Cerca nel blog

sabato 17 maggio 2025

La corsa agli armamenti

Si cambia allegramente, dall’oggi al domani, un assetto finanziario della difesa - una distribuzione della spesa pubblica - inalterato per ottant’anni, di cui quaranta in una terribile “guerra fredda”, con minaccia atomica, come stappando un brindisi. Mentre è una spesa tipicamente “improduttiva”, ed è pericolosa – si fanno le armi per usarle. Con un programma di spesa a breve senza precedenti, di 1.200 miliardi.
È anche un “risveglio” principalmente tedesco, del governo di Berlino e di von der Leyen a Bruxelles, e anche questo è un fattore nuovo. Il programma del nuovo governo Merz prevede spese per la Difesa al 5 per cento del pil – l’annuncio è stato dato dal ministro degli Esteri, democristiano, irritando i socialdemocratici, ai quali fa capo il ministero della Difesa, ma gli Esteri sono stati voluti per il suo partito dal cancelliere Merz, dopo mezzo secolo di ministri Liberali, Verdi e Socialdemocratici, e dunque l’annuncio non è balzano.
Si spende così tanto e così in fretta senza un motivo preciso - la Russia non giustifica la spesa (la Russia, 144 milioni di persone, superficie e minerali incalcolabili, ha un pil inferiore a quello dell’Italia).
È vero, ed è giusto, che l’Europa si deve dotare di una politica di difesa. ma questa deve passare, più che per il riarmo di 27 eserciti nazionali, per una forza armata europea. Il progetto è politico e giuridico, prima che di acquisto di missili e carri armati.
L’Europa si è difesa per quarant’anni da una minaccia dichiarata, programmata, e ben peggiore di quanto Putin possa prospettare, quella dell’Unione Sovietica, con i russi a Berlino, organizzandosi con l’1,5 per cento del pil. Ora il vanto è di aver portato la spesa italiana al 2 per cento. Ma sono ben 1,2 miliardi in più. Una cifra enorme per un paese in ristrettezze finanziarie, com’è l’Italia. E con quale effetto?
Passare dal 2 al 5 per cento del pil, come il ministro Crosetto promette, significa quasi eguagliare la spesa per la sanità – 6,2 per cento. È tutto dire.

La Germania è lontana

È ripartita la macchina della Germania Grande: è bastato il ritorno alla cancelleria della Cdu\Csu, i democristiani o popolari tedeschi, per cancellare d’un tratto l’appannamento di Berlino e rilanciare il filone trionfalistico del quindicennio Merkel – a cancelliera del “troppo poco, troppo tardi”. Partendo dal già visto: “L’Italia non conta”, “No, non è vero, l’Italia conta”, e così via, il ludibrio.
Il nuovo governo ha all’Interno un antitaliano dichiarato, il bavarese Alexander Dobrindt, Csu, antagonista in pectore di Merz. Uno emerso nella crisi del debito del 2012, perché tuonava ogni giorno per la cacciata dell’Italia dall’euro – insieme col presidente dell’Ifo, l’influente istituto bavarese della Congiuntura (e con la Deutsche Bank, che speculava sui Bot, e la Bundesbank).
Merz non è bavarese, e non è Csu. Ma è stato l’anti-Merkel nel 2006 per la candidatura Cdu\Csu alla cancelleria, così come ora Dobrindt tallona lui, in attesa di un passo falso. Allora Merkel praticamene cacciò Merz, oggi Merz ha dovuto imbarcare nel suo governo il suo antagonista.
Nella sfortunata campagna del 2006 il giovane Merz era consigliato e protetto da Wolfgang Schäuble, bavarese anche lui, leader della Csu, ma di tutt’altra pasta che Dobrindt, politico colto e riflessivo. Merz ne terrà conto. E poi i Popolari a Bruxelles e dintorni hanno bisogno di Meloni. Anche per sapere come si fa nella sfida cruciale ad Alternative für Deutschland, l’arrembante destra tedesca, per esorcizzarla, se non per cooptarla - la funzione storica dei Popolari nella Germania Federale, specie della Csu. Quindi Merz farà gli attesi “baci e abbracci” domani a Roma.
Il dialogo però, che non c’era, non c’è. E non c’è alcun motivo che ci sia – non c’è stato con tutti i governi post-Berlusconi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi.

A Garlasco il processo è alla Cassazione

La Procura di Pavia ci ha abituati alle revisioni. Sulla morte di Enrico Mattei ha tenuto banco per decenni. Sul “delitto di Garlasco” - l’assassinio di Chiara Poggi - dunque non si smentisce. Ma i presupposti oggi sono diversi.
Innanzitutto si è lavorato quasi dieci anni alla riapertura delle indagini. Da una denuncia del 2017, per stalking, presentata dai legali di Alberto Stasi, l’assassino di Chiara Poggi secondo la Cassazione. Poi, quattro morti collegabili all’assassinio di Chiara Poggi non indagate: rubricate come suicidi ma avvenute in forme impossibili con l’autoassassinio. Soprattutto, e di nuovo, una condanna, quella di Stasi, confusissima, decretata infine dalla Cassazione, senza la necessaria “certezza processuale assoluta” che la legge richiede, anzi tra mille ripensamenti (il processo è andato su è giù per una mezza dozzina di corti d’Appello). E contro il parere della Procura, che riteneva necessario un terzo o quarto processo. La stessa Procura a cui la Cassazione demanda ora nuove indagini.
Le nuove indagini devono essere “estesissime”. Quelle di prima, cioè, non lo erano.

Il corso delle cose - il terzo Simenon

La morte, per suicidio, di un recente amico sempre gioviale porta un medico di professione alla scoperta di faglie nelle vite di tutti i giorni, di figli, padri, mariti, mogli, amanti, rassegnati, che seguono il corso delle cose. Senza entusiasmi e senza rigetti. La vita di ogni giorno, un affare di letto qui, una malattia là, lunghe conversazioni, grandi bevute, grandi dolori sottaciuti, per primi a se stessi. Un racconto di mondi modesti. In toni sommessi: il racconto parte moderato, continua lento, finisce adagissimo.
Un terzo Simenon, non quello dei gialli Maigret né quello dei romanzi “duri”, sorprendenti di crudeltà, odii, bassezze, eroismi nella “normalità”. Narratore della vita di tutti i giorni, nelle famiglie, al lavoro e nel tempo libero. Con e senza figli, con gli amici, con le conoscenze, tra incontri più o meno scelti, più o meno casuali. Di un’umanità inguaribilmente grigia, anche a Montmartre, come in questo racconto, e lungo la Senna in campagna fuori Parigi. E specialmente a letto.
L’ultimo dei romanzi scritti da Simenon in America, nel 1954. Alla fine dell’autoesilio di dieci anni che si era imposto nel 1945 per sfuggire alla canea del collaborazionismo – ne era colpevole il fratello, per questo condannato a morte (rifugiatosi nella Legione Straniera, era morto due anni dopo nella guerra d’Indocina). 
Un racconto che prende rilievo forse nell’autobiografia: la storia di una crisi coniugale, creata e alimentata da lui, alla moglie lasciando pochi insignificanti interventi, e una parallela vicenda minima, sordida, di letto. In America Simenon aveva abbandonato la moglie “Tigy”, insieme alla quale aveva vissuto gli anni migliori, per sposare una segretaria che lo eccitava ma non amava – e con la quale continuerà una vita sessuale disordinata e  insoddisfacente (il Simenon di “una puttana al giorno”). 
Il racconto, se vuole avere un senso, è della leggerezza della coppia, anche solo di un rapido rapporto di letto, in un alberghetto anonimo, contro la pesantezza della famiglia - la biografia di Simenon uomo è, come si sa, indecifrabile, a petto della sensibilità dello scrittore. Oppure, viceversa - chissà, alla fine, in un moto di generosità verso Tigy? - la storia di una copia non bella, non avventurosa, non di successo,  che vive - ha vissuto - luno per laltra, e viceversa.
Il corso della vita. Con molto parlato, in modi ordinari, di cose ordinarie. Con una strana svista: il protagonista-narratore, medico di professione, enumera una cifra imprecisata ma abnorme di aborti spontanei della protagonista, moglie fedele, una dozzina, due dozzine – un miracolo. A pochi mesi peraltro l’uno dall’altro. Si direbbe di un amore tragico. O di un modo di essere svampito.   
Georges Simenon, Il grande Bob, Adelphi, pp. 166 € 19

