lunedì 13 ottobre 2025
Le mani del governo sul risparmio
Su una cosa che ancora non esiste, una
procedura Ue contro il governo italiano per la gestione politica, contro le
regole, del golden power (contro Unicredit per l’acquisizione di Bpm, e a
favore di Crédit Agricole, n.d.r.), due europeisti convinti come Osvaldo De
Paolini e sul “Giornale” e Angelo Di Mattia sul “Foglio” si scagliano contro.
Con virulenza. Con violenza.
Se il covid non c’è stato
Una riflessione sui (non) effetti del covid, se non “gli
adesivi sbiaditi”, e “qualche reparto di terapia intensiva potenziato” – oltre “a
inedite definizioni di paure e fragilità”. Ovvero sull’effetto semplificazione,
se non rimozione: della pandemia come una parentesi - un’influenza un po’ pestifera,
come si voleva agli inizi. Mentre “aveva aperto questioni gigantesche e più
generali, avendo imposto un corpo a corpo con il collasso di alcuni diritti
fondamentali, con le epifaniche e amarissime disuguaglianze di quella che era
per tutti la stessa «tempesta» ma non la stessa «barca»”.
Una riflessione propiziata dalla
mostra “Venezia e le epidemie”. Che invece testimonia di una storia, una realtà
politica, che si intendeva di epidemie, trafficando per i porti di tutto il
Mediterraneo, e sapeva prevenirle e trattarle. Un’esperienza di secoli, che
Gissi sintetizza come efficace. Intanto perché anticipa un concetto
contemporaneo, “la comprensione della relazione reciproca tra salute ed
economia, il valore della governance coordinata, l’esigenza di un’intelligence
sanitaria sovranazionale” – che Venezia non trascurava, uno dei suoi tanti plus.
Ma, soprattutto, si organizzava di conseguenza: “L’esperienza veneziana
dimostra come l’eccellenza nel governo delle emergenze sanitarie non scaturisca
soltanto da saperi scientifici avanzati – all’epoca certamente fragili – ma
dalla facoltà di edificare istituzioni adattive, capaci di trarre insegnamento
dalle emergenze e di trasformarsi”. Il contrario della realtà odierna, da Paese pure “avanzato”, di una “sanità collettiva” che si affronta con “tagli e logiche di
mercato”.
Con
un interrogativo anche sulla funzione della storia, della storiografia. Che a
volte è lì per rimuovere invece che per scoprire – rivelare, spiegare: “Rimozione
e oblio sono evidentemente tentazioni potenti e già sperimentate nel caso della
‘spagnola’ d’inizio Novecento, nascosta a lungo nelle pieghe dei manuali
di storia”.
Alessandra
Gissi, Venezia e le epidemie, un viaggio nella storia e nell’ambiente,
minima&moralia, online
domenica 12 ottobre 2025
Ombre - 795
La Francia non ha solo un
problema di debito pubblico, è troppo alto anche il debito delle imprese, rileva
“Il Sole 24 Ore”: “Ha raggiunto i 4.550 miliardi, il 155 per cento del pil”, un
record – in Germania è all’89 per cento, negli Usa al 73,7, in Italia al 57.
La globalizzazione, il “mercato”, si è fatto
a debito. Il Fondo Monetario Internazionale calcola l’indebitamento pubblico “globale”
(mondiale) alla pari quest’anno col pil, con la produzione.
Si scopre, con lo scambio di prigionieri
Israele-Hamas, che “migliaia” di palestinesi sono detenuti in Israele senza processo,
e senza assistenza legale. Anzi in segregazione. E non se ne sapeva niente.
Democrazia? Informazione?
Si modifica il Tuf, testo unico
della finanza, per consentire alla francese Agricole il controllo di Bpm arrivando
a un centesimo sotto il 30 per cento - elevando dal 25 al 30 per cento l’obbligo
dell’offerta pubblica di acquisto dell’intero pacchetto. Dopo avere modificato
le regole di gestione, per cui si controlla un’azienda col poco meno del 30 per
cento. Da parte di un governo “sovranista”, che ha fatto guerra a Generali per l’accordo
con Natixis, francese, e a Unicredit per l’ops su Bpm – dichiarando Unicredit
banca straniera, che mette a rischio il “risparmio degli italiani”.
Sotto il sovranismo la vecchia manovra “bieca”
di potere. A danno del risparmio – lo è sempre stata. Ma questo non si dice. C’è
un perché?
Si litiga su una decisione di Bruxelles in materia di “golden power” che non è stata presa. Litigano Meloni e Giorgetti, e i loro fan nei media. Curioso. Anche perché non c’è mai stata tanta intromettenza politica, sull’informazione e sul risparmio - le banche, bene o male, ci tengono i conti. Neanche quando le banche erano pubbliche. Le Casse di risparmio rispondevano ai potentati locali di turno, ma con discrezione – anche perché le Procure all’epoca vigilavano. Dei grandi banchieri pubblici era soprattutto nota, e non contestata, l’indipendenza, di Mattioli, per dire, Cingano, Siglienti, anche Braggiotti, lo stesso Nesi, Sarcinelli – anche nelle contese, tra Cingano e Braggiotti, o tra Fausti e Arcari.
Meloni giuliva dei viaggi all’estero
- unica peraltro viva (che se non ha qualcosa da dire sa però come dirla) nel
cimitero europeo – non sa che Renzi arcipotente perse tutto imponendo le sue
banche toscane. Dopo che qualche centinaio di migliaia di famiglie ci rimisero
molto e moltissimo.
Sembra strano oggi, ma in confronto al
potere di Renzi dieci anni, Meloni non è niente al confronto, appena qualche
nomina, da poco, di passaggio, Sangiuliano, Giuli, Lollobrigida, la sorella.
Di una dozzina di frequentazioni
abituali la metà hanno o hanno già avuto l’influenza. La Regione però ha prenotato
il vaccino per novembre. Poi dice che la sanità pubblica non funziona perché
troppo cara, troppo lenta, disertata dalle competenze, etc. Perché manca la testa,
un minimo di giudizio.
Lo screzio fra Angela Merkel e
la Polonia – il governo in carica e l’opposizione – sul mancato dialogo con
Mosca tra il 2018 e il 2022 è intanto verosimile:
Merkel dice che la Ue non parlò con Mosca per l’opposizione della Polonia. Ma è
comunque uno dei tanti segnali che l’Est europeo – che determina purtroppo l’agenda
della Ue da un quinquennio – è un verminaio. Il tono della contesa, se non la sua
verità, parla chiaro.
