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lunedì 13 ottobre 2025

Le mani del governo sul risparmio

Su una cosa che ancora non esiste, una procedura Ue contro il governo italiano per la gestione politica, contro le regole, del golden power (contro Unicredit per l’acquisizione di Bpm, e a favore di Crédit Agricole, n.d.r.), due europeisti convinti come Osvaldo De Paolini e sul “Giornale” e Angelo Di Mattia sul “Foglio” si scagliano contro. Con virulenza. Con violenza.
“Che a Bruxelles si continui a mettere in discussione la sovranità nazionale in tema di sicurezza economica è ormai diventata una pericolosa abitudine”, è l’esordio di De Paolini. Il motivo? “Di nuovo nel mirino della Commissione è finito il decreto Golden Power applicato all’Ops Unicredit-Bpm”. Dove invece il governo ha solo difeso l’italianità di Bpm. Perbacco, contro il “lurco” Unicredit? E che diritto ha Bruxelles di intromettersi in una questione di sovranità? “Il ministro Giancarlo Giorgetti è stato molto chiaro: la sicurezza, anche economica e finanziaria, non è materia comunitaria, ma competenza esclusiva dello Stato nazionale. E l’Italia la difenderà «a ogni costo»”. Cioè, sottraendo Bpm a Unicredit, per affidarlo al Crédit Agricole.
Non è giornalismo (non c’è logica), e nemmeno politica. Non varrebbe soffermarvisi se fosse una bizzarra concezione del mercato. Del giornalista come di De Mattia – che pure da ex collaboratore di Fazio alla Banca d’Italia, dovrebbe ben sapere cosa succede quando la politica “si occupa” del risparmio (delle prepotenze disastrose della politica si ricorda solo quella contro Baffi e Sarcinelli, ma la persecuzione di Fazio, sempre alla Banca d’Italia, è stata ben peggiore). De Mattia riconosce che non sa di che lettera si tratti, ma ritiene necessario, non richiesto (la sua è una lettera al giornale), di schierarsi: la non-lettera Ue è “una conferma del modo inaccettabile del funzionamento di alcune strutture della Commissione”. Tale che “è da attendere una doverosa replica da parte del governo, essendo in ballo la tutela della sicurezza nazionale nei diversi aspetti, e, se necessario, il ricorso alla Corte di giustizia europea”. Diversi da che, dalle regole?
Malumori dell’età? Il giornalista e l’ex direttore centrale della Banca d’Italia sanno di che parlano – e non sono anti-europeisti. Sanno anche che in queste materie la Ue non si pronuncia per la prima volta – proprio Mario Monti nel decennio in cui fu a Bruxelles responsabile della concorrenza e dei servizi finanziari (“mercato interno, integrazione finanziaria, fiscalità, unione doganale”) ebbe più occasioni di intervenire per riavviare la “banca universale” e nelle ristrutturazioni bancarie, allora così radicali (l’opus magnum del governatore Fazio). Si schierano - De Mattia non invoca il santo Giorgetti (non è Unicredit una banca straniera, controllata dai diabolici fondi?), ma è come se. Non sul fronte del risparmio, evidentemente.
 
Il governo deve proteggere il risparmio. Come, con la mazza? Con le barricate? Il risparmio si protegge da sé, con le regole. Non con le manomissioni – al netto delle turbolenze interne a Forza Italia, e tra Salvini e i meloniani.  

Se il covid non c’è stato

Una riflessione sui (non) effetti del covid, se non “gli adesivi sbiaditi”, e “qualche reparto di terapia intensiva potenziato” – oltre “a inedite definizioni di paure e fragilità”. Ovvero sull’effetto semplificazione, se non rimozione: della pandemia come una parentesi - un’influenza un po’ pestifera, come si voleva agli inizi. Mentre “aveva aperto questioni gigantesche e più generali, avendo imposto un corpo a corpo con il collasso di alcuni diritti fondamentali, con le epifaniche e amarissime disuguaglianze di quella che era per tutti la stessa «tempesta» ma non la stessa «barca»”.
Una riflessione propiziata dalla mostra “Venezia e le epidemie”. Che invece testimonia di una storia, una realtà politica, che si intendeva di epidemie, trafficando per i porti di tutto il Mediterraneo, e sapeva prevenirle e trattarle. Un’esperienza di secoli, che Gissi sintetizza come efficace. Intanto perché anticipa un concetto contemporaneo, “la comprensione della relazione reciproca tra salute ed economia, il valore della governance coordinata, l’esigenza di un’intelligence sanitaria sovranazionale” – che Venezia non trascurava, uno dei suoi tanti plus. Ma, soprattutto, si organizzava di conseguenza: “L’esperienza veneziana dimostra come l’eccellenza nel governo delle emergenze sanitarie non scaturisca soltanto da saperi scientifici avanzati – all’epoca certamente fragili – ma dalla facoltà di edificare istituzioni adattive, capaci di trarre insegnamento dalle emergenze e di trasformarsi”. Il contrario della realtà odierna, da Paese pure  “avanzato”, di una “sanità collettiva” che si affronta con “tagli e logiche di mercato”.
Con un interrogativo anche sulla funzione della storia, della storiografia. Che a volte è lì per rimuovere invece che per scoprire – rivelare, spiegare: “Rimozione e oblio sono evidentemente tentazioni potenti e già sperimentate nel caso della ‘spagnola’ d’inizio Novecento, nascosta a lungo nelle pieghe dei manuali di storia”.
Alessandra Gissi, Venezia e le epidemie, un viaggio nella storia e nell’ambiente, minima&moralia, online

domenica 12 ottobre 2025

Ombre - 795

La Francia non ha solo un problema di debito pubblico, è troppo alto anche il debito delle imprese, rileva “Il Sole 24 Ore”: “Ha raggiunto i 4.550 miliardi, il 155 per cento del pil”, un record – in Germania è all’89 per cento, negli Usa al 73,7, in Italia al 57.
La globalizzazione, il “mercato”, si è fatto a debito. Il Fondo Monetario Internazionale calcola l’indebitamento pubblico “globale” (mondiale) alla pari quest’anno col pil, con la produzione.


Si scopre, con lo scambio di prigionieri Israele-Hamas, che “migliaia” di palestinesi sono detenuti in Israele senza processo, e senza assistenza legale. Anzi in segregazione. E non se ne sapeva niente. Democrazia? Informazione?

Si modifica il Tuf, testo unico della finanza, per consentire alla francese Agricole il controllo di Bpm arrivando a un centesimo sotto il 30 per cento - elevando dal 25 al 30 per cento l’obbligo dell’offerta pubblica di acquisto dell’intero pacchetto. Dopo avere modificato le regole di gestione, per cui si controlla un’azienda col poco meno del 30 per cento. Da parte di un governo “sovranista”, che ha fatto guerra a Generali per l’accordo con Natixis, francese, e a Unicredit per l’ops su Bpm – dichiarando Unicredit banca straniera, che mette a rischio il “risparmio degli italiani”.
Sotto il sovranismo la vecchia manovra “bieca” di potere. A danno del risparmio – lo è sempre stata. Ma questo non si dice. C’è un perché?

Si litiga su una decisione di Bruxelles in materia di “golden power” che non è stata presa. Litigano Meloni e Giorgetti, e i loro fan nei media. Curioso. Anche perché non c’è mai stata tanta intromettenza politica, sull’informazione e sul risparmio - le banche, bene o male, ci tengono i conti. Neanche quando le banche erano pubbliche. Le Casse di risparmio rispondevano ai potentati locali di turno, ma con discrezione – anche perché le Procure all’epoca vigilavano. Dei grandi banchieri pubblici era soprattutto nota, e non contestata, l’indipendenza, di Mattioli, per dire, Cingano, Siglienti, anche Braggiotti, lo stesso Nesi, Sarcinelli – anche nelle contese, tra Cingano e Braggiotti, o tra Fausti e Arcari.


Meloni giuliva dei viaggi all’estero - unica peraltro viva (che se non ha qualcosa da dire sa però come dirla) nel cimitero europeo – non sa che Renzi arcipotente perse tutto imponendo le sue banche toscane. Dopo che qualche centinaio di migliaia di famiglie ci rimisero molto e moltissimo.
Sembra strano oggi, ma in confronto al potere di Renzi dieci anni, Meloni non è niente al confronto, appena qualche nomina, da poco, di passaggio, Sangiuliano, Giuli, Lollobrigida, la sorella.  

Di una dozzina di frequentazioni abituali la metà hanno o hanno già avuto l’influenza. La Regione però ha prenotato il vaccino per novembre. Poi dice che la sanità pubblica non funziona perché troppo cara, troppo lenta, disertata dalle competenze, etc. Perché manca la testa, un minimo di giudizio.

Lo screzio fra Angela Merkel e la Polonia – il governo in carica e l’opposizione – sul mancato dialogo con Mosca tra il 2018 e il 2022  è intanto verosimile: Merkel dice che la Ue non parlò con Mosca per l’opposizione della Polonia. Ma è comunque uno dei tanti segnali che l’Est europeo – che determina purtroppo l’agenda della Ue da un quinquennio – è un verminaio. Il tono della contesa, se non la sua verità, parla chiaro.

Roma scopre di avere 1.859.221 autoveicoli immatricolati, per 1.600.000 patentati. Nonché essere anche “capitale dello sharing”, di auto, moto, bici e monopattini. Di questi soprattutto. Siamo in transizione, verso dove?
Roma ha anche 330 km di piste ciclabili, e prevede di costruirne altri 700 km. Al costo di 350 mila euro al km - un “investimento” da 350 milioni. Per piste che nessuno usa. Un investimento per restringere la carreggiate ed eliminare qualche centinaio di migliaia di posti macchine al parcheggio.
 
Ferrari dimezza gli investimenti sull’auto elettrica. Mentre per il decimo, o ventesimo, anno non fa più una macchina competitiva alle corse. Dopo Fiat, Jeep, Alfa Romeo e Lancia, Elkann affonda anche la corazzata delle vendite e dei profitti?
 
Continuano le ruminazioni sul voto alla Regione Calabria, dopo quello alla Regione Marche. Sapendo che domani il risultato sarà invertito in Toscana – e fra un mese in Campania e Puglia.
Giornali e tg fanno un subisso di politica, senza dire nemmeno l’ovvio – fare di tutto eccezione, anche dell’alba e il tramonto, è come abbaiare, senza senso.

Fine ingloriosa del candidato Pd-5 Stelle in Calabria, Tridico, dopo una serie di gaffes inimmaginabili. E non si dice che un quarto dei voti che ha raccattato, il 10 per cento del totale del voto, era di due liste socialiste, sotto mentite spoglie, Democratici Progressisti e Casa Riformista – questa con una spruzzata di Renzi, “Italia Viva”. Una delle due ha anche preso un consigliere, l’altra è andata poco sotto.  

Meloni da Vespa fa l’elenco delle accuse avventate che Conte, Schlein e Avs muovono al suo governo. Compresa una denuncia alla Corte Penale Internazionale per “complicità in genocidio” – per le forniture militari a Israele. Il “Corriere della sera” titola: “La premier in tv: presentata una denuncia alla Cpi. Un portavoce della Cpi: nessun atto formale”. Su un testo in cui il portavoce spiega: “Solo le decisioni hanno valore, e non esiste alcuna decisione”. Analfabetismo non è - per fare il caposervizio (quello che fa i titoli) bisogna sapere un po’più che leggere. Ma è sempre vero che la stupidità esiste, per quanto “impegnata”.

Si critica Trump per una serie innumerevole di motivi, compresa naturalmente l’economia Usa, ma non si dice che l’economia in A erica è solida, la più solida, cresce quasi al livello della Cina, gli investimenti in dollari al massimo, e l’euro, malgrado questa corsa al dollaro, pure ai massimi, nel cambio col dollaro. È opposizione? A chi, a se stessi?

Si critica Trump e poi si riporta un conto delle spese Nato che vede gli Stati Uniti finanziare l’alleanza per i due terzi, 997 miliardi di dollari su 1.506, il 3,4 per cento del pil – più di ogni altro (secondi solo alla Polonia, che si arma da tempo contro tutti, per ora contro la Russia).

Negli accordi mediati dalla Croce Rossa e dalla Turchia, la Russia ha restituito all’Ucraina nei tre anni e mezzo di guerra 13 mila corpi di soldati morti, l’Ucraina alla Russia “un migliaio”. Sono la verità della guerra, dietro le “notizie di guerra”, la propaganda, di cui siamo vittime - anche la restituzione dei prigionieri è stata salutata come un segno che la Russia sta perdendo la guerra, “troppi morti”.

Su Epstein, il ricco newyorchese che forniva ragazze, anche minorenni, agli amici, sono chiamati a dare contro alla commissione d’indagine del Congresso i Clinton, lui e ei. Ma i media parlano solo di Trump, se e quanto era amico di Epstein, e se ne aveva “approfittato”. C’è uno scollamento, una voragine, tra l’“opinione pubbica” mediata dai media, e l’opinione comune, sensata, democratica. I media classici si sarebbero detti del salotto buono. Ora sono del tinello, piccolo borghese.  

Il Napoli calcio indovina sempre tutti gli acquisti, pagando poco, la Juventus li sbaglia, li sbaglia tutti, spedendo molto. Una costante da troppi anni. C’è una ragione? Stupidità non è – quello che si è “sbagliato” di più alla Juventus, roba di un paio di centinaia di milioni, è un dirigente che se ne intendeva del Napoli.
Il problema del calcio è che non si conoscono i domicili fiscali dei mediatori – agenti, etc.. Cioè si conoscono, ma sono coperti dai paradisi fiscali.
 
 

La commedia del teatro

Uno smontaggio del teatro, della finzione teatrale. Del “Gabbiano” di Cechov e del “Santa Govanna” al cinema di Dreyer. Delle tante incongruenze e anche scemenze implicite nelle figurazioni, nei dialoghi, nelle situazioni canoniche dei personaggi. Legato dal filo medianico di una nonna defunta che tutta la vita volle essere attrice di teatro, benché star della radio, e morì con qualche particina nelle filodrammatiche. Come a dire che teatro siamo tutti noi, anche fuori della scena.
Una performance tenuta assieme, senza i sussidi teatrali, scene, luci, costumi, trucchi, macchine, da due attori giovani, Olga Mouak, franco-francese, e Arne De Tremerie, fiammingo. Lui più invadente, agitato. Lei più padrona, sottotono, con monologhi da applauso. E più nel ruolo, volendosi l’esperimento coinvolgente anche degli spettatori: al pubblico romano offrendo appigli svelta, in una battuta –“si chiude tutto” (i centri sociali? i teatri? non importa), “speriamo in CasaPound”, etc.. A loro sarebbe dovuta la scelta del “Gabbiano” e di Giovanna d’Arco: la nonna di De Tremerie è morta quando lui entrava alla scuola di teatro con un “pezzo” del “Gabbiano, Mouak è cresciuta a Orléans, il luogo della Pulzella, e ha avuto una nonna in Camerun che sentiva anche lei le voci, ed è morta bruciata. Ma questi pecedenti sono ininfluenti.
Un esperimento semplice, una “decostruzione” derridiana, a suo modo memorabile. Se non che il pubblico, impreparato (o troppo preparato, di addetti ai lavori, attenti ai meccanismi?), ha mostrato di seguire con apprensione. In attesa dell’esito, di un esito, che invece era nella forma – decostruzione non significa oggi più nulla, benché tardo novecentesca: il millennio non ha memoria. E quindi ha fatto mancare la sponda necessaria all’esperimento, la reattività, il ghigno, la risata, la protesta, il buu, l’applauso. Sordo anche alle tante “arie”, pezzi di bravura, dei due artefici – specie a quelle, gestite con piglio da primadonna benché sottovoce, sottotono, soave, di Olga Mouak.
Questa prima uscita dell’esperimento ha in Italia (la pièce è stata ordinata per il festival di Avignone) lo svantaggio di rimandare alle traduzioni in didascalia, su un pubblico franco-fiammingo potrebbe fare un ottimo spettacolo comico.
Milo Rau, La lettre, Romaeuropa Festival, Teatro Vascello

sabato 11 ottobre 2025

Cronache dell’altro mondo – di pace e bene (362)

L’approvazione del primo passo del piano di pace di Trump da parte di Israele è ventuta per un imprevisto empito di commozione. Lo raccontano Isaac Stanley-Becker e Vivian Salama sul sito dell’antitrumpiano “The Atlantic”:
“Prima che il governo israeliano approvasse la prima fase dell’accordo di pace con Hamas orchestrato dagli emissari del presidente Trump, il ministro intransigente Itamar Ben-Gvir aveva espresso la sua frustrazione. Solo il giorno prima aveva guidato un gruppo di ebrei in preghiera sul Monte del Tempio, il luogo focale di Gerusalemme che ospita anche la Moschea di Al Aqsa, e aveva invocato la «vittoria totale» a Gaza….
“Alla riunione, su invito di Netanyahu, erano presenti sia Jared Kushner, genero del presidente, sia Steve Witkoff, amico e inviato speciale di Trump. Erano arrivati ​​in Israele dall’estremità meridionale del Sinai, in Egitto, dove mercoledì avevano elaborato un documento di una sola pagina che sintetizzava i termini di un cessate il fuoco e di uno scambio di prigionieri, che potesse soddisfare sia Israele che Hamas.
“Ben-Gvir si rivolse ai due americani e disse loro che non avrebbe mai accettato un accordo… che libera detenuti palestinesi per atti di violenza contro cittadini israeliani inermi, e potrebbe in seguito portare all’amnistia per un gruppo terroristico responsabile dell’attacco più mortale nella storia del Paese. Witkoff, un investitore immobiliare newyorkese scelto da Trump per risolvere alcuni dei conflitti più complessi al mondo, rispose raccontando loro di aver perdonato la famiglia dello spacciatore responsabile della vendita dell’OxyContin che ha tolto la vita a suo figlio. L’inviato sembrava sull'orlo delle lacrime, ci hanno riferito due persone a conoscenza della conversazione. Ben-Gvir rimase impassibile, affermando che la differenza era che Hamas non si era pentita.
Alla fine, il governo israeliano ha approvato le prime fasi del piano di Trump: il ritiro delle Forze di Difesa Israeliane e la restituzione di tutti gli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi. 

Toni Morrison, che impose gli scrittori afro

Toni Morrison scriveva denso e impegnativo, ma agli autori che curava come redattrice di Random House consigliava linguaggi semplici, leggibili da un vasto pubblico: privilegiava gli aspetti commerciali, specialmente nei debutti. Senza nulla togliere ai debuttanti “autori”, che invece proteggeva in casa editrice con le direzioni commerciali – una lunga lista di autori afroamericani affermati curati inizialmente e imposti da lei viene fatta. Ma sì ai personaggi di cui curava, con insistenza, volte con insofferenza, le autobiografie: Angela Davis, Muhammad Alì, Huey P. Newton. Invece proteggeva i suoi scrittori, se neri e giovani, dalle strategie pubblicitarie e commerciali della casa editrice.
Un lungo saggio, in forma di recensione di “Toni at Random: The Iconic Writer’s Legendary Editorship”, la storia editoriale di T. Morrison, di Dana A. Williams. Morrison lavorò alla Random House nei suoi quarant’anni, per una dozzina d’anni, dal 1972 al 1983 (dieci anni prima del Nobel). Unica redattrice afroamericana.
“Oggi conosciamo Morrison per la sua scrittura iconoclasta, che le valse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1993 e consolidò saldamente il suo posto nel canone letterario americano. Tuttavia, Toni at Random sottolinea il fatto che la scrittura di Morrison fu molto più di un risultato individuale. Nel pieno del Black Arts Movement, Morrison fu una dei tanti scrittori che ampliarono le possibilità di ciò che la letteratura nera poteva essere e fare. Il suo più grande riconoscimento negli anni Settanta e Ottanta fu la sua capacità di aprire le porte dell'accesso istituzionale alla comunità di scrittori a cui apparteneva. La capacità di Morrison di pubblicare scritti neri innovativi dipendeva dalla sua capacità di proporre i libri al caporedattore della Random House, James Silberman, e poi di commercializzarli sia al pubblico nero che a quello bianco”.
Un caso viene raccontato esemplare del modo di fare di Morrison in casa editrice, e del suo successo.
“Forse la più riluttante a impegnarsi in pubblicità per vendere i suoi libri fu Gayl Jones, che aveva solo 25 anni quando il suo primo romanzo, Corregidora (1975), fu pubblicato con grande successo di critica….. Nonostante (o forse proprio a causa) dell’estrema timidezza di Jones, Morrison si impegnò ancora più duramente del solito per ottenere blurbs da affermati scrittori neri – tra cui James Baldwin e Alice Walker – e si unì a Jones per interviste a sostegno di lei”. Il rapporto si dovette interrompere per le intromissioni dell’agente di Jones, “poi diventato suo marito, Robert Higgins, che Morrison considerava instabile e autoritario. Senza gli sforzi pubblicitari di Morrison, l’attenzione della critica si spense e Jones cessò di pubblicare per due decenni dopo il suicidio del marito nel 1998. La pubblicazione del romanzo Palmares (2021), iniziato sotto la direzione di Morrison alla fine degli anni ‘70, inaugurò una recente rinascita nella sua carriera e un ritorno ai riconoscimenti ottenuti con il suo primo romanzo”.
Marina Magloire, 
“To Free Someone Else”: Toni Morrison the Book Editor, “The Nation” 7 ottobre (leggibile anche in italiano)

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venerdì 10 ottobre 2025

Problemi di base accuditivi - 884

spock


Prendersi cura per migliorare la vita?
 
O per sostituirsi, nervosamente?
 
Prendersi cura per alleviare o per aggravare?
 
Con affetto o con dispetto?
 
Per stare in pace con se stessi?

Anche a costo di negarsi?

spock@antiit.eu


Nobel alla paura

“Ritiratevi in ​​un luogo sicuro e salvaguardate tutto ciò che è importante per voi, portatelo sottoterra, tutto ciò che avete, togliete i gioielli, il cibo, le fotografie dei bambini, la poltrona dove vi piace sedervi con un libro in mano, la tenda dietro la quale vi sentite al sicuro, dalla finestra; raccogliete tutto ciò che vi era caro, raccogliete le carte d'identità e i certificati di battesimo, prendete i soldi dalla banca e nascondeteli in cantina dietro il muro, ma in realtà ogni gioiello, ogni pezzo di cibo, ogni fotografia del bambino, ogni poltrona e ogni amato libro, ogni tenda e ogni documento, e in realtà tutti i soldi fino all'ultimo centesimo, e nascondete davvero tutte queste cose bene, ma davvero bene, sottoterra, così che almeno potrete credere fino ad allora che ci fosse un senso in tutto questo, finché non saremo arrivati, cercate protezione almeno fino ad allora, mentre siete ancora in grado di credere che non siamo ancora arrivati…”. L’umanità è messa in guardia – non solo qui, anche in altri racconti. Dal Nobel ungherese con molta concitazione, periodi lunghi una pagina, e atmosfere apocalittiche.
È come spiega Com Toibìn a commento: “La prosa del romanziere ungherese László Krasznahorkai è carica di minaccia, ma sarebbe un errore interpretarla come politica o come qualcosa che non arriva da nessuna parte. …. La sua immaginazione si nutre di paura e violenza autentiche; ha però un modo di rendere paura e violenza ancora più reali e presenti, estrapolandole da un contesto familiare”.
Una prosa dall’effetto curioso, sempre ansiogena. Si direbbe che Krasznahorkai, ungherese, ricostituisca con Thomas Bernhard, austriaco, una sorta di Cacania della concitazione – della narrazione senza pause e senza respiro (punto). Ma con una curiosa differenza. In Bernhard la concitazione, estesa su più pagine, se non per l’intero racconto, assume anche tonalità ironiche, sarcastiche, comiche, perfino idilliache, si procede nella lettura come se fosse punteggiata, “sagomata”. Su una pagina invece, come usa Krasznahorkai, assume un tono, oltre che concitato, minaccioso, costantemente. 

Un Nobel di genere, horror? Molto caduta degli dei, del mito, delle illusioni, del vecchio impero, dove spiriti e genti convivevano nella differenza. Quasi un ultimo vagito, minaccioso, della fantastica Mitteleuropa. Nella Europa odierna, senza bussola.
László Krasznahorkai, Animalinside, “The New York Review of Books” (leggibile anche in italiano)

giovedì 9 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (609)

Giuseppe Leuzzi


Ascolti in calo per “Lezioni di mafia” del giudice Gratteri su “La 7” dopo la prima curiosità: da1,1 milioni di audience al debutto a 950 mila e a 720 mila in quindici giorni. Forse le mafie non tirano 
più tanto, malgrado il brio che ci mette il giudice. Sarebbe il primo calo d’interesse da “La piovra” quarant’anni fa – la serie di cui la Polizia ha voluto insignire l’interprete, Michele Placido, qualche giorno fa del titolo di “poliziotto ad honorem”, per la fama che le avrebbe conquistato.

 
Emanuele Trevi, che ha passato le estati fino ai vent’anni dalla nonna materna in Calabria, e la celebra in “Mia nonna e il Conte”, dà un senso pieno al (poco) dialetto che usa: cibbia (gebbia), vagabundu e scostumatu. Sbaglia la trascrizione, e quindi le fonetica (cibbia è ggibbia), ma ha pieno il senso delle parole. Il senso cioè locale, dialettale. Non quello del vocabolario, della traduzione. Il dialetto ha sue valenze (significati, sfumature) che l’equivalente in lingua non ha. Il linguaggio è radicato.
 
La città italiana con più centri commerciali non è Milano: è Catania - secondo una ricerca di “Men’s Health”. Sempre al Sud, in Campania, le strutture più grandi: il Centro Commerciale “Campania”, a Marcianise, provincia di Caserta, e il “Vulcano Buono” a Nola, provincia di Napoli. Modernizzazione? Omonegeizzazione sicuramente, malgrado i leghismi.
 
La campagna regionale perdente di Pasquale Tridico, 5 Stelle, è stata puntata sul sottogoverno: soldi per tutti, senza faticare. Una campagna “laurina”, da Napoli anni 1950, affamata, negli anni 2020. Un errore così marchiano da non potersi attribuire a nessuno stratega elettorale. Ma è la forma mentis dell’emigrato. Dell’emigrato mentale come Tridico, che della Calabria si è ricordato solo perché spinto dai 5 Stelle. Che fa propria, sulle proprie origini, la narrativa dominante.
Si spiega che Tridico non sia stato votato neanche dai suoi, secondo l’Istituto Cattaneo, che analizza i flussi elettorali: “Da sinistra a destra”, al concorrente di Tridico, si è spostato un 5 per cento del voto, “dall’area «liberaldemocratica» e da elettori che nel 2024 avevano votato per il M5S”.
 
Sudismi\sadismi
La partecipazione al voto alle regionali in Calabria è stata bassa oppure alta? Votano sempre in pochi, dicono i commenti più benevoli, la politica è estranea al Sud. E si svolge su pattern ridicoli – naturalmente non poteva mancare il commento irridente su questo aspetto del mangiaterroni Gian Antonio Stella, firma privilegiata del “Corriere della sera”, martedì 7: “Prometto tutto in stile «Cetto La Qualunque»”. 
L’Istituto Cattaneo sottolinea invece il contrario: in Calabria si vota, e a ragion veduta: “Dobbiamo sottolineare che, al contrario di quanto si potrebbe ritenere considerando i tassi di partecipazione ufficiali, la partecipazione alle regionali è notevolmente cresciuta rispetto alle politiche del 2022 e alle europee del 2024 (come del resto era capitato nel 2020 rispetto alle europee del 2019). Questo  perché in Calabria il numero degli aventi diritto al voto residenti all’estero è molto più elevato che in altre regioni: è pari a circa il 20 per cento degli aventi diritto. Questi elettori non sono inclusi tra gli aventi diritto nelle sezioni elettorali calabresi al voto per il parlamento nazionale, perché in quel caso possono votare in apposite circoscrizioni estere. Sono invece inclusi nella base su cui si computa il tasso di partecipazione “ufficiale” nel caso delle elezioni regionali e locali, in quanto possono esprimere il voto solo recandosi al seggio nel comune di origine. Ma, ovviamente, non tornano in Italia per votare.
“In Calabria il numero dei votanti è cresciuto in queste regionali, rispetto alle precedenti elezioni parlamentari (nazionali ed europee). E se si calcola il tasso di partecipazione alle regionali considerando solo i residenti, cioè coloro che realmente hanno la possibilità di partecipare al voto (e ne hanno realmente interesse), il tasso di partecipazione supera il 50 per cento, raggiungendo livelli simili a quelli a cui si sono collocate negli ultimi anni varie regioni del centro-nord”.
Ed è un voto semmai maturo, attesta il Cattaneo: “Molti elettori calabresi ….tendono stabilmente a orientarsi…. verso candidati al consiglio regionale dell’area centrista, o meglio di candidati privi di 
una chiara connotazione ideologica, più presenti nel territorio”. Non verso i demagoghi, bensì verso candidati moderati, fattuali.

Certo, si può sempre dire che questo voto, a candidati “presenti sul territorio”, è un voto di scambio. Ma la politica è uno scambio, il voto – il voto è una delega. Bisogna fare, in questo “scambio”, la differenza che non si fa, tra uno scambio specifico, di favori, posti, soldi, e uno politico, di fiducia, ancorché reciproca.
 
La donna del Sud
Le “storie familiari” sono inattendibili, spiega Emanuele Trevi nel racconto sul lato materno della famiglia, in Calabria, “Mia nonna e il Conte”, ma un dato dà per certo: “Quello che è sicuro è che la madre di mia nonna”, la bisnonna, “vissuta in tempi certamente meno fiabeschi e avventurosi, era altrettanto capace di esigere quello che le spettava, senza fare compromessi”- girava da ragazza per il paese, senza dare scandalo, con una piccola pistola nella borsetta, “allo scopo di scoraggiare i corteggiatori” che non le piacevano. E si 
spinge per questo, e sulla propria esperienza nelle estati passate con la nonna, ad argomentare, invece del matriarcato, il Nonnarcato. In aggiunta all’incipit ormai famoso, “mia nonna diventò bellissima dopo gli ottanta”, esuma la Grande Madre mediterranea del “grande psicologo junghiano, nonché astrologo e chiromante, Ernst Bernhard”, quella che vizia i figli, il figlio, e quindi diventa “cattiva madre”, per dire che, “nella maggioranza delle famiglie del sud, chi comanda davvero, stringendo saldamente il suo scettro di emozioni primarie, è semmai la Madre della Madre: la millenaria, zodiacale, rupestre, Nonna Mediterranea”. Un “Nonnarcato” dunque. Che, benché sprovvisto di “simboli venerabili”, statue, santuari, grotte, crepacci, e di poemi epici e racconti “storici”, non per questo è meno reale – di donne “che siano sarde, cicladiche o tirreniche, dalmate o berbere”.

La sua, di nonna, di Trevi, “era pur sempre una divinità tirrenica, appartenente al temibile, indomabile, antichissimo ceppo calabrese: perspicace, volubile, testarda, capace di leggerti un pensiero nella testa prima ancora che tu stesso l’avessi formulato”.    
 
Nero Calabria, nero Aosta
“Lei sa perché Molti valdostani hano i capelli neri?”, chiede d’acchito al suo intervistatore, Paolo Bricco del «Sole 24 Ore», l’intervistato Vito Gamberale, che è stato un manager pubblico di successo di grandi imprese, ed è nostalgico della “fabbrica”, della “manifattura”, dell’industria. E si risponde: “In Calabria, nel Settecento e nell’Ottocento, si trovavano importanti centri siderurgici. Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, in provincia di Vibo Valentia, costituivano uno dei maggiori poli industriali del Regno delle Due Sicilie. Arrivarono ad avere milleseicento operai. Producevano ghisa e ferro. Realizzavano le armi per l’esercito dei Borboni e le rotaie per la linea ferroviaria Portici-Napoli. Dopo l’unità d’Italia il Sud, che nonostante mille arretratezze aveva alcuni fra i poli pù avanzati della penisola, subì una deindustrializzazione. I Piemontesi intensificarono lo sfruttamento delle miniere in Valle d’Aosta e, nel 1907, fondarono la Società Anomina delle Miniere di Cogne. Molti calabresi, che sapevano di metallurgia e di siderugria, si trasferirono, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Valle d’Aosta”.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Che il feudalesimo fosse una caratteristica calabrese”, fa mordace Nisticò nella “Controstoria della Calabria”, 60, è una stramberia. I baroni, salvo qualche eccezione, “non lasciarono alcuna memoria di sé”. Tanto meno si atteggiarono a mecenati di artisti, come usava in Iralia. Ma non senza ragione: “Se leggiamo di Ruggero e Marfisa, figli di Ruggero di Risa (Reggio), della Chanson d’Aspremont e del romanzo Aspramonte, lo leggiamo sì ma nei versi del Boiardo e dell’Ariosto di Ferrara; mentre questa notizia, se mai sia giunta a Reggio, noncommosse e non commuove nessuno”.
Colpa dei baroni?
 
“La più romantica delle province italiane”, è la conclusione che lo scrittore austriaco Friedrich Werner Van Ostéren antepone al suo racconto di viaggio “Povera Calabria”, 1908. Dove racconta di esistenze “umbratili”.
 
“La Calabria ci prende alla prima con quel suo classico viso che non ha forse l’uguale di purezza e di nobiltà in tutta la casata” d’Italia, “fatto più bello dalla sventura”. È lirico Antonio Baldini a metà del suo viaggio in Calabria nel 1931. Sono prime impressioni di un viaggio fugace. Ma come un’istantanea: “È la parente povera… Ha la fronte bianca cme il marmo e l’occhio molto intento dei fatalisti… Col suo accento nativo, a voce alta e cadenzata, dice cose semplici e severe in un suo tono appassionato… Si studia in tutti i modi di offrirci la migliore ospitalità nella sua casa quasi vuota e cadente… Il frasario cittadino le darebbe fastidio”. Però, “bisogna adattarsi”.
 
Le meraviglie non sono finite: “In nessun altro paese come in Calabria le farmacie fanno venire voglia anche al forastiero di prendere una seggiola ed entrare in discussione. Parlatori di primordine, ornatissimi patrocinanti, liberi maestri d’eloquenza, c’è da stare a sentire incantati; gente che parla con la compostezza di un re sul trono…. Con l’allure di un predicatore..., piacendosi straordinariamente del suono delle proprie parole. Parla così fiorita e magnificente che per le cose correnti non resta che il dialetto. Tradandatona nei fatti, agguerritissima nelle apparenze. Avvocati come piovesse”.
 
E non è tutto. “Calabria, casamadre dell’Ospitalità italiana”, la elegge Baldini. Stendhal in Calabria, dove non ci fu, “non per niente diceva di avere colto sulla bocca dei calabresi il modulo ampio e fluente del tirate di Tito Livio”.
 
È stata, oltre che il tema di molte fantasie, fantasticata scena di molti avvenimenti del mito. L’ultima spiaggia di Oreste. Rifugio variato di Ulisse, nel suo svagato peregrinare. La piana dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.
 
In sintesi, nella seconda guera (punica) i Bruzi e i Lucani si schierarono con Annibale, per difendersi da Roma. Quando Annibale, ridotto a Squillace, prima di imbarcarsi per Cartagine, chiese agli alleati di seguirlo, questi si rifiutarono. Annibale li fece sterminare, nel santuario di Era Lacinia a Crotone. I superstiti furono ridotti in schiavitù dai Romani.
I prigionieri di guerra diventavano “schiavi pubblici”. Gellio dice che gli schiavi pubblici erano chiamati “bruziani”.
 
Amedeo Matacena jr, imprenditore delle traghetto Villa San Giovanni-Messina, passa con Berlusconi e viene subito colpito, montagne di inchieste per mafia. In una delle quali viene anche condannato, per concorso esterno. Cinque anni. Che passa a Dubai. Con una (seconda) moglie. E poi con un terza, sposata con “rito africano”. Dopo il quale la madre protettiva muore, e lui pure, senza malattie, a 59 anni. Basta un “rito africano” per atterrare un mafioso calabrese.
I Matacena sono napoletani - Amedeo Matacena padre era uno stimato medico a Napoli. Ma la cosa non cambia: il problema è l’antimafia.


leuzzi@antiit.eu

Giallo al rallentatore

Un giallo di ombre, ma non di misteri. Di ambiente, di mood. In questa terza serie, sempre sceneggiata, diretta e interpretata da tutte donne – un solo ruolo maschile, di spalla (qui ci sono anche un marito e una famiglia, ma sono un diversivo - più spaziato e lento del solito. Come per fare minutaggio.
Petra-Cortellesi è sempre seguita nei suoi silenzi, sguardo fisso sbarrato, che si vorrebbero misteriosi, per lunghi tratti, in ambienti spogli e chiusi. La trama è ancora meno importante (avvincente) delle prime serie: in un convento di suore c’è stato il furto del Bambinello nella cripta, e l’assassinio del restauratore della stessa cripta.
Maria Sole Tognazzi, Petra, Sky

mercoledì 8 ottobre 2025

Letture - 592

letterautore
 
A.Christie
– Anticonformista, al limite della misoginia? A Poirot fa dire, a proposito di violenze domestiche: “Io mi sono occupato di molti casi del genere. In ventidue era l’uomo, ma in sessanta (ottanta? – n.d.r.)) a menare le mani era lei”.
 
Colomba
– Simbolo di pace, è una bestia aggressiva – come quasi tutti i volatili, il più bello, il gabbano, è il più feroce.  “Sembra che il piccione sia un animale crudele. Quando si batte con un altro piccione, si accanisce su di lui finché non muore”, Tahar Ben Jelloun, “Cinquanta paradossi”. Il cardinale Ravasi, citando lo scrittore sul “Sole Domenica”, lo conferma con l’esperienza personale - che è quella di tutti, peraltro. Ma, antifrasticamente con gli eventi contemporanei?, fa risalire l’equivoco alla Bibbia, “Genesi” 8,11, il racconto del diluvio: “Quando le acque si ritirarono, la colomba rientrò nell’arca di Noè «reggendo nel becco una tenera foglia di ulivo», altro simbolo di pace”.
Il cardinale non manca di rilevare che in arabo e in ebraico il saluto è lo stesso: shalōm, salām, pace.
 
Ex voto
– Voti, penitenze, una “follia religiosa” per lo scrittore austriaco, ben cattolico, Van Oestéren, 1874-1953, italianista fluente, che viaggiò, specie al Sud (della Calabria pubblicò anche un diario di viaggio, “Povera Calabria”), in un articolo sul quotidiano viennese “Vossische Zeitung” - che poi ha ripreso, spiega Teodoro Scamardi nella postfazione alla traduzione di “Povera Calabria”, da lui curata, dalla rivista dei modernisti tedeschi “Das Neue Jahrhndert”, n.2, 10 gennaio 1909. Dove lega le forme religiose di fanatismo, devozione eccessiva, pratiche umilianti (strisciare, leccare, colpirsi), culti bizzarri, “a fini di lucro”.
 
Harijan – Della stessa radice sanscrita di “ariano”? È il termine indù, che Gandhi ha provato a liberare, con la comunità e il periodico dallo steso nome, e oggi è perfino parola “incorretta” e quindi proibita, per “intoccabile”. L’ariano della nobiltà teutonica o caucasica è sì “figlio di Dio”, - questa la traduzione di “harijan - ma nel senso di paria, intoccabile. Quanta filologia, quanta storia, anche filosofia, e quante guerre, per la “razza ariana”.
Uno spreco di cui fa la sintesi “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione: “La storia della Grecia nasce nel 1840, quando la filologia critica interruppe il filone della storia provvidenziale e se ne fece giudice, libera quindi d’inventare l’“arianesimo”. Che l’università Georgia Augusta di Gottinga veniva elaborando da un secolo: a un certo punto, dice il modello “ariano” della storia greca, dal Nord arrivano gli elleni, parlanti indo-europeo, e soggiogano la cultura egea. Rinata dopo la disfatta nel ‘18 a centro meritorio della fisica, con la meccanica quantistica di Heisenberg, Pauli, von Neumann, Oppenheimer e Born, Gottinga è stata per due secoli la culla della storia eretta a scienza grazie all’invenzione della filologia. Con gli “ariani” e la Grecia fu tedesca pure Roma, la letteratura romanza, la storia, la chimica, la filosofia. Incluso il Giordano Bruno italiano, riportato in vita quattro volte nel solo Ottocento, da Adolf Wagner, Lagarde, Lasson, Kühlenbeck – dopo essere stato salvato ai posteri dai re di Francia e d’Inghilterra. Nel 1770 Blumenthal aveva imposto la prima graduatoria delle razze, inventando il caucasico. Winckelmann la Grecia delle statue patinate quale ideale di bellezza. Tra il 1820 e il 1840 Karl Otfried Müller, il filologo di Gottinga, dà significato culturale e politico alla storia “antica moderna”, con la scoperta dei dori. Era la filologia dei primati – di Ariano vero c’è solo il santo a Venezia, all’isola dei Morti.

La parola nasce dal suono negativo iniziale del sanscrito, un’aspirata equivalente al “non”, seguito dalla radice ar-.., che è di tutti i composti, compresi i nomi propri (Artaserse, Artabano, etc., il celtico Artù), col senso di valore (impresa, nobiltà, superiorità) – eroe, il tedesco Herr, arte, artefice, etc., - ma piace pensarla come il negativo di “ariano”. 

 
Nonnarcato – “La Grande Madre mediterranea è in Italia una madre primitiva”. Così Ernst Bernhard - “il grande psicologo junghiano, nonché astrologo e chiromante” (E. Trevi, “Mia nonna e il Conte”, p.18) – in “Il complesso della Grande Madre” (nella raccolta “Mitobiografia”). Con i noti effetti boomerang: “Essa vizia per lo più i suoi figli con la massima istintività… Ma quanto più li vizia, tanto più li rende dipendenti da sé”, trasformandosi, da “buona madre nutrice e protettrice… nella cattiva madre”.
Trevi, figlio di Mario Trevi, altro grande junghiano, discepolo di Bernhard, non è d’accordo: “Come tutte le teorie”, obietta a Bernhard, “anche quella della Grande Madre finisce per occultare dettagli dell’esperienza quotidiana che non sono meno evidenti”. Per conto suo, nella sua propria famiglia, e per quanto ha potuto vedere al Sud nella sua esperienza, “chi comanda davvero… è la Madre della Madre: la millenaria, zodiacale, rupestre Nonna Mediterranea” – anche se “questo Nonnarcato” non s’illustra come il matriarcato di simboli e culti venerabili, statue, santuari.
 
Sante-papesse – Ci sono più casi, nella tradizione, più o meno veritiera, di donne che si sono volute uomo, per entrare in convento o per fare carriera ecclesiastica. Di questa seconda specie, in realtà, non ci sono casi storici, certificati. Quello famoso della papessa Giovanna (una inglese nata nata in Germania, a Magonza), che sarebbe succeduta a Leone IV nell’855, e avrebbe regnato per due anni, cinque mesi e quattro giorni che avrebbe passato a Roma fornicando, poiché dopo quel tempo, nel corso di una processione, dal Colosseo a San Clemente, avrebbe partorito, non è vero. Lo spiega il medievista Tommaso di Carpegna Falconieri in una ricerca di prossima pubblicazione di cui dà conto Paolo Mieli sul “Corriere della sera”. Ci sarebbe stata una papessa, ma a Oriente, una patriarca nella chiesa di Costantinopoli - se ne saprebbe da una lettera (non spedita) di papa Leone IX al patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario.
Ci sono invece, documentate, “un’infinità di donne di cui si racconta che condussero una vita di santità vestendo abiti maschili e mantenendo celata la loro condizione femminile”.
Ci sono state dunque molte donne che hanno voluto essere uomini. Non ci sono stati invece uomini che hanno provato a farsi monache, nemmeno per insidiarne, come era l’uso, le virtù – nemmeno per scherzo, per così dire.
 
Storie di famiglia – “Le storie d famiglia non sono né vere né finte”, Emanuele Trevi, “Mia nonna e il Conte”, p. 30: “Il loro grado di attendibilità non si misura sulle testimonianze e su documenti, perché consistono di fili narrativi così ingarbugliati che n
on si può separarli e distinguerli, privilegiando i più ragionevoli e tralasciando le palesi assurdità”. Servono a “cementare i cosiddetti legami di sangue”.


letterautore@antiit.eu

Renzi a Cosenza – o uno scandalo giudiziario

Succede in Calabria, e quindi non fa notizia, ma il processo-non processo a carico di Occhiuto, presidente uscente e rientrante della Regione, ha tutte le apparenze di uno scandalo. Una notizia di reato non seguita da imputazioni specifiche. A opera di giudici, il Procuratore capo e i due sostituti, che vantano – vantavano fino a qualche tempo fa – fede o affiliazione “renziana”.
Si sa come vanno le cose, questi legami si negano ma si cercano, per la carriera (non è colpa dei giudici se le nomine sono politiche, etc. etc.). La Procura di Cosenza è in debito con l’uomo più potente d’Italia per un quinquennio, fino al 2017 o 2018, presidente del consiglio, segretario del Pd, “rottamatore” dei politici ultracinquantenni. Poi in bassa fortuna ma specializzato nel far cadere i governi – o almeno lui così si pensa. Ex critico della giustizia politica nel caso dei suoi genitori, e dei suoi colloqui alle stazioni di servizio sull’autostrada. Giustizialista con Occhiuto, con due liste al voto, e probabilmente nemmeno un consigliere sui trenta eletti.
Renzi in Calabria vanta un “clamoroso risultato”, dice l’Istituto Cattaneo, che studia il voto e i flussi di voto: riuscì a invertire nel 2014 la tendenza che vede i calabresi votare per il centrodestra alle regionali, dopo aver votato per il centrosinistra alle politiche e alle europee: conquistò la Calabria. Ora, in bassa fortuna, tenta anche la lui la pista giudiziaria?
Sarebbe la parte succulenta di un voto di fatto senza storia, e senza gran peso specifico. Ma non  è nemmeno citato nelle cronache politiche, fra le tante dichiarazioni, interviste e lunghe pagine su 
Renzi a giorni alterni nei media mainstream.


La fascista Meloni paladina degli ebrei

Seguire i social è tempo perso – sprecato. Ma una cosa è curiosa: l’anti-semitismo è di sinistra.  Anche non estrema.
L’antisemitismo propriamente detto. Che non è di chi diffida di Israele o lo critica. Quello di chi odia, senza nemeno dirsi perché, gli ebrei in quanto ebrei. La rete è piena di quelli che si fanno un punto di deridere i “fozzagioggia”. Che sono quelli che sostengono il governo. I “fozzagioggia” in specie sono derisi perché Giorgia fornirebbe armi a Israele.
Le forniture sono in realtà bloccate dall’inizio della guerra per regolamenti europei. Ma gli anti-fozzagioggia fanno della fascista Meloni (Natala Aspesi dixit) una sostenitrice degli ebrei, anzi una paladina.

Sesso senza sesso

Un’imprenditrice di successo cinquantenne, sposata con un regista fantasioso con cui ha un’ottima intesa, amorevole e accudente con le figlie adolescenti, s’infatua di una ragazzo che, dopo averla aiutata dall’assalto di un cane sul marciapiedi affollato della metropoli, si ritrova in azienda come stagista. E imbastisce con lui, benché sfrontato e invadente, una relazione sadomaso. Senza problemi per il resto della vita – inutile raccontare il resto, per cui il film ambisce alla qualifica di thriller.
Si definisce anche erotico, ma è fiacco anche in quello - è un ginnastica, senza erotismo. Problematico sì: perché Nicole Kidman – l’imprenditrice è lei - è stata migliore attrice a Venezia nel 2024? E perché il film può vantare il titolo di “uno dei dieci migliori film del 2024”? Un anno sventurato?
Halina Reijn, Babygirl, Sky Cinema, Now

martedì 7 ottobre 2025

Una guerra senza pace

L’assalto del 7 ottobre era una guerra, si spiegava nel sito il giorno dopo – una guerra e non un atto di terrorismo, come i tanti subiti dagli Stati Uniti, la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna, la Germania. Ed è stata una guerra molto dura, la più aspra oltre che lunga dopo quella del 1948, della nascita di Isarele. E come nel 1948, va ora aggiunto, non si conclude con una pace.
Non c’è un vincitore netto.  Israele deve accettare delle condizioni. E non ci sarà pace: Israele non intende fare pace.
Israele nel suo insieme, non solo la destra al governo con Netanyahu. Nessun governo precedente ha mai affrontato la questione politica. Gli accordi di Oslo del 1993 non sono stati applicati, neanche prima dell’assassinio di Itzak Rabin, che li aveva sottoscritti. Quelli di Camp David nel 2000 erano vuoti.
La soluzione di polizia non paga – non funziona, oltre che mettere Israele dalla parte del torto, giuridico e politico. Specialmente dopo questa guerra, ma anche prima. Si stima che un palestinese su cinque sia passato per le carceri israeliane, anche senza condanna, quindi un milione – tra essi migliaia di ragazzi sotto i 12 anni. A nessun effetto pratico, se Hamas ha potuto fare guerra contro Israele – di fatto contro gli Stati Uniti – per due anni.
Dopo una guerra, specie dopo una sanguinosa come questa, viene la pace. Se c’è un vincitore.  

La Grande Madre è la Nonna

Spassosa ricostruzione della nonna materna, con la quale Trevi ha passato le estati fino al 1985 o al 1987, quindi per oltre vent’anni, in Calabria, in un paese di mare, in una casa con un grande giardino, in mezzo al paese. “Come certe ragazzine”, è l’incipit – quela che “iniziano a raggiare …. nel giro di un’estate” – “mia nonna diventò bellissima dopo gli ottanta”. Nella stessa vena il seguito. Che è in realtà la storia materna di Trevi, dopo quella del padre e della casa del padre, “La casa del mago” (e quella degli amici morti presto, Rocco Carbone e Pia Pera, “Due vite”). Una storia di donne, tutte formidabili: la trisavola che si mise con un brigante, quello che l’aveva vendicata uccidendo l’assassino di suo marito, generoso e pio medico dei poveri; la bisnonna che girava con la pistola nella borsetta, quella che si era comprata quando si era invaghita del futuro marito, per paura che qualche malintenzionata glielo rubasse – questa è “longilinea” e “magra” come la madre, e altrettanto autoritaria. Il conte è un vero conte, nobiluomo napoletano, mite e mingherlino, cultore  dei Borboni, finito in paese, si presume, con servo-padrone molto gay, che incontra la nonna per chiedere un favore (poter attraversare il giardino nella quotidiana passeggiata da casa al mare): ne diventerà la compagnia quotidiana. Una liaison che culminerà in un sontuoso ricevimeno verso Eboli di vera nobiltà napoletana, nel quale la nonna farà una sorta di tardivo debutto.
Detto così non è niente. Ma Trevi sa farne una (piccola) epopea. Con la ricostruzione anche, suggestiva e breve (e per ogni aspetto veridica, si può attestare) di un piccolo mondo antico e ben caratterizzato – nella fattispecie molto calabrese, benché la Calabria sia lunga e varia, per storia e per mentalità.
Con numerose digressioni, altrettanto spassose. La Grande Madre mediterranea di tanti mitografi che invece sarebbe la Madre della Madre, ossia la Nonna – “sono stato più un cocco di nonna che un cocco di mamma” (con letteratura allegata). L’anamnesi di “Beautiful”. La nonna “cenerentola” a Eboli. La torre di guardia cinquecentesca alla marina e Francis Marion Crawford.
La location, non detta, è San Nicola Arcella. Il conte invece alla fine è individuato: è Erminio Scalera, degli “Aneddoti borbonici”.
Emanuele Trevi, Mia nonna e il Conte, Solferino, pp. 113 €15