venerdì 16 maggio 2025

Ombre - 774

Difesa al 2 per cento del pil? Fatto. Al 5 per cento? Sarà fatto. Il capo dei 5 Stelle Conte imbordellisce la questione, che però è di suo  assurda. Passare quest’anno dall’1,5 al 2 per cento del pil significa 1,2 miliardi in più. Per un’Italia che stringe la cinghia su ogni centesimo d’indebitamento è già molto. Passare al 5 per cento, come Crosetto si sbraccia di promettere, significa quasi eguagliare la spesa per la sanità – 6,2 per cento. Insensato. Oltre che stupido: a chi Meloni deve fare la guerra?
 
Effettuare fuori della Ue, della libera circolazione Schengen - e dell’attivismo di avvocati senza causa - p. es. in Albania, l’accertamento del diritto d’asilo no, scandalo, persecuzione. Anche se il commercio dei nuovi schiavi, gli immigrati, si fa forte soprattutto dello sbarco in area Schengen. Delocalizzare, cioè deportare, i detenuti immigrati in carceri a buon mercato, p.es. in Kossovo, sì. Non è una doppia morale, è la politica zero: chi vive di social non pensa.
 
Basta un nulla per scatenare le tribù a Tripoli, con centinaia di morti. Un inferno creato dai “democratizzatori” americani, la zarina Hillary Clinton e il debole Obama. Col contributo volenteroso del corrotto Sarkozy, il presidente francese che voleva seppellire i finanziamenti ricevuti da Gheddafi – assassinandolo – e scalzare l’Italia dalla Libia.
 
C’è accanimento della Procura di Taranto contro l’acciaieria? Sì, c’è. Contro l’impianto convertito su criteri ambientali? Si. Ha allontanato i due vecchi proprietari stranieri, ne ha già allontanato un terzo, e intimorisce il quarto. Vuole la chiusura dell’acciaieria, malgrado un’Autorizzazione Integrale Ambientale che è la più severa d’Europa. Non vuole un’acciaieria, nemmeno “verde”, la vuole chiusa. E l’ha chiusa, di fatto. Con quale autorità. E, soprattutto, perché?
 
Si rivive a Taranto la chiusura di Bagnoli 35 anni fa. Che da allora attende di diventare polo dell’economia del turismo, invece che della industria, che caratterizzava il napoletano – del  “Rinascimento dei camerieri” che indignava l’economista illustre della città, Mariano D’Antonio, tanto da indurlo, in tarda età, a lasciare Napoli per Roma. Ora Meloni ne promette l’avvio, il quarto, per l’America’s Cup. Nel 2027 - terminata la bonifica (per due miliardi di spesa).
 
L’Italia è stata depennata dal Weimar +, il coordinamento ristretto europeo (Germania, Francia, Italia, Polonia, Gran Bretagna, Spagna) sulla guerra in Ucraina? Sì. No. Colpa dei socialisti tedeschi. Il neo cancelliere Dc Merz rimedierà domani a Roma.
No, colpa di Merz, che nel suo governo ha voluto, dopo 50 anni, gli Esteri. Non è un  “cordone sanitario” socialista contro il centro-destra di Meloni: il “triangolo Weimar”, Germania-Francia-Polonia, un accordo in disuso del 1991, quando serviva a scaldare il posto per la Polonia nella Ue, è stato rilanciato e allargato il 13 febbraio u.s. dal governo socialista a Berlino. Ma si sottovaluta la Germania, quantum mutata ab illo, dopo la riunificazione – senza più i russi a Berlino.
   
Festa grande all’Olimpico di Roma e a Bologna per la Coppa Italia. L’anno scorso la vinse la Juventus, con analoghe manifestazioni. Poi deragliate nella lite dell’allenatore contro il direttore sportivo. Uno che ha fatto di tutto nella stagione per ostacolarlo. Assumendogli anche un sostituto, in segreto ma facendolo sapere. Col quale poi ha spento 250 milioni per calciatori inutili. Mentre liquidava giovani che ora sono colonne altrove, di Nazionali e grandi. Errori? No, è una dirigenza sempre al comando. Ma allora, che affari?
 
Che i sindacati revochino lo sciopero di 24 ore domani, perché domenica si insedia il papa in tv, questa era da vedere. Niente carità cristiana per i milioni di pendolari e altri viaggiatori che sarebbero rimasti a terra – con biglietto difficilmente trasferibile o rimborsabile. Un sindacato di signori.
È Landini, personaggio tv? È la Cgil che intronizza Landini - con un fido Bombardieri tale e quale il nome (non solo Craxi, anche Nenni fa rivoltare nella tomba). E la cosa non si ridicolizza.
 
E così avvenne “la scoperta di Unicredit” – che pure esiste da alcuni decenni. Lunedì o martedì diventa il gruppo bancario a maggiore capitalizzazione di Borsa, e oh meraviglia. Niente meraviglia prima, in questi quattro anni. Durante i quali un titolo che navigava a 12 euro è passato a 56 - e viaggia verso i 65 (65,5 per l’esattezza).
Può succedere in Borsa. Ma non per caso. Il caso è che i media se ne accorgano per il record.  
 
Non c’è più informazione. Neanche in affari – nemmeno per qualche intrallazzo. Per sapere come va il mondo bisogna sapere le lingue – è il “vantaggio”, in chiave ippica, della altrimenti leggerina Meloni (ma un vantaggio énaurme, si direbbe nel teatro dell’assurdo).
 
Rivela il “New Yorker” lo shock di George Clooney il 15 giugno 2024, a un evento da lui organizzato “con migliaia di donatori” per la campagna presidenziale, quando incontrò Biden: “Non era l’uomo che conosceva da anni, e quel che è peggio Biden non mostrò nemmeno di riconoscerlo”. Non connetteva, e Obama che doveva presentarlo ai “donatori”, restò senza parole.
 
Biden, “reduce da un lungo viaggio dal vertice del G 7 in Italia, apparve a Clooney come se fosse invecchiato d’un colpo di dieci anni”. Qualcun altro ricorda: “Era come vedere qualcuno in piedi che non era vivo”. E al G 7? Come e cosa si decide in questi vertici?
 
Unanimità a Cannes su Trump. Un coro, soprattutto americano – titoli assicurati.  Silenzio invece su Netanyahu. Trump non si teme, Netanyahu sì? Il cinema non è molto colto – Netanyahu, Gaza, chi, cosa, dove?
 
“Trump si arrende alla Cina”. Mentre ha ottenuto, ha cominciato a ottenere, quello che voleva. È così difficile capire che le “trumpate” sono tecniche negoziali? Siamo o non siamo un popolo di mercanti – quando eravamo qualcosa, fino alla scoperta dell’America? 

È curioso questo tifo per la Cina, Xi è meglio di Trump?

 
“Saranno solo due, un uomo e una donna, i pattinatori russi che potranno gareggiare all’Olimpiade di Cortina”. Non sono state ammesse copie d’artistico e coppie di danza. La Russia nel pattinaggio di figura, coppie e danza, è sempre stata di gran lunga la più forte nazionale del mondo”. Una scelta “olimpica” selettiva. Democratica o corrotta?
 
“La maggioranza dei russi sarebbe felice della tregua”, spiega a Imarisio sul “Corriere della sera” Aleksei Gromyko, nipote del sempiterno ministro degli Esteri della Russia sovietica, ora direttore dell’Istituto Europeo, all’Accademia moscovita delle Scienze – benché contrario all’invasione dell’Ucraina. Ma aggiunge: “Nessuna sicurezza europea senza coinvolgere noi”. O contro di noi, avrebbe potuto specificare. Che la Ue prepari una cortina di ferro, contro nessuna minaccia, è in effetti assurdo.
 
È come se la Ue, aggiunge Gromyko, “avesse demandato la gestione del problema ucraino a Paesi che provano odio nei nostri confronti, e ad altri che invece stanno traendo profitto dal rifornimento bellico”. In effetti, come si fa a dare la politica estera e di difesa europea ai Baltici e alla Polonia?
 
L’assassinio di Matteotti spiega Mieli pacifico - recensendo lo storico Fulvio Conti, “Massoneria e fascismo” - che “fu commissionato ed eseguito dalla massoneria”. E cita tutti i responsabili, una mezza dozzina, tra mandanti ed esecutori. Si sono fatte molte evocazioni del delitto, per i cento anni, ma il fatto più evidente è rimasto taciuto. Dopo, e sotto, l’“antifascismo” non si sa pensare niente.
 
Spiega il premier britannico Starmer, laburista: “Il partito laburista ha come valore chiave l’idea che l’immigrazione deve essere controllata, che deve essere selettiva e che dobbiamo scegliere chi vogliamo”. Populismo? Di sinistra? L’immigrazione va governata?
 
Si scoprono da qualche anno per il 25 aprile figure di partigiani, comandanti, vittime, e gesti eroici della Resistenza di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza. Si scopre a poco a poco – il Grande Fratello che governa l’antifascismo fa sempre paura. Ma con capacità narrative sempre più
affinate – forse perché i materiali sono (erano) sostanziosi.
 
Circolano ancora per Roma macchine della Polizia, ora declassate alla Polizia Penitenziaria, con lo stemma a stelle, che sarebbe di Subaru. La più piccola delle case giapponesi, con circolazione ridotta in Italia, quasi scomparsa, eccetto che a Roma. Lascito degli anni di Berlusconi, degli appalti pubblici che escludevano la Fiat – l’Avvocato Agnelli, il “santino” sul comodino di Berlusconi, lo snobbava. Subaru per la Polizia, gonfie Bmw e Audi per il governo – le famose “auto blu” poi svendute da Renzi, una delle sue “rottamazioni”. Il nazionalismo è (un po’) ambiguo.

Riecco Lilith, queer anti-queer

Rivedendolo, è un pamphlet. Una denuncia, ripetuta, insistita: per tre ore la stessa vicenda, di sopraffazione, che si ripete in varie edizioni. Di una donna contro altre donne, compagne o amanti oltre che concorrenti. La Lilith mesopotamica, senza corna ma altrettanto indiavolata. E forse un film anti-femminista – anti pretese angeliche dei movimenti lgbtqia.
Blanchett, femminista capofila, coppa Volpi e Golden Globe per questo film, è cattiva anche di suo, al solo guardarla. E anche perché è una che, promossa Grande Attrice da Woody Allen, ha trovato poi comodo scagliarglisi contro nel nome del #metoo.
Un film di due anni fa. Ma, in questa chiave, quanto remoto – c’era veramente un #metoo che censurava persone, film, libri?.
Todd Field, Tàr, Sky Cinema

giovedì 15 maggio 2025

La dottrina Trump

La pace, con il commercio, è la “liberta dei moderni” – la guerra, con la schiavitù, era la “libertà degli antichi”. Il mondo moderno grazie al commercio, sull’esempio dell’Inghilterra, assicura la libertà e il benesere, abbandonando la schiavitù e la guerra. È dunque la dottrina liberale più famosa, e insuperata benché vecchia di due secoli, quella di Benjamin Constant, piccolo ma potente intellettuale acerrimo nemico di Napoleone e le sue guerre, la “dottrina Trump”, il programma politico del presidente americano.
Sotto il tratto buffonesco del personaggio (della forma di comunicazione che ha scelto, come quella a maggiore impatto sul pubblico), si comincia a percepire quello che era dichiarato nel programma, una “dottrina Trump”. Che Viviana Mazza oggi sul “Corriere della sera” ha infine la possibilità di sintetizzare – con l’aiuto del filosofo politico (anti-Trump) Michael Walzer, in un’ampia pagina sotto questo titolo:
https://www.corriere.it/esteri/25_maggio_15/dottrina-trump-capitalismo-clientelare-scala-globale-3807af85-af7a-41a4-8103-0c096bc60xlk.shtml
Per una volta esponendo per esteso quanto Trump va dicendo sulle politiche americane che lo hanno preceduto dalla fine della guerra, l’epoca della pax americana: pace e sviluppo “non sono stati creati dai cosiddetti nation builder, dai neo con o dalle non-profit progressiste che hanno speso trilioni, e hanno fallito, per sviluppare e democratizzare Kabul e Bagdad … Alla fine i nation builder hanno distrutto più nazioni di quelle che hanno costruito, e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che non capivano”.
Mazza cita a sostegno anche “l’immobiliarista e inviato speciale (di Trump) Steve Witkoff, che “la pace produce profitti, quindi è «logica»”.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (593)

Giuseppe Leuzzi


Omertà, secondo la Treccani, è “variante napol. di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate leggi”. Secondo Ulderico Nisticò nelle vesti di filologo viene “dal latino homo”, sì, ma “che nel linguaggio feudale indica il vassallo armato di un signore”.
Codice di onore (obbedienza) o di paura? Decismente, la mafia non sarebbe fatta per i filologi, neppure per gli storici. Cui bono?
 
Sant’Eufemia, prima emigrante dalla Calabria
Sant’Eufemia è santa diffusa toponomasticamente in Calabria: Vetere, Lamezia, d’Aspromonte. Ma anche in Spagna: dà il nome a un paese di un migliaio di abitanti, nella provincia di Cordoba, in Andalusia, i cui abitanti si fanno chiamare “calabreses”. Ce n’è una anche in Argentina, ma opera di toscani, due fratelli.
La santa è veramente di Calcedonia, dei primi secoli del cristianesimo. Ma è di culto nella chiesa greca, e per questo rinomata in Calabria – una Sant’Eufemia è anche in Salento.
Quella spagnola, “un caso davero curioso”, è così spiegata da Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”,  p.204: “Fu ai tempi di Ruggero II che una spedizione di calabresi partecipò alla guerra di Spagna contro i Mori. È viva tradizione nel comune di Sant’Euf
emia nella provincia di Cordova, ritenere di essere discendenti di trentatré cavalieri calabresi, che combatterono con il re Alfonso VII di Castiglia detto l’Imperatore (1127-56), e il cui grido di guerra era «Sant’Eufemia!». Da allora gli abitanti sono detti calabresi, e amano e usano questo appellativo anche per la squadra di calcio e i loghi delle produzioni locali”.

Ruggero è Ruggero II di Sicilia, ma nato a Mileto vicino Vibo Valentia, dove il casato ristagnava da qualche decennio, guardando l’inoccupabile Sicilia. Figlio e successore di Ruggero il Normanno, poi Ruggero I di Sicilia, dell’autoproclamata dinastia degli Altavilla. Via via Gran Conte di Sicilia (dal 1105), duca di Puglia (dal 1127) e primo re di Sicilia, dal 1130 al 1154, fondatore del Regnum Siciliae - e per tale titolo anche re d’Africa.
 
Gli Sforza nascono in Calabria
Le fortune degli Sforza nascono in Calabria – duro colpo per il leghismo, se studiasse la storia. Ulderico Nisticò fa la sintesi delle loro prime vicende in “Controstoria delle Calabrie”, p. 67. “Francesco Sforza, figlio di Muzio Attendolo, ha avuto un passato calabrese, prima combattendo per Alfonso I, il re di Napoli, e distrugendo Taverna (Vecchia), poi sposando Polissena Ruffo di Montalto, ma quando questa morì senza figli, dovette lasciare il feudo. Lo seguì nelle sue vicende, nelle Marche e a Milano, Cicco Simonetta da Caccuri, che divenne primo ministro suo e del figlio Galeazzo e governatore del ducato per Gian Galeazzo. Finché Ludovidco il Moro non lo fece uccidere. I suoi eredi, fra cui il cardinale Giovanni, ebbero feudi e onori in Lombardia fino al XVII secolo”.
Il finale è impreciso. Giovanni, fratello di Francesco detto “Cicco”, si era trasferito anche lui (e con loro lo zio Angelo) a Milano. Dove, alla morte di Francesco Sforza, redasse la cosiddetta “Sforziade”, il commentario in latino in 31 libri, “Rerum Gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium Ducis Commentarii”, la cronistoria del ducato tra il 1442 e il 1466. Quando Cicco morì, nel 1480, Ludovico il Moro lo esiliò a Vercelli, risparmiandogli la vita solo perché aveva celebrato suo padre.
Cardinale sarà Giacomo, il figlio di Giovanni. Che fece carriera nello Stato pontificio, vescovo di Pesaro e di Perugia, e poi cardinale, a opera del papa Paolo III Farnese. Di passata fu anche vescovo di Lodi, carica che lasciò dopo poche settimane al nipote Giovanni. Che diventerà anche lui cardinale – e ci sarà un Giovanni vescovo di Lodi tra il 1538 e il 1556, un membro del Senato di Milano, nipote del Giovanni cardinale.
C’è molto Caccuri nel governo di Milano - a Caccuri sapevano leggere, scrivere in latino, e di legge.
Nel 1460, quando i Simonetta erano ancora in forze a Milano, Giovanni fu fatto feudatario di Rocca di Neto e Roccella da Ferdinando I d’Aragona, “don Ferrante”. Don Ferrante fra tutti era succeduto al padre Ferdinando I sul trono di Napoli sostenuto da Francesco Sforza. Insieme, don Ferrante e gli Sforza (Galeazzo, figlio e successore di Francesco), intervennero nelle vicende fiorentine sconfiggendo le mire di signoria di Bartolomeo Colleoni nelle vesti di protettore della Repubblica – quindi alleati di fatto dei Medici.
Un’ultima collaborazione militare decisiva per gli Sforza a Milano, tessuta da Cicco Simonetta, si ebbe nella Valle Padana, nel 1484, per imporre a Venezia la pace di Bagnolo. Gian Galeazzo Sforza aveva sposato Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, sucecduto a Napoli a Ferdinando I, “don Ferrante”. Dieci anni dopo Luvdovico il Moro liquidava i suoi calabresi e napoletani. E sponsorizzava Carlo VIII, la spedizione che inaugurò lo smembramento dell’Italia sotto potenza straniera, vantando diritti su Napoli. Milano si vuole sempre quinta colonna di qualcosa.
 
La Grecia prima della Magna Grecia
C’è una presenza “micenea”, uno scambio, con le appendici italiane più prossime alla Grecia secondo le linee di navigazione aperte, allora come oggi per i migranti alla deriva, da venti e correnti, partendo dal Mediterraneo Orientale, verso Salento e Calabria, da Roca Vecchia a Trebisacce (e a Nardodipace?), documentata da scambi (ceramiche, monili, monete) e da mura ciclopiche – sul tipo dei nuraghi in Sardegna?
Non ci sono studi specifici. Ma ci sono molte evidenze, occasionali, di scavi su altre tracce.
Vent’anni fa, poco meno, si poteva registrare, su questo stesso sito:
“Tanti Tauri in Calabria, le tombe di Otranto, un’Eraclea Minoa e altre pietre resistenti a Augusta in Sicilia, bisognerà pure fare la storia dei micenei prima della Magna Grecia. A Roca Vecchia sotto il famoso san Foca, il martire giardiniere patrono dei marinai, si vede che i micenei erano in Italia settecento anni prima della prima colonia della storia greca ora in disarmo, avendovi lasciato le loro imitazioni povere delle piramidi. A Otranto, vecchia Idrusa, il signor De Donno ne ha alcune nel suo campo di Torre Pinta, dove fa trattoria.
“I micenei, gente che vagava per i mari, al tempo degli egiziani e dei medi persiani. Prima di sprofondare, da Creta e da ogni altra presenza in terraferma, col gigantesco krakatoa che inghiottì Santorini. Presto mitizzati, l’ingegner Dedalo e il figlio Icaro, l’accondiscendente Pasifae moglie del re Minosse, la gentile Arianna, e i tori onnipotenti. Si potrà sempre dire: ecco da dove viene il machismo del Sud”.
Non ci sonostati ritrovamenti decisivi da allora – non sono cercati. Ma convegni sì, si susseguono.
 
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse” - 2
Sempre in prima fila, e in armi, per il resto neghittosi, quando si tratta della Vera Fede. Nel 1799 contro i Giacobini di Napoli – contro i francesi di Napoleone in realtà. Qualche anno dopo contro i napoleonici occupanti, che gli usi civici volevano assimilare alla manomorta ecclesiastica, e un maschio ogni dieci pretendevano soldato. Ma già nel secolo XII in Spagna contro i Mori, se un paese nel cordovano resiste che si vuole “calabrese”.
Nella sua “Controstoria delle Calabrie” a un certo punto, pp. 88-89, il laico Ulderico Nisticò non si trattiene dal celebrarne l’elogio – con ragioni forse non storiche, non vagliate, come quelle di Galasso, ma persuasive: “Nel febbraio del seguente 1799 accadde in Calabria un evento che, sebbene sia consuetudine della storiografia ufficiale di ignorarlo o denigrarlo, appare epocale per il futuro della politica dei secoli XIX e XX: il cardinale laico Fabrizio Ruffo, della gloriosa famiglia, sbarcò segretamente presso Palmi, e nel volgere di pochi giorni formò il primo esercito popolare della storia moderna, le Masse della Santa Fede.
“Ruffo percorse rapidamente la via dello Jonio. Crotone, che resistette, subì il saccheggio. Le masse giunsero in Puglia, e da lì a Napoli, compiendo il prodigio militare di tenere unite e sostanzialmente disciplinate le sue improvvisate truppe.  
“I Francesi lasciarono la capitale, dove i repubblicani, per qualche ora davvero indipendenti, offrirono al forte di Vigliena una resistenza valorosa, per quanto inutile. Ruffo offrì loro la resa, e l’esilio in Francia. Ma, con l’inganno, l’inglese Nelson li catturò. Processati che furono, un centinaio di loro subì la pena di morte. Secondo i più, per volontà della regina Carolina. Ma si pensa anche a una faida tra la Massoneria francese e quella inglese!
“La vicenda della Santa Fede, gloriosa e tragica in sé, non ebbe alcun seguito se non nelle scontate deprecazioni degli eredi dei giacobini, e per essi della storiografia patriottica dell’Ottocento”. Ma anche la corte napoletana diffidò. La Calabria non ne ebbe alcun beneficio. “E meno ancora il cardinale, frettolosamente messo da parte; e quando, nel 1806, frettolosamente si rivolsero di nuovo a lui, risponderà che certi miracoli avvengono una sola volta!”.
Di fatto, i “massisti” saranno centrali ancora, agli ordini inglesi - nelle cui file si formarono anche due battaglioni regolari, con divisa, mostrine e soldo - nella rivolta del 1806-1807 in Calabria contro il governo francese di Napoli - tasse, usi civici, leva obbligatoria. Di cui nelle vivaci lettere di Paul-Louis Courier, volontario napoleonico, che ogni poche notti si vede morto - poi grecista, poi assassinato, cinquantenne, con un colpo di fucile alla testa nei dintorni di Parigi. Furono di peso in particolare nel giugno del 1806, nella battaglia “che i francesi chiamano di Sant’Eufemia e gli inglesi di Maida”, al comando del generale americano lealista (fedele alla corona d’Inghilterra) Stuart.


gleuzzi@antiit.eu

La Rai formula Bernabei

La formula dei fratelli Bernabei, ossia “Don Matteo”. Sfondi amichevoli, colorati, pulitissimi, invoglianti, da campagna turistica. Girando per regioni e città in cerca di promozione, a pamamento. Quindi a costi ridotti. Per storie di buoni sentimenti – quelli che emergono dalle cronache. Qui siamo in Puglia, a Trani e dintorni - le saline spettacolari, anche se poco redditizie, sono di Margherita di Savoia, prossime al passaggio gentrificatore, come lo Stagnone di Trapani.
La storia è semplice: un caso criminale svolto, su eventi di attualità. Questa settimana il traffico di neonati, per adozioni abusive, una sorta di utero in affitto. Il personaggio curioso attorno a cui centrare la vicenda non è un prete né una monaca, ma un rom, cresciuto in un orfanotrofio, forse orfano, forse abbandonato, quindi anche lui un anti-eroe.
Spettacolare peraltro è che la Puglia sia riuscita, con i soli (pochi) capitali della Film Commission regionale, a rifarsi un’immagine in poco tempo, di regione mite, accogliente, prosperosa, di ambienti protetti e glorificati. Sfuggendo all’insidiosa tela di farne una (ennesima) regione di mafia.
Giuseppe Bonito, Gerri, Rai 1, Raiplay

mercoledì 14 maggio 2025

La stanza vuota del golden power

Domani dunque i messi di Orcel hanno infine ottenuto udienza al ministero del Tesoro sulla questione golden power opposta all’acquisizione di Bpm. Vedranno Stefano di Stefano, che non conta nulla, non ha neanche nominato i “giurati” del golden power, tutta gente della Lega, e della questione ha letto, come tutti, sui giornali.
La questione è come dice il ministro Giorgetti: si è decisa a palazzo Chigi. È qui infatti che ha sede l’apposito Ufficio golden power. È diretto da Bernardo Argiolas, un avvocato cinquantenne, con un master dieci anni fa alla Luiss, da cinque capo dell’Ufficio, nominato dal Conte I, per conto di Salvini. Solo lui sa perché e per chi ha deciso quello che ha deciso – ha fatto decidere all’apposito comitato, da lui creato e poi dismesso.
Di Stefano c’entra indirettamente: è l’interlocutore dell’attivazione Ue sulla questione golden power, perché tiene per il Tesoro i rapporti con l’Unione europea e gli altri organismi internazionali. E la Ue da qualche giorno mette in guardia contro gli abusi del golden power. Ma non sul caso Unicredit-Bpm. Si attiva su una bega tedesca-tedesca, nella quale un gruppo di private equity, Triton Partners, si fa forte del golden power italiano. Pur non avendo attività in Italia.

Il golden power Ue è per i carri armati tedeschi

È un’attenzione specifica, di interesse della Germania, e della Francia, che muove Bruxelles sull’esercizio del golden power. Non le ops di Orcel e Unicredit come si tende a dire – e come gli avvocati internazionalisti fanno valere (ma Orcel ne sa evidentemente di più, che si tiene alle cose). Per una questione insieme ridicola e terribilmente seria, come spesso a Bruxelles.
Il gruppo di armamenti franco-tedesco Knds (creato dalla tedesca Krauss-Maffei Wegman e dalla francese Nexter) ha rilevato la società tedesca Renk, specializzata in “sistemi di trasmissione per  veicoli militari” (cambi per carri armati), già suo fornitore. Un’azienda quotata un anno fa, e triplicata di valore. Il gruppo finanziario Triton, titolare di una quota del 18 per cento, si rifiuta di consegnare il pacchetto. Knuds ha fatto causa a Triton, a Francoforte. E ha adito la Ue. Che subito si è inventata un’autorità in via di costituzione sul golden power.
Da qui i primi divisamenti europei in materia. Generici, e genericamente riferiti alla Commissione. Ma non c’è da dubitare che, la cosa interessando la Germania e la Francia, Bruxelles si prenderà anche le competenze in materia di golden power.
Di Stefano (v. sopra) c’entra perché Triton si difende dicendo: manca l’autorizzazione del governo italiano, responsabile del controllo degli investimenti (si difende in due modi, l’altra è che “le condizioni di chiusura dell’opzione non sono state soddisfatte”). Renk non ha attività in Italia - giusto un rappresentante commerciale. Ma si vede che al golden power leghista ci si appiglia ormai per chiara fama.

Le disgrazie dell’innocenza

Minato è figlio di una giovane vedova. Una madre single. Quindi, dicono a scuola la preside, il vice-preside, i maestri, apprensiva e molto autocentrata. Quando il bambino – qui nell e forme di un ragazzo - ha dei problemi, dice di avere “il cervello di un maiale”, la madre protesta vivacemente, una, due, tre volte. Le “autorità” scolastiche le vengono incontro, e costringono l’insegnante del bambino a professarsi colpevole.
La madre poi scompare. Segue la storia dell’insegnante. Un giovane al primo incarico, generoso e estremamente attento. Gioioso anche e scherzoso. Infine insolentito, allontanato, abbandonato, forse suicida.
Poi il bambino-ragazzo ha una vita piena con una compagna di classe, molto più vispa e attiva di lui – come avviene di fatto nella pubertà, tra le femmine in genere e i maschi. Piena di avventure, in città e in campagna, a piedi, a nuoto e in bicicletta.
Un racconto semplice e complesso. A suo modo, un film-verità, in quella sorta di neorealismo che il cinema asiatico (giapponese, coreano) riprende da un decennio: delle “gente” com’è, semplice, umile, inimportante, e complicata.
Miracolosa la capacità di farlo durare due ore, senza colpi di scena, senza “bellezze”, senza “verità”.
Hirokazu Kore’eda,
L’innocenza, Sky Cinema, Now

martedì 13 maggio 2025

Letture - 578

 letterautore


Antifascismo
- P. Battista sul “Foglio” reperta vare bio wikipedia di giornalisti, di sinistra e di destra, rifatte ponendo alla prima riga un nonno o un padre fascistissimo, cioè repubblichino. Di chi la “manina”, si chiede? Battista opina per la sinistra politica, genere Anpi. Ma potrebbe anche essere un nostalgico, che ricorda il fascismo a chi lo ha rimosso – la fede nel fascismo, anche perdente. Il fascismo come ossessione invece che come fatto strico.  
 
Architettura fascista
– “Non esiste” per i media, anche se vi ci s’imbatte a ogni passo, specie a Roma e in Lombardia (Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza…). Negli edifici e nell’urbanistica - di cui la Repubblica è stata ed è singolarmente sprovvista, ognuno costruisce quello che vuole dove vuole (si è perfino teorizzato l’abusivismo, quello “creativo” non quello “di necessità”, della stanza in più). Gianni Biondillo pubblica un libro, “La costruzione del potere”, in cui spiega, come da sottotitolo, “Perché l’architettura fascista non esiste”. E intende forse “non esiste” alla romana: non ce ne frega, facciamo che non c’è. Per poi fare lui stesso su “La Lettura” una mappa dettagliata degli edifici, e della ristrutturazione urbanistica, edifici compresi, di Milano. Dando alla città, va aggiunto, la fisonomia che solo adesso, con i grattacieli, sta (forse) cambiando. 
 
Confessione
- Come racconto, prima che come sacramento o testimonianza, nasce come si sa da sant’Agostino. E ha dilagato ultimamente nella narrativa - un racconto o romanzo su due, si calcola, è in forma memoir. E quasi sempre nella forma psicoanalitica. Di cui si considera precursore Philip Roth, per “Portnoy’s Complaint”, 1969, che si rilancia oggi con grande enfasi, e non Berto, “Il male oscuro”, pubblicato nel 1964, anch’esso con grande successo – premio Viareggio e premio Campiello, record di vendite, traduzioni immediate. Si privilegia cioè il racconto di psicoanalisi che non è presa sul serio.
 
Latino
– “«Il latino si studia obbligatoriamente in tutte le scuole superiori del Nord-America»”, poteva scrivere un secolo fa Filippo Virgilii: “«La storia romana è insegnata in tutti gli istituti, e tale insegnamento rivaleggia, se non supera quello che vien fatto nei ginnasi e nei licei italiani, perché nelle scuole americane la classica storia di Roma antica è tradotta fedelmente da Tacito e da Cesare, da Sallustio e da Tito Livio, mentre in Italia si ricorre troppo spesso e troppo ‘supinamente’ alle deformate (sic) traduzioni di Lipsia». Filippo Virgilii, “L’espansione della cultura italiana, «Nuova Antologia», 1° dicembre 1928 (il brano è a p. 346); (né può essere errore di stampa, dato il senso di tutto il periodo! E il Virgilii è professore di Università e ha fatto le scuole classiche!” (Gramsci, “Gli intellettuali”)
 
Malaparte – “Lo strano è che a sostenere il razzismo oggi (con l’Italia Barbara, L’Arcitaliano e lo strapaesismo)”, riflette Gramsci in una delle note de “Gli intellettuali”, sul razzismo in Italia, “sia Kurt Erich Suckert, nome evidentemente razzista e strapaesano”.
Ma Malaparte-Suckert non è il solo: “Ricordare durante la guerra Arturo Foà e le sue esaltazioni della stirpe italica, altrettanto congruenti che nel Suckert”. Arturo Foà, di Cuneo, “il poeta ebreo dimenticato” - morirà nel lager di Auschwitz, nel 1944.  
 
Roma – “Tutti volevano stare a Roma”, Giancarlo Giammetti, 87 anni, socio e partner di Valentino, serioso a Michele Masneri sul “Foglio” sabato: “Sa, era un periodo non comprensibile oggi… Era un’epoca irripetibile. Che bello che era!” Ma anche oggi, “è comunqe una città piacevole, meglio di New York, meglio di Parigi”.
 
Era romana negli anni 1960-1970 anche l’alta moda. Giammetti ricorda il loro studio-laboratorio in via Gregoriana, allora la via della haute couture: “Arrivava Marella Agnelli, arrivava Mia Acquarone, tutte le signore più importanti. Davanti a noi c’erano gli atelier di Simonetta (un marchio in realtà, n.d.r., di Donna Simonetta Colonna Romano di Cesarò, già sposata Visconti, proprietaria dell’intero palazzo), poi c’era Capucci, e poco distante Galitzine, e ancora Federico Forquet, Fabiani, tutti bravissimi”.
 
Montale – Memorabile, cioè citabile, lo vuole Lorenzo Tomasin sul “Sole 24 Ore Domenica”. Per una serie di espressioni entrate nel linguaggio comune: : “Male di vivere”, “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, “Pallido e assorto”, “Scabro ed essenziale”, “È nato e morto, e non ha avuto un nome”, “la razza di chi rimane a terra”.
 
Sex worker - Gramsci era violentemente contro: “Turati. Il discorso parlamentare sulle «salariate dell'amore». Discorso disonorevole e abbietto. I tratti di «cattivo gusto» del Turati sono numerosi nelle sue «poesie»” – l’annotazione è raccolta ne “Gli intellettuali”, parte degli appunti finali sul “lorianesimo”.
 
Traduzione – Matteo Codignola spiega su “La Lettura”, in una argomentata intervista con Cristina Taglietti,  la sua traduzione di Ph. Roth, “Portnoy’s Complaint” - la terza, ogni editore, Bompiani, Einaudi e ora Adelphi, avendone adottato una propria – con “l’idea… di restituire a Portnoy il suono che aveva in origine”. Se non che, nelle pagine iniziali del romanzo, che il settimanale pubblica in originale e nella traduzione di Codignola, l’originale ha un suono diverso dall’italiano. “Conficcato” per “embedded”, “mi fiondavo” per “rush off”, “la becchi” per “make it” sono traduzioni lecite, e aggiornate, sono la terminologia dell’adolescente di oggi, ma non sono “Ph. Roth”.  La patina fa parte del linguaggio.
 
“Portnoy’s Complaint”, il titolo originale di Ph. Roth, nella riedizione Adelphi è semplificato in “Portnoy”. Di “complaint”, lamenta Codignola, si danno del resto quattro significati diversi: “una solenne lirica in onore di un amore non corrisposto, o perduto; un certo disturbo della personalità; una citazione in giudizio; e poi sì, la lagna dell’amico”. Ce ne sono di più, il “Roget’s Thesaurus” ne repertoria un decina - tra essi forse il più appropriato “tormento”.
 
Wagner – “Wagner (cfr. l’Ecce homo di Nietzsche) sapeva ciò che faceva affermando che la sua arte era l’espressione del genio tedesco, invitando così tutta una razza ad applaudire se stessa nelle sue opere” (Gramsci, “Quaderni del carcere”, 3 (XX) § (2)).

letterautore@antiit.eu

Se il mondo va sulle nuvole

Lo scrittore e il filosofo, studioso dei processi cognitivi, si confrontano indirettamente sula stessa pagina sula funzione dell’intelligenza artificiale.
Lupo racconta di una videorecensione su you tube del suo ultimo romanzo, “Storia d’amore e macchine da scrivere”, totalmente inventata. Mettendo assieme spezzoni confusi di nomi, situazioni, materiali, trame, che per lo più non c’entrano niente. Salvo poi scoprire che Sandor Molnar, “ingegnere cibernetico in viaggio per l’Europa con una Olivetti Lettera 22”, il personaggio del suo romanzo il cui nome ha creato mettendo assieme due scrittori amati, Sandòr Marai e Ferenc Molnar, è un matematico, di un Institute of Mechanics and Machinery. L’Intelligenza Artificiale ha bisogno di imparare, e di non confondere i famosi fischi per fiaschi.
Casati spiega che copie e falsi non sono una novità - dalla “Donazione di Costantino” in qua, la creazione del potere pontificio, suppostamente del 323, anche nella storiografia più accreditata.  Però, ora, con con la rete e il cloud, svanendo cioè il “pezzo di carta”, conclude che “per i nativi digitali è molto più complesso avere a che fare con l’autenticità”. Con conseguenze per la filologia ma anche, come si sa, per la vita pratica.
Giuseppe Lupo, Intelligenza? Questa è menzogna
Roberto Casati, Quanti dubbi oggi su cosa possa essere documento, “Il Sole 24 Ore Domenica” 11 maggio

lunedì 12 maggio 2025

Ombre - 774

“Intorno ai 5 milioni di dollari” i finanziamenti sovietici annui al Pci, confessa a Gnoli su “Robinson” l’ex cassiere del Pci Gianni Cervetti, un funzionario formato a Mosca, dal 1956 l 961. Apparentemente candido. Poi c’erano le “merci”: pelli e oro. E gli “sfioramenti”, in Svizzera, delle aziende italiane in affari con Mosca, specie di Eni e Italsider. Ma questo non si dice.
 
“Ringrazio lui, o chi sta dietro a lui e che ha deciso di mandarmi qui nei paesi baltici”, dice mons. George Gänswein, esiliato dal papa Francesco, sul “Corriere della sera”. Terribile. Forse malizioso, ma quel “o chi sta dietro a lui”, italiano imperfetto, apre un varco enorme sulle estemporaneità del papa defunto.
 
Il povero papa Leone XIV anche lui si assolda nel fronte anti-Trump. L’Italia è ossessionata da Trump. Non l’Italia, i media: non c’è America se non sotto forma di anti-Trump. Anche nei media di destra.
Trump che è in Italia il tycoon, anche in chi mostra di non sapere l’inglese. Anche nei media di destra. Cosa che non è nei media americani, anche dell’estrema sinistra. Strano ma non poi troppo, siamo sempre quella di Eco, una estrema provincia dell'impero.
  
L’intonazione dell’“Ave Maria” all’annuncio dal balcone, la gita a Genazzano il giorno dopo per la Madonna del Buon Consiglio (“dov’è oggi una festa della Madonna? andiamo”), la preghiera a Santa Maria Maggiore, il “Salve Regina”, detto e cantato, alla seconda apparizione al balcone. Con Gesù gridato nel motto e all’annuncio – “senza di lui non siamo nulla”. È fede, quella di Leone XIV, di cristiano credente. Col culto per la Madonna nel ricordo evidente della madre propria, non di furie femministe. Leone XIV si è mostrato con veemenza tutto, e niente, stiamo qui a chiederci se è contro Trump, e pro Francesco. Barbarie dei tempi, o dei media?
 
Sardonico il ministro del Tesoro Giorgetti su Unicredit-Bpm: “Ha deciso il consiglio dei ministri”. Non il suo comitatino di ragionieri di partito. Parla anche di Bper-Popolare Sondrio: “Pds ha una valenza locale” – di una banca che ha 35 sportelli a Roma, 34 a Milano, e 7 a Sondrio. Per non parlare della sua Ops, tramite Monte dei Paschi, su mezza finanza milanese.
È anche vero che nessuno glielo chiede.
 
Si leggono con tristezza le cronache conniventi di Giorgetti in ogni giornale. Di uno che, con ogni evidenza, mira a un credito politicizzato: Bpm autonoma sotto la sua ferula, ora al ministero, domani al partito, e il progetto Mps-Mediobanca-Generali, di una banca semifallita, a spese comunque di 50 o 100 mila risparmiatori, che si compra Mediobanca e Generali. Una cosa scandalosa.
Stupidità non è.
 
Si vede al Foro Italico per Sinner l’Italia che non si vede, non nel quartiere, per le strade, sui media,  e che fa l’Italia. Tutta carota, parrucche, occhiali, magliette, scarpe, calzettoni, calzoncini. E fanatismo. Prima e fuori del match, che è un allenamento. Osannante per l’Italia, poco sapendo di tennis. Nella forma di un ragazzo tirolese – della Val Pusteria, poi. Educato, certo.
Agghiacciante.
 
“I leader europei pongono le basi per un tribunale speciale per giudicare Putin”. L’Europa alla frutta? Tribunale speciale? Putin? Si sapeva – si dovrebbe – che affidandosi a baltici e slavi l’Europa sarebbe finita male. Ora esagerano, ma la gente nemmeno se ne accorge.
 
Si vede e si ammira – in Italia – l’Europa sotto le specie di Macron. Che ha ridotto male la Francia. Senza politica. Una destra invadente. E un debito pubblico schizzato, sotto la sua guida da ex ministro dell’Economia, nei sette-otto anni di suo governo, dal 97 al 120 per cento del pil - e al 2,2 per cento al servizio del debito. Di che soffocare la Francia - come già avviene da tre decenni per l'Italia.

 
La pace, enunciata dal nuovo papa come prima parola della sua presentazione, viene subito “ridotta” all’Ucraina e a Gaza. Ma il papa agostiniano ne sa di più: sant’Agostino è quello della “guerra giusta”, e anzi uno che sa che la guerra è tra noi, come il peccato – per colpa del peccato.
La sua pace è quella nel Cristo, ma chi sa, chi ascolta?
 
La chiesa come “arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture e per la grandiosità delle sue costruzioni, come i monumenti in cui ci troviamo”, quanto “attraverso la santità dei suoi membri”.
È strano che ci voglia un papa nuovo, e dall’aria dimessa, non invadente, a dire la verità della cosa.
 
Alberto Melloni è storico “informato” della chiesa – sa tutto dei concili, p.es., almeno fino a quando ne faceva parte il cardinale Martini. Ma ora è orfano di papa Bergoglio. Scrive sul “Corriere della sera” che il nuovo papa è bergogliano, anche più di Bergoglio, proprio così, a partire dal nome, “facendosi chiamare Leone, come l’amico di san Francesco”. Qui si capisce che in effetti ci deve essere lo Spirito Santo, se i cardinali sono andati oltre lo storico.
 
Elio Germano ha l’Oscar italiano per “Berlinguer, la grande ambizione”, e nessuno dice niente. Gifuni, Orlando, Tommaso Ragno, gli altri candidati?
Lui, furbo, chiude il vaso aprendo una polemica col ministro – vecchia scuola Pci, la diversione, i compagni sono creduli.
 

C’è del metodo nella follia artificiale

“Se a un aumento della produttività non si accompagna una riduzione dell’orario di lavoro si crea disoccupazione, su questo dovremo vigilare. Un altro problema sarà il rapporto con i testi scritti e vedo un impatto sul mondo dell’informazione: se le persone si accontentano dei riassunti fatti dall’intelligenza artificiale delle notizie pubblicate sui giornali, chi si abbonerà più ai giornali? Ma se i giornali chiudono, cosa riassumerà l’intelligenza artificiale?...
“L’intelligenza artificiale non può inventare il futuro. Ha la conoscenza di tutto quello che ha scritto l’umanità e lo ricombina. Anche la nostra creatività mette assieme tutto quello che abbiamo letto, imparato, sentito, provato e vissuto e da lì genera delle idee. Però il futuro non si crea tirando a indovinare ma cercando di combinare l’esperienza con un’idea di mondo. Che i chatbot non hanno…
“È evidente che le macchine fanno qualcosa di diverso (dal pensare, n.d.c.) anche se, come dice Amleto, c’è del metodo nella loro pazzia. Però fanno cose completamente coerenti e in qualche caso ci aiutano tantissimo. Ad esempio le traduzioni sono diventate molto buone, a volte migliori di quelle fatte da un essere umano. Io l’ho usata per controllare la qualità della traduzione di un mio libro in cinese e ho scoperto delle inesattezze dei traduttori umani….
“Mi ha molto impressionato una cosa: avevo scritto delle formule a mano nella mia cattiva calligrafia e l’intelligenza artificiale non solo me l’ha lette, le ha messe in ordine in un formato matematico e ha aggiunto i commenti giusti fra una formula e l’altra. Proprio un bravo pappagallo!”
Giorgio Parisi,
AI non è una battaglia persa, si può recuperare il ritardo, corriere.it

