usa del “Corriere della sera”, Viviana Mazza, “è che gli ucraini forse inconsapevolmente hanno eliminato il figlio di un’alta funzionaria dell’intelligence Usa utilizzando per ucciderlo informazioni fornite dalla stessa Cia”.
 
“Conte, quando era premier, lo confuse con l’8 settembre”, nota il 25 aprile Gramellini. Confuse il 25 aprile con l’8 settembre. Conte, il leader inverosimile dei grillini, col doppiopetto in piazza.
.
“Vista dall’America, la chiesa cattolica è prima di tutto romana e italiana”, spiega 
Paolo Gentiloni, l’ex presidente del consiglio, che a New York per l’Onu nei giorni dei funerali di papa Francesco riceveva le condoglianze, “come se fosse scomparsa una personalità pubblica italiana”. Fino a quando?

 
Le cappelle, anche le capelle private, si immaginano adorne di immagini, santi, altarini, inginocchiatoi, oggetti legati al culto, alla preghiera. Quella del collegio-albergo Santa Marta, la cappella privata del papa, si vedeva nell’apparecchiatura dei funerali nuda. Con la sola presenza di videocamere, montate su cavalletti, addossate ai muri. Senza colpe, ma un segno ostinato della “pubblicità” invadente. Esaustiva?
 
“Ricordo che a Rio de Janeiro”, scrive il padre Spadaro, columnist di “la Repubblica,” del papa Francesco, “passava in papamobile verso un incontro con i giovani quando vide che aveva appena oltrepassato lo spazio della sala stampa. Non rinunciò a inarcarsi a destra 
fino a perdere l’equilibrio  per salutare tendendosi”. Un complimento?

 
“Nel 1992 mio padre fu uno dei primi arrestati di Tantgentopoli”, Luisa Todini spiega a Cappelli  sul “Corriere della sera”: “Fu accusato di aver dato soldi a un politico socialista per un lavoro mai appaltato. Veniva descritto come alto, magro e abbronzato: papà era bassino, tarchiato e bianco come un lenzuolo”. Giustizia e informazione unite nella lotta in “Mani Pulite”.
 
“Di Pietro interrogò anche me”, continua Todini: “Pensava che avessi nascosto i soldi chissà dove, voleva sapere dei nostri rapporti con Craxi. Gridò davanti a tutti, tenendo la porta aperta per farsi sentire: questi Todini mi hanno rotto, li arresto tutti! … Gli feci riscrivere il verbale tre volte perché le dichiarazioni non corrispondevano a quanto avevo detto”. Di Pietro, sempre loquace, e ultimamente anche, un po’, pentito, non ha reagito.
“Mani Pulite”, un’altra storia che non si fa – la Repubblica è piena di scheletri.
 
“Non si vince con gli schemi, con i sistemini, con….”: l’allenatore per caso della Juventus Tudor deve spiegare l’ovvio. Non si gioca al calcio per fare giornalismo, per consenrtire si fare rigaggio sui giornali, per quanto incomprensibile. Lo sport è tecnica e agonismo.
 
La squadra allenata da Tudor, la Juventus, è quella che h speso di più nell’ultimo anno, 260 milioni, per mettere assieme un gruppo di brocchi mai visto. Difensori che non saltano (prendono inevitabilmente gol di test a), mediani che non sano mandare la palla avanti di un metro, attaccanti che non segnano neanche a buttarli dentro la rete. Incredibile, ma vero. Ma allora, perché spendere tanto? Per le parcelle dei procuratori? I quali non dividono, magari a Montecarlo, dove abitano?
 
Il “Corriere della sera”, come “la Repubblica”, mettono il governo e Meloni nella pagina di giro, la pari, e Elly Schlein in quella di fronte, la dispari – nella tecnica dell’impaginazione il meno visibile e il più visibile (vale anche per la pubblicità, quella della dispari costa di più). Non per le cose che dicono o fanno, ma per principio – avranno confessori e politici con cui giustificarsi. Solo che uno finisce per antipatizzare: Schlein non muta espressione, e non sa cosa dire.  
 