Roma scopre di avere 1.859.221
autoveicoli immatricolati, per 1.600.000 patentati. Nonché essere anche “capitale
dello sharing”, di auto, moto, bici e monopattini. Di questi
soprattutto. Siamo in transizione, verso dove?
Roma ha anche 330 km di piste
ciclabili, e prevede di costruirne altri 700 km. Al costo di 350 mila euro al
km - un “investimento” da 350 milioni. Per piste che nessuno usa. Un investimento
per restringere la carreggiate ed eliminare qualche centinaio di migliaia di
posti macchine al parcheggio.
Ferrari dimezza gli investimenti sull’auto
elettrica. Mentre per il decimo, o ventesimo, anno non fa più una macchina
competitiva alle corse. Dopo Fiat, Jeep, Alfa Romeo e Lancia, Elkann affonda
anche la corazzata delle vendite e dei profitti?
Continuano le ruminazioni sul voto alla
Regione Calabria, dopo quello alla Regione Marche. Sapendo che domani il risultato
sarà invertito in Toscana – e fra un mese in Campania e Puglia.
Giornali e tg fanno un subisso di
politica, senza dire nemmeno l’ovvio – fare di tutto eccezione, anche dell’alba
e il tramonto, è come abbaiare, senza senso.
Fine ingloriosa del candidato
Pd-5 Stelle in Calabria, Tridico, dopo una serie di gaffes inimmaginabili.
E non si dice che un quarto dei voti che ha raccattato, il 10 per cento del totale
del voto, era di due liste socialiste, sotto mentite spoglie, Democratici
Progressisti e Casa Riformista – questa con una spruzzata di Renzi, “Italia
Viva”. Una delle due ha anche preso un consigliere, l’altra è andata poco
sotto.
Meloni da Vespa fa l’elenco delle
accuse avventate che Conte, Schlein e Avs muovono al suo governo. Compresa una denuncia
alla Corte Penale Internazionale per “complicità in genocidio” – per le forniture
militari a Israele. Il “Corriere della sera” titola: “La premier in tv: presentata
una denuncia alla Cpi. Un portavoce della Cpi: nessun atto formale”. Su un testo
in cui il portavoce spiega: “Solo le decisioni hanno valore, e non esiste
alcuna decisione”. Analfabetismo non è - per fare il caposervizio (quello che
fa i titoli) bisogna sapere un po’più che leggere. Ma è sempre vero che la stupidità
esiste, per quanto “impegnata”.
Si critica Trump per una serie innumerevole di motivi, compresa
naturalmente l’economia Usa, ma non si dice che l’economia in A erica è solida,
la più solida, cresce quasi al livello della Cina, gli investimenti in dollari
al massimo, e l’euro, malgrado questa corsa al dollaro, pure ai massimi, nel cambio
col dollaro. È opposizione? A chi, a se stessi?
Si critica Trump e poi si riporta un conto delle spese
Nato che vede gli Stati Uniti finanziare l’alleanza per i due terzi, 997
miliardi di dollari su 1.506, il 3,4 per cento del pil – più di ogni altro
(secondi solo alla Polonia, che si arma da tempo contro tutti, per ora contro la
Russia).
Negli accordi mediati dalla
Croce Rossa e dalla Turchia, la Russia ha restituito all’Ucraina nei tre anni e
mezzo di guerra 13 mila corpi di soldati morti, l’Ucraina alla Russia “un
migliaio”. Sono la verità della guerra, dietro le “notizie di guerra”, la
propaganda, di cui siamo vittime - anche la restituzione dei prigionieri è stata
salutata come un segno che la Russia sta perdendo la guerra, “troppi morti”.
Su Epstein, il ricco newyorchese che forniva ragazze,
anche minorenni, agli amici, sono chiamati a dare contro alla commissione d’indagine
del Congresso i Clinton, lui e ei. Ma i media parlano solo di Trump, se e
quanto era amico di Epstein, e se ne aveva “approfittato”. C’è uno scollamento,
una voragine, tra l’“opinione pubbica” mediata dai media, e l’opinione
comune, sensata, democratica. I media classici si sarebbero detti del
salotto buono. Ora sono del tinello, piccolo borghese.
Il Napoli calcio indovina sempre
tutti gli acquisti, pagando poco, la Juventus li sbaglia, li sbaglia tutti, spedendo
molto. Una costante da troppi anni. C’è una ragione? Stupidità non è – quello
che si è “sbagliato” di più alla Juventus, roba di un paio di centinaia di
milioni, è un dirigente che se ne intendeva del Napoli.
Il problema del calcio è che non si
conoscono i domicili fiscali dei mediatori – agenti, etc.. Cioè si conoscono,
ma sono coperti dai paradisi fiscali.
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La commedia del teatro
Uno smontaggio del teatro, della finzione teatrale.
Del “Gabbiano” di Cechov e del “Santa Govanna” al cinema di Dreyer. Delle tante
incongruenze e anche scemenze implicite nelle figurazioni, nei dialoghi, nelle
situazioni canoniche dei personaggi. Legato dal filo medianico di una nonna
defunta che tutta la vita volle essere attrice di teatro, benché star della radio,
e morì con qualche particina nelle filodrammatiche. Come a dire che teatro siamo
tutti noi, anche fuori della scena.
Una performance tenuta assieme, senza i
sussidi teatrali, scene, luci, costumi, trucchi, macchine, da due attori giovani,
Olga Mouak, franco-francese, e Arne De Tremerie, fiammingo. Lui più invadente,
agitato. Lei più padrona, sottotono, con monologhi da applauso. E più nel
ruolo, volendosi l’esperimento coinvolgente anche degli spettatori: al pubblico romano
offrendo appigli svelta, in una battuta –“si chiude tutto” (i centri sociali?
i teatri? non importa), “speriamo in CasaPound”, etc.. A loro sarebbe dovuta la
scelta del “Gabbiano” e di Giovanna d’Arco: la nonna di De Tremerie è morta quando
lui entrava alla scuola di teatro con un “pezzo” del “Gabbiano, Mouak è
cresciuta a Orléans, il luogo della Pulzella, e ha avuto una nonna in Camerun che
sentiva anche lei le voci, ed è morta bruciata. Ma questi pecedenti sono ininfluenti.
