giovedì 15 maggio 2025
La dottrina Trump
La pace, con il commercio, è la “liberta dei moderni” – la guerra, con la schiavitù, era la “libertà degli antichi”. Il mondo moderno grazie al commercio, sull’esempio dell’Inghilterra, assicura la libertà e il benesere, abbandonando la schiavitù e la guerra. È dunque la dottrina liberale più famosa, e insuperata benché vecchia di due secoli, quella di Benjamin Constant, piccolo ma potente intellettuale acerrimo nemico di Napoleone e le sue guerre, la “dottrina Trump”, il programma politico del presidente americano.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (593)
Giuseppe Leuzzi
Omertà, secondo la Treccani, è “variante napol.
di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche
indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un
capo e a determinate leggi”. Secondo Ulderico Nisticò nelle vesti di filologo
viene “dal latino homo”, sì, ma “che nel linguaggio feudale indica il
vassallo armato di un signore”.
Codice di onore (obbedienza) o
di paura? Decismente, la mafia non sarebbe fatta per i filologi, neppure per
gli storici. Cui bono?
Sant’Eufemia, prima emigrante
dalla Calabria
Sant’Eufemia è santa diffusa
toponomasticamente in Calabria: Vetere, Lamezia, d’Aspromonte. Ma anche in Spagna:
dà il nome a un paese di un migliaio di abitanti, nella provincial di Cordoba, in
Andalusia, i cui abitanti si fanno chiamare “calabreses”. Ce n’è una anche in Argentina, ma opera
di toscani, due fratelli.
La santa è veramente di Calcedonia,
dei primi secoli del cristianesimo. Ma è di culto nella chiesa greca, e per questo
rinomata in Calabria – una Sant’Eufemia è anche in S alento.
Quella spagnola, “un caso
davero curioso”, è cocì spiegata da Ulderico Nisticò, “Controstoria delle
Calabrie”, p.204: “Fu ai tempi di
Ruggero II che una spedizione di calabresi partecipò alla guerra di Spagna contro
i Mori. È viva tradizione nel comune di Sant’Euf emia nella provincial di Cordova,
ritenere di essere discendenti di trentatré cavalieri calabresi, che combatterono
con il re Alfonso VII di Castiglia detto l’Imperatore (1127-56), e il cui grido
di guerra era «Sant’Eufenia!». Da allora gli abitanti sono detti calabresi, e
amano e usano questo appellativo anche per la squadra di calcio e i loghi delle
produzioni locali”.
Ruggero è R uggero II di Sicilia, ma nato a Mileto vicino Vibo Valentia,
dove il casato ristagnava da qualche decennio, guardando l’inoccupabile Sicilia.
Figlio e successore di Ruggero il Normanno, poi Ruggero I di Sicilia, dell’autoproclamata
dinastia degli Altavilla. Via via Gran Conte di Sicilia (dal 1105), duca di
Puglia (dal 1127) e primo re di Sicilia, dal 1130 al 1154, fondatore del
Regnum Siciliae - e per tale titolo anche re d’Africa.
Gli
Sforza nascono in Calabria
Le fortune degli Sforza nascono in Calabria – duro colpo
per il leghismo, se studiasse la storia. Ulderico Nisticò fa la sintesi delle
loro prime vicende in “Controstoria delle Calabrie”, p. 67. “Francesco Sforza,
figlio di Muzio Attendolo, ha avuto un passato calabrese, prima combattendo per
Alfonso I, il re di Napoli, e distrugendo Taverna (Vecchia), poi sposando Polissena
Ruffo di Montalto, ma quando questa morì senza figli, dovette lasciare il feudo.
Lo seguì nelle sue vicende, nelle Marche e a Milano, Cicco Simonetta da
Caccuri, che divenne primo ministro suo e del figlio Galeazzo e governatore del
ducato per Gian Galeazzo. Finché Ludovidco il Moro non lo fece uccidere. I suoi
eredi, fra cui il cardinale Giovanni, ebbero feudi e onori in Lombardia fino al
XVII secolo”.
Il finale è impreciso. Giovanni,
fratello di Francesco detto “Cicco”, si era trasferito anche lui (e con loro lo
zio Angelo) a Milano. Dove, alla morte di Francesco Sforza, redasse la
cosiddetta “Sforziade”, il commentario in latino in 31 libri, “Rerum Gestarum
Francisci Sfortiae Mediolanensium Ducis Commentarii”, la cronistoria del ducato
tra il 1442 e il 1466. Quando Cicco morì, nel 1480, Ludovico il Moro lo esiliò
a Vercelli, risparmiandogli la vita solo perché aveva celebrato suo padre.
