giovedì 27 novembre 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (615)
Ma è una festa triste quest’anno, avendo letto ieri, riletto, la storia della brigata Catanzaro, come fu decimata dai carabinieri, su ordine dello Stato maggiore, italiano. Non se ne parla, e non è un bene, anzi fa male.
L’Europa corre alla fine dello Stato sociale
Troppi impegni eccezionali, troppo debito, poca o nulla
intelligenza dei fatti correnti, l’Europa corre alla fine dello Stato sociale
(sanità, pensioni), per eccesso di indebitamento. Detto così, sembra un’analisi
affrettata, o un giudizio allarmistico. Invece è l’esito di una delle solite
analisi spassionate del Fondo Monteario.
Un giudizio allarmato, sì, ma dopo una analisi
accurata dello stato dell’Europa oggi, economico e politico. Allarmato per l’inerzia
che caratterizza l’Europa in questa contingenza per molti aspetti delicata, di
fenomeni incidentali e altri di lungo periodo: la concorenza americana, oltre
che asiatica, le guerre in Ucraina e in Palestina, il crollo demografico, il
debito crescente. Nella sintesi degli autori dell’indagine:
“L'Europa ha gestito shock importanti, ma la crescita
sta rallentando, i guadagni delle esportazioni stanno invertendo la rotta a
causa dei dazi e i mercati obbligazionari riflettono rischi crescenti. I tagli
dei tassi di interesse e l’aumento della spesa pubblica, inclusa la difesa, non
hanno stimolato la domanda privata. Il divario di produttività con gli Stati
Uniti rimane ampio e le riforme strutturali sono in ritardo. Le priorità
nazionali e la lentezza del processo decisionale della UE ostacolano una più
profonda integrazione dei mercati dei capitali, del lavoro e dei prodotti.
Senza una crescita più forte e un consolidamento fiscale, il debito medio
europeo potrebbe raggiungere il 130 per cento del pil entro il 2040,
richiedendo un significativo aggiustamento fiscale (un aumento della fiscalità,
n.d.r.)….
La ripresa “dipende da urgenti riforme strutturali”. Le
più importanti: 1) smantellare la frammentazione del mercato e semplificare la
regolamentazione per stimolare gli investimenti; 2) adottare “un processo
decisionale più agile”.
Allarmi noti da un paio d’anni, dal “piano Draghi”. Ma
giustificati in dettaglio.
Fra le note aggiuntive, settoriali, una su “come può
l’Europa pagare per cose che non può permettersi?” – la “crisi fiscale” potrebbe
allargarsi a tutto lo “Stato sociale”, sanità e pensioni:
“L’Europa si trova ad affrontare pressioni fiscali
scoraggianti derivanti sia dalle nuove priorità politiche (ad esempio, difesa,
sicurezza energetica), sia dai crescenti costi dell'invecchiamento della
popolazione (pensioni, assistenza sanitaria) e dall’aumento degli interessi su
un debito già elevato. Senza un’azione politica tempestiva, i livelli del
debito pubblico potrebbero più che raddoppiare per la media dei paesi europei
nei prossimi 15 anni. Ciò potrebbe far salire i tassi di interesse, rallentare
una crescita economica già lenta e minare la fiducia dei mercati.
“Sia riforme strutturali che il consolidamento
fiscale saranno necessari per realizzare il difficile aggiustamento politico”.
Che si può ipotizzare per un terzo realizzato attraverso una serie di riforme
moderate e per due terzi mediante il consolidamento del debito. Per i paesi ad
alto debito, tuttavia, questo pacchetto di politiche sarebbe probabilmente
insufficiente per affrontare la sfida fiscale, non lasciando altra scelta se
non una riconsiderazione più approfondita della portata dei servizi pubblici e
del contratto sociale per colmare il divario”.
International Monetary Fund, Overcoming Europe’s
Policy Drift - How Can Europe Pay for Things That It Can’t Afford?, free online
(leggibile anche in italiano, Superare la deriva politica dell’Europa - Come
può l’Europa pagare per cose che non può permettersi?)
mercoledì 26 novembre 2025
Tokyo dice Cina per non dire riarmo
Il militantismo anticinese di Sanae Taichi,
primo gesto della premier giapponese appena eletta, si riallaccia al riarmo variamente
decretato nel dodicennio di premierato di Shinzo Abe. Un riarmo anche nucleare,
con la possibilità di operare anche fuori ai confini nazionali, dichiaratamente
anti-cinese – decretato per contrastare la bellicosità della Corea del Nord e
il riarmo cinese. La Cina è dunque il fronte più impegnativo della politica militare
giapponese.
Il militantismo non ha però scalfito i
legami economici. Non per ora. La Cina resta il principale partner commerciale
del Giappone – il secondo mercato per le esportazioni e il primo per le importazioni.
E il Giappone è il secondo o terzo maggior mercato di esportazioni della Cina,
dietro agli Stati Uniti e, qualche anno, alla Corea del Sud. Nel 2024 gli scambi
sono ammontati in totale a 308 miliardi di dollari.