Non si pubblicano ma diventano note, più o meno, le prescrizioni del golden power imposto a Unicredit per l’Ops Bpm. Sono un po’ ridicole - gli impieghi ridotti sul mercato italiano negli ultimi cinque anni, azionisti esteri, presenza residua in Russia – ma nessuno lo dice. Le altre banche hanno moltiplicato gli impieghi dopo il covid? Non vogliamo i fondi pensione e d’investimento esteri?
Può più la faccia tosta di Salvini e Giorgetti o un minimo di informazione? O è ignoranza – l’opinione pubblica ridotta ai social, alla battutina? Ma un po’ del disincanto italico: come si possono prendere sul serio i ragionieri della Lega? E un partito filorusso che ammanetta Unicredit perché ha ancora un ufficio a Mosca?

I sentimenti non si rubano

Una favola moderna, dell’accudimento. Doppiata da una nostalgica del com’eravamo. La donna che amorevolmente si cura di tre anziani, in vario modo problematici, con attenzione specifica per ognuno di essi, a tutte le ore in tutte le circostanze, e con fiducia reciproca, ha il vizio di sottrarre piccole, e grandi, somme agli assistiti. Per pagare il piano e le lezioni di piano al nipotino che sarà grande concertista, il piano è la sua passione, non smette di acoltare Rubinstein in cuffia vagando di casa in casa, e per abbuffarsi ogni tanto di ostriche. Un furto vero, di professionisti, fa scoprre l’inganno e la storiella bella si complica. Ma che cos’è un assegno falsificato a fronte dell’empatia?
La favola si doppia – si rafforza – nel confronto generazionale. I figli di tanta umanità, dove le coppie si compatiscono, e anzi si aiutano, fino allo stremo, ma non si dissolvono, non ne hanno più per se stessi: amare è scopare, i compagni migliori, nonché i figli, “non esistono”. Si rubano l’umanità.
Il tutto a Marsiglia, in un quartiere popolare dove la sola consolazione è il mare – ma dove i servizi sociali curano e pagano l’accudimento.
Guédiguian ha una cifra ormai distinta nel trattare i sentimenti comuni, materiali, piccoli, d’ogni giorno. Di personaggi non belli, non esteriormente. Ma diversamente belli nella recitazione.
Senza star, un film per pochi, in poche copie, in poche sale. Ma già film di culto per i critici, alcuni critici, e per chi ha avuto la ventura di vederlo.  
Robert Guédiguian,
La gazza ladra

domenica 27 aprile 2025

De Profundis, de mythis

Lo ricorda solo de Bortoli, del vento che sfoglia il Vangelo sulla bara del papa Francesco: “Come nell’aprile di vent’anni fa, quando ci fu l’addio a Giovanni Paolo II”. Anche allora esposto in una bara semplice, a terra (non sul catafalco). Ma Francesco si vuole unico perchè è cambiato il modo di dire – e di pensare? Fare mito di tutto, tutti santi, eroi, martiri. Qui anche con la sfilata, come per i vecchi imperatori - ma sui fori “sono più i selfie che i segni dela croce”. Mentre poveri, barboni, rifugiati e transessuali sono tenuti in attesa, scelti con cura, col vestito nuovo, un giglio bianco in mano, in numero di quaranta, dieci per ogni categoria?, e due frasi ad effetto per le tv, recintati nel grande piazzale sgomberato di Santa Maria Maggiore.
Sono già mito le due sedie nell’angolo di San Pietro, con Trump e Zelensky che si “confidano”. Ma qui con qualche (sperabile) fondamento. Una pax vaticana sarebbe storia.
Per il resto come prima: la chiesa non ne è scalfita, e nemmeno accresciuta. Il celebrante, il cardinale Re, ha ha tenuto una omelia molto francescana, ma nessuno si è  commosso. Paul Elie, che ha seguito la cerimonia dall’alto del “braccio” berniniano di Costantino, sulla sinistra della basilica, vede, con le statue che lo circondano, “plenty of pomp and circumstance”, sfoggio di pompa in grande stile – come le statue che lo circondano hanno visto per secoli – e “niente di mutato” rispetto al precedente funerale, vent’anni prima, per Giovanni Paolo II- “la cerimonia era molto familiare”. Re, regine e sceicchi con i riti di altri tempi.