Un esperimento semplice, una “decostruzione”
derridiana, a suo modo memorabile. Se non che il pubblico, impreparato (o
troppo preparato, di addetti ai lavori, attenti ai meccanismi?), ha mostrato di seguire
con apprensione. In attesa dell’esito, di un esito, che invece era nella forma –
decostruzione non significa oggi più nulla, benché tardo novecentesca: il millennio
non ha memoria. E quindi ha fatto mancare la sponda necessaria all’esperimento,
la reattività, il ghigno, la risata, la protesta, il buu, l’applauso. Sordo
anche alle tante “arie”, pezzi di bravura, dei due artefici – specie a quelle,
gestite con piglio da primadonna benché sottovoce, sottotono, soave, di Olga Mouak.
Questa prima uscita dell’esperimento ha in Italia (la pièce
è stata ordinata per il festival di Avignone) lo svantaggio di rimandare alle
traduzioni in didascalia, su un pubblico franco-fiammingo potrebbe fare un ottimo
spettacolo comico.
Milo Rau, La lettre, Romaeuropa Festival, Teatro
Vascello
sabato 11 ottobre 2025
Cronache dell’altro mondo – di pace e bene (362)
L’approvazione del primo passo del piano di pace di Trump da parte di Israele
è ventuta per un imprevisto empito di commozione. Lo raccontano Isaac Stanley-Becker
e Vivian Salama sul sito dell’antitrumpiano “The Atlantic”:
“Prima che il governo israeliano approvasse la prima fase dell’accordo
di pace con Hamas orchestrato dagli emissari del presidente Trump, il ministro intransigente
Itamar Ben-Gvir aveva espresso la sua frustrazione. Solo il giorno prima aveva
guidato un gruppo di ebrei in preghiera sul Monte del Tempio, il luogo focale
di Gerusalemme che ospita anche la Moschea di Al Aqsa, e aveva invocato la «vittoria
totale» a Gaza….
“Alla riunione, su invito di Netanyahu, erano presenti sia Jared
Kushner, genero del presidente, sia Steve Witkoff, amico e inviato speciale di
Trump. Erano arrivati in Israele dall’estremità meridionale del Sinai, in
Egitto, dove mercoledì avevano elaborato un documento di una sola pagina che
sintetizzava i termini di un cessate il fuoco e di uno scambio di prigionieri,
che potesse soddisfare sia Israele che Hamas.
“Ben-Gvir si rivolse ai due americani e disse loro che non avrebbe mai
accettato un accordo… che libera detenuti palestinesi per atti di violenza
contro cittadini israeliani inermi, e potrebbe in seguito portare all’amnistia per
un gruppo terroristico responsabile dell’attacco più mortale nella storia del
Paese. Witkoff, un investitore immobiliare newyorkese scelto da Trump per
risolvere alcuni dei conflitti più complessi al mondo, rispose raccontando loro
di aver perdonato la famiglia dello spacciatore responsabile della vendita dell’OxyContin
che ha tolto la vita a suo figlio. L’inviato sembrava sull'orlo delle lacrime,
ci hanno riferito due persone a conoscenza della conversazione. Ben-Gvir rimase
impassibile, affermando che la differenza era che Hamas non si era pentita.
Alla fine, il governo israeliano ha approvato le prime fasi del piano di
Trump: il ritiro delle Forze di Difesa Israeliane e la restituzione di tutti
gli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi.
Toni Morrison, che impose gli scrittori afro
Toni Morrison scriveva denso e impegnativo, ma agli autori
che curava come redattrice di Random House consigliava linguaggi semplici,
leggibili da un vasto pubblico: privilegiava gli aspetti commerciali,
specialmente nei debutti. Senza nulla togliere ai debuttanti “autori”, che
invece proteggeva in casa editrice con le direzioni commerciali – una lunga
lista di autori afroamericani affermati curati inizialmente e imposti da lei viene
fatta. Ma sì ai personaggi di cui curava, con insistenza, volte con insofferenza,
le autobiografie: Angela Davis, Muhammad Alì, Huey P. Newton. Invece proteggeva
i suoi scrittori, se neri e giovani, dalle strategie pubblicitarie e commerciali
della casa editrice.
Un lungo saggio, in forma di recensione di “Toni at
Random: The Iconic Writer’s Legendary Editorship”, la storia editoriale di T.
Morrison, di Dana A. Williams. Morrison lavorò alla Random House nei suoi
quarant’anni, per una dozzina d’anni, dal 1972 al 1983 (dieci anni prima del Nobel).
Unica redattrice afroamericana.
“Oggi conosciamo Morrison per la sua scrittura iconoclasta, che le valse
il Premio Nobel per la Letteratura nel 1993 e consolidò saldamente il suo posto
nel canone letterario americano. Tuttavia, Toni at Random sottolinea
il fatto che la scrittura di Morrison fu molto più di un risultato individuale.
Nel pieno del Black Arts Movement, Morrison fu una dei tanti scrittori che
ampliarono le possibilità di ciò che la letteratura nera poteva essere e fare.
Il suo più grande riconoscimento negli anni Settanta e Ottanta fu la sua
capacità di aprire le porte dell'accesso istituzionale alla comunità di
scrittori a cui apparteneva. La capacità di Morrison di pubblicare scritti neri
innovativi dipendeva dalla sua capacità di proporre i libri al caporedattore
della Random House, James Silberman, e poi di commercializzarli sia al pubblico
nero che a quello bianco”.
Un caso viene raccontato esemplare del modo di fare di
Morrison in casa editrice, e del suo successo.
“Forse la più riluttante a impegnarsi in pubblicità
per vendere i suoi libri fu Gayl Jones, che aveva solo 25 anni quando il suo
primo romanzo, Corregidora (1975), fu pubblicato con grande
successo di critica….. Nonostante (o forse proprio a causa) dell’estrema
timidezza di Jones, Morrison si impegnò ancora più duramente del solito per
ottenere blurbs da affermati scrittori neri – tra cui James Baldwin e
Alice Walker – e si unì a Jones per interviste a sostegno di lei”. Il rapporto
si dovette interrompere per le intromissioni dell’agente di Jones, “poi
diventato suo marito, Robert Higgins, che Morrison considerava instabile e
autoritario. Senza gli sforzi pubblicitari di Morrison, l’attenzione della
critica si spense e Jones cessò di pubblicare per due decenni dopo il suicidio
del marito nel 1998. La pubblicazione del romanzo Palmares (2021),
iniziato sotto la direzione di Morrison alla fine degli anni ‘70, inaugurò una
recente rinascita nella sua carriera e un ritorno ai riconoscimenti ottenuti
con il suo primo romanzo”.
Marina Magloire, “To Free Someone Else”:
Toni Morrison the Book Editor, “The Nation” 7 ottobre (leggibile anche in
italiano)
Inizio modulo
venerdì 10 ottobre 2025
Problemi di base accuditivi - 884
spock
Prendersi cura
per migliorare la vita?
O per
sostituirsi, nervosamente?
Prendersi cura
per alleviare o per aggravare?
Con affetto o
con dispetto?
Per stare in pace con se stessi?
Anche a costo di negarsi?
spock@antiit.eu
Nobel alla paura
“Ritiratevi in un luogo sicuro e salvaguardate
tutto ciò che è importante per voi, portatelo sottoterra, tutto ciò che avete,
togliete i gioielli, il cibo, le fotografie dei bambini, la poltrona dove vi
piace sedervi con un libro in mano, la tenda dietro la quale vi sentite al
sicuro, dalla finestra; raccogliete tutto ciò che vi era caro, raccogliete le
carte d'identità e i certificati di battesimo, prendete i soldi dalla banca e
nascondeteli in cantina dietro il muro, ma in realtà ogni gioiello, ogni pezzo
di cibo, ogni fotografia del bambino, ogni poltrona e ogni amato libro, ogni
tenda e ogni documento, e in realtà tutti i soldi fino all'ultimo centesimo, e
nascondete davvero tutte queste cose bene, ma davvero bene, sottoterra, così
che almeno potrete credere fino ad allora che ci fosse un senso in tutto
questo, finché non saremo arrivati, cercate protezione almeno fino ad allora,
mentre siete ancora in grado di credere che non siamo ancora arrivati…”. L’umanità
è messa in guardia – non solo qui, anche in altri racconti. Dal Nobel ungherese
con molta concitazione, periodi lunghi una pagina, e atmosfere apocalittiche.
È come spiega Com
Toibìn a commento: “La prosa del romanziere ungherese László Krasznahorkai è
carica di minaccia, ma sarebbe un errore interpretarla come politica o come
qualcosa che non arriva da nessuna parte. …. La sua immaginazione si nutre di
paura e violenza autentiche; ha però un modo di rendere paura e violenza ancora
più reali e presenti, estrapolandole da un contesto familiare”.
Una prosa dall’effetto curioso, sempre ansiogena. Si direbbe
che Krasznahorkai, ungherese, ricostituisca con Thomas Bernhard, austriaco, una
sorta di Cacania della concitazione – della narrazione senza pause e senza respiro
(punto). Ma con una curiosa differenza. In Bernhard la concitazione, estesa su più
pagine, se non per l’intero racconto, assume anche tonalità ironiche, sarcastiche,
comiche, perfino idilliache, si procede nella lettura come se fosse punteggiata,
“sagomata”. Su una pagina invece, come usa Krasznahorkai, assume un tono, oltre
che concitato, minaccioso, costantemente.
Un Nobel di genere, horror? Molto caduta degli dei, del mito, delle illusioni, del vecchio impero, dove spiriti e genti convivevano nella differenza. Quasi un ultimo vagito, minaccioso, della fantastica Mitteleuropa. Nella Europa odierna, senza bussola.
László Krasznahorkai, Animalinside, “The New
York Review of Books” (leggibile anche in italiano)
giovedì 9 ottobre 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (609)
Giuseppe Leuzzi
Ascolti in
calo per “Lezioni di mafia” del giudice Gratteri su “La 7” dopo la prima curiosità:
da1,1 milioni di audience
al debutto a 950 mila e a 720 mila in quindici giorni. Forse le mafie non tirano più tanto,
malgrado il brio che ci mette il giudice. Sarebbe il primo
calo d’interesse da “La piovra” quarant’anni fa – la serie di cui la Polizia ha
voluto insignire l’interprete,
Michele Placido, qualche giorno fa del titolo di “poliziotto ad honorem”, per la fama che
le avrebbe conquistato.
Emanuele Trevi,
che ha passato le estati fino ai vent’anni dalla nonna materna in Calabria, e
la celebra in “Mia
nonna e il Conte”, dà un senso pieno al (poco) dialetto che usa: cibbia (gebbia), vagabundu e scostumatu. Sbaglia la trascrizione, e quindi
le fonetica (cibbia è ggibbia), ma ha pieno il
senso delle parole. Il senso cioè locale, dialettale. Non quello del
vocabolario, della traduzione.
Il dialetto ha sue valenze (significati, sfumature) che l’equivalente in lingua
non ha. Il linguaggio
è radicato.
La città
italiana con più centri commerciali non è Milano: è Catania - secondo
una ricerca di “Men’s Health”. Sempre
al Sud, in Campania, le strutture più grandi: il Centro Commerciale “Campania”,
a Marcianise, provincia di Caserta, e il “Vulcano Buono” a Nola, provincia di Napoli. Modernizzazione?
Omonegeizzazione sicuramente, malgrado i leghismi.
La campagna regionale perdente di Pasquale Tridico, 5 Stelle, è stata
puntata sul sottogoverno: soldi per tutti, senza faticare. Una campagna
“laurina”, da Napoli anni 1950, affamata, negli anni 2020. Un errore così marchiano
da non potersi attribuire a nessuno stratega elettorale. Ma è la forma
mentis dell’emigrato. Dell’emigrato mentale come Tridico, che della Calabria
si è ricordato solo perché spinto dai 5 Stelle. Che fa propria, sulle proprie
origini, la narrativa dominante.
Si spiega che Tridico non sia stato votato neanche dai suoi, secondo
l’Istituto Cattaneo, che analizza i flussi elettorali: “Da sinistra a destra”,
al concorrente di Tridico, si è spostato un 5 per cento del voto, “dall’area
«liberaldemocratica» e da elettori che nel 2024 avevano votato per il M5S”.
Sudismi\sadismi
La partecipazione
al voto alle regionali in Calabria è stata bassa oppure alta? Votano sempre in pochi, dicono
i commenti più benevoli, la politica è estranea al Sud. E si svolge su pattern
ridicoli – naturalmente
non poteva mancare il commento irridente su questo aspetto del mangiaterroni
Gian Antonio Stella,
firma privilegiata del “Corriere della sera”, martedì 7: “Prometto tutto in
stile «Cetto La
Qualunque»”.
L’Istituto Cattaneo sottolinea invece il contrario: in Calabria si vota,
e a ragion veduta: “Dobbiamo sottolineare che, al contrario di quanto si potrebbe ritenere
considerando i tassi di partecipazione ufficiali, la partecipazione alle regionali è notevolmente cresciuta
rispetto alle politiche del 2022 e alle europee del 2024 (come del resto era capitato nel 2020 rispetto
alle europee del 2019). Questo perché in Calabria il numero degli aventi diritto al voto residenti
all’estero è molto più elevato che in altre regioni: è pari a circa il 20 per cento degli aventi diritto. Questi elettori non sono inclusi tra gli aventi diritto nelle sezioni elettorali calabresi al voto per
il parlamento nazionale, perché in quel caso possono votare in apposite circoscrizioni estere. Sono invece
inclusi nella base su cui si computa il tasso di partecipazione “ufficiale” nel caso delle elezioni
regionali e locali, in quanto possono esprimere il voto solo recandosi al seggio nel comune di
origine. Ma, ovviamente, non tornano in Italia per votare.
“In
Calabria il numero dei votanti è cresciuto in queste regionali, rispetto alle
precedenti elezioni parlamentari
(nazionali ed europee). E se si calcola il tasso di partecipazione alle regionali considerando
solo i residenti, cioè coloro che realmente hanno la possibilità di partecipare
al voto (e ne hanno
realmente interesse), il tasso di partecipazione supera il 50 per cento, raggiungendo
livelli simili a
quelli a cui si sono collocate negli ultimi anni varie regioni del centro-nord”.
Ed è un voto semmai maturo, attesta il Cattaneo: “Molti elettori
calabresi ….tendono stabilmente a orientarsi…. verso candidati al consiglio regionale dell’area
centrista, o meglio di candidati privi di una chiara connotazione ideologica, più presenti nel territorio”. Non verso
i demagoghi, bensì verso candidati moderati, fattuali.
Certo, si può sempre dire che questo voto, a candidati “presenti sul territorio”,
è un voto di scambio. Ma la
politica è uno scambio, il voto – il voto è una delega. Bisogna fare, in questo
“scambio”, la differenza
che non si fa, tra uno scambio specifico, di favori, posti, soldi, e uno
politico, di fiducia, ancorché
reciproca.
La donna del Sud
Le “storie familiari” sono inattendibili, spiega Emanuele Trevi nel racconto
sul lato materno della famiglia, in Calabria, “Mia nonna e il Conte”, ma un dato dà per
certo: “Quello che è sicuro è che la madre di mia nonna”, la bisnonna, “vissuta
in tempi certamente meno fiabeschi e avventurosi, era altrettanto capace di
esigere quello che le spettava, senza fare compromessi”- girava da ragazza per il
paese, senza dare scandalo, con una piccola pistola nella borsetta, “allo scopo
di scoraggiare i corteggiatori” che non le piacevano. E si spinge per questo, e
sulla propria esperienza nelle estati passate con la nonna, ad argomentare,
invece del matriarcato, il Nonnarcato. In aggiunta all’incipit ormai famoso, “mia nonna diventò bellissima
dopo gli ottanta”, esuma la Grande Madre mediterranea del “grande psicologo
junghiano, nonché astrologo e chiromante, Ernst Bernhard”, quella che vizia i
figli, il figlio, e quindi diventa “cattiva madre”, per dire che, “nella
maggioranza delle famiglie del sud, chi comanda davvero, stringendo saldamente
il suo scettro di emozioni primarie, è semmai la Madre della Madre: la
millenaria, zodiacale, rupestre, Nonna Mediterranea”. Un “Nonnarcato” dunque. Che, benché sprovvisto di “simboli venerabili”, statue, santuari, grotte, crepacci,
e di poemi epici e racconti “storici”, non per questo è meno reale – di donne “che siano
sarde, cicladiche o tirreniche, dalmate o berbere”.
La sua, di nonna, di Trevi, “era pur sempre una divinità tirrenica, appartenente
al temibile, indomabile, antichissimo ceppo calabrese: perspicace, volubile,
testarda, capace di leggerti un pensiero nella testa prima ancora che tu stesso
l’avessi formulato”.
Nero Calabria, nero Aosta
“Lei sa perché Molti valdostani hano i capelli neri?”, chiede d’acchito
al suo intervistatore, Paolo Bricco del «Sole 24 Ore», l’intervistato Vito
Gamberale, che è stato un manager pubblico di successo di grandi imprese, ed è
nostalgico della “fabbrica”, della “manifattura”, dell’industria. E si
risponde: “In Calabria, nel Settecento e nell’Ottocento, si trovavano
importanti centri siderurgici. Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, in
provincia di Vibo Valentia, costituivano uno dei maggiori poli industriali del
Regno delle Due Sicilie. Arrivarono ad avere milleseicento operai. Producevano
ghisa e ferro. Realizzavano le armi per l’esercito dei Borboni e le rotaie per
la linea ferroviaria Portici-Napoli. Dopo l’unità d’Italia il Sud, che
nonostante mille arretratezze aveva alcuni fra i poli pù avanzati della penisola,
subì una deindustrializzazione. I Piemontesi intensificarono lo sfruttamento
delle miniere in Valle d’Aosta e, nel 1907, fondarono la Società Anomina delle
Miniere di Cogne. Molti calabresi, che sapevano di metallurgia e di siderugria,
si trasferirono, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Valle
d’Aosta”.
Cronache della differenza: Calabria
“Che il
feudalesimo fosse una caratteristica calabrese”, fa mordace Nisticò nella
“Controstoria della Calabria”, 60, è una stramberia. I baroni, salvo qualche
eccezione, “non lasciarono alcuna memoria di sé”. Tanto meno si atteggiarono a
mecenati di artisti, come usava in Iralia. Ma non senza ragione: “Se leggiamo di
Ruggero e Marfisa, figli di Ruggero di Risa (Reggio), della Chanson
d’Aspremont e del romanzo Aspramonte,
lo leggiamo sì ma nei versi del Boiardo e dell’Ariosto di Ferrara; mentre
questa notizia, se mai sia giunta a Reggio, noncommosse e non commuove nessuno”.
Colpa dei baroni?
“La più romantica delle province
italiane”, è la conclusione che lo scrittore austriaco Friedrich Werner Van
Ostéren antepone al suo racconto di viaggio “Povera Calabria”, 1908. Dove
racconta di esistenze “umbratili”.