Cardinale sarà Giacomo, il
figlio di Giovanni. Che fece carriera nello Stato pontificio, vescovo di Pesaro
e di Perugia, e poi cardinale, a opera del papa Paolo III Farnese. Di passata
fu anche vescovo di Lodi, carica che lasciò dopo poche settimane al nipote
Giovanni. Che diventerà anche lui cardinale – e ci sarà un Giovanni vescovo di
Lodi tra il 1538 e il 1556, un membro del Senato di Milano, nipote del Giovanni
cardinale.
C’è molto Caccuri nel governo
di Milano - a Caccuri sapevano leggere, scrivere in latino, e di legge.
Nel 1460, quando i Simonetta
erano ancora in forze a Milano, Giovanni fu fatto feudatario di Rocca di Neto e
Roccella da Ferdinando I d’Aragona, “don Ferrante”. Don Ferrante fra tutti era
succeduto al padre Ferdinando I sul trono di Napoli sostenuto da Francesco
Sforza. Insieme, don Ferrante e gli Sforza (Galeazzo, figlio e successore di
Francesco), intervennero nelle vicende fiorentine sconfiggendo le mire di signoria
di Bartolomeo Colleoni nelle vesti di protettore della Repubblica – quindi alleati
di fatto dei Medici.
Un’ultima collaborazione militare
decisiva per gli Sforza a Milano, tessuta da Cicco Simonetta, si ebbe nella Valle
Padana, nel 1484, per imporre a Venezia la pace di Bagnolo. Gian Galeazzo
Sforza aveva sposato Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, sucecduto a Napoli
a Ferdinando I, “don Ferrante”. Dieci anni dopo Luvdovico il Moro liquidava i
suoi calabresi e napoletani. E sponsorizzava Carlo VIII, la spedizione che inaugurò
lo smembramento dell’Italia sotto potenza straniera. Milano si vuole sempre
quinta colonna di qualcosa.
La Grecia prima
della Magna Grecia
C’è una presenza “micenea”,
uno scambio, con le appendici italiane più prossime alla Grecia secondo le
linee di navigazione aperte, allora come oggi per i migranti alal deriva, da
venti e correnti, partendo dal Mediterraneo Orientale, verso salento e Calabria,
da Roca Vecchia a Trebisacce (e a Nardodipace?), documentata da scambi (ceramiche,
monili, monete) e da mura ciclopiche – sul tipo dei nuraghi in Sardegna?
Non ci sono studi specifici.
Ma ci sono molte evidenze, occasionali, di scavi su altre tracce.
Vent’anni fa, poco meno, si poteva
registrare, su questo stesso sito:
“Tanti Tauri in Calabria, le
tombe di Otranto, un’Eraclea Minoa e altre pietre resistenti a Augusta in
Sicilia, bisognerà pure fare la storia dei micenei prima della Magna Grecia. A
Roca Vecchia sotto il famoso san Foca, il martire giardiniere patrono dei
marinai, si vede che i micenei erano in Italia settecento anni prima della
prima colonia della storia greca ora in disarmo, avendovi lasciato le loro
imitazioni povere delle piramidi. A Otranto, vecchia Idrusa, il signor De Donno
ne ha alcune nel suo campo di Torre Pinta, dove fa trattoria.
“I micenei, gente che vagava per i mari, al tempo degli egiziani e dei medi
persiani. Prima di sprofondare, da Creta e da ogni altra presenza in
terraferma, col gigantesco krakatoa che inghiottì Santorini. Presto mitizzati,
l’ingegner Dedalo e il figlio Icaro, l’accondiscendente Pasifae moglie del re
Minosse, la gentile Arianna, e i tori onnipotenti. Si potrà sempre dire: ecco
da dove viene il machismo del Sud”.
Non ci sonostati ritrovamenti
decisivi da allora – non sono cercati. Ma convegni sì, si susseguono.
