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lunedì 29 agosto 2011

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (99)

Giuseppe Leuzzi

“Ciccio Perre, la primula rossa”, titola la “Gazzetta del Sud” dell’ultimo carceriere latitante della signora Sgarella, rapita dodici anni fa. Un ricercato che è stato preso mentre dormiva a casa sua. “«Bravi, mi complimento»”, ha detto Francesco Perre al comandante dei carabinieri”, continua il giornale. Come se Perre fosse il maresciallo Rommel, e il comandante il generale Montgomery. Sempre si fanno dire queste stupidaggini a questa facce da bandito, che tutto denuncia ignoranti oltre che violenti. Sono formule che educano i malviventi? O è il giornalismo pigro, ripetitivo. Nessuno ci crede, ma se ci credesse dovrebbe accreditare fair play alla ‘ndrangheta, che è invece animalesca.

L’odio-di-sé meridionale
Si legge periodicamente, per esempio sul “Corriere della sera”, di uno “scempio edilizio” in Puglia o in Sicilia. Su denuncia delle associazioni ambientalistiche locali, documentate, precise, tignose. Mentre non si legge mai nulla sugli scempi, verrebbe da dire quotidiani, ma sempre organizzati, autorizzati, voluminosi, della costa ligure o della Brianza. Si continua a far pensare la Brianza come quella di Gadda, dei colli di Milano, mentre non è che un suburbio inframezzato da capannoni, con code chilometriche a tutte le ore.
L’ambiente non è anch’esso indivisibile? Lo è, le associazioni ambientaliste sono equanimi e denunciano tutto. Ma quelle del Sud sono determinate fino all’autodistruzione.

Francis Ford Coppola ha investito molto a Bernalda, il paese del materano da cui proveniva suo padre, e ci ha portato a sposarsi l’adorata figlia Sofia. Niente di più apprezzabile, anche perché il famoso regista niente pretende in cambio. Ma ha solo un trattamento pettegolo e ribaldo dai “Diari”, le “Gazzette” e i “Quotidiani” che fanno l’opinione in quell’area jonica.

Si fanno ovunque in Calabria e Sicilia nel mese di agosto, confortate dalla politica, delle notti bianche, del divertimento fornito gratis ogni sera dal Comune, sagre e feste. Tutte da un paio d’anni con nomi dialettali (“ ‘A fera da pittara”, la festa del ficodindia), o dialettizzati (“Canzonandu”, “Tradizionandu”, “Tarantellandu”). Che sono dialettizzazioni, non parole d’uso. Di realtà mediocri: imitazioni di spettacoli tv, o di manifestazioni di successo. L’invenzione dei nomi, benché anch’essa mediocre, esaurisce in genere ogni proposito.
Sono “ritorni” diversi da posto a posto. In funzione del diverso grado di sviluppo, vecchia categoria tuttavia significativa, e delle diverse mentalità. Molti scoppiettii di ballo tradizionale, che poi è la tarantella, eletta a soul del Sud (ma non è folk?), si fanno dopo il successo della pizzica salentina, rinverdita da Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò quarant’anni fa, e poi cresciuta sprovincializzandosi: i suoi festival sono ora romani, nazionali e cosmopoliti, la sua musica un genere redditizio, a straordinaria capitalizzazione. Queste copie sono invece modeste, retrattili: una chiusura in se stessi. Come il vezzo di parlare il dialetto anche in presenza di estranei, e un dialetto di cui si accentuano forzosamente le cupezze, le chiusure, soprattutto nel napoletano, ma anche in Sicilia e, più ancora, in Calabria. Si parla cioè con astio, per non comunicare.

Calabria
Nel Settecento, e ancora nell’Ottocento, non si viaggiava in Calabria. Da Napoli si partiva per la Sicilia via mare. Volendo andare in Calabria era consigliato fare testamento, e viaggiare in gruppo. Nessun viaggiatore è stato però molestato in Calabria, neppure dalla malaria. Eccetto Gissing, ma siamo nel Novecento, nella Calabria già italiana da cinquant’anni.

C’erano nel Settecento tanti preti calabresi in Germania. “Ecco perché questo paese s’è abbrutito”, esplode a un certo punto Carlantonio Pilati, il giurista trentino che fu viaggiatore intrepido nella regione nel 1775, nella prima delle sue due lettere dalla Calabria, “e perché si vedono in Germania tanti preti calabresi che dicono quattro messe al giorno, e si contentano di mangiare gli avanzi dei valletti dei signori tedeschi”.
Gli “avanzi dei valletti” sembra eccessivo, i preti malgrado tutto sapevano – dovevano mostrare di sapere – di latino. Ma Pilati individuava (bene) nella persistenza del dono, in regime di capitalismo e di diritti-doveri, la radice della debolezza dello spirito d’iniziativa.

Pilati apprezza ad Altomonte, “luogo celebre fra gli antichi per la bontà dei suoi vini”, tra essi “il Vinum balbinum di Plinio”, un vino nero. Di cui Altomonte prestò a Siracusa “i primi semi”, e che i siracusani “chiamano ancora «vino calabrese»”. È il Nero d’Avola, il vitigno del momento. Che ad Altomonte non c’è più.

Alla cooperativa agricola Valle del Bonamico, patrocinata a suo tempo dal vescovo di Locri mons. Bregantini nel quadro della bonifica del santuario di Polsi, la Prefettura di Reggio Calabria nega la certificazione antimafia. La realtà qui è sempre capovolta.

A mons. Bregantini, che il Vaticano ha prontamente esiliato a Benevento, alcuni giudici a Reggio contestavano la creazione di un impero economico. Non massoni, a quel che si può sapere.

Castellace, borgo creato nel Settecento come confino per galeotti, poi sviluppatosi lungo la strada di transito per Gioia Tauro e la Salerno-Reggio, ha anch’esso ad agosto la sua Madonna. Che celebra con una lunga processione su questa strada. Nella coda che si forma di alcuni chilometri cinque o sei macchine fanno il sorpasso, per portarsi autorevolmente in testa. Sono tutte Audi 4 Tdi, nere. Fornite dallo stesso concessionario? Blindate?

Un mensile di cronaca nera che si edita a Palermo, “S”, fa un’edizione per la Calabria, che vende a 4 euro e raccoglie pubblicità. Dunque una regione che non compra libri compra assidua la cronistoria delle famiglie mafiose. Le cronache infatti, di brutte facce e storie inerti, molto burocratiche, sono di mafia, assortite da un indice accurato dei nomi.
O non saranno quel paio di centinaia di nomi citati a garantire la diffusione della rivista? Anche la pubblicità è di una ditta che “S” dice mafiosa.

La Calabria ha molto mare, molto pulito, salvo l’occasionale sporcizia di superficie per l’incuria degli amministratori, non inquinato cioè, trasparente, e anche molto colorato. Ma ha poche bandiere blu, a differenze di coste molto inquinate, alla vista, al gusto, allo stomaco e anche all’olfatto, nell’Alto Tirreno e nell’Adriatico. Quest’anno è riuscita a riavere una quinta bandiera blu per Gioiosa Marina, dopo l’intervallo di un decennio nel quale le cubature del paesino si sono moltiplicate per dieci. Ma un mese dopo la bandiera blu il sindaco e tre assessori sono stati arrestati per mafia. Non c’è collegamento?

Moio, Scullino, Arma di Taggia, Ventimiglia, il giornale riporta nomi familiari, di successo lusinghiero in politica, vice sindaco, sindaco, e tuttavia finiti nella cronaca nera. Nomi poco frequenti, i patronimici, che s’immaginano figli o nipoti degli stessi con cui si facevano nell’infanzia le scorrerie per agrumeti, valloni, fiumare, o per nidi di passeri sulle selle alte degli ulivi - e infatti Rohlfs li attesta a Castellace e Sitizano, circoscritti. Di famiglie mitissime, emigrate anche per questo, per odiare la prepotenza.
Il reato è il “voto di scambio”: aver cercato voti presso i calabresi emigrati. L’origine li condanna ancora alla terza generazione?

leuzzi@antiit.eu

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