Contro le iniziative pro-Taiwan della premier
Taichi, Pechino ha messo ora il Giappone al primo posto tra i paesi sconsigliati
ai suoi turisti. Il turismo cinese è al primo posto in Giappone, per numero e
per spesa.
I mercati non credono a una riduzione
sensibile dei rapporti. Il militantismo anti-cinese di Abe e Taichi sarebbe a
copertura del riarmo giapponese. Deciso e perseguito come disegno autonomo –
parte della rinnovata assertivenes nipponica nel Pacifico. La disputa sulle
isole Senkaku, nel mar Cinese Orientale, è di minore importanza di quella sulle
isole Kurili, che vede il Giappone in lite con la Russia senza particolare
animosità.
L’Italia invisibile in mostra
Una passeggiata tra le sorprese. Non il capolavoro perduto-e-ritrovato,
una serie di oggetti e opere, di vario genere, uso, materiale, dal camiciotto di
fili colorati alla statua neoclassica, di valore semplicemente storico e\o
artistico, di ogni angolo d’Italia, restaurati, e portati a Roma per la visibilità,
per farli vedere. Un’occasione per vedere opere altrimenti poco fruibili,
disperse come sono per siti archeoigici, chiese, musei diocesani, parrocchie, conventi,
musei municipali. Con qualche “macchina”
anche: una bicicletta in legno, di metà Ottocento, o il sistema planetario tascabile,
in boccia, di fine Ottocento. Molti gli oggetti, sparsi tra le pitture, di
varia dimensione, e qualità.
Molti reperti sono definiti salvataggi. Lasciando
presumere che siano stati restaurati sui fondi della banca per politiche di
scambio – sindaci, assessori, notabili possono essere noiosi\utili. Lasciano
cioè supporre che ci sarebbe stato di meglio da restaurare. E tuttavia, messe
assieme, danno un’impressione durevole di qualità, oltre che di sorpresa -
117 opere in mostra sono un numero considerevole. Tanto più da apprezzare in un
sito e per un tempo che le sottrae all’invisibilità, non sapendosene l’esistenza,
in luoghi poco frequentati.
Una conferma, anche, che la persistenza, che caratterizza
l’Italia, anche quella contemporanea, più dell’innovazione, è ancora un buon
metodo e modo di essere.
Grande lavoro anche burocratico suppone la mostra, di
superamento delle burocrazie. Da parte di Banca Intesa, che i restauri ha dovuto
negoziare con 51 “enti di tutela”. E da parte degli organizzatori, per rincorrere
le opere in mostra tra 67 enti proprietari– i “ringraziamenti” vanno a un
migliaio di persone.
Intesa Sanpaolo-Ministero della Cultura, Restituzioni
2025, Palazzo delle Esposizioni, Roma
martedì 25 novembre 2025
Letture - 597
letterautore
Berlusconi – “Mamma era
sempre dalla parte degli ultimi”, ricorda l’attrice Laura Morante sul “Corriere
della sera”: “Diceva che Berlusconi le faceva pena perché voleva tanto piacere”.
Danubio – È forse il
fiume più celebrato in letteratura – più del Reno? “Il Danubio è il fiume di
Vienna, di Bratislava, di Budapest, di Belgrado, il nastro che attraversa e
cinge, come l'Oceano cingeva il mondo greco, l'Austria asburgica, della quale
il mito e l'ideologia hanno fatto il simbolo di una koinè plurima
e sovranazionale... Il Danubio è la Mitteleuropa”: questo è il Danubio di
Magris. Quello celebre di Hölderlin, “Alla sorgente del Danubio”, è il fiume
degli dei e del mito. Per Céline a Sigmaringen, in fuga dalla Francia alla fine
della guerra, è il mostro assente, che assiste imperturbabile, muto, alla
distruzione, alla sparizione dell’Europa.
Molto presente in molte letterature – attraversa dieci Paesi, con otto o
nove lingue diverse. In ambito tedescofono è celebrato anche in musica, in forma
di walzer – ce ne sono altri, oltre il celebre “Danubio blu” di Johann Strauss.
varie forme nella letteratura tedesca, e anche nella musica. Jean Paul, nel racconto più
noto, “Vita di Maria Wuz”, lo fa il “fiume del tempo” –
Adalbert Stifter, “La tarda estate”, inverte i termini facendolo metronomo, quello
che dà il “tempo del fiume”.
Frase breve - Se ne fa molto l’elogio,
da parte di Eugenio Baroncelli, scrittore “appartato”, sulle orme di Renard,
Borges, etc.. Salvo poi concludere con Proust, il re degli incisi e le subordinate:
“La ‘Recherche’ è un libro così amato che non riesco a ricordare chi ero prima
di averlo letto”.
Non è il solo, lo scrittore odierno si vuole in-intellettuale, inconseguente
– la pointe innanzitutto.
Italia – Muti mette
Mozart in cima ai musicisti preferiti – intervistato da Cazzullo sul “Corriere
della sera”. Ma aggiunge: “Ma io adpro anche Scarlatti”. Per concludere: “I
musicisti italiani hanno dominato l’Europa: Cherubini a Parigi, S ontini a
Berlino, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo, Mercadante a Madrid. I
musicisti italiani furono i primi a dare un’idea di Europa unita nel nome della
musica”.