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse” - 2
Sempre in prima
fila, e in armi, per il resto neghittosi, quando si tratta della Vera Fede. Nel
1799 contro i Giacobini di Napoli – contro i francesi di Napoleone in realtà. Qualche
anno dopo contro i napoleonici occupanti, che gli usi civici volevano
assimilare alla manomorta ecclesisatica, e un maschio ogni dieci pretendeano soldato.
Ma già nel secolo XII in Spagna contro i Mori, se un paese nel cordovano resiste
che si vule “calabrese”.
Nella sua “Controstoria
delle Calabrie” a un certo punto, pp. 88-89, il laico Ulderico Nisticò non si
trattiene dal celebrarne l’elogio – con ragioni forse non storiche, non vagliate,
come quelle di Galasso, ma persuasive: “Nel febbraio del seguente 1799 accadde
in Calabria un evento che, sebbene sia consuetudine della storiografia
ufficiale di ignorarlo o denigrarlo, appare epocale per il futuro della
politica dei secoli XIX e XX: il cardinale laico Fabrizio Ruffo, della gloriosa
famiglia, sbarcò segretamente presso Palmi, e nel volgere di pochi giorni formò
il primo esercito popolare della storia moderna, le Masse della Santa Fede.
“Ruffo percorse
rapidamente la via dello Jonio. Crotone, che resistette, subì il saccheggio. Le
masse giunsero in Puglia, e da lì a Napoli, compiendo il prodigio militare di tenere
unite e sostanzialmente disciplinate le sue improvvisate truppe.
“I Francesi lasciarono la capitale, dove i
repubblicani, per qualche ora davvero indipendenti, offrirono al forte di Vigliena
una resistenza valorosa, per quanto inutile. Ruffo offrì loro la resa, e l’esilio
in Francia. Ma, con l’inganno, l’inglese Nelson li catturò. Processati che furono,
un centinaio di loro subì la pena di morte. Secondo i più, per volontà della
regina Carolina. Ma si pensa anche a una faida tra la Massoneria francese e
quella inglese!
“La vicenda della Santa Fede,
gloriosa e tragica in sé, non ebbe alcun seguito se non nelle scontate
deprecazioni degli eredi dei giacobini, e per essi della storiografia
patriottica dell’Ottocento”. Ma anche la corte napoletana diffidò. La Calabria
non ne ebbe alcun beneficio. “E meno ancora il cardinale, frettolosamente messo
da parte; e quando, nel 1806, frettolosamente si rivolsero di nuovo a lui,
risponderà che certi miracoli avvengono una sola volta!”.
Di fatto, i “massisti” saranno centrali ancora, agli
ordini inglesi - nelle cui file si formarono anche due battaglioni regolari,
con divisa, mostrine e soldo - nella rivolta del 1806-1807 in Calabria contro
il governo francese di Napoli - tasse, usi civici, leva obbligatoria. Di cui nelle
vivaci lettere di Paul-Louis Courier, volontario napoleonico, che ogni poche
notti si vede morto - poi grecista, poi assassinato, cinquantenne, con un colpo
di fucile alla testa nei dintorni di Parigi. Furono di peso in particolare nel
giugno del 1806, nella battaglia “che i francesi chiamano di Sant’Eufemia e gli
inglesi di Maida”, al comando del generale americano lealista (fedele alla corona
d’Inghilterra) Stuart.
gleuzzi@antiit.eu
La Rai formula Bernabei
La formula dei
fratelli Bernabei, ossia “Don Matteo”. Sfondi amichevoli, colorati, pulitissimi,
invoglianti, da campagna turistica. Girando per regioni e città in cerca di promozione,
a pamamento. Quindi a costi ridotti. Per storie di buoni sentimenti – quelli che
emergono dalle cronache. Qui siamo in Puglia, a Trani e dintorni - le saline
spettacolari, anche se poco redditizie, sono di Margherita di Savoia, prossime
al passaggio gentrificatore, come lo Stagnone di Trapani.
La storia è
semplice: un caso criminale svolto, su eventi di attualità. Questa settimana il
traffico di neonati, per adozioni abusive, una sorta di utero in affitto. Il
personaggio curioso attorno a cui centrare la vicenda non è un prete né una
monaca, ma un rom, cresciuto in un orfanotrofio, forse orfano, forse abbandonato, quindi anche lui un anti-eroe.
Spettacolare
peraltro è che la Puglia sia riuscita, con i soli (pochi) capitali della Film Commission regionale, a rifarsi un’immagine in poco tempo, di
regione mite, accogliente, prosperosa, di ambienti protetti e glorificati. Sfuggendo
all’insidiosa tela di farne una (ennesima) regione di mafia.