“La Calabria ci prende alla prima
con quel suo classico viso che non ha forse l’uguale di purezza e di nobiltà in
tutta la casata” d’Italia, “fatto più bello dalla sventura”. È lirico Antonio
Baldini a metà del suo viaggio in Calabria nel 1931. Sono prime impressioni di
un viaggio fugace. Ma come un’istantanea: “È la parente povera… Ha la fronte
bianca cme il marmo e l’occhio molto intento dei fatalisti… Col suo accento nativo,
a voce alta e cadenzata, dice cose semplici e severe in un suo tono appassionato…
Si studia in tutti i modi di offrirci la migliore ospitalità nella sua casa quasi
vuota e cadente… Il frasario cittadino le darebbe fastidio”. Però, “bisogna adattarsi”.
Le meraviglie non sono finite:
“In nessun altro paese come in Calabria le farmacie fanno venire voglia anche al
forastiero di prendere una seggiola ed entrare in discussione. Parlatori di
primordine, ornatissimi patrocinanti, liberi maestri d’eloquenza, c’è da stare
a sentire incantati; gente che parla con la compostezza di un re sul trono…. Con
l’allure di un predicatore..., piacendosi straordinariamente del suono
delle proprie parole. Parla così fiorita e magnificente che per le cose correnti
non resta che il dialetto. Tradandatona nei fatti, agguerritissima nelle
apparenze. Avvocati come piovesse”.
E non è tutto. “Calabria, casamadre
dell’Ospitalità italiana”, la elegge Baldini. Stendhal in Calabria, dove non ci
fu, “non per niente diceva di avere colto sulla bocca dei calabresi il modulo
ampio e fluente del tirate di Tito Livio”.
È stata, oltre che il tema di
molte fantasie, fantasticata scena di molti avvenimenti del mito. L’ultima spiaggia
di Oreste. Rifugio variato di Ulisse, nel suo svagato peregrinare. La piana
dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.
In sintesi, nella seconda
guera (punica) i Bruzi e i Lucani si schierarono con Annibale, per difendersi
da Roma. Quando Annibale, ridotto a Squillace, prima di imbarcarsi per Cartagine,
chiese agli alleati di seguirlo, questi si rifiutarono. Annibale li fece sterminare,
nel santuario di Era Lacinia a Crotone. I superstiti furono ridotti in
schiavitù dai Romani.
I prigionieri di guerra diventavano
“schiavi pubblici”. Gellio dice che gli schiavi pubblici erano chiamati
“bruziani”.
Amedeo Matacena jr, imprenditore
delle traghetto Villa San Giovanni-Messina, passa con Berlusconi e viene subito
colpito, montagne di inchieste per mafia. In una delle quali viene anche condannato,
per concorso esterno. Cinque anni. Che passa a Dubai. Con una (seconda) moglie.
E poi con un terza, sposata con “rito africano”. Dopo il quale la madre protettiva muore, e lui pure,
senza malattie, a 59 anni. Basta un “rito africano” per atterrare un mafioso
calabrese.
I Matacena sono napoletani - Amedeo Matacena padre era
uno stimato medico a Napoli. Ma la cosa non cambia: il problema è l’antimafia.
leuzzi@antiit.eu
Giallo al rallentatore
Un giallo di ombre, ma non di misteri. Di ambiente,
di mood. In questa terza serie, sempre sceneggiata, diretta e interpretata
da tutte donne – un solo ruolo maschile, di spalla (qui ci sono anche un marito
e una famiglia, ma sono un diversivo - più spaziato e lento del solito. Come
per fare minutaggio.
Petra-Cortellesi è sempre seguita nei suoi silenzi, sguardo
fisso sbarrato, che si vorrebbero misteriosi, per lunghi tratti, in ambienti spogli
e chiusi. La trama è ancora meno importante (avvincente) delle prime serie: in
un convento di suore c’è stato il furto del Bambinello nella cripta, e l’assassinio
del restauratore della stessa cripta.
Maria Sole Tognazzi, Petra, Sky
mercoledì 8 ottobre 2025
Letture - 592
letterautore
A.Christie – Anticonformista,
al limite della misoginia? A Poirot fa dire, a proposito di violenze domestiche:
“Io mi sono occupato di molti casi del genere. In ventidue era l’uomo, ma in
sessanta (ottanta? – n.d.r.)) a menare le mani era lei”.
Colomba – Simbolo di pace,
è una bestia aggressiva – come quasi tutti i volatili, il più bello, il
gabbano, è il più feroce. “Sembra che il
piccione sia un animale crudele. Quando si batte con un altro piccione, si accanisce
su di lui finché non muore”, Tahar Ben Jelloun, “Cinquanta paradossi”. Il
cardinale Ravasi, citando lo scrittore sul “Sole Domenica”, lo conferma con l’esperienza
personale - che è quella di tutti, peraltro. Ma, antifrasticamente con gli eventi
contemporanei?, fa risalire l’equivoco alla Bibbia, “Genesi” 8,11, il racconto
del diluvio: “Quando le acque si ritirarono, la colomba rientrò nell’arca di Noè
«reggendo nel becco una tenera foglia di ulivo», altro simbolo di pace”.
Il cardinale non
manca di rilevare che in arabo e in ebraico il saluto è lo stesso: shalōm,
salām, pace.
Ex voto – Voti, penitenze, una
“follia religiosa” per lo scrittore austriaco, ben cattolico, Van Oestéren, 1874-1953,
italianista fluente, che viaggiò, specie al Sud (della Calabria pubblicò anche
un diario di viaggio, “Povera Calabria”), in un articolo sul quotidiano viennese
“Vossische Zeitung” - che poi ha ripreso, spiega Teodoro Scamardi nella postfazione
alla traduzione di “Povera Calabria”, da lui curata, dalla rivista dei modernisti
tedeschi “Das Neue Jahrhndert”, n.2, 10 gennaio 1909. Dove lega le forme religiose
di fanatismo, devozione eccessiva, pratiche umilianti (strisciare, leccare,
colpirsi), culti bizzarri, “a fini di lucro”.
Harijan – Della stessa radice
sanscrita di “ariano”? È il termine indù, che Gandhi ha provato a liberare, con
la comunità e il periodico dallo steso nome, e oggi è perfino parola “incorretta”
e quindi proibita, per “intoccabile”. L’ariano della nobiltà teutonica o
caucasica è sì “figlio di Dio”, - questa la traduzione di “harijan - ma
nel senso di paria, intoccabile. Quanta filologia, quanta storia, anche filosofia,
e quante guerre, per la “razza ariana”.
Uno spreco di cui fa la sintesi “La morte
è giovane”, romanzo in via di pubblicazione: “La
storia della Grecia nasce nel 1840, quando la filologia critica interruppe il
filone della storia provvidenziale e se ne fece giudice, libera quindi
d’inventare l’“arianesimo”. Che l’università Georgia Augusta di Gottinga veniva
elaborando da un secolo: a un certo punto, dice il modello “ariano” della
storia greca, dal Nord arrivano gli elleni, parlanti indo-europeo, e soggiogano
la cultura egea. Rinata
dopo la disfatta nel ‘18 a centro meritorio della fisica, con la meccanica
quantistica di Heisenberg, Pauli, von Neumann, Oppenheimer e Born, Gottinga è
stata per due secoli la culla della storia
eretta a scienza grazie all’invenzione della filologia. Con gli “ariani” e la
Grecia fu tedesca pure Roma, la letteratura romanza, la storia, la chimica, la filosofia.
Incluso il Giordano Bruno italiano, riportato in vita quattro volte nel solo
Ottocento, da Adolf Wagner, Lagarde, Lasson, Kühlenbeck – dopo essere stato salvato
ai posteri dai re di Francia e d’Inghilterra. Nel
1770 Blumenthal aveva imposto la prima graduatoria delle razze, inventando il
caucasico. Winckelmann la Grecia delle statue patinate quale ideale di
bellezza. Tra il 1820 e il 1840 Karl Otfried Müller, il filologo di Gottinga, dà
significato culturale e politico alla storia “antica moderna”, con la scoperta
dei dori. Era la filologia dei primati – di Ariano vero c’è solo il santo a
Venezia, all’isola dei Morti.
La
parola nasce dal suono negativo iniziale del sanscrito, un’aspirata equivalente
al “non”, seguito dalla radice ar-.., che è di tutti i composti, compresi i
nomi propri (Artaserse, Artabano, etc., il celtico Artù), col senso di valore (impresa,
nobiltà, superiorità) – eroe, il tedesco Herr, arte, artefice, etc., - ma
piace pensarla come il negativo di “ariano”.
Nonnarcato – “La Grande Madre
mediterranea è in Italia una madre primitiva”. Così Ernst Bernhard - “il grande
psicologo junghiano, nonché astrologo e chiromante” (E. Trevi, “Mia nonna e il
Conte”, p.18) – in “Il complesso della Grande Madre” (nella raccolta “Mitobiografia”).
Con i noti effetti boomerang: “Essa vizia per lo più i suoi figli con la
massima istintività… Ma quanto più li vizia, tanto più li rende dipendenti da
sé”, trasformandosi, da “buona madre nutrice e protettrice… nella cattiva madre”.
Trevi, figlio di Mario
Trevi, altro grande junghiano, discepolo di Bernhard, non è d’accordo: “Come
tutte le teorie”, obietta a Bernhard, “anche quella della Grande Madre finisce per
occultare dettagli dell’esperienza quotidiana che non sono meno evidenti”. Per
conto suo, nella sua propria famiglia, e per quanto ha potuto vedere al Sud nella
sua esperienza, “chi comanda davvero… è la Madre della Madre: la millenaria,
zodiacale, rupestre Nonna Mediterranea” – anche se “questo Nonnarcato” non s’illustra
come il matriarcato di simboli e culti venerabili, statue, santuari.
Sante-papesse – Ci sono più
casi, nella tradizione, più o meno veritiera, di donne che si sono volute uomo,
per entrare in convento o per fare carriera ecclesiastica. Di questa seconda
specie, in realtà, non ci sono casi storici, certificati. Quello famoso della papessa
Giovanna (una inglese nata nata in Germania, a Magonza), che sarebbe succeduta
a Leone IV nell’855, e avrebbe regnato per due anni, cinque mesi e quattro
giorni che avrebbe passato a Roma fornicando, poiché dopo quel tempo, nel corso
di una processione, dal Colosseo a San Clemente, avrebbe partorito, non è vero.
Lo spiega il medievista Tommaso di Carpegna Falconieri in una ricerca di
prossima pubblicazione di cui dà conto Paolo Mieli sul “Corriere della sera”. Ci
sarebbe stata una papessa, ma a Oriente, una patriarca nella chiesa di Costantinopoli - se ne
saprebbe da una lettera (non spedita) di papa Leone IX al patriarca di Costantinopoli
Michele Cerulario.
Ci sono invece, documentate, “un’infinità di donne di cui si racconta che
condussero una vita di santità vestendo abiti maschili e mantenendo celata la
loro condizione femminile”.
Ci sono state dunque molte donne che hanno voluto
essere uomini. Non ci sono stati invece uomini che hanno provato a farsi monache,
nemmeno per insidiarne, come era l’uso, le virtù – nemmeno per scherzo, per
così dire.
Storie di famiglia – “Le
storie d famiglia non sono né vere né finte”, Emanuele Trevi, “Mia nonna e il
Conte”, p. 30: “Il loro grado di attendibilità non si misura sulle testimonianze
e su documenti, perché consistono di fili narrativi così ingarbugliati che non
si può separarli e distinguerli, privilegiando i più ragionevoli e tralasciando
le palesi assurdità”. Servono a “cementare i cosiddetti legami di sangue”.
letterautore@antiit.eu
Renzi a Cosenza – o uno scandalo giudiziario
Succede in Calabria, e quindi non fa notizia, ma il processo-non
processo a carico di Occhiuto, presidente uscente e rientrante della Regione,
ha tutte le apparenze di uno scandalo. Una notizia di reato non seguita da imputazioni
specifiche. A opera di giudici, il Procuratore capo e i due sostituti, che
vantano – vantavano fino a qualche tempo fa – fede o affiliazione “renziana”.
Si sa come vanno le cose, questi legami si negano ma si cercano, per la
carriera (non è colpa dei giudici se le nomine sono politiche, etc. etc.). La
Procura di Cosenza è in debito con l’uomo più potente d’Italia per un quinquennio,
fino al 2017 o 2018, presidente del consiglio, segretario del Pd, “rottamatore”
dei politici ultracinquantenni. Poi in bassa fortuna ma specializzato nel far
cadere i governi – o almeno lui così si pensa. Ex critico della giustizia politica
nel caso dei suoi genitori, e dei suoi colloqui alle stazioni di servizio sull’autostrada.
Giustizialista con Occhiuto, con due liste al voto, e probabilmente nemmeno un
consigliere sui trenta eletti.
Renzi in Calabria vanta un “clamoroso risultato”, dice l’Istituto
Cattaneo, che studia il voto e i flussi di voto: riuscì a invertire nel 2014 la
tendenza che vede i calabresi votare per il centrodestra alle regionali, dopo aver
votato per il centrosinistra alle politiche e alle europee: conquistò la
Calabria. Ora, in bassa fortuna, tenta anche la lui la pista giudiziaria?
Sarebbe la parte succulenta di un voto di fatto
senza storia, e senza gran peso specifico. Ma non è nemmeno citato nelle cronache politiche, fra
le tante dichiarazioni, interviste e lunghe pagine su Renzi a giorni alterni nei media mainstream.
La fascista Meloni paladina degli ebrei
Seguire i social è tempo perso – sprecato. Ma una cosa è curiosa:
l’anti-semitismo è di sinistra. Anche
non estrema.
L’antisemitismo propriamente detto. Che non è di chi diffida di Israele
o lo critica. Quello di chi odia, senza nemeno dirsi perché, gli ebrei in
quanto ebrei. La rete è piena di quelli che si fanno un punto di deridere i “fozzagioggia”.
Che sono quelli che sostengono il governo. I “fozzagioggia” in specie sono derisi
perché Giorgia fornirebbe armi a Israele.
Le forniture sono in realtà bloccate dall’inizio della guerra per regolamenti
europei. Ma gli anti-fozzagioggia fanno della fascista Meloni (Natala Aspesi dixit)
una sostenitrice degli ebrei, anzi una paladina.
Sesso senza sesso
Un’imprenditrice di successo cinquantenne, sposata
con un regista fantasioso con cui ha un’ottima intesa, amorevole e accudente con
le figlie adolescenti, s’infatua di una ragazzo che, dopo averla aiutata dall’assalto
di un cane sul marciapiedi affollato della metropoli, si ritrova in azienda come stagista.
E imbastisce con lui, benché sfrontato e invadente, una relazione sadomaso. Senza
problemi per il resto della vita – inutile raccontare il resto, per cui il film
ambisce alla qualifica di thriller.
Si definisce anche erotico, ma è fiacco anche in quello - è un ginnastica, senza erotismo.
Problematico sì: perché Nicole Kidman – l’imprenditrice è lei - è stata migliore
attrice a Venezia nel 2024? E perché il film può vantare il titolo di “uno dei dieci
migliori film del 2024”? Un anno sventurato?
Halina Reijn, Babygirl, Sky Cinema, Now
martedì 7 ottobre 2025
Una guerra senza pace
L’assalto del 7 ottobre era una guerra, si spiegava nel sito il giorno
dopo – una guerra e non un atto di terrorismo, come i tanti subiti dagli Stati
Uniti, la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna, la Germania. Ed è stata una
guerra molto dura, la più aspra oltre che lunga dopo quella del 1948, della nascita
di Isarele. E come nel 1948, va ora aggiunto, non si conclude con una pace.
Non c’è un vincitore netto.
Israele deve accettare delle condizioni. E non ci sarà pace: Israele non intende
fare pace.
Israele nel suo insieme, non solo la destra al governo con Netanyahu. Nessun
governo precedente ha mai affrontato la questione politica. Gli accordi di Oslo
del 1993 non sono stati applicati, neanche prima dell’assassinio di Itzak
Rabin, che li aveva sottoscritti. Quelli di Camp David nel 2000 erano vuoti.
La soluzione di polizia non paga – non funziona, oltre che mettere Israele
dalla parte del torto, giuridico e politico. Specialmente dopo questa guerra,
ma anche prima. Si stima che un palestinese su cinque sia passato per le carceri
israeliane, anche senza condanna, quindi un milione – tra essi migliaia di
ragazzi sotto i 12 anni. A nessun effetto pratico, se Hamas ha potuto fare
guerra contro Israele – di fatto contro gli Stati Uniti – per due anni.
Dopo una guerra, specie dopo una sanguinosa come questa, viene la pace.
Se c’è un vincitore.
La Grande Madre è la Nonna
Spassosa ricostruzione della nonna materna, con la
quale Trevi ha passato le estati fino al 1985 o al 1987, quindi per oltre vent’anni,
in Calabria, in un paese di mare, in una casa con un grande giardino, in mezzo
al paese. “Come certe ragazzine”, è l’incipit – quela che “iniziano a raggiare ….
nel giro di un’estate” – “mia nonna diventò bellissima dopo gli ottanta”. Nella
stessa vena il seguito. Che è in realtà la storia materna di Trevi, dopo quella
del padre e della casa del padre, “La casa del mago” (e quella degli amici morti
presto, Rocco Carbone e Pia Pera, “Due vite”). Una storia di donne, tutte
formidabili: la trisavola che si mise con un brigante, quello che l’aveva
vendicata uccidendo l’assassino di suo marito, generoso e pio medico dei poveri;
la bisnonna che girava con la pistola nella borsetta, quella che si era comprata
quando si era invaghita del futuro marito, per paura che qualche malintenzionata
glielo rubasse – questa è “longilinea” e “magra” come la madre, e altrettanto autoritaria.
Il conte è un vero conte, nobiluomo napoletano, mite e mingherlino, cultore dei Borboni, finito in paese, si presume, con
servo-padrone molto gay, che incontra la nonna per chiedere un favore (poter attraversare
il giardino nella quotidiana passeggiata da casa al mare): ne diventerà la
compagnia quotidiana. Una liaison che culminerà in un sontuoso ricevimeno
verso Eboli di vera nobiltà napoletana, nel quale la nonna farà una sorta di tardivo
debutto.
Detto così non è niente. Ma Trevi sa farne una
(piccola) epopea. Con la ricostruzione anche, suggestiva e breve (e per ogni aspetto
veridica, si può attestare) di un piccolo mondo antico e ben caratterizzato –
nella fattispecie molto calabrese, benché la Calabria sia lunga e varia, per storia
e per mentalità.
Con numerose digressioni, altrettanto spassose. La
Grande Madre mediterranea di tanti mitografi che invece sarebbe la Madre della
Madre, ossia la Nonna – “sono stato più un cocco di nonna che un cocco di mamma”
(con letteratura allegata). L’anamnesi di “Beautiful”. La nonna “cenerentola” a
Eboli. La torre di guardia cinquecentesca alla marina e Francis Marion Crawford.
La location, non detta, è San Nicola Arcella. Il
conte invece alla fine è individuato: è Erminio Scalera, degli “Aneddoti
borbonici”.
Emanuele Trevi, Mia nonna e il Conte, Solferino,
pp. 113 €15
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