Un papa double face

Ferruccio, che ha diretto il “Corriere della sera” quando il giornale era patrocinato da Bazoli, e in quella veste ha intervistato il papa – anche per reggere la concorrenza di Scalfari, che con il papa Bergoglio parlava alla pari, da non credente a credente - fa un curioso montaggio di tanti “crediti” e, senza accorgersene?, altrettanti “discrediti”. Il suo spes contra spem, la speranza a ogni costo, anche in guerra – spes non confundit. La speranza per tutti e ognuno, per quanto miseri, abbandonati, inermi – la chiesa è “un ospedale da campo”. La preghiera come collante – “pregate per me”, rivolto a tutti sempre. Il senso espresso, esplicito, dell’amore. Compreso “degli irregolari, i divorziati pr esempio”.
Ma, poi, “un aborto è un omicidio”. La “frociaggine” nei seminari. E altre bruschezze. I seminari vuoti. Il nessun senso, nemmeno se sollecitato, dell’Europa, della storia, della cultura.   
Nel mezzo il ricordo di una giornata romana a Santa Maria in Trastevere, per il giubileo dei giornalisti, in attesa del papa, gomito a gomito con Scalfari, Tarquinio, altri giornalisti, e con De
 Rita, e Pignatone - il giudice-senza-dibattimento, bisogna aggiungere, voluto da Francesco. Che è un fervorino per il cardinale di Bologna e presidente della Cei Zuppi. E in più episodi ricorda un papa che nelle interviste, anche con lui, si rifiuta di “fare bilanci”. E anche il pauperismo resta problematico.
Ferruccio de Bortoli, Franceso. Pregate per me, “Corriere della sera”, pp. 63, gratuito

sabato 26 aprile 2025

Secondi pensieri - 559

zeulig 

                                        
Fede – È come la verità, inafferrabile. Ma c’è.
 
Individualità – È dell’artista – il creatore , l’ispirato - come dell’uomo commune.
Individuale è anche, fatte tutte le somme, e con tutte le zavorre, il pensiero, anche con la maiuscola.
 
Intelligenza artificialeÈ una tecnologia – uno strumento, dalla meccanica all’informatica e alla medicina. Un’intelligenza per applicazioni pratiche. Non per l’arte evidentemente, o per la letteratura. Né per la filosofia, o la semplice decisione politica. È artificiale, per tutto quanto è cultura: formazione, apprendimento, educazione - e, a ritroso, anche l’innatismo, per quanto possa avere di primitivo, di calco, di macina anche, apprendimento, formazione.
A meno di non distinguere l’intelligenza in senso proprio, come qualità, prima e a prescindere dalla formazione. Tutto ciò che si chiama pensiero  - analisi, sintesi, immaginazione, temporalità (saper distinguere tra presente, passato, futuro, avere conoscenza del prima e del dopo, la prefigurazione del domani). O coscienza, quindi con una distinzione tra bene e male. O anche sentiment. Tutte “cose” di cui non si trova la traccia fisica, corporale.
L’intelligenza artificiale propriamente detta rende evidente la distinzione: essa è tutta intelligenza-cultura. Le manca tutto il resto. Il dilemma si pone ora perché appunto c’è la nuova frontiera dell’Ict, che si vuole “intelligenza”, ma non è nuovo. Kubrik lo trattò famosamente nel film “2001: Odissea nello spazio”, ma già il Settecento se ne interessava, con gli automi. E tutta la narrativa, ebraica e non, dei golem.
 
Pensiero – Sarà pure “unico”, ma è individuale – l’unicità starà nel consenso, che è sempre, per quanto minimamente, individuale.
Il pensiero “universale”  sarà un sistema filosofico. Anche non sistematico, come quello di Heidegger, occasionale e per pochi, negli Holzwege, i “sentieri erranti per la selva”.


Suicidio – L’evento che si vuole “normalizzare”, per legge, è probabilmente quello che  più ha avuto applicazini diversificate nella storia umana, e più ha suscitato commenti e pareri anch’essi diversificati, e per lo più contrastanti. Il repertorio, già lungamente e abbondantemente esplorato sul sito, ne è all’apparenza inesauribile, già da prima della voga corrente della buona morte.
 
Il suicidio come immolazione - testimonianza, martirio. Il kamikaze islamico che si fa terrorista, il kamikaze nipponico che invece non si fa arma. E tutti i suicidi per testimonianza, protesta, per motivi politici oppure religiosi, a Saigon, a Praga, in India, e a Pechino, in piazza Tien An Men, schiacciati da carri armati ciechi. Si muore anche per l’ennui, fino alla depressione, o per l’incapacità, reale o supposta, di realizzarsi (innamorarsi, creare affetti, in Pavese).
A lungo oggetto di condanna, a una morte successiva, esibita, per il pubblico: impiccagione, decapitazione, mutilazione,, con esposizione - contro il principio universale, seppure del diritto romano, “crimen exstinguitur mortalitate”.
A Roma era invece contemplato – ammesso: per malattia, morte di un congiunto, furor, insania, sconfitta militare. E per solo stoicismo, filosofico – praticato in questo caso cerimoniosamente.
Fra gli stoici suicidi merita speciale menzione Seneca, che filosofo dell’etica austera, ma accumulò ricchezze in Britannia col prestito a usura, a tassi che spinsero i Britanni della regina Boadicea, secondo Dione Cassio, a ribellarsi. Baudelaire dirà lo stoicismo una religione con un solo sacramento, il suicidio.
Sempre a Roma, dopo la “donazione di Costantino”, 312-313, i donatisti sostennero il suicidio, individuale e collettivo, nel nome della purificazione attraverso il  martirio. E un secolo dopo, arrivando i visigoti, molte donne si uccisero per la vergogna delle violenze subite. Ma ricorrendo gli uni e le le altre, nella riprovazione di sant’Agostino, “De patientia”. Bisogna portare pazienza.
Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”, sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia, e perfino il caso dell’assassino seriale che si toglie la vita per non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli de “La fuga di Logan”, dove tutti si suicidano  per non aggravare il mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una giovinezza spensierata col senso della fine imminente (nel film l’“Età dell’eliminazione” era innalzata a trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano)?
 
Velocità – “La rapidità sciupa il desiderio e lascia l’impazienza”, Louis Veuillot.                                                                
 
zeulig@antiit.eu

Incarnazione e libero pensiero

Il primo dialogo tra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Avviene nel 2013, poco dopo l’accesso di Bergoglio al papato, sull’appiglio dell’enciclica “Lumen Fidei”, che Francesco ha ereditato da papa Benedetto XVI e ha editato. Scalfari in un paio di editoriali pone il problema della fede, come essa sia possibile. Da miscredente professo. In particolare, all’apparenza incidentalmente, ma d a buon laico, fa un problema dell’incarnazione, che è ciò che distingue il cristianesimo: come si può credere a un Dio che si fa uomo. Bergoglio risponde, per iscritto, dopo il secondo editoriale, a distanza di un mese, quindi dopo riesame. E successivamente incontra Scalfari per un’intervista – sarà il primo di altri incontri (su cui Scalfari ha scritto in altre pubblicazioni).
Il colloquio apre una prima fessura nella curia, per le perplessità su un papa che dialoga con un “illuminista” professo, “non credente”, e solo in cerca di un dialogo puramente intellettuale, se non giornalistico, non uno in cerca della fede. E pone al papa, in breve, come a caso, il tema dell’“incarnazione del Figlio di Dio” rispetto agli altri monoteismi, islam e ebraismo, che fa capire  più rispettosi della divinità di Dio. Lo stesso argomento ripropone nel terzo intervento, dopo che il papa gli ha scritto, e in preparazione del colloquio-intervista.
Il quesito è giudicato da molti insolente – massonico (Eugenio non ha mai fatto mistero di esserlo, benché abbia avuto un’educazione religiosa: per tradizione familiare, rivendicata come illustre, dei nonni e bisnonni calabresi, murattiani, napoleonici – anche se non ne faceva trofeo, e anzi con un sorriso di autoassoluzione). E prudente la risposta del papa, quel tanto necessario a giustificare l’enciclica. È il primo tarlo del sospetto che Francesco sia un papa molto “argentino”, nel senso del peronismo. Cioè di un populismo radicale, e insieme anti-rivoluzionario, che il conclave voleva (“anticomunista”: Bergoglio vescovo era accreditato di una pratica e una teoria socialmente impegnate ma anti-comuniste, in quanto autore di tesi che contestavano la “teologia della liberazione”, cioè della rivoluzione sociale, diffusa in America Latina nell’ultimo Novecento). Ma legate sotterraneamente al libero pensiero – anche se di Evita fu cercata la canonizzazione. Ambiguo insomma.
Papa Francesco-Eugenio Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, “la Repubblica”, pp.63, gratuito

venerdì 25 aprile 2025

Problemi di base ragionevoli - 856

spock


Il pensiero è un sogno – il sogno dell’intelligenza?
 
Razionale e non ragionevole?
 
“I modelli, anche i più violenti, sono cavallereschi, la vita non lo è”, Primo Levi?
 
Prendersi cura degli altri fa bene alla salute?
 
“Il reale è altrettanto magico quanto il magico è reale”, E. Jünger?
 
“Per essere felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di esserlo”, L. Tolstoj?

spock@antiit.eu

Per una storia (da fare) della Liberazione

La verità della pubblicazione arriva a metà volume, al saggio dello storico Ranzato, “Da Roma al Nord”. Roma è l’unica città che non insorge, contro l’occupazione nazifascista. Come sancito dalla prima “Storia della Resistenza italiana”, quella do Battaglia: “La capitale resta l’unica grande città italiana in cui la Resistenza non abbia coronato i suoi sacrifici raggiungendo l’obiettivo dell’insurrezione”. Ma non era stata la prima grande città ad essere liberata per il decorso “normale” della guerra, l’avanzata degi Alleati e il ritiro dei nazifascisti?
“La deplorazione”, può dire Ranzato, “aveva un’assoluta inconsistenza, poiché non teneva conto della grande sfasatura temporale tra gli eventi che si comparavano”. E cioè: “Le insurrezioni delle grandi città del Nord avvennero undici mesi dopo la liberazione di Roma… Nel giugno del 1944  in nessuna di quella città sarebbe stato possibile sollevare il popolo”.
I nazifascisti lasciavano Roma in perfetto assetto di guerra, per ripiegamento, non per disfatta. Ranzato lo racconta con la testimonianza del generale Cadorna - che avrebbe preso il comando del Corpo Volontari della Libertà: la ritirata era di “uomini perfettamente equipaggiati e ordinati che non davano l’impressione della disfatta… A sera sul viale del Re (viale Trastevere, n.d.r.) muoveva una colonna di grossi carri armati: procedeva tra due fitte ali di popolo silenzioso”.
Ma è anche vero che l’assessore alla Cultura del Campidoglio, Massimiliano Smeriglio,  può rivendicare: “La Resistenza italiana inizia a Roma l’8 settembre del 1943, quando i granatieri del battaglione «Sassari» dell’Esercito, lasciati senza ordini, scelgono di combattere, uniti alla popolazione che accorre dai quartieri limitrofi – Testaccio, Garbatella, Ostiense – per tentare di respingere l’esercito tedesco… che entrava in città”.
L’Italia libera ricomincerà da Roma, già prima del 25 aprile.
Una storia della Liberazione ancora da scrivere.
Ottavio Ragone-Conchita Sannino (a cura di), Roma libera. Capitale della rinascita, “la Repubblica”, pp. 163, ill., gratuito in edicola

giovedì 24 aprile 2025

Letture - 576

letterautore

Digressione – È la fuga in musica? Dà aria alla narrazione, argomenta Gioacchino Lanza Tomasi, in una pagina di “Lampedusa e la Spagna”, pp. 51-52, che da musicologo apparenta alla fuga: “In musica la costruzione della fuga si articola nel rapporto fra la sezione libera del divertimento e la riesposizione in contrappunto obbligato di soggetto e controsoggetto”.
 
Don Chisciotte – È il “romanzo di formazione” di Montaigne? È la lettura che Gioacchino Lanza Tomasi, ispanista per nascita (la madre era una nobile spagnola), ne fa in “Lampedusa e la Spagna”, attribuendola all’autore del “Gattopardo”: “Aveva capito che le avventure di don Alonso Quijano erano l’origine di Montaigne”. Ma non dice come.
Sempre attribuendo la scoperta a Tomasi di Lampedusa, Lanza Tomasi ne fa anche un pilastro della futura narrativa europea – “il modello da cui Henry Fielding prende le mosse per superare la forma del romanzo epistolare”. Nonché l’inventore della “digressione” – “senza la quale l’argomento principale risulterebbe oppressivo”.
 
Italia - “Nato nelle Serre calabresi, il nome Italia finì a Milano, per poi tornare anche da noi, ma ufficialmente solo dopo il 1860”, Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 200.
 
Italiano – Si penserebbe sia la koiné, la lingua comune, nelle squadre di calcio, che è uno sport collettivo e quindi ha bisogno di una lingua condivisa, anche se ormai – o tanto più che – la regola per molti undicesimi la presenza di giocatori di diversa provenienza e lingua. E invece no. Cazzullo può scriver e nella posta del “Corriere della sera” che alcuni hanno imparato in fretta e altri mai: “Appena arrivarono alla Juve, Boniek e Platini impararono subito la nostra lingua, e vinsero tutto…. De Ligt parlava italiano dopo cinque minuti di Juventus, mentre dopo tre anni e mezzo di Inter Denzel Dumfries continua a esprimersi in inglese. Lukaku, invece, otto lingue, parla l’italiano benissimo: «Devo poter dire al compagno dove voglio la palla». Kvara e Osimhen l’italiano a Napoli non l’hanno ma imparato; il belga Mertens e il coreano Kim padroneggiavano il dialetto”.
E degli italiani fuori? Trapattoni in Germania, allenatore del Bayern, non imparò nulla. I tanti tedeschi in Italia invece imparavano presto. Bierhoff aveva perfino un italiano elegante. Cristiano Ronaldo in tre anni non ha imparato una parola.
 
Lampedusa – Fu militare nelle due guerre, spiega Gioacchino Lanza Tomasi in “Lampedusa e la Spagna”. Nel ‘15-‘18 sottotenente di artiglieria – come Gadda, che però si congedò capitano. Finito nella rotta di Caporetto, fu fatto prigioniero – come Gadda su altra parte del fronte - dai soldati bosniaci e confinato nel campo di Szombathely. Richiamato nel 1939, fece tre mesi a Poggioreale, “un tugurio”.
 
Roberto Bazlen la lettura del “Gattopardo” lasciò perplesso. Salvatore Silvano Nigro riprende la “scheda di lettura” che inviò a Sergi Solmi, Einaudi, il 7 maggio del 1959 - quindi sei mesi dopo  la pubblicazione del romanzo per la cura di Giorgio Bassani da Feltrinelli il 25 ottobre 1958, e il successo istantaneo per passaparola (si studiava una riedizione, un passaggio di editore?): “Non è un gran che; comunque la pagina più brutta vale tutti i «gettoni»… Riassumendo, un buon technicolor da e per gente per bene”.
I Gettoni erano la collana di novità che Vittorini dirigeva per Einaudi, che pure aveva pubblicato testi e nomi poi illustri.
 
Luoghi “Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati”, Antonio Tabucchi, “Viaggi e altri viaggi”.
 
Malaparte – “Demi-monde….un parvenu di regime che s’aggirava in un salotto con un cappello piumato”, nel giudizio di Tomasi di Lampedusa, secondo Gioacchino Lanza Tomasi – come riportato da Salvatore Silvano Nigro nella nota a Gioacchino Lanza Tomasi, “Lampedusa e la Spagna”.
Di suo, Lanza Tomasi scrive, a proposito della biblioteca dell’autore del “Gattopardo” – in un italiano un po’ zoppicante (refusi?): stimava Moravia, aveva apprezzato Morante, “Menzogna e sortilegio”, aveva letto Papini, “a cui aveva riservato il giudizio contrario, ma anche Longanesi e qualche libri (sic!) di  Malaparte. Su quest’ultimo rammento una sua osservazione classista, non in senso marxiano ma nel contesto di una classe dirigente antica rispetto alla classe dirigente nuova”. Reticente?
 
Menzogna – È la verità odierna? Questo sito lo argomentava recensendo il vecchio saggio di Alexandre Koyré, “Sulla menzogna politica”. Starnone lo spiega al “New Yorker”, nella intervista che accompagna la pubblicazione sulla stessa rivista del racconto “Tortoiseshell”, tartarugato, con cui ha voluto accompagnare l’uscita in America del suo ultimo romanzo, “L’uomo al mare” (“sono i due soli testi miei che fanno riferimento esplicito a Hemingway, ho pensato che era carino se si traducevano entrambi”). Appaiando bugie e storytelling, la forma odierna di espressione.
Il racconto è di “un tipo particolare di bugiardo”, spiega, “uno che mente per il piacere di mentire”. Costruito sulla scoperta che “Cat in the Rain”, gatto nella pioggia, uno dei “49 racconti” di Hemingway, era stato tradotto erroneamente sul fatto principale, la natura del gatto di cui viene fatto dono a una signora americana in albergo. La lettura, ammirata, era del 1961, il racconto, dopo la scoperta della mistraduzione, ha poi preso dieci anni, tra 2003 e 20123. “Forse”, si spiega Starnone, “influenzato anche dall’attuale generale tendenza a sostituire espressioni come «il mio punto di vista», «la mia versione degli eventi», «la mia ipotesi», «la mia teoria», «le mie fantasie», e «le mie bugie» con «la mia narrativa». Oggi tutto è genericamente detto una «narrativa», perfino, a torto o a ragione, la scienza e le matematiche”. La favola, o la bugia, alla realtà dei fatti.
Nel racconto di Hemingway, “Gatto sotto la pioggia”, nella prima traduzione, di Giuseppe Trevisani, alla donna che non trova più il gatto che voleva prendere, viene regalato un gatto di maiolica. È la rivelazione, la forza della scrittura, il giovane Starnone parte in volata – così dice. Se non che Hemingway – che lui peraltro non ama - non ha scritto questo, ha scritto “a big tortoiseshell cat”, un gatto che viene ritradotto “tartarugato vivo”. E questo un po’ lo sconvolge, essere partito di carriera su una “errore di traduzione”. Ma decide che a lui piace di più l’“originale”, l’errore, che del gatto tartarugato non gli interessa. 
In effetti il gatto “tartarugato”
- tortie in America nella parlata, tortoise shell nel racconto, esiste, è una specie anche popolare, a giudicare dai social.

Ne “I quarantanove racconti”, il “Gatto sotto la pioggia”, prende poche pagine – un alito curiosamente di malinconia (curiosamente per un Hemingway ancora giovane). Una giovane gentildonna americana in viaggio in Italia col marito un giorno di pioggia vede dalla stanza d’albergo un gatto gocciolante ripararsi sotto un tavolino sul marciapiedi. Scende per prenderlo, ma il gatto non c’è più. Una cameriera sollecita inviata dal direttore dell’albergo con l’ombrello accompagna dentro la signora, un po’ allarmata dal “gatto sotto la pioggia”. In camera lei si dice scontenta malgrado la vacanza. Ha capelli corti da maschietto e non ha più voglia di fare l’efebo. Vuole lasciarseli crescere, prendere un’aria femminile, prosperosa, e avere un gatto per farci le fusa. Il marito ascolta muto e assente distratto, finché non bussano. È la cameriera, che porta alla signora un dono del direttore, un gatto - in terracotta? tartarugato?
 
Nureyev – Misogino lo dice Enzo Palo Turchi, che lo ha incontrato spesso, in amicizia. “A cena mi colpiva che ignorasse completamene le donne.”, spiega in un’intervista. “Per dire: se nella nostra tavolata ce n’erano quattro, a loro non rivolgeva la parola”.
 
Refusi – “Stampato in Francia dalla libraia Sylvia Beach, composto da tipografi francesi su un manoscritto approntato da dattilografe francesi, annotato con una calligrafia pressoché illeggibile, la prima e bellissima edizione dell’Ulisse era un dòmino di trasformazioni, un paradossale gioco linguistico, con quasi cinquemila errori, sette per pagina, la maggior parte dei quali sono ora parte dell’opera” - Leonardo G. Luccone, “Anche i refusi sono letterari” (“Robinson” 20 aprile).
Dòmino o domino? Gioco di carte o mantello con cappuccio di carnevale a Venezia?
 
letterautore@antiit.eu