Giuseppe Bonito, Gerri,
Rai 1, Raiplay
mercoledì 14 maggio 2025
La stanza vuota del golden power
Domani dunque i messi di Orcel hanno infine ottenuto udienza al
ministero del Tesoro sulla questione golden power opposta all’acquisizione
di Bpm. Vedranno Stefano di Stefano, che non conta nulla, non ha neanche nominato
i “giurati” del golden power, tutta gente della Lega, e della
questione ha letto, come tutti, sui giornali.
La questione è come dice il ministro Giorgetti: si è decisa a palazzo
Chigi. È qui infatti che ha sede l’apposito Ufficio golden power.
È diretto da Bernardo Argiolas, un avvocato cinquantenne, con un master dieci anni
fa alla Luiss, da cinque capo dell’Ufficio, nominato dal Conte I, per conto di
Salvini. Solo lui sa perché e per chi ha deciso quello che ha deciso – ha fatto
decidere all’apposito comitato, da lui creato e poi dismesso.
Di Stefano c’entra indirettamente: è l’interlocutore dell’attivazione Ue
sulla questione golden power, perché tiene per il Tesoro i rapporti con l’Unione
europea e gli altri organismi internazionali. E la Ue da qualche giorno mette
in guardia contro gli abusi del golden power. Ma non sul caso Unicredit-Bpm.
Si attiva su una bega tedesca-tedesca, nella quale un gruppo di private
equity, Triton Partners, si fa forte del golden power italiano.
Pur non avendo attività in Italia.
Il golden power Ue è per i carri armati tedeschi
È un’attenzione specifica, di interesse della Germania, e della Francia,
che muove Bruxelles sull’esercizio del golden power. Non le ops di Orcel
e Unicredit come si tende a dire – e come gli avvocati internazionalisti fanno
valere (ma Orcel ne sa evidentemente di più, che si tiene alle cose). Per una questione
insieme ridicola e terribilmente seria, come spesso a Bruxelles.
Il gruppo di armamenti franco-tedesco Knds (creato dalla tedesca Krauss-Maffei
Wegman e dalla francese Nexter) ha rilevato la società tedesca Renk, specializzata
in “sistemi di trasmissione per veicoli
militari” (cambi per carri armati), già suo fornitore. Un’azienda quotata un
anno fa, e triplicata di valore. Il gruppo finanziario Triton, titolare di una
quota del 18 per cento, si rifiuta di consegnare il pacchetto. Knuds ha fatto
causa a Triton, a Francoforte. E ha adito la Ue. Che subito si è inventata un’autorità
in via di costituzione sul golden power.
Da qui i primi divisamenti europei in materia. Generici, e genericamente
riferiti alla Commissione. Ma non c’è da dubitare che, la cosa interessando la
Germania e la Francia, Bruxelles si prenderà anche le competenze in materia di golden
power.
Di Stefano (v. sopra) c’entra perché Triton si difende dicendo: manca l’autorizzazione
del governo italiano, responsabile del controllo degli investimenti (si difende
in due modi, l’altra è che “le condizioni di chiusura dell’opzione non sono
state soddisfatte”). Renk non ha attività in Italia - giusto un rappresentante
commerciale. Ma si vede che al golden power leghista ci si appiglia
ormai per chiara fama.
Le disgrazie dell’innocenza
Minato è figlio di
una giovane vedova. Una madre single. Quindi, dicono a scuola la preside,
il vice-preside, i maestri, apprensiva e molto autocentrata. Quando il bambino
– qui nell e forme di un ragazzo - ha dei problemi, dice di avere “il cervello di
un maiale”, la madre protesta vivacemente, una, due, tre volte. Le “autorità”
scolastiche le vengono incontro, e costringono l’insegnante del bambino a professarsi
colpevole.
La madre poi scompare.
Segue la storia dell’insegnante. Un giovane al primo incarico, generoso e
estremamente attento. Gioioso anche e scherzoso. Infine insolentito,
allontanato, abbandonato, forse suicida.
Poi il bambino-ragazzo
ha una vita piena con una compagna di classe, molto più vispa e attiva di lui –
come avviene di fatto nella pubertà, tra le femmine in genere e i maschi. Piena
di avventure, in città e in campagna, a piedi, a nuoto e in bicicletta.