domenica 11 maggio 2025

La messa non è più occidentale

Messe, battesimi, matrimoni, funerali sono sempre meno “bianchi”, meno “occidentali”: non ci sono più preti. Non per nulla il primo messaggio del papa Leone XIV è un appello alle vocazioni.
Stando all’Annuario statistico della Chiesa nel 2013, al tempo della transizione tra papa Ratzinger e paga Bergoglio, era europeo il 44 per cento dei circa 415 mila parroci nel mondo, con in più un 12 per cento nordamericano - l’“Occidente” faceva il 56 per cento dei preti diocesani. Dieci anni dopo si è ridotto il totale, a 407 mila. Ma per effetto della riduzione del numero dei sacerdoti in “Occidente”: l’Europa contava per il 38 per cento del totale, il Nord America per il 12 – ancora la metà, ma in calo. Gli asiatici passano nel decennio dal 15 al 18 per cento del totale. Gli africani dal 10 al 13 per cento.
Confrontano le statistiche col 2005, l’anno dell’elezione di papa Ratzinger, l’Europa contava per il 48 per cento dei preti diocesani, e il Nord America per il 13. L’Asia pesava per il 12 per cento, l’Africa per l’8.
In meno di vent’anni, quindi, c’è stato un sorpasso nelle vocazioni: ora la metà dei preti proviene dalle aree non “occidentali”, non “bianche”. Il peso dell’Europa è diminuito di 10 punti, quello del Nord America di 3. L’Asia aumenta di 6 punti, l’Africa di 5.
Notevole anche il balzo dell’America “latina”, centro e sud America: cresce di soli 3 punti, ma si approssima al 19 per cento, poco meno di un prete su cinque, al secondo posto dopo l’Europa.

È un altro conclave

Senza colpa, probabilmente, ma il cardinale Parolin è ridotto a controfigura del suo pari grado Bellini nel romanzo-film “Conclave”: il segretario di Stato favorito che perde voti a ogni votazione. Lui stesso si considera tale, scrivendo oggi al giornale del suo paese, il “Giornale di Vicenza”, e quindi prosit. Mentre il conclave vero, quello come lo ha voluto il papa Bergoglio, che ha proceduto all’elezione del suo successore, è stato molto diverso. Per lo svolgimento non è dato sapere, ma per la composizione sì.
Nel penultimo conclave, 2013, erano “occidentali”, europei e nordamericani, il 65 per cento dei cardinali, due elettori su tre. In quello appena concluso la quota era scesa a uno su due, il 50 per cento. È stata questa la maggiore “rivoluzione” di Bergoglio – quella di maggiore impatto.
Insieme a un’altra a cui non si fa caso, ed è forse di impatto ancora maggiore: sono escluse dal conclave alcune delle diocesi più grandi e di maggiore tradizione: Milano, Venezia e Genova in Italia, Parigi, Madrid, Los Angeles. Non è cardinale, a proposito di “papa americano”, neppure il presidente della Conferenza episcopale Usa, Timothy Broglio.
Molti cardinali elettori sono – sono stati – vescovi di piccole comunità, nominati per scelta personale, anche se di rappresentanza ridotta.

Perché non la cancel culture del fascismo

La domanda non è nuova e la risposta non c’è. Perché non ci può essere. Non tanto per i “monumenti”, quanto per l’urbanistica, che l’autrice non considera, ma che nel ventennio, a inziativa del regime o per maturazione di progetti precedenti, ha cambiato moto degli assetti urbani – p.es., visibilissmo oggi, e “provvidenziale”, il riassetto dei “borghi” vaticani.
Storica contemporaneista, specialista di storia italiana, californiana con cattedra di Storia e Studi Italiani alla New York University, Ruth Ben-Ghiat connette la “continuità” delle opere del regime al neofascismo. Che risente specialmente acuto (“vivevo a Roma nel 1994 e venivo svegliata regolarmente da urla «Heil Hitler!» e «Viva il Duce» dal vicino pub” – saranno stati “laziali”, che sfogano la rabbia di non vincere in campo?). E la “continuità” addebita a Berlusconi: “L’Italia, il primo Stato fascista, ha avuto un lungo rapporto con la politica di estrema destra”. Intende: l’Italia repubblicana, che era stata il primo Stato fascista, ha avuto…. E continua: “Con l’elezione di Berlusconi nel 1994 il Paese è diventato anche il primo a portare un partito neo-fascista al potere”. Capovolgendo - ma non è la sola – il giudizio storico sui leader democratici, di cui si misura l’abilità nei confronti dei movimenti eversivi se e in quanto hanno saputo disinnescarli, portarli nell’alveo costituzionale (es. classico Giolitti e i socialisti).
E ce n’è anche per Matteo Renzi. “Nel 2014 il primo ministro di centro-sinistra (ma l’Italia non ha un primo ministro, ha un presidente del consiglio (che non conta nulla giuridicamente, costituzionalmente: può solo dimettersi, n.d.r.) annunciava la candidatura di Roma all’Olimpiade 2024 dentro il complesso ora denominato Foro Italico stando davanti all’«Apoteosi del fascismo», un affresco che fu coperto dagli Alleati nel 1944 perché dipinge il Duce in figura divina”. Un affresco in effetti contestabile, anche dal punto di vista estetico. Coperto a lungo da una tenda blu, poi da un panno verde, fu fatto restaurare dal Coni di Mario Pescante dopo 53 anni, nel 1997 - su sollecitazione del sovrintendente ai Beni Architettonici e Ambientali, l’arch. Francesco Zurli.
Ma questo è un problema marginale nella trattazione. La defascistizzazione la storica giustamente trova limitata a quanto programmato dalla Commissione di Controllo Alleata, la quale (nel 1944, n. d.r.) “raccomandava che solo monumenti e decorazioni più dichiaratamente fascisti e «inestetici», come i busti di Mussolini, fossero distrutti”. Sul resto, specie le architetture di uso quotidiano, ministeri, palazzi di giustizia, palazzi di civile abitazione, musei, cala il velo della disattenzione – sono luoghi come altri.    
Un articolo breve, quasi una provocazione a un dibattito - che poi ha avuto luogo online, su altre piattaforme. Un aspetto la storica politica non considera ed è quello delle estetiche, che, specie nelle arti figurative, proliferano in Italia tra le due guerre. In architettura e, di più, nella pittura e in musica. Per effetto della provocazione futurista. Con continuità nel dopoguerra, e sotto bandiere democratiche: 
i larghi affreschi di Sironi alla Sapienza avrebbero potuto portare la firma di Guttuso. Oppure – è un altro aspetto che la storica non considera nel breve articolo - che ne è della cancel culture, allora dominante? Allora nel 2017. Qualche anno luce fa. Il mondo va alle mode americane, ma poi le mode sono deperibili per definizione. Frequentando quotidianamente i quartieri Monteverde Nuovo e Garbatella, uno si meraviglia che le case popolari degli anni 1930 fossero, per quanto modeste, non fasciste, nel senso dello show off, migliori – costruzione, ambientazione, orientamento, assetto urbanistico (piazze, marciapiedi, aiuole…) - delle migliori residenze odierne.  

Ruth Ben-Ghiat, Why Are So Many Fascist Monuments Still Standing in Italy?, “The New Yorker”, 7 ottobre 2017