Una lunga lista di letterati eminenti degli anni 1950-1960 può rimemorare
Goffredo Fofi in “Arcipelago S ud”, la raccolta di ritratti che si pubblica
postuma, a proposito di Sciascia: “I Fortini i Pasolini i Calvino le Morante le
Ortese i Cassola i Bianciardi i Moravia i Sereni gli Zanzotto i Montale i Bilenchi
i Pratolini i La Capria i Luzi i Mastronardi i Caproni i Bertolucci gli Antonioni
i Rosi eccetera”. E trascura i Saba i Fellini i Quasimodo i Fo, i Flaiano, gli
Arbasino i Gadda i Parise i Bassani i Debenedetti….
Roberto Longhi e Anna Banti - “Non sacrificano un soldo spirituale per nessuno”, Leonetta Cechi Pieraccini,
che ne era abituale anfitrione le domeniche pomeriggio, annotava nel diario, or pubblicato come “Corso d’Italia
11 - Agendine 1930-1945”.
Elsa Morante – Paolo Di
Stefano ne esalta su “La Lettura la “gravità” (Garboli), la camaraderie
(N. Ginzburg), la socievolezza (la lista è lunga). In par allelo, sul “Corriere
della sera” la nipote Laura la ricorda con Valerio Cappelli “difficile, da
bambina mi spaventava”: “Esprimeva il proprio disprezzo in modo categorico, apodittico,
sulle persone. Non capì minimamente mia madre. Si era messa in testa che fosse
una piccola borghese, perché era totalmente priva di ambizione, mamma era
sempre dalla parte degli ultimi…. “.
Mitteleuropa – Per
l’Intelligenza Artificiale “il concetto di ‘Mitteleuropa’ è strettamente legato
all’Impero Austro-Ungarico, un’area multiculturale dove le culture tedesca ed
ebraica hanno interagito profondamente”.
16 ottobre 1943 -Leonetta
Cecchi Pieraccini dice sconvolti, lei e i familiari, nelle “Agendine”
quotidiane che ora si pubblicano, a proposito del rastrellamento del ghetto di
Roma il 16 ottobre 1943, un sabato, festa di Sukkott, 8° “delle capanne” o “dei
tabernacoli”, un “pellegrinaggio” di sette giorni) “dalla bestiale curiosità
del nostro popolino che si affollava a guardare”.
I Cecchi abitavano lontano, ma è anche vero che il rastrellamento ha
preso qualche tempo, non è stata l’affare di un momento, né riguardava solo le
poche case dietro la sinagoga.
Passato – “Il passato
non è scritto sia perché ovviamente non lo conosciamo tutto, sia perché
cambiano costantemente le chiavi con cui lo leggiamo e gli elementi che abbiamo
a disposizione per scandagliarlo…. Il passato è il modo di interpretare il
presente: l’unico che abbiamo” -Maurizio de Giovanni su “Effe” #3 2025.
Scarlatti – Non una virgola
per i trecento anni della morte di Alessandro Scarlatti – giusto a Roma, per i
concerti di Santa Cecilia, una serata del coro, in onore di Scarlatti e di
santa Cecilia. “Oggi noi conosciamo Bach e non conosciamo Scarlatti”, può dire
Muti a Cazzullo sul “Corriere della sera”, “che ebbe grande influenza su Bach”.
Simenon – Maigret fascista?
Domanda e risposta sono di una vecchia intervista di Ulderico Munzi col biografo
di Simenon, Pierre Assouline sul supplemento “domenicale “Cultura” del “Corriere
della sera”, 20 settembre 1992. Simenon
aveva esordito con una serie di articoli, 17, una sorta di rubrica, “Pericolo ebraico”, tenuta tra
giugno e ottobre del 1921 sulla “Gazette de Liège”, firmandosi “Sim”. Aveva 18
anni, e ricopiava gli articoli che il “Times” andava traendo dai “Protocolli di
Sion”, il “complotto ebraico per dominare il mondo”.
A guerra finita negherà di essere o di essere mai stato un mangiaebrei. Negli
anni 1920 e 1930, a Parigi, lavorò per personaggi e giornali di estrema destra,
sempre firmando Sim. Ma non era nemmeno un fascista, può argomentare il biografo:
“Temeva la lotta. Era un individualista ripiegato su se stesso…. Era un vigliacco”.
Una condizione a cui lo aveva ridotto la madre, Henriette.
La madre, spiega Assouline, odiava il figlio maggiore Georges. Amava,
invece, il figli cadetto Christian, biondo e bello, che sarà volontario SS. Nel
1945, all’armistizio, Georges sia adoperò per mettere in salvo il fratello, rintanandolo
nella Legione Straniera. Quando poi, nel 1950, Georges morirà in Indocina, nella
rima guerra di decolonizzazione, la madre famosamente avrebbe detto a Georges: “Avrei
preferito che fossi morto tu”. Oppure: “Sei tu che l’hai ucciso”. Ma Simenon
era da tempo in America.
Patti Smith – Mistica? “Lei
appartiene a quella stirpe di mistiche senza convento che attraversa la
letteratura americana da Emily Dickinson – la wayward nun – a Flannery
O’Connor – la hillbilly thomist” – padre Antonio Spadaro, “Il Vangelo
rock secondo Patti Smith” (“La Lettura” 16 novembre).
letterautore@antiit.eu
Pasolini sbarca a Roma, crepuscolare
Due dei primi racconti romani di Pasolini, di
ambientazione e, tentativamente, di lingua. Due “pischelli” scoprono il mare e la
pesca, tra Terracina e il Circeo, dopo aver raggiunto Terracina in bici,
rubata. Un “maschietto” sfugge ai controlli familiari e si avventura in mare su
un moscone, sempre più lontano.
Più che racconti impressioni, linguistiche
(acustiche) e coloristiche, e sensazioni. Più spesso adagiate sul discorso
indiretto libero. Per un esito qui accentuato del crepuscolarismo che resterà
la cifra della narrativa di Pasolini - e anche della poesia: non al modo cantabile
di Gozzano, ma sì di Govoni e, le prose, di Marino Moretti. Con il “solicello”,
la “finestrella”, la “fiumarella”, la “spiaggetta”, le “paranzelle”, i
“mammocci”, la “cordicella”, il “monticello”, tutto diminutivo.
Prose disadorne. Di ambienti e di umori, semplici,
abituali. Di esistenze umbratili, evasive, ripetitive, silenziose, e modi
minimi, casuali. In ambienti spogli.
Con qualche residuo toscanismo di maniera – “si va”… E
il vocabolario libresco della pesca, preciso e freddo. Con le prime prove del
romanesco, specie nella sintassi – Ungaretti trovò nel racconto del titolo “la
voce del Belli”.
Du testi pubblicati con lo pseudonimo Paol Mari. Un
elzeviro di terza pagina, “Santino nel mare di Ostia”, su “Il Quotidnano”, l’11
settembre 1951, e il racconto lungo del titolo, col quale Pasolini concorse nel
1950 al premio Taranto – non premiato benché lodato da Ungaretti - pubblicato
in parte sullo stesso quotidiano, il 19 aprile e il 7 giugno del 1951. Due
racconti di mare, di ragazzi al mare, “pischelli”, “maschietti”, tra Terracina
e Circeo, e a Ostia.
Pier Paolo Pasolini, Terracina, Garzanti, pp.
63 € 5,90
lunedì 24 novembre 2025
Secondi pensieri - 573
zeulig
Corpo – È il “carcere dell’anima” per Platone. Provvisorio – in attesa che l’anima
torni ad abitare “sopra il cielo” (iperuranio), dove abitava prima della
“caduta”. Prima di essere imprigionata nel corpo. Che ostacola il raggiungimento
della verità.
Da qui la conclusione di Nietzsche, che il cristianesimo,
ponendosi sulla stessa lunghezza linea di pensiero, altro non che “Platone spiegato al popolo – professato
come fede”.
Freud – “Senza mai confessarlo, attingerà molto da Nietzsche”, Umberto
Galimberti, “La filosofia a colpi di martello” – saggio-recensione di Nietzsche
classicista, “Basilea e scritti filologici” (“La Lettura”,16 novembre).
“In nome suo”, dice Auden, “viviamo ormai
vite diverse”.
Immortalità – “Per chi vi aspiri la morte è la sola garanzia di ottenerla”, è agudeza
di Eugenio Baroncelli, lo scrittore delle vite minime.
Nulla –
È in nuce - o a specchio - il tutto, essendo un’origine.
Già come parola, non
essendo priva di senso, significa, e quindi è qualcosa che è – seppure
antitetica al suo concetto.
Occidente
– È Platone – più che Aristotele? Poiché pensa per categorie, il vero e il falso,
il bene e il male, l’anima e il corpo.
Storia - - La
storia è il reale.
La storia di se stessi è certo il proprio reale, a
Roma e a Timbuctù.
Tragedia – In questo Nietzsche ha ragione, che è l’irruzione del
dionisiaco – la tragedia greca deriva dalla lirica, dionisiaca (da qui l’idea
del “tragico”, in forma dionisiaca: l’uomo, scosso nelle sue certezze, o abitudini,
dal piacere e dal terrore, dai prodigi degli dei) viene buttato in un mondo
trasfigurato, di colpa, destino, pena.….
È curioso però che la tragedia si sia sviluppata, con non largo sfasamento,
la grande tragedia di Eschilo, Sofocle, Euripide, 480-406, mentre Platone si formava,
e poi insegnava, nella stessa Atene, il rigore della ragione, l’anti-mitizzazione
del reale.
Verità - “Se
la filosofia occidentale ha sempre sostenuto che la realtà è verità, adequatio rei et intellectus, il
totalitarismo ne ha tratto la conseguenza che noi possiamo fabbricare la verità
nella misura in cui fabbrichiamo la realtà” – Hannah Arendt lo spiega in un
appunto. Il dittatore
totalitario non è Attila né Napoleone, non rapina, neanche per le sorelle. È un
demiurgo, fabbrica realtà-verità, indifferente al rosso e al nero. E non per
farci più saggi ma per coinvolgerci “nel deserto delle proprie conclusioni e
deduzioni logiche astratte”.
Il difetto è antico, stando a Bacone, che
però è uno che crede, pure lui, alla
verità: è di Aristotele, il quale la fisica fece dialettica, e la
metafisica volle realista. Gli scolastici fecero peggio, abbandonando
l’esperienza.
zeulig@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo – sanzionatorie (369)
Il presidente Trump ha deciso sanzioni
economiche contro la Russia, bloccando le vendite delle compagnie petrolifere
Lukoil e Rosneft, le vendite di gas liquefatto – di cui gli Stati Uniti sono diventati
il maggiore fornitore europeo nei tre anni e mezzo di guerra in Ucraina. Ha temporaneamente
sospeso le sanzioni in attesa di una risposta russa, entro metà dicembre, alla
propsta americana di accordo in Ucraina.
A differenza della Unione Europea, che
ha disposto nei tre anni e mezzo della guerra una ventina di sanzioni contro la
Russia, finanziarie e commerciali, gli Stati Uniti si erano finora astenuti.
Gi Stati Uniti starebbero valutando
anche forme sanzionatorie sugli asset finanziari e monetari detenuti
in America dalla banca centrale russa – stimati variamente, ma sui 400 miliardi
di dollari (su un totale di riserve valutarie per 630 miliardi di dollari).
Erinni in un interno, anglo-afro
Climaterio tempestoso. Contro figlio, marito, l’incolpevole
amorevole sorella. Novanta minuti di escandescenze.
Una storia ordinaria di depressione “cattiva”. Con sé
e col mondo. Tra vite ordinate, case perfette, mobili sempre nuovi, e Audi per lo
shopping. spostarsi. Filmata senza sorprese, con la moglie-madre arrabbiata
sempre in primo piano.
Una storia d’interesse forse perché succede in famiglia
anglo-africana – siamo in Inghilterra? Per dire che le dinamiche personali e
familiari sono uguali per tutti?
Mike Leigh, che ha un talento per le storie “normali”,
senza storia, qui filma le urla e basta. La “scomodità” è che non c’è scampo,
le erinni sono in agguato per tutti?
Un solo motivo d’interesse: un accenno a origini
nigeriane. Su questo sì, si apre (si sarebbe
aperto) un mondo. è la Nigeria un mondo, eccetto il terzo islamico, in cui la
donna fa e disfa, la famiglia, il commercio, gli affari, il governo, e la
corruzione.
Mike Leigh, Scomode verità, Sky Cinema, Now
domenica 23 novembre 2025
Sull’Ucraina la pace Usa-Russia, con un occhio alla Cina
Si vuole il piano di Trump per la “pace”
in Ucraina sbagliato, arrendevole, abborracciato. Mentre è il contrario. E non dovuto
al suo personale mediatore, l’affarista Witkoff, che è solo un uomo di fiducia
del presidente, ma al dipartimento di Stato. Si vede ampiamente da come è redatto,
nella formulazione, e anche nei (tanti) punti controvertibili, cioè materia di trattativa.
Perchè l’obiettivo americano – americano, non trumpiano - di ora è avviare una
trattativa, se non addirittura un “cessate il fuoco” (il primo passo per fare
finire le guerre: cessate-il-fuoco, tregua, armistizia, trattato).
Sotto il protagonismo di Trump ci sono
interessi e ragionamenti politici. Che alla fine si riducono a uno: isolare la
Cina. È nozione comune che l’obiettivo principale di politica estera americana,
già dalla presidenza Biden, è di isolare la Cina.
Le guerre in atto, in Palestina e in
Ucraina, stuzzicheranno pure l’ego di Trump “imperatore della pace”, ma, seppure
così è, c’è senno nella sua egomania. L’isolamento della Cina l’amministrazione
Trump lo ha imposto alla Ue di Bruxelles e ai paesi europei, Italia inclusa (e
Germania), e lo coltiva con l’accordo militare Arabia Saudita-Pakistan (antico proxy
di Pechino), un’alleanza che sarà forte del migliore armamento americano. Come
già Biden e il primo Trump con le alleanze militari, il Quad (Australia, Giappone,
India, Stati Uniti) e l’Aukus (Australia, Uk, Usa). E con i vari approcci per
portare la sicurezza Nato nell’Indo-Pacifico, per ora il Canale di Suez (Huthi)
e il mar Rosso.
Un “piano di pace” in 28 punti è ampia
materia per trattare. Si vuole che sia un piano di pace di Putin che Trump sponsorizza
(lo vuole solo la stampa italiana però: vecchio riflesso sovietico? applicato alla
Russia…). No, chi lo ha letto ne è certo. È una offa a Putin. Dopo un preavviso
di sanzioni. Di sanzioni efficaci, su petrolio e capitali – in grado cioè di fare
male alla Russia, al contrario delle venti o ventuno ondate di sanzioni decise dalla Ue.
La Grande Strategia di Putin
Una rappresentazione della politica estera russa dal
1993 in poi. Opera di uno specialista russo di Storia diplomatica. Un’esposizione
più che una valutazione. Utile a fare chiarezza sui presupposti anche del
momento attuale di Mosca, della posizione russa prima della guerra con l’Ucraina.
Una politica definita la Grande Strategia, senza meno.
Si parte da Eltsin, che nel 1993 stabilisce questi
due fondamenti della politica estera della nuova Russia: sicurezza e integrazione
con l’Occidente. Con riforme economiche significative, anche onerose. Ma con la partecipazione al G 7 già
nel 1994, e l’aperura nel 1995 dell’adesione alla Wto, l’organizzazione che
regola(va) il commercio mondiale – alla quale Mosca sarà ammessa nel 2012 col “supporto
degli Stati Uniti”. In contemporanea, ma in subordine, Mosca ha pure “cercato
di normalizzare i legami con gli ex alleati del blocco sovietico”, e ha risolto
dispute territoriali, con gli ex alleati e con la Cina – mentre “le relazioni
con il Giappone sono rimaste tese a causa delle isole Kurili contese”.
Per tre capitoli, e per quindici anni, Mosca si sarebbe
impegnata ad appianare la sua entrata nel mondo occidentale. Opera per un
ordine mondiale multipolare, partecipando attivamente a forum come il G 20 e i Brics.
Firma nel 2010 il New START, riducendo le testate nucleari a 1.550. Propone nel
2010 un’area di libero scambio da Lisbona a Vladivostok. Avvia nello stesso anno
con la Ue una “partnership for Modernisation”. E si accorda con la Germania, al
castello di Meseberg, “per coordinare le politiche estere e di sicurezza”. Dal
2006 partecipa all’operazione Nato “Active Endeavour” di pattugliamento del Mediterraneo
contro il terrorismo, e dal 2008 all’operazione anti-pirateria nel Golfo di
Aden.
Poi la crisi. Nessun progresso nei negoziati con la
Ue. Insistenza americana per una Ballistic Missile Defense (Bmd) stazionata in Europa.
E un po’ di crisi politica interna, per le divergenze tra Medvedev e Putin sulle
politiche per il Mediterraneo, in particolare in Libia e in Africa.
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014 arrivano
anche le sanzioni economiche occidentali.
Indirettamente autocritici i capitoli finali. La
Russia mantiene forte la presenza negli affari internazionali, grazie al ruolo
di membro permanente del consiglio di sicurezza Onu. Che però non può impedire
risoluzioni quali quella che impegna l’Onu all’integrità territoriale dell’Ucraina.
E ha praticamente cancellato la partecipazione alle missioni di pace – solo 85
militari vi erano impegnati nel 2024. È attiva tra i Brics, che “rappresentano
il 42 per cento della popolazione mondiale e si impegnano a promuovere gli
interessi dei paesi in via di sviluppo”. E nel G 20, che “indirizza vari problemi
globali”.
L’ultimo capitolo è un appello al disarmo e alla “non
proliferazione” dell’armamento nucleare.
Il MIGMO, istituto statale di Mosca per le relazioni
internazionali, è l’università del ministero degli Esteri russo. Bobrov vi insegna
con la qualifica di professore associato al dipartimento di Diplomazia, e lo status,
quando scriveva questo repertorio storico, di preside facente funzioni della facoltà
di Governo e Affari Internazionali.
Alexander Kirillovich Bobrov, The Grand Strategy
of Russia, Moscow State Institute of International Relations (University),
School of Government and International Affairs, MGIMO University, pp. 267, gratuito
online
sabato 22 novembre 2025
Mosca guarda solo a Occidente
Va oltre le smanie augustee di Trump
l’orecchio teso di Putin a Washington. Perché non ha alternativa: l’Eurasia è da
tempo una alternativa defunta. Ben da prima dell’attentato ucraino tre anni fa
al suo teorico Dugin. Con l’India non c’è mai stato dialogo, neanche al tempo
di Nehru e di Indira Gandhi, e non sembra possibile. Col Giappone l’ostilità
resta, secolare, per le Curili e non solo. Con la Cina di Xi non si è mai aperto
un dialogo vero, nemmeno sui reciproci interessi. È svelta ma sicura l’analisi
che la Farnesina si fa dell’attuale momento politico russo.
Pechino è “neutrale” sulla guerra all’Ucraina.
I rapporti economici sono rimasti limitati. Anche da parte russa, per la temuta
prevalenza cinese in campo tecnologico e produttivo – fermi restando gli antichi,
reciproci, sospetti. Il gasdotto Power of Siberia 2, concordato nel 2022 per
fornire alla Cina 50 miliardi di mc di gas l’anno, si è bloccato ai primi
approcci su prezzi e calorie. E Pechino si fa pagare molto più care le esportazioni in Russia rispetto agli altri mercati.
Il dibattito – pubblico – a Mosca sulla
politica di sicurezza (diplomatica e militare) tra gli specialisti del
Consiglio di politica estera e di difesa di Putin verte solo sui rapporti con
l’Est Europa, Polonia, Romania e anche Germania: se attaccarlo militarmente per
la parte che sostiene nella guerra in Ucraina. Fin dalle prime fasi della
guerra, le prime intese non belliche furono cercate non attraverso gli allora
neutrali scandinavi ma tramite la Turchia, avamposto della Nato.
Canfora, Laterza e il new sovietism
“Il «Patto Atlantico» è il Santo Graal dell’Occidente: qualche dizionario rappresenta i due concetti come sinonimi. I soci fondatori avevano un tratto in comune: usurpavano, o avevano appena perso, un dominio coloniale. Più eleganti degli altri, gli Stati Uniti sin da inizio Ottocento avevano proclamato l’America meridionale proprio «giardino di casa». Sfidando il ridicolo, l’Italia, pur sconfitta nella seconda guerra mondiale, aveva elemosinato di conservare le colonie «pre-fasciste»”. Cosa non vera, quest’ultima, non per l’Etiopia naturalmente, Eritrea compresa, di cui l’Inghilterra aveva fatto dono a Hailé Selassié, né per la Libia, mentre per la Somalia l’Italia si sobbarcava un piano ventennale di riparazioni, a beneficio dei capitribù più riottosi.
Così, con questa
sicumera allungata per troppe pagine, malgrado i bianchi della impaginazione, l’editore Laterza, antesignano e baluardo
dell’occidentalismo, s’imbarca nella storia e la politica internazionali. Non
ci si crederebbe – la “decolonizzazione” si è fatta “nell’Occidente”. Una filippica estenuante,
tanto quanto strampalata. Che una appendice chiude di Lenin sulla rivoluzione comunista in ogni spigolo del mondo conosciuto - prima della repressione, certo. Tardo rigurgito di sovietismo di uno che non ha mai
voluto “fare” il comunista – non fino al 1989. Senza più la misura e l’arguzia del
grande narratore di filologia, quale Canfora è stato.
Questo non è il solo moto di rabbia - il filologo ha perso il metro e le misure? La caduta del Muro sarà stata una disfatta
per il miglior spirito “occidentale” – aveva un muro su cui rimpallare il
ragionamento e l’ha perduto? Con danni per la cultura politica: non per l’Occidente,
o per la democrazia, ma per l’analisi e la comprensione del mondo. Come sono asfittici certi parametri, quelli cosiddetti
marxisti – che avrebbero fatto inorridire Marx.
Luciano Canfora, Il porcospino d’acciaio.
Occidente ultimo atto, Laterza, pp. 90 € 13
venerdì 21 novembre 2025
Ombre - 800
La Russia nel G8. Fra i tanti punti del piano di pace
di Trump in Ucraina è quello focale: la Russia non deve marciare con la Cina.
Si può anche dire con le destre al governo si riprendono
i contatti con Mosca, come fu dell’accoppiata Bush jr.-Berlusconi vent’anni fa.
La guerra in Ucraina non è popolare in America. Non
si dice ma è così: Trump, solitamente contestato dai media su tutto, non
lo è su questa voglia di “finirla”. Per la strategia Usa di fondo, del deep
State, che al primo punto ha il containment della Cina. E perché –
anche questo non si dice ma si sa – è stata una guerra di Biden, da vice e poi
da presidente, della “famiglia Biden”.
“Il maggior numero di «no»”, rileva Filippo Di
Giacomo, il sacerdote vaticanista, del documento varato un mese fa dalla Cei,
la conferenza dei vescovi, “da discutere alla terza assemblea sinodale di novembre”,
in Vaticano, “non è sulle relazioni omoaffettive, ma sulla maggiore presenza
delle donne nei ruoli apicali della Chiesa italiana”.
Ma non solo italiana: “La stessa cosa era accaduta
per il documento del Sinodo dei vescovi celebrato in Vaticano nell’ottobre 2024”.
Coro unanime di benpensanti, “la Repubblica”, “Corriere
della sera”, “Sky Tg 24”, “La 7”, perfino “Canale 5”, contro la divulgazione
delle strategie elettorali di Francesco Saverio Garofani, il solito giornalista-politico
democristiano destinato agli altari, consigliere di Mattarella, per battere
Meloni. Non una considerazione, nemmeno di Mattarella purtroppo, sulla saggezza
o competenza politica di un tale personaggio, che muove la guerra a una tavolata
di “romanisti”, tifosi della Roma. Che non conosce – solo invitati dal figlio di
un calciatore-icona della Roma, Di Bartolomei.
E cosa proponeva Garofani alla cena dei romanisti? “Una
grande lista nazionale di civici, “un nuovo Ulivo”. In sintonia con quanto Prodi
aveva appena borbottato. Garofani consigliere di Mattarella. Di che preoccupare
Schlein e non Meloni, che del partito di Garofani è la leader. Per tutto quello
che ha fatto e rappresenta, da ultimo con lo spaccatutto Landini.
Grandi titoli, quest’anno come ogni anno, per la
Commissione Europea che approva la legge finanziaria del governo – o non la approva,
o la approva con riserva, oppure apre una procedura (una procedura?). Ma cosa
fa la Commissione, p.es., con la Francia, che scassa sempre tutti i parametri?
Anche la Germania lo fa spesso. E la Spagna, che da tre anni o quattro non fa
nemmeno un bilancio, né di previsione né consuntivo, perché ha un governo senza
maggioranza, e quindi
non può andare
in parlamento? È decisamente una Unione, questa Europea, un po’ scombinata.
Come fa la sinistra in Italia a farsi forte della Spagna?
Dove il governa a guida Sanchez, teoricamente socialista, governa senza sostegno
parlamentare. Non può fare alcuna legge, nemmeno quella del bilancio. E ha un presidente
del governo che, benché bello e aitante, ha la moglie e il fratello sotto
processo per corruzione – processi non mediatici. E ha fatto pagare un piccolo
esercito di collaboratori personali, all’immagine di bello e aitante, alla
propaganda, e ai sondaggi dall’erario, come membri del gabinetto?
Si (ri)pubblicano – si ripubblicheranno – negli Stati
Uniti enormi quantità di “carte” Epstein, il finanziere e magnaccia pedofilo.
Che si presentano come se incriminassero Trump, cosa non possibile (l’avremmo
già saputo). Ma questo non importa. Importa rimestare, confermare il pubblico
che i suoi rappresentanti politici puzzano. L’antipolitica sembra il sigillo di
America ed Europa. A Occidente di quale Oriente? Democrazia? Verità? Libertà?
Il “Corriere della sera” fa la sua campagna contro
Trump intervistando un giornalista americano, Tom Nichols, che figura essere stato
anche politologo in qualche università remota. Il quale non sa che dire, ma lo
dice. Presentato come editorialista di “The Atlantic”, dove in effetti per un
anno, almeno un anno, ha scritto ogni giorno online 10.000 parole contro Trump.
Poi la rivista, mesi fa, lo ha sostituito.
In alternativa, il “Corriere della sera” dà la parola
a Michael Wolf, altro giornalista Usa, una sorta di “specialista Trump”, con
una “biografia non autorizzata” nel 2018, piena di tutti i pettegolezzi, e podcast
con un’altra mangiatrump, Joanna Coles del “The Daily Beast”, il quale si era fatto
confidente e informatore di Epstein, quando già era condannato. Come mai? “Si
fa per ingraziarsi qualcuno che poi vi aiuterà nel vostro lavoro”. E questo fa
l’autorità dei media in America.
La democrazia in America deve molto a
Tocqueville.
“Ci si sposa sempre meno, ma divorziare è un’odissea”.
A Roma ci vogliono tre anni, calcola il “Corriere della sera-Roma”, ma lo stesso
probabilmente anche altrove: la legge Cartabia stabilisce in tre mesi il
periodo massimo per comparire in Tribunale, a Roma si va a sei mesi, e anche a
nove. Roma ha solo la colpa di
raddoppiare il “tempo prevedibile” di definizione dei procedimenti, a 800 giorni.
Contro una media nazionale di 460 giorni, un anno e mezzo.
L’Ami, Associazione Matrimonialisti Italiani calcola
che il 60 per cento dei femminicidi sono di donne “in fase di separazione”. Ma
poi il presidente dell’Ami, avvocato Gassani, spiega che “solo a Roma oggi ci
sono 90 mila padri che vivono in povertà quasi assoluta. E dormono in auto o
sono tornati dai genitori, mangiano alle mense dei poveri, perdono il rapporto
con i figli”.
Si discute dei “ricchi” in Italia - con 1.500 euro al
mese, irride Meloni. Di fatto lo stipendio netto medio in Italia è di poco superiore,
1.600 euro. E di poco superiore alla “nuova” Europa: Malta, Polonia, Lituania,
Croazia, Grecia, Romania. Ma meno che in Spagna, e molto meno che in Francia,
Belgio, Inghilterra e Germania – la metà dell’Olanda, un quarto della Svizzera.
E però le seconde case e i consumi durevoli, auto, elettrodomestici, dispositivi
elettronici, ristorazione e turismo dicono l’Italia un Paese ricco – per questo
periodicamente invidiato-biasimato dai tedeschi, che guadagnano in media 2.800
euro al mese, ma nulla al confronto nei consumi.
Tutto economia in nero non è. Le statistiche del
reddito non conteggiano il risparmio, il patrimonio – la “famiglia”, il grande
negletto di questa “economia di mercato”.
Questo paese” invece che “l’Italia” accomuna Schlein
a D’Alema - anche Occhetto lo diceva. Non si può dire che il Pd manchi d’identità.
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Giubileo Berlinguer
Un anno fa un film su Berlinguer, uno di sette o otto,
non dello stesso regista ma più o meno in contemporanea. Ora un film su come è
stato recepito il film di un anno fa dello stesso regista, “Berlinguer – La grande ambizione”.
In particolare sulle “reazioni del pubblico più giovane”.
Non una curiosità, un manufatto da cinegiornale, uno che
si vuole un vero film. Programmato anche in sala - a Roma almeno da quattro
sale, compreso il Quattro Fontane, del Circuito Cinema, film di qualità. Recensito.
Un culto della personalità, nel 2025. Poi si dice che
il cinema italiano non è in buona salute, che lo Stato non se ne cura, che il pubblico
non lo segue. A volte viene il dubbio che questo sovietismo di riporto mascheri
un doppio gioco. Come per dare ragione al governo Meloni sui sussidi al cinema
come di una partita fra nostalgici, fra i “compagnucci della parrocchietta”.
Matteo Segre, Noi e la grande ambizione
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