Un racconto
semplice e complesso. A suo modo, un film-verità, in quella sorta di neorealismo
che il cinema asiatico (giapponese, coreano) riprende da un decennio: delle
“gente” com’è, semplice, umile, inimportante, e complicata.
Miracolosa la capacità
di farlo durare due ore, senza colpi di scena, senza “bellezze”, senza
“verità”.
Hirokazu Kore’eda,
L’innocenza, Sky Cinema, Now
martedì 13 maggio 2025
Letture - 578
letterautore
Antifascismo - P. Battista
sul “Foglio” reperta vare bio wikipedia di giornalisti, di sinistra e di destra,
rifatte ponendo alla prima riga un nonno o un padre fascistissimo, cioè
repubblichino. Di chi la “manina”, si chiede? Battista opina per la sinistra
politica, genere Anpi. Ma potrebbe anche essere un nostalgico, che ricorda il fascismo
a chi lo ha rimosso – la fede nel fascismo, anche perdente. Il fascismo come ossessione
invece che come fatto strico.
Architettura
fascista –
“Non esiste” per i media, anche se vi ci s’imbatte a ogni passo, specie a Roma
e in Lombardia (Milano, Brescia, Piacenza…). Negli edifici e nell’urbanistica -
di cui la Repubblica è stata ed è singolarmente sprovvista, ognuno costruisce quello
che vuole dove vuole (si è perfino teorizzato l’abusivismo, quello “creativo”
non quello “di necessità”, della stanza in più). Gianni Biondillo pubblica un
libro, “La costruzione del potere”, in cui spiega, come da sottotitolo, “Perché
l’architettura fascista non esiste”. E intende forse “non esiste” alla romana:
non ce ne frega, facciamo che non c’è. Per poi fare lui stesso su “La Lettura”
una mappa dettagliata degli edifici, e della ristrutturazione urbanistica, edifici
compresi, di Milano. Dando alla città, va aggiunto, la fisonomia che solo
adesso, con i grattacieli, sta (forse) cambiando.
Confessione - Come racconto,
prima che come sacramento o testimonianza, nasce come si sa da sant’Agostino. E
ha dilagato ultimamente nella narrativa - un racconto o romanzo su due, si calcola,
è in forma memoir. E quasi sempre nella forma psicoanalitica. Di cui si
considera precursore Philip Roth, per “Portnoy’s Complaint”, 1969, che si rilancia
oggi con grande enfasi, e non Berto, “Il male oscuro”, pubblicato nel 1964,
anch’esso con grande successo – premio Viareggio e premio Campiello, record di
vendite, traduzioni immediate. Si privilegia cioè il racconto di psicoanalisi che
non è presa sul serio.
Latino – “«Il latino si
studia obbligatoriamente in tutte le scuole superiori del Nord-America»”,
poteva scrivere un secolo fa Filippo Virgilii: “«La storia romana è insegnata
in tutti gli istituti, e tale insegnamento rivaleggia, se non supera quello che
vien fatto nei ginnasi e nei licei italiani, perché nelle scuole americane la
classica storia di Roma antica è tradotta fedelmente da Tacito e da Cesare, da
Sallustio e da Tito Livio, mentre in Italia si ricorre troppo spesso e troppo ‘supinamente’
alle deformate (sic) traduzioni di Lipsia». Filippo Virgilii, “L’espansione
della cultura italiana, «Nuova Antologia», 1° dicembre 1928 (il brano è a p.
346); (né può essere errore di stampa, dato il senso di tutto il periodo! E il
Virgilii è professore di Università e ha fatto le scuole classiche!” (Gramsci,
“Gli intellettuali”)
Malaparte – “Lo strano è
che a sostenere il razzismo oggi (con l’Italia Barbara, L’Arcitaliano e lo
strapaesismo)”, riflette Gramsci in una delle note de “Gli intellettuali”, sul razzismo
in Italia, “sia Kurt Erich Suckert, nome evidentemente razzista e strapaesano”.
Ma Malaparte-Suckert non è il solo: “Ricordare durante la guerra Arturo
Foà e le sue esaltazioni della stirpe italica, altrettanto congruenti che nel
Suckert”. Arturo Foà, di Cuneo, “il poeta ebreo dimenticato” - morirà nel lager
di Auschwitz, nel 1944.
Roma – “Tutti
volevano stare a Roma”, Giancarlo Giammetti, 87 anni, socio e partner di
Valentino, serioso a Michele Masneri sul “Foglio” sabato: “Sa, era un periodo
non comprensibile oggi… Era un’epoca irripetibile. Che bello che era!” Ma anche
oggi, “è comunqe una città piacevole, meglio di New York, meglio di Parigi”.
Era romana negli anni 1960-1970 anche l’alta moda. Giammetti ricorda il
loro studio-laboratorio in via Gregoriana, allora la via della haute couture:
“Arrivava Marella Agnelli, arrivava Mia Acquarone, tutte le signore più importanti.
Davanti a noi c’erano gli atelier di Simonetta (un marchio in realtà, n.d.r.,
di Donna Simonetta Colonna Romano di Cesarò, già sposata Visconti, proprietaria
dell’intero palazzo), poi c’era Capucci, e poco distante Galitzine, e ancora Federico
Forquet, Fabiani, tutti bravissimi”.
Montale – Memorabile,
cioè citabile, lo vuole Lorenzo Tomasin sul “Sole 24 Ore Domenica”. Per una serie
di espressioni entrate nel linguaggio comune: : “Male di vivere”, “Ciò che non
siamo, ciò che non vogliamo”, “Pallido e assorto”, “Scabro ed essenziale”, “È
nato e morto, e non ha avuto un nome”, “la razza di chi rimane a terra”.
Sex worker - Gramsci era
violentemente contro: “Turati. Il discorso parlamentare sulle «salariate
dell'amore». Discorso disonorevole e abbietto. I tratti di «cattivo gusto» del
Turati sono numerosi nelle sue «poesie»” – l’annotazione è raccolta ne “Gli
intellettuali”, parte degli appunti finali sul “lorianesimo”.
Traduzione – Matteo
Codignola spiega su “La Lettura”, in una argomentata intervista con Cristina
Taglietti, la sua traduzione di Ph. Roth,
“Portnoy’s Complaint” - la terza, ogni editore, Bompiani, Einaudi e ora Adelphi,
avendone adottato una propria – con “l’idea… di restituire a Portnoy il suono
che aveva in origine”. Se non che, nelle pagine iniziali del romanzo, che il settimanale
pubblica in originale e nella traduzione di Codignola, l’originale ha un suono diverso
dall’italiano. “Conficcato” per “embedded”, “mi fiondavo” per “rush off”, “la
becchi” per “make it” sono traduzioni lecite, e aggiornate, sono la
terminologia dell’adolescente di oggi, ma non sono “Ph. Roth”. La patina fa parte
del linguaggio.
“Portnoy’s Complaint”, il titolo originale di Ph. Roth, nella riedizione
Adelphi è semplificato in “Portnoy”. Di “complaint”, lamenta Codignola, si danno
del resto quattro significati diversi: “una solenne lirica in onore di un amore
non corrisposto, o perduto; un certo disturbo della personalità; una citazione
in giudizio; e poi sì, la lagna dell’amico”. Ce ne sono di più, il “Roget’s
Thesaurus” ne repertoria un decina - tra essi forse il più appropriato “tormento”.
Wagner – “Wagner (cfr. l’Ecce homo di Nietzsche) sapeva ciò che
faceva affermando che la sua arte era l’espressione del genio tedesco,
invitando così tutta una razza ad applaudire se stessa nelle sue opere”
(Gramsci, “Quaderni del carcere”, 3 (XX) § (2)).
letterautore@antiit.eu
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Il mondo com'è,
Il mondo com'era,
Letture
Se il mondo va sulle nuvole
Lo scrittore e il
filosofo, studioso dei processi cognitivi, si confrontano indirettamente sula
stessa pagina sula funzione dell’intelligenza artificiale.
Lupo racconta di una
videorecensione su you tube del suo ultimo romanzo, “Storia d’amore e macchine
da scrivere”, totalmente inventata. Mettendo assieme spezzoni confusi di nomi,
situazioni, materiali, trame, che per lo più non c’entrano niente. Salvo poi
scoprire che Sandor Molnar, “ingegnere cibernetico in viaggio per l’Europa con una
Olivetti Lettera 22”, il personaggio del suo romanzo il cui nome ha creato mettendo
assieme due scrittori amati, Sandòr Marai e Ferenc Molnar, è un matematico, di
un Institute of Mechanics and Machinery. L’Intelligenza Artificiale ha bisogno di
imparare, e di non confondere i famosi fischi per fiaschi.
Casati spiega che
copie e falsi non sono una novità - dalla “Donazione di Costantino” in qua, la creazione
del potere pontificio, suppostamente del 323, anche nella storiografia più
accreditata. Però, ora, con con la rete
e il cloud, svanendo cioè il “pezzo di carta”, conclude che “per i nativi
digitali è molto più complesso avere a che fare con l’autenticità”. Con conseguenze
per la filologia ma anche, come si sa, per la vita pratica.
Giuseppe Lupo, Intelligenza?
Questa è menzogna
Roberto Casati, Quanti
dubbi oggi su cosa possa essere documento, “Il Sole 24 Ore Domenica” 11
maggio
lunedì 12 maggio 2025
Ombre - 774
“Intorno
ai 5 milioni di dollari” i finanziamenti sovietici annui al Pci, confessa a Gnoli su “Robinson” l’ex cassiere del Pci
Gianni Cervetti, un funzionario formato a Mosca, dal 1956 l 961. Apparentemente
candido. Poi c’erano le “merci”: pelli e oro. E gli “sfioramenti”, in Svizzera,
delle aziende italiane in affari con Mosca, specie di Eni e Italsider. Ma questo non si dice.
“Ringrazio
lui, o chi sta dietro a lui e che ha deciso di mandarmi qui nei paesi baltici”,
dice mons. George Gänswein, esiliato dal papa Francesco, sul “Corriere della
sera”. Terribile. Forse malizioso, ma quel “o chi sta dietro a lui”, italiano
imperfetto, apre un varco enorme sulle estemporaneità del papa defunto.
Il povero
papa Leone XIV anche lui si assolda nel fronte anti-Trump. L’Italia è ossessionata
da Trump. Non l’Italia, i media: non c’è America se non sotto forma di anti-Trump.
Anche nei media di destra.
Trump che
è in Italia il tycoon, anche in chi mostra di non sapere l’inglese. Anche
nei media di destra. Cosa che non è nei media americani, anche
dell’estrema sinistra. Strano ma non poi troppo, siamo sempre quella di Eco, una estrema provincia dell'impero.
L’intonazione
dell’“Ave Maria” all’annuncio dal balcone, la gita a Genazzano il giorno dopo
per la Madonna del Buon Consiglio (“dov’è oggi una festa della Madonna? andiamo”),
la preghiera a Santa Maria Maggiore, il “Salve Regina”, detto e cantato, alla
seconda apparizione al balcone. Con Gesù gridato nel motto e all’annuncio – “senza
di lui non siamo nulla”. È fede, quella di Leone XIV, di cristiano credente. Col
culto per la Madonna nel ricordo evidente della madre propria, non di furie
femministe. Leone XIV si è mostrato con veemenza tutto, e niente, stiamo qui a
chiederci se è contro Trump, e pro Francesco. Barbarie dei tempi, o dei media?
Sardonico
il ministro del Tesoro Giorgetti su Unicredit-Bpm: “Ha deciso il consiglio dei
ministri”. Non il suo comitatino di ragionieri di partito. Parla anche di
Bper-Popolare Sondrio: “Pds ha una valenza locale” – di una banca che ha 35 sportelli
a Roma, 34 a Milano, e 7 a Sondrio. Per non parlare della sua Ops, tramite
Monte dei Paschi, su mezza finanza milanese.
È anche
vero che nessuno glielo chiede.
Si leggono
con tristezza le cronache conniventi di Giorgetti in ogni giornale. Di uno che,
con ogni evidenza, mira a un credito politicizzato: Bpm autonoma sotto la
sua ferula, ora al ministero, domani al partito, e il progetto Mps-Mediobanca-Generali,
di una banca semifallita, a spese comunque di 50 o 100 mila risparmiatori, che si
compra Mediobanca e Generali. Una cosa scandalosa.
Stupidità
non è.
Si vede
al Foro Italico per Sinner l’Italia che non si vede, non nel quartiere, per le
strade, sui media, e che fa l’Italia.
Tutta carota, parrucche, occhiali, magliette, scarpe, calzettoni, calzoncini. E fanatismo.
Prima e fuori del match, che è un allenamento. Osannante per l’Italