sabato 9 agosto 2025

Cronache dell’altro mondo – antisemite (349)

A fine luglio il senatore democratico Bernie Sanders, del Vermont, ha denunciato “lo sterminio di Gaza del governo di Netanyahu”.
Una settimana dopo il gruppo pro Israele Aipac, American Israel Public Affairs Committee, ha denunciato il commento di Sanders come “uno sfogo pieno di odio” e una “spregevole sanguinosa calunnia”
Sanders, 84 anni fra un mese, da sempre capofila della sinistra radicale nel partito Democratico (“sono socialista”), alle primarie presidenziali del 2016 sfidante all’ultimo voto di Hillary Clinton, che era la candidata dell’organizzazione di partito, è ebreo –figlio e nipote di immigrati polacchi che ebbero familiari vittime della Shoah.

La Dc ritorna in banca – 2

Ricorda sul “Sole” Alessandro Profumo, il creatore di Unicredit, da ultimo manager di Finmeccanica-Leonardo, ma una vita in banca, delle sue prime esperienze nel mondo del lavoro, quindi dei tardi anni 1970-primi 1980: “Nessuno dei nostri impiegati e nessuno dei nostri clienti poteva avere il vizio del gioco”. Succedeva al Banco Lariano.
Il controllo era ovviamente più accurato nelle rurali, le popolari, le risparmio. Per la moralità, certo, ma non si poteva essere comunisti, neanche socialisti, neanche repubblicani. In Lombardia e nel Veneto – in Toscana e in Emilia non si poteva non essere comunisti, al peggio socialisti.
Curiosamente, lo stesso schieramento si propone oggi. Fermi restando la Cariplo e il San Paolo baluardo bianco nella pancia di Intesa, due fronti “bianchi”, un tempo democristiani oggi popolari, si costruiscono attorno a Mps (Tesoro, Caltagirone, eredi Del Vecchio, e altri minori) e sull’asse Bpm-Crédit Agricole. Bpm, ex Popolari milanese e veneta, è anche parte importante di Mps.
Considerandoci assieme anche Intesa, la banca “bianca” copre oggi abbondantemente più della metà del credito.   
Al vecchio fronte opposto, tosco-emiliano, si lascia solo Bper, l’ex popolare Emilia-Romagna. Sotto l’ombrello dell’assicurazione  “compagna” Unipol. Con il contentino della popolare Sondrio – dall’anima più “bianca” che si può.
Quanto basta per tacitare il Pd di Schlein, che pure voleva essere di sinistra, se non più comunista. Si spiega così il silenzio del Pd e dei suoi media sulla stramberia del governo, che ha usato il golden power per dare Bpm al gruppo francese “popolare” Agricole - democristiano del resto anche il metodo di governo nella fattispecie, la nessuna considerazione delle leggi.

Prova d’amore universale

Le pene d’amore di Nené al liceo – Nené è Andrea. Con una campagna di scuola. Che gli dà tutto. Ma poi si dà a tutti.
Dirlo non è guastare la lettura. Come spesso in Camilleri l’aneddoto è da poco, è la maniera di “inventarsi” la narrazione  che fa premio.
Il racconto è uno dei due inediti – l’altro è quello del titolo – dell’ultma raccolta di racconti approntata postuma da Sellerio, nel 2023, “La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigata”. Notevoe che un quotidiano si promuova con un racconto – questo è il primo di una serie settimanale estiva, di sei o sette uscite.
 Andrea Camilleri, La prova, “la Repubblica”, pp. 45 gratuito col quotidiano

venerdì 8 agosto 2025

Cronache dell’altro mondo – gramsciane (348)

Con più determinazione, e con qualche argomento in più, rispetto ai neocon un quarto di secolo fa, la destra americana coltiva la cultura come terreno di dominio. Nella battaglia a tutto campo anti-woke - sulla storia, le minoranze, il genere, la sregolatezza in genere (alcolismo, droghe, promiscuità) - e in tutti gli ordini dell’istruzione, dalla scuola materna all’università.

Un’offensiva generalizzata, a partire dal linguaggio Anche nelle materie e gli ambienti più ostili, i media e la giustizia. Sui media attraverso la pubblicità, che segue il gradimento del pubblico. Giacché questa strategia paga, a sorpresa col voto popolare a Trump, in crescendo sulla base dei sondaggi.

Non è proprio Gramsci, il teorico dell’“egemonia” culturale, ma è come se, il disegno è lo stesso: dominare le menti prima che la scheda alle urne.

Il disegno egemonico conservatore s’identifica col vice-presidente Vance, sui temi rappresentati dieci anni fa col suo best-seller “Elegia americana”, e con Christopher F. Rufo, un quarantenne figlio di un bracciante emigrato dalla Ciociaria, ideologo formato alla Georgetown, l’università dei gesuiti, e anche lui a Harvard, come Vance. Ex regista apprezzato di documentari sociali, è da anni vedette su tutti i media delle cause conservatrici – ha costretto alle dimissioni la rettrice di Harvard, con accuse di plagio, ed è l’autore della fake news (in cui poi è caduto Vance) degli immigrati che si mangiavano i gatti.

L’argomento in più è che il conservatorismo, la tradizione, è migliore baluardo per i ceti più sfavoriti.  Rufo ha condiviso come documentarista l’esperienza di vita (e di scrittura) di Vance, l’America  hillbilly, della rust-belt o cintura industriale abbandonata, dell’isolamento, della deprivazione.

Curdi e turchi uniti da Israele

Il lampo si è acceso col raid israeliano su Damasco e la Siria, considerato l’anticipo di una offensiva tutti azimut, se non una guerra, di Israele contro la Turchia (il regime siriano è stato creato e si mantiene col supporto turco). I curdi siriani si sono immediatamente allineati su Ankara. E lo stesso avrebbe fatto, dall’isola-carcere di Imralik nel mar di Marmara, dove è detenuto da venticinque anni, Abdullah Öcalan, leader del Pkk curdo, la principale forza di opposizione, finora separatista.

L’abbrivo è venuto da Devlet Bahceli, il presidente di Movimento Nazionalista, il maggiore dei partiti della coalizione con l’AK di Erdogan in Parlamento: costituire una sorta di union sacrée, contro Israele, insieme con i curdi. Ocalan si sarebbe detto d’accordo.

Bahceli –prima ancora di Erdogan - e Öcalan, ottantenni, più o meno, si sono combattuti per cinquant’anni, dai tardi anni 19970.

Mandare a processo chi lavora con Israele

Collaborare con Israele (forniture, investimenti, tecnologie) è complicità in vari crimini, compresi “apartheid e genocidio”. È una tesi ardita, che che ha fatto dichiarare l’autrice, una giurista italiana dottoranda a Amsterdam, da tre anni “Relatrice Speciale Onu per i diritti umani sui territori occupati da Israele”, persona non grata negli Stati Uniti, dove pure lavora. Questo è il suo Rapporto.
I fatti esaminati ci sono. La colonizzazione è la politica israeliana ormai da un quarto di secolo, perseguita anche con l’esercito. E la disparità o ingiustizia legale, di diritto - non solo quello applicato, anche quello formale - è da apartheid. Molti dei fatti qui esaminati, o anche non più recenti, sono stati esaminati, e condannati, anche dalla Corte Penale Internazionale. Che aveva condannato già Ariel Sharon, protocolonizzatore, prima di Netanyhu.
Il governo israeliano prende molto sul serio la condanna di Albanese, dedicandola una nota molto lunga e dettagliata di contestazioni. E tuttavia si legge il rapporto, tanto più per essere minuzioso di riferimenti giuridici e giurisdizionali, come un’esercitazione a vuoto. Il diritto internazionale è contro Israele. I precedenti giirisdizionali sono contro le aziende che traggono profitto da situazioni di illegalità, come persecuzione e sfruttameno - il caso della I.G.Farben nell’Olocausto è il più famoso, ma tanti altri processi sono andati a buon fine, in Sud Africa e altrove. Ma chi e come può ora condannare un’impresa che abbia fatto o faccia affari in Israele? Con che autorità? A che fine? La questione, qui prospettata “di principio”, sa di vecchia crociata contro le “multinazionali”, come usava dire, sfruttatrici etc. Mentre il colonialismo israeliano nei confronti dei palestinesi è dato per scontato, anche se sull’autorità di storici israeliani (non citati, ma presenti).
Àlbanese, dottoranda in Diritto Internazionale dei Rifugiati ad Amsterdam, è da un decennio funzionaria Onu per i Diritti Umani. Aveva già redatto tre Rapporti internaziomli sull’occupazione israeliana della Cisgiordania, prima di questo incarico, sempre per conto dell’Onu, nell’ottobre 2022, nel luglio e nell’ottobre 2023. E dopo il 7 ottobre aveva pubblicato, conl la collaborazione di Christian Elia, e con la postfazione della filosofa De Monticelli, un veemente “J’accuse” – non un instant book, precisava, d’occasione, ma “Gli attacchi del 7 Ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra”. Questo rapporto, d’impianto giuridico, è appena più contenuto del pamphlet. E d’altra parte, se  l’esercito israeliano ha dubbi sull’approccio del governo di Netanyahu su Gaza, e la Germania, la Germania…., ha deciso di sospendere gli aiuti militari a Israele, i fatti ci sono.
Francesca Albanese, Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, PaperFIRST, pp 169 € 5

giovedì 7 agosto 2025

Problemi di base - 875

spock
“Gli errori rendono amabili”, Goethe?
 
“L’avere sempre ragione ci rende odiosi”, G. Carofiglio?
 
I maestri sono odiosi?
 
E i filosofi?
 
Anche Goethe?
 
 Avere ragione è esercitare\imporre un potere?


spock@antiit.eu

Doppio giallo al Tour gastronomico, delitti e dooping

Una prostituta forse non ancora maggiorenne viene strangolata alla porta d’albergo del noto cronista sportivo della “Gazzetta dello Sport” che come ogni anno si appresta a seguire il Tour. Non è sospettato dell’assassinio, non più dopo poche ore di spiacevolezze, ma la vicenda resta intrigante. Il  nostro sarà libero di seguire il Tour, il patron dell’organizzazione si è mosso anche lui, garantisce, vuole assolutamente la copertura italiana, e le due cose si intrecciano. Ma non finisce qui: la ragazza assassinata è una tossicomane, figlia di un importante giudice, che al nostro l’ha giurata. L’assassinio è stato firmato, con uno sticker, numero 1. E il numero 2 segue presto: il morto, questa volta, pugnalato e sfracellato è un decano dei suiveur¸i giornalisti che seguono il Tour, un francese, stimato e amato, anche perché è il miglior enogastronomo, conoscitore di ogni angolo della Francia e di ogni specialità. Il racconto è infatti soprattutto di piatti e di vini, tappa per tappa, città per città – seguire il Tour “non è come una volta”, i giornalisti si regolano sulla tv, anche loro, devono solo correre – in autostrada, in treno – all’arrivo della tappa..
Il protagonista-narratore, grande reporter sportivo, del ciclismo in specie, del Tour in particolare, è  enogastronomo a suo beneficio.Senon ché, sofferente di ipertensione, prende anche un diuretico,  “Spirofir si chiama, ha scritto «doping» grande così sulla scatola, in genere la butto subito via, lascio il blister nudo”, argomenta. E conclude: “Un dopato di più al Tour”. E questo guasta un po’ la ltetura. Che si apre con le meraviglie del campione americno “Bill Sheldon”, che sicuramente vncerà il settimo Tour di fila, record dei record. E il lettore sa che Sheldon-Armostrong , l’eroe del Tour per sette anni, dal 1999 al 2005, cinque anni dopola narrazione (2007), nel 2012-2013 sarà riconosciuto dopato e organizzatore di combines, e tuti i suoi sucecssi, dall’inizio nel 1989 alla fine della carriera, nel 2012, revocati. Ma già in questo Tour del 2005 è sospettato e inquisito per doping.
Molte le pagine, in aggiunta alla cucina e ai vini regionali francesi, sulla storia delTour – impressionante la lista dei Van del Tour – una cinquantina?
Gianni Mutra, Giallo su giallo, Feltrinelli, pp. 227 € 7,50

 

mercoledì 6 agosto 2025

Letture - 586

letterautore


Belpaese
– Nasce sarcastico? È il parere di Cazzullo (ha scritto un libro anche su Dante?) nella posta del “Corriere della sera”: “Dante definisce l’Italia «Belpaese», all’apparenza rischiarando il cupo canto del conte Ugolnino, anche in senso sarcastico, come a dire: bel Paese è quello che fa morire di fame un padre con i suoi quattro figliuoli!”. C’è un Dante  per tutto.
 
Berlusconi –“Se n’è andato due anni fa in una città di cui non è mai stato veramente cittadino, essendo in essenza più brianzolo, più romano, perfino più napoletano” - Michele Masneri, “Uomini, miti e cose. Il decennio che sconvolse Milano” (“il Foglio”).
 
Classici – “I classici, che mi hanno tenuto compagnia tutta la vita, sono fondativi e al contempo antagonisti del presente: loro hanno il privilegio delle domande, noi l’onere delle risposte”, Ivano Dionigi, con Antonio Gnoli su “Robinson”: “I classici non avevano uno sguardo sereno sulla vita, che gli uomini chiamavano mortales”. Né avevano una visione serena della morte: “Non l’Achille omerico, non l’Antigone di Sofocle, non il Prometeo incatenato di Eschilo, non l’Ifigenia di  Euripide; lo stesso Aristofane definisce la morte «il più insostenibile dei mali»”.
 
“Classico è ciò che ancora ha da essere”, ^Osip Mandel’stam.
 
Dizione – “Con Ronconi recitavo per ore, finii in clinica per la fatica”, Massimo Popolizio al “Correre della sera”- “e l’esercizio costante di parlare dal diaframma, ogni sillaba doveva giungere all’ultimo gradino del loggione”.


Lolita – “Esistono almeno tre temi assolutamente tabù per quanto concerne la maggior parte degli editori americani» scriveva Nabokov nella postfazione 1956 alla pubblicazione di “Lolita” in Francia – il racconto è stato a lungo proibito negli Stati Uniti. Uno è naturalmente la pedofilia, che però non dice. Continuando: “Gli altri due sono: un matrimonio tra negro e bianca o negra e bianco che sia completamente e luminosamente fortunato e dia luogo a un gran numero di figli e di nipoti; e l’ateo completo che conduce un’esistenza serena ed utile, e muore nel sonno all’età di centosei anni”. 
 
Ninfetta è termine inglese secentesco, che Nabokov, entomologo e bookworm, specie della sua nuova lingua, ha recuperato: nymphet, crisalide, poi traslato in “ninfetta”,  di giovanissima provocante (il Battaglia non lo censisce, il Petit Robert lo data al 1611, ma evidentemente sul dato inglese, no lo associa e nessun testo e rinvia a “circa il 1960”, cioè a “Lolita”).
 
Thomas Mann -Goliarda Sapienza, incerta sulla tenuta del suo lungo romanzo “L’arte della gioia”, “ammirava Thomas Mann perché affidava alla segretaria la responsabilità di operare i tagli che riteneva necessari” - Angelo Pellegrino, “Ritratto di Goliarda Sapienza”.
 
Maschilismo – “Non è solo la donna a invidiare il pene, a sentirsi mutilata. Anche l’uomo ha una mutilazione”. “E quale sarebbe? “Non può creare carnalmente una vita. È così che cerca di dare vita a idee. Pensa a Pigmalione, a Zeus che supplisce alla sua mutilazione ingravidandosi nella volta cranica, e portando in sé non un esserino nudo e informe, ma uno splendido guerriero donna armato di scudo ed elmo. Questo perché l’uomo è una madre esattamente come la donna” – Goliarda Sapienza, “L’arte della gioia”, p. 353.
 
Moglie – Di Paola Gius, moglie di Gianni Mura, che con lei ha tenuto per molti anni sul “Venerdì di Repubblica” la rubrica gastronomica “mangia&bevi”, lui esperto di cucina, lei (di nota famiglia trentina di ristoratori) dei vini, non si sa nulla. Nemmeno la data di nascita. Nemmeno quella di morte, che pure sarebbe avvenuta pochi mesi, o poche settimane, dopo quella del marito. Lo stesso lungo sommario dell’articolo celebrativo di “la Repubblica” in morte di Gianni Mura, non menziona questa collaboratrice, pure di successo.
 
Filippo Maria Pontani – Il grecista forse più famoso, se non altro per le tante pubblicazioni adottabili al liceo, ha chiamato il figlio col suo stesso nome. Che però lo scrive unito per distinguersene, celebra la madre in morte, Anna Meschini, altra illustre grecista, e se gli capita critica le traduzioni famose del padre. Da ultimo, marginalmente, come tipologia di traduttore (creativo) nella recensione-stroncatura - un hapax da qualche anno - della nuova edizione approntata per i classici Valla della “Elettra” di Euripide – sbertucciata nell’originale, sull’autorità di Aristofane, e nella traduzione, la vecchia e la nuova.
 
Romanzo – A disagio in Italia negli anni 1970, lo dice Domenico Scarpa, nel saggio “Senza alternative niente”, ricordando la formidabile promozione in Francia del romanzo di G. Sapienza, “L’arte della gioia”. In Italia “non pubblicabile”, con un lugo articolo di De Ceccaty su “Le Monde des Livres” il 16 settembre 2005: “Negli anni Settanta il romanzo italiano si potrebbe definire un paradosso innestato su un ossimoro”. Ceccatty aveva “posto una domanda pertinente: «Che cos’era l’Italia letteraria nel 1976, quando Goliarda Sapienza conclude questo romanzo sbalorditivo. Un Paese che provava disagio a guardarsi e a scegliere un linguaggio romanzesco”. E ricorda le stroncature di Elsa Morante, “La Storia”, anche di Pasolini. O la negazione della narratività (Manganelli). Nel mentre che si moltiplicano romanzi-romanzi: Ortese (“Il porto di Toledo”), Arbasino (“Fratelli d’Italia”, continuamente riraccontato), D ‘Arrigo (“Horcynus Orca”),Volponi (“Corporale”), il tardo Fenoglio (“Il partigiano Johnny”). E naturalmente Sapienza. Ma tutte, osserva Scarpa, con l’ambizione dell’“opera-mondo”.
 
Sartre – “Quel gesuita dalla vena iniettata a rovescio che è Sartre!”, Goliarda Sapienza f a esclamare al suo alter ego Modesta., “L’arte della gioia”, 475. Ricordando Sartre che a Milano nel 1946, “credo, era estate, e si soffocava… disse che un po’ d’angoscia non avrebbe fatto male contro il vostro trionfalismo (della Resistenza, n.d.r), e s’è portato a sé tutti i giovani”.
 
letterautore@antiit.eu

A Sidney, a Sidney, l’amore a colori

Gluck, specialista di “Pter Rabbitt”, mette in scena due comprimari dimessi, giovani ma nn belli né vincenti, tra sorellastre e genitori ricchissimi, svagatissimi e intromettenti, a fin di bene naturalmente, in case, giardini, palazzi, città, la baia di Sidney specialmente, coloratissimi e lussuosissimi. Per una commediola dispendiosa e spensierata. La ragazza ricca e imbranata, neppure viziata come la sorella, nemmeno specialmente bella, s’imbatte per caso nell’uomo della vita, se ne allontana, lo ritrova. Glielo fanno ritrovare i genitori che non lo vorrebbero per genero. E allora loro recitano gli innamorati per fare dispetto. E non si sa che dire.
Attorno a questa gag un film coloratissimo, ricchissimo, opulento di parchi, piante, bestie rare, di interventi immediati con l’elicottero di salvataggio ai bagnanti poco esperti. Se non che è film che piace molto – perfino in Italia, con incasso per oltre sei milioni, senza pubblicità né kit per i critici.
Will Gluck, Tutti tranne te, Sky Cinema

martedì 5 agosto 2025

La Dc ritorna, in banca

Torna aria di vecchia Dc. Nelle pieghe della destra come della sinistra, con la campagna bancaria in corso, attorno allo sbarramento governativo contro Unicredit, e al progetto, sempre governativo, di una grande banca Mps-Bpm con Mediobanca e Generali. Col rinnovato appoggio del Crédit Agricole, colosso francese del vecchio credito popolare e di risprmio.
È come un revamping attualizzato, al gigantismo o consolidamento del credito come ora si vuole, del vecchio amplissimo reticolo confessionale di casse rurali, artigiane, popolari, di risparmio. Il rilancio si fa sotto l’egida politica del ministro Giorgetti, cioè della Lega, ma l’ossatura è “popolare”, cioè veterodemocristiana. Con un occhio al Pd, alla cui base ex comunista, cioè a Unipol-Bper (il revamping a opera del più accorto Cimbri dell’“abbiamo una banca” degli sprovveduti Consorti e Fassino), è stata ceduta, dopo un primo arroccamento, la pur ricca Popolare Sondrio.  
È un potere che si ricompatta attraverso i partiti. Non avendo peraltro mai mollato i settori di spesa, da sempre controllati: la ricerca scientifica, l’energia (Eni, Enel, e ora il nuovo nucleare), lo spaziale, il ferroviario. Secondo la vecchia strategia Cei post “Mani Pulite”, del cardinale Ruini: meglio se divisi, con le mani in pasta in tutti gli schieramenti.
La montatura mediatica di Renzi, quasi statista supremo, e del povero Calenda, oltre che di Tajani, che rappresenta anch’egli se stesso, e dei figli di Berlusconi, che sanno di poco e non contano nulla, va anch’essa in questa direzione. Ma soprattutto conta l’offensiva bancaria, una novità. Dopo tanti decenni giocati in difesa – dalle privatizzazioni Iri.
La vecchia Dc, il popolarismo, non aveva mai abbandonato la banca, attraverso Bazoli - con Cariplo e San Paolo, sempre col sostegno di Crédit Agricole. Ma Intesa ha ormai un’altra dimensione. Oppure si può vederla così: con Intesa e il conglomerato in fieri (Mediobanca-Generali è “il” risparmio) la banca è solidamente, nuovamente, “popolare”.
 

Cronache dell’altro mondo – geniali (347)

“La nuova legge americana sulle criptovalute è talmente buona che «le hanno dato il mio nome», ha celiato il presidente Trump firmando il 18 luglio il «Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins (GENIUS) Act», la legge che regola questo speciale mercato.
“Mentre il governo americano e il mercato delle criptovalute celebrano l’alba di un’era d’oro, dall’altra parte dell’Atlantico l’impressione è meno entusiata.
“Le criptovalute, token, o beni digitali, garantiti da beni convenzionali, sono visti come trffaldine, profodnamente destabilizzanti - o entrambe le cose. Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, ha messo in guardia le banche commerciali dall’emettere criptovalute. Christine Lagarde, presidente della Bce, ammonisce che le criptovalute potrebbero diventare moneta privata, col rischio un giorno di soppiantare le banche centrali”.
(“The Economist”)

 

 

Rifugiati e non, per una revisione del diritto d’asilo

Un non simpatizzante, anzi, ma sicuro conoscitore delle dinamiche dell’immigrazione selvaggia, finisce per dare ragione a Meloni. Direttore da quindici anni dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati, e già autore, sempre per l’“Economist”, by invitation, dell’allarme “Il sistema globale di asilo sta cadendo a pezzi”, comincia col riconoscere che “la domanda popolare di robusti controlli di frontiera e di gestione ordinata dei flussi sono ragionevoli…. Se le richieste (di asilo) sono esaminate bene e rapidamente, con i richedenti bocciati rimandati subito a casa, i migranti avanno meno incentivi a tentare la strada della richiesta di asilo, che deve essere riservata a chi ne ha effettivamente bisogno”.
Su questo Grandi non ha dubbi. Come ora anche l’Unione Europea. Dopo la lotta al “mercato degli schiavi”, sembra il background, all’immigrazione selvaggia a opera di mafie libiche e turche, tentata da Meloni - per ora messa in stand by dalle giudici bas-bleu. “In molti paesi”, lamenta Grandi, “i sistemi di rimpatrio dei falsi richiedenti asilo sono inefficaci o poco sostenuti”. Tra le tante soluzioni, “si provano accordi con paesi terzi per trasferirvi i richiedenti asilo. Questi accordi sono stati contestabili, p.es. la Gran Bretagna col Ruanda. “Ma con le giuste garanzie possono essere insieme pratici e legali… Alcune richieste di asilo in Europa potrebbero anche essere esaminate fuori dalla Ue – riducendo la possibilità per i falsi richiedenti asilo di sparire (fra i paesi dell’Unione)”.
Bene anche i controlli in mare: “Altre misure potrebbero includere il rafforzamento della ricerca, il  salvataggio gli sbarchi sui canali specialmente mortali, come nel Mediterraneo”.
Il problema per Grandi è però molto più ampio e più grave di quanto le bas-bleu italiane pensino – o forse lo sanno, ma “giocano all’opposizione”, a fare le partigiane. “Vie sicure e controllate di accesso hanno un altro beneficio: bloccano i miliardi realizzati dalle bande criminali e dai contrabbandieri di persone – trafficanti di morte. Nel decennio passato 34 mila persone che tentavano di raggiungere l’Europa via mare sono morte o scomparse. E la cifra reale è sicuramente molto più alta”.  E tuttavia, “anche se le traversate via mare dominano l’informazione, la maggior parte dei rifugiati vuole restare vicino casa”. Dei 31 milioni di rifugiati sotto il mandato Unhcr, due terzi vivono in paesi vicino al loro. E i tre quarti risiedono in paesi a medio o basso reddito, come Bangladesh, Ciad, Iran, Turchia e Uganda” – e il commissario Onu, anche lui, dimentica il Libano, che ha due milioni di profughi, “catalogati”, cioè riconosciuti, dalla Siria e dalla Palestina, per una popolazione di cinque milioni e mezzo.
Filippo Grandi, How to fix an asylum system under strain, “The Economist”

lunedì 4 agosto 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto - 601

Giuseppe Leuzzi
 
Da troppi anni la produzione al Sud s’incrementa più che al Centro-Nord, significa che è “strutturalmente” decollata. Cos’è dunque che fa fuggire dal Sud verso il Nord i giovani, diplomati, laureati? La politica, non c’è altra risposta possibile. Cioè la sanita, le infrastrutture, la burocrazia (ci vuole sempre “una mano”), e anche la sicurezza. Che però è – sarebbe – nazionale, ed è – sarebbe – massima.
 
Non c’è nemmeno un calabrese, o un siciliano, nell’affaire milanese della Nuova Urbanistica. E come è possibile, non ci sono più giudici come la Boccassini?
 
Un certo nome, una carriera onorata, qualche film che si rivede, se non di culto, ma Bova resterà come quello degli “occhi spaccati”. Per una sgallettata milanese. E per il suo manager, ancora più incredibile della dark lady. Si può dirlo l’apologo del rapporto Nord-Sud, furberia e fiducia.
 
“Se si blocca l’attività di chi governa Milano”, spiega il presidente dimissionario della Regione Calabria Roberto Occhiuto, “Milano va avanti; se si blocca l’attività di chi governa la Calabria, la Calabria si ferma”. Senza la politica il Sud non sa stare – almeno, se è vera la notizia della produzione, un certo Sud.
 
Nella sua incongrua vicenda, di Occhiuto, le dimissioni con la ricandidatura, bisogna però dire un’altra cosa: è – era – uno che faceva le cose. Un minimo, ma le faceva. L’accordo con le compagnie aeree low cost per i tre aeroporti locali, Lamezia, Reggio e Crotone, grazie al quale ha riempito per due stagioni gli alberghi e le spiagge - senza costi, solo intelligenza, a differenza delle tre o quattro costose campagne promozionali, inefficaci, indisponenti, del passato. E i tanti ospedali più volte “finanziati” di cui ha avviato la costruzione. Governare è anche semplice. Ed è il problema della Calabria e del Sud in genere: il governo, la politica.
 
Visto l’esito, la storia di Occhiuto in Calabria si può leggere anche così; la Procura renziana di Cosenza, il capo e i sostituti, due calabresi e il solito napoletano stranded, lo ha messo sotto inchiesta, lui li spiazza professando “massima fiducia nei giudici”, ma dimettendosi e ricandidandosi, sicuro che Renzi non prenderà un voto in Calabria, nemmeno sommandolo con Calenda. Uno scherzo, ‘a zannella.
 
Presentito come candidato Pd alla Regione Calabria, il giudice Gratteri, renziano, un carrierone con le carcerazioni abusive, naturalmente si nega: “Ho un bergamottetto e quando andrò in pensione mi ci dedicherò”. Gratteri, di Gerace, è proprio calabrese – ‘a zannella personificata. Anche il menefreghismo esibito, si pensa sia il massimo dello snob – Gratteri usava esibirlo insieme con la povertà della famiglia, terzo di cinque figli, ma ereditare un bergamotteto, da solo, non è male – l’essenza è di nuovo in domanda.
 
“Poteri speciali?  Ora devono averli Venezia e Milano”. Zaia subito, il giorno dopo il voto per Roma. È giusto, il Nord è famelico – questo vuol dire leghista.
 
Umanesimo greco in Italia - 1
C’è stato un umanesimo greco in Italia, nel Quattro e nel Cinquecento, ignoto ai più, di cui ora Filippomaria Pontani si fa il testimone, pubblicando in volumi (finora quattro) gli studi della madre Anna Maria Meschini Pontani - “la maggiore studiosa dell’Umanesimo greco in Italia, da Crisolora a Musuro, da Ciriaco d’Ancona a Giano Làskaris, nonché dell’orientalista Simone Assemani”. Traduttrice e commentatrice dello storico bizantino Niceta Coniata. Un revival di oltre un secolo, dalla fase iniziale del ritorno del greco in Occidente, in Italia tramite i monaci calabresi Barlaam e Leonzio Pilato, fino al 1450 circa.
Di questi umanisti greci solo Crisolora, nobile costantinopolitano, sbarcato a Venezia con incarichi diplomatici (organizzare una crociata contro i turchi), è il solo che ha operato al Nord, nella stessa Venezia, a Firenze, a Pavia, fino al concilio di Costanza, 1414, durante il quale morì. È quello che ha aperto ufficialmente, insegnandolo a Firenze, l’umanesimo greco in Italia. Avviò anche il ritorno del platonismo, ch accompagnerà il dibattito fra le due chiese cattoliche, divise dalla teologica questione del Filioque, fino all’unificazione sancita al concilio di Ferrara-Firenze, 1439 - l’unione  durò poco, fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453: caduta l’illusione di un intervento occidentale (la “crociata”) a difesa di Costantinopoli, l’unione fu annullata dalla chiesa greca a Costantinopoli venti anni dopo, nel 1472.
Ciriaco Pizzecoli, o de’ Pizzicoli, detto Ciriaco d’Ancona, di famiglia mercantile, visse in viaggio per il Mediterraneo. Alla ricerca e catalogazione delle antichità. All’età di nove anni aveva viaggiato col nonno materno per il Sannio, la Campania, la Puglia, la Lucania e la Calabria. A 21 anni s’imbarcò. Sarebbe diventato presto il padre dell’archeologia – Winckelmann lo sarebbe invece dell’archeologia moderna. Lo “scopritore” del Partenone e delle Piramidi, basandosi sulla lettura dei testi classici. Definitivamente è il padre dell’epigrafia, che avrebbe inventato come disciplina oltre che coltivato, per l’autorità di Mommsen. Il suo catalogo “Graeca” è tuttora
di consultazione.
 
Sud pitagorico
C’è qualcosa di pitagorico nel presidente della Regione Calabria Occhiuto che, indagato, si dimette e si ricandida. Una sorta di immanenza. Della coscienza che mai muore e semmai rinasce. Dell’io-Dio. Senza riferimento a Pitagora, vero, ma di fatto, nella forma mentis. Immortale. Forse non nel caso del mite presidente, ma del complesso del “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Una filosofia che, semmai ci fossero ancora dubbi su chi e di dove era Pitagora, lo conferma sicuramente calabrese. Ma non solo, emerge anche altrove, la dove si è formata una sorta di identità locale, regionale, come la “sicilitudine” e la “napoletanità”. Che sono manifestazioni di appartenenza, e quindi psicologicamente efficaci, di aiuto – forme, quasi, di mutuo soccorso. Ma porta agli estremi la narrativa delle radici, fino a dubitarne. Dell’efficacia – dell’utilità.
 
Il primato di Milano
Si difende Milano con rabbia e non senza argomenti nello scandalo della cosiddetta Nuova Urbanistica, delle superfetazioni di piccoli edifici e di piccole aree in grattacieli da 100 e 200 appartamenti fatte passare per ristrutturazioni, con una semplice Cia, senza varianti al piano regolatore, ai piani edificatori, sebbene al di fuori anche dei regolamenti comunali, su altezze massime e ingombri – in rapporto al verde, alla sicurezza, alle distanze. Ha i giornali e i giornalisti 
per farlo – non necessariamente milanesi, i giornalisti, anzi. È la città all’avanguardia per l’urbanistica, partendo dal consumo ridotto del suolo, per i trasporti, per l’istruzione, e soprattutto per il lavoro. Una città che cresce – forse la sola in Italia. L’unica comunque che attrae i giovani, con o senza istruzione, chi ha un progetto, ha voglia di fare.
Che può essere vero. Ma costruire un grattacielo invece di un laboratorio artigianale come ristrutturazione, questa è corruzione. Spicciola. Le mazzette, in forma elegante, di progetti e consulenze, non saranno elevate. Ma sono “normali”.
A Roma, per fare un esempio di altra citta grande, seppure non più, forse, in crescita, lo stesso si fa, ma solo su proprietà del Vaticano – del Vicariato, che è molto ricco, di terreni e di edifici, ma quasi tutti bisognosi di nuove “destinazioni d’uso”. Giusto per “metterli in valore, come si direbbe a Milano.  E si fa, i cambiamenti piovono, chi aveva davanti un giardino e una capanna del Vicariato si ritrova dall’oggi al domani un grattacielo, e non c’è obiezione possibile, nemmeno in Tribunale, nemmeno in Cassazione – altro che penale. Ma solo se c’è di mezzo il Vicariato.
Altrove non si costruisce molto, è vero. La demografia è in calo, l’urbanizzazione è finita da tempo come chimera. Il movimento è anzi all’opposto, dalle città verso le periferie, il “territorio”.
Ma perché a Milano si costruisce caro, solo caro? E non invece a Roma, dove, purtroppo, si costruisce più che a Milano, ma in piano. Quindi con consumo del territorio, e dei servizi di urbanizzazione. È per il motivo che non c’è un piano urbanistico. Cioè c’è, non può non esserci, ma all’evidenza non adeguato, non al mix della popolazione, non alla crescita della città se è la sola ad attrarre immigrazione. O trascurato. Per i grandi edifici – al coperto della modernizzazione. Per i grandi interessi immobiliari – costruzioni, aree. Milano sarà sempre un esempio, come si vuole, ma troppo spesso un cattivo esempio.
 
Cronache della differenza: Milano
L’Antitrust (ri)multa Armani, dopo le inchieste della  Procura di Milano e qualche condanna, per lavoro nero, salari da fame, condizioni di lavoro degradanti. Milano non si scandalizza: si sa che le lavorazioni non sono in house, si fanno con fornitori e sub-fornitori. E poi, quanti saranno i lavoratori non in regola? Quindici-ventimila. Realismo, questa è la ricetta. Le multe? Che fanno ad Armani tre o quattro milioni? Altrove, p. es. al Sud, ci sarebbe il danno “reputazionale” (dimostri che non è mafioso), a Milano no.
 
Non si dice ma si fa , surettiziamente, ampiamente, su La 7, Sky Tg 24, il “Corriere della sera”, i siti, che il gip degli arresti, Mattia Fiorentimo è po’ mattoide, ha condannato al carcere tante persone stimabili senza imputazioni specifiche. Che usa un linguaggio confuso. Come se le altre sentenze fossero chiare. Come se la corruzione, la si chiami come si vuole, “conflitto d’interessi”, “scambio di utilità”, non ci fosse stata – e non ci fosse.
Non si può dire, Milano è città onorata, ma fa come le prostitute quando si dicono sex worker - dov’è il male?

Un calabrese di cinquanta e più, attore famoso, di molta esperienza, è preso in giro da una sgallettata milanese che é solo piacente. Non c’entra nulla naturalmente, né nel caso né in generale, la Calabria non può essere Milano. Di fatto. In letteratura l’aneddoto andrebbe a parti rovesciate: la furba calabrese, l’imbranato lombardo. Ma la storia reale è uno specchio della cosa.

 “Ci dev’essere qualche motivo psicanalitico se la capitale del Nord è da sempre comandata dai siciliani (da Enrico Cuccia ai Ligresti a, oggi, i La Russa” – Michele Masneri, “Uomini miti e cose. Il decennio che sconvolse Milano” (“Il Foglio”, 2-3 agosto). Peggio oggi, col “romano”, in realtà siciliano, Caltagirone, che si compra Mediobanca e Generali a prezzi di realizzo.

 
Dopo Bossi, si è messa all’ora di Roma. I romani vi s’incontrano più dei pugliesi. Soprattutto a tavola, con succursali, presunte, dei ristoranti romaneschi, “Testaccio”, “Rugantino”, “Bolognese”, “Felice”,”Cacio e pepe”, “Volemose bene”, “Ai cocci”, “al balestraro”…
 
Non pianta alberi perché le radici deteriorano il suolo – circolare della Sovrintendenza. Si piantano invece in terrazza. A piazza San Babila gli alberi non sono stati ripiantati nella ristrutturazione su ordine della Soprintendenza. Sulle terrazze che prospettano sulla piazza invece è un proliferare di chiome. Anche il verde è per i ricchi.
 
Una organizzazione milanese per il ricatto a Bova: una influencer, il suo pr, e un editore, per quanto screditato. Una storia metropolitana. Che in Italia potrebbe, per es., ambientarsi a Napoli. Forse più propriamente, almeno secondo la vulgata. Ma a Napoli ci sarebbe voluta la camorra, un capo camorra.
 
Senza Milano non c’è l’Italia, è l’argomentazione principe in questi giorni in cui Milano sembra al vertice della corruzione. È anche una chiamata di correo, come fa il “Corriere della sera” con una  grande pagina: “Cosa non ha funzionato a Milano… riguarda l’Italia tutta”. E perché? Se si ruba (conflitto d’interessi, “scambio di utilità”) a Milano è colpa dell’Italia? In un certo senso sì, se l’Italia è Milano.
 
Dice: a Milano non era delinquenza. Erano grattacieli fatti passare per vecchi laboratori ristrutturati.  Furbo, certo, non è stupido – la mafia è stupida, il Sud lo è, Milano no: sarà questa la grande differenza, da antichi fan presi a calci sui denti da Bossi e Milano 1, non era molti anni fa.
 
O anche, per essere precisi. Sarà pure vero che a Milano non correvano “mazzette”, cioè corruzione spicciola, anche se qualcuno teneva in casa 200 mila euro. Alla Commissione Urbansitica gli architetti che ne facevano parte potevano firmare progetti dispendiosi – e irregolari - perché in commissione si astenevano. È ipocrisia, ma da mafiosi, col codice in mano – è vero, come farà il giudice a distare le “utilità”?


Molte pagine di cronache criminali sul “Corriere della sera”, ma solo poche righe, in un angolino, a p. 20, per l’assassinio di Boiocchi, il settantenne “storico capo della curva interista”, i colpevoli hanno confessato. Milano non si fa colpa della criminalità, seppure diffusa come nel tifo. È giusto, il crimine non conta.
 
“È diventata la città di chi sta bene”, dice Massimo Moratti, che si ritiene un immigrato, di seconda generazione, seppure da Somma Lombarda, figlio di piazzista, seppure nipote di farmacista. Di chi è ricco, cioè. Una volra era diverso, dice ancora: “La città ti accoglieva e si occupava di te. Arrivavi dal Sud da ogni parte, anche con la valigia di cartone, e qui ti sentivi importante, trovavi un progetto di vita. Che si trasformava in un sentimento di riconoscenza verso Milano”. Vero. Poi esplose la Lega, che è ben milanese, intronizzata da Milano 1.
 
“Meglio di Milano?”, chiede Michele Masneri sul “Foglio” a Giammetti, il socio di Valentino, che gli loda Roma, e la haute couture, che fino agli ani 1970 si faceva a Roma. “Milano la conosco pochissimo, noi sfilavamo solo con la collezione uomo lì, non ho mai avuto tanti amici, solo conoscenti a Milano. Città interessante, però Roma è un’altra cosa”.


Roberto Saviano dice che sì, la città fa paura, ai Carabinieri. Dovendo andare a Milano dopo aver scritto un articolo contro la tifoseria interista, ha notato che “i carabinieri della protezione (scorta, n.d.r.) erano nervosissimi”.

leuzzi@antiit.eu

Hiroshima, gli effetti occultati della Bomba

Degli effetti della prima guerra atomica si ebbe conoscenza solo un anno dopo i bombardamenti, con questo reportage del 1946 - che il settimanale riesuma per gli ottant’anni di Hiroshima e Nagasaki. Si sapeva dei primi effetti come una qualsiasi esplosione, incendi, distruzioni, morti, solo più potente. Non si sapeva o non si diceva degli effetti collaterali, i numerosi tumori e altre infezioni, che causeranno nel tempo altrettanti morti, dopo grandi sofferenze, che all’atto dell’esplosione, circa 120 mila subito e circa 100 mila dopo.
La giornalista Jane Mayer ne spiega oggi l’impatto: “Quando «Hiroshima» apparve, nel numero del 31 agosto 1946, fu lo scoop del secolo: il primo resoconto schietto di un reporter americano dell’esplosione nucleare che cancellò la città…. Il reportage di Hersey contribuì a trasformare il New Yorker. «Hiroshima» segnò una nuova era, più seria. Rivoluzionò anche il giornalismo…. fu un modello di quella che potremmo definire l’esposizione etica, basata su un’informazione rigorosa e su dettagli meticolosamente osservati”.
Resta, non detto, l’osceno dell’uso dell’atomica, per una guerra già finita. Anche se, spiega Mayer,  “la sincerità di Hersey ebbe un impatto sismico: la rivista andò esaurita e una versione cartacea dell’articolo vendette milioni di copie… Secondo gli storici militari il reportage di Hersey «non cambiò solo il dibattito pubblico sulle armi nucleari, lo creò ». Fino ad allora, il presidente Truman aveva celebrato l’attacco come un colpo da maestro strategico, senza affrontare il costo umano. I funzionari minimizzarono spudoratamente gli effetti delle radiazioni; uno di loro le definì un «modo molto piacevole di morire». Hersey ruppe quella censura. Avvertì il mondo su ciò che il governo degli Stati Uniti aveva nascosto”.
John Hersey, Hiroshima, August 23, 1946, “The New Yorker”, free from the archive (leggibile anche in italiano)

domenica 3 agosto 2025

Ombre - 785

Muti, sbalorditi ha lasciato tutti la sentenza europea sugli immigrati – anche i giudici italiani che si erano arrogati il diritto di decidere quale paese di provenienza dei clandestini è democratico (a loro bastava un po’ di polemica anti-Meloni)? Un accertamento che il giudice può fare solo nel processo, con le carte del ricorrente, l’immigrato che resiste all’espulsione. Che è assurdo, una volta usciti dalla manfrina politica – no alle espulsioni di Piantedosi, sì a quelle di Minniti.
Senza contare i diversi gradi di giudizio – magari con la ripetizione.
Senza contare la solita insufficienza degli organici: ci saranno 3-5 mila cause l’anno da giudicare, più gli appelli.
 
Uno s’immagina un giudice italiano, che normalmente non sa dove e cosa è la Calabria, o la Lucania, discettare sulla Guinea-Bissau o Guinea-Conakry, o le Somalie, o i due Congo, o l’emirato di Kano e Kaduna (è dura per i cristiani lì). E Timor Est? Non c’è il senso del ridicolo, e questo è tragico. Siamo in una Italietta, in un’Europa improvvisamente ignorante.
 
Nel silenzio politico svetta un vescovo della Cei, Perego, che vuole gli immigrati tutti perseguitati, al loro Paese e da Meloni. Un vero prete nel 2025, il tipo a cui tutto scivola addosso. Parte di una chiesa da sempre bene informata sul mercato dei nuovi schiavi, che non dice una parola.


In effetti, si rischia il filofascismo, ma il discorso dei parenti delle vittime a Bologna, del loro presidente, alla commemorazione è da politicante, da modesto funzionario politico. Da copione, ma fuori posto e fuori tono. È bizzarra la mancanza di pietà dei parenti di vittime eccellenti, che quindi ci ritroviamo alle celebrazioni. di Borsellino, dello stesso Falcone – sembra che “ci marcino”.
Quanto ritegno invece delle famiglie delle scorte, vittime anche loro, benché non illustri, o dei Morvillo, della giudice moglie di Falcone.


Perché non si dovrebbe realizzare a Roma la seconda grande moschea, per l’area Sud-Est, dopo quella. la più grande d’Europa, quarant’anni fa - coi fondi dell’Arabia Saudita, patrono il solito Andreotti, cioè il Vaticano di Paolo VI – per Roma di Nord-Ovest? Perché, finanziato a parole all’inizio dal Qatar, il progetto si rilancia con le “offerte dei fedeli”. Mentre si tratta di promesse saudite. E l’Arabia Saudita, dopo quarant’anni dallo sbarco nella città del papa, e malgrado la modernizzazione in atto (le donne possono perfino guidare), non riconosce la libertà di culto – niente preti.

 
È curioso che si sottolinei come la condanna del gip a Milano non metta in discussione il sindaco Sala, mentre non lo fa perché non ne era richiesto dalla Procura. Ma sottolineando che “c’era un continuo conflitto d’interessi”, altrove detto inciucio, continuo, cioè “metodo di lavoro”. E che le due decisioni più condannabili sono state prese in consiglio comunale – col sindaco assente?


La giunta sapeva. E anche il consiglio, che la “nuova urbanistica” ha votato. Quali che siano le colpe, come si fa a dire che la Nuova Urbanistica milanese non è, non era, classista? A opera del Pd.

Meloni e il suo partito, più ancora che il suo governo, hanno fatto di tutto per il Salva Milano, e per Roma costituzionale, la quarta Repubblica italiana, con San Marino, il Vaticano e l’Italia propriamente detta. Ma non sfonda a Roma, e non sfonderà mai a Milano. Perché è di destra? No, perché non controlla gli appalti.
 
I settimanali economici dei grandi quotidiani, specializzati in pagine sulle piccole e medie aziende, quelle coi fatturati dai 10 ai 200 milioni, per allargare la lettura e il plateau pubblicitario, s’illustrano con immagini femminili, piacenti in qualche modo, comunque giovanili, di figlie o sorelle. Che si suppone non siano le presidenti di parata inventate da Berlusconi al vertice dei gruppi di Stato. Ci devono essere le quote rosa anche in famiglia, ai vertici delle aziende padronali. Sperando che i doppi comandi in azienda funzionino.
 
Un incolpevole Wesley, brasiliano, ventenne, un calciatore, arriva a Fiumicino alle sei di mattina e  trova ad aspettarlo un centinaio di tifosi della Roma, che lo hanno aspettato nella lunga notte, agitando bandiere e scandendo slogan. Lui non si scompone, dietro gli occhiali scuri, già all’alba. Ma non sa che cosa lo aspetta. È così, non si sa che pensare di questa Roma Capitale – e ora quasi repubblica autonoma.
 
Una Imagine Foundation è stata creata da giornalisti e fotografi per insegnare ai poveri del mondo le virtù della comunicazione. Ora è in Guinea-Conakry a insegnare ai locali la simulazione di un’intervista con l’utilizzo degli smartphone per riprese video. In un paese che è probabilmente quello messo peggio dell’Africa – mai ripresosi dal leninismo di facciata (dittatura) professato a lungo dal suo inventore Sékou Touré. È proprio vero che la cooperazione allo sviluppo è una vacanza esotica per anime candide, europee e americane – ecco l'“Occidente”.
 
Nelle cronache del consiglio comunale di Milano convocato per dibattere l’inchiesta giudiziaria, manca l’essenziale. La seduta “drammatica” si conclude con pochi consiglieri in aula, una quindicina. Non abbastanza per votare. Senza nemmeno una replica del sindaco. È un consiglio convocato per fare da barricata alla Procura. Ben fatto, però, furbo.
 
Bonariamente, senza obiettare, gli Elkann, eredi Agnelli, pagano un miliardo e tre, un miliardo e quattro di tasse inevase (evase). Su denuncia della madre. Si tassano (alcune) persone bonariamente, e su denuncia di parte, niente accertamenti. Sembra assurdo, ma forse non lo è.
 
Gli hanno tolto l’abuso d’ufficio, si sono inventati l’“utilità non patrimoniale”. Piuttosto che lavorare, i giudici farebbero qualsiasi cosa. E che di più facile che prendersela con sindaci e assessori. Poiché la giustizia in Italia non si può riformare, non sarebbe più semplice abolirla – non ci vuole uno Swift per pensarci? Tanto non serve comunque a niente, e fa danni.

Come Céline divenne antisemita

Il racconto di come e quando Céline divenne antisemita. Dopo l’insuccesso, in Francia, di “Morte a credito”, il secondo suo romanzo, attesissimo da lettori e critici dopo il botto del primo, che Céline attribuì al malvolere di critici ebrei. E la revulsione verso il comunismo (in cui in qualche modo confidava, va aggiunto), subentrata a Mosca dove si era recato per spendere i diritti d’autore dello stesso romanzo – che invece in russo era stato un grande successo.
Sotto forma di recensione di uno dei tanti libri che Maurice Bardéche dedicò a Celine, tradotto infine dalle edizioni Italia, dopo quarant’anni, Mughini rievoca una sua visita, circa quarant’anni fa, all’autore, e una lunga conversazione con lui su Céline diventato antisemita. Bardèche, fascista impenitente, cognato di Brasillach, processato anche  lui nel 1945 per collaborazionismo, ma in qualche modo graziato, al contrario del cognato, fucilato, non fa di Céline un fascista nato. No, più che altro deluso, e per questo rancoroso, contro un nemico indistinguibile, massone, anazionale, intrigante, cui diede il nome di ebreo, in linea col sentiment del tempo.
Manca – manca anche in Bardèche – il fatto essenziale: l’esperienza pregressa di Céline, pregressa al “Viaggio”, alla scrittura, come funzionario della Società delle nazioni, in quella che oggi è l’Oms, che scoprì plumbea e arrogante, il tipico potere dei burocrati, che dirigenti massoni, ebrei e quant’altro specialmente gestivano. Prima dei libelli, ne ha fatto ritratti divertiti ma devastanti – se ne può leggere ne “I sottouomini”, i testi sociali da noi curati nel 1993.
Giampiero Mughini, Le stramberie dalle quali si salvò uno dei più grandi scrittori del Novecento, “il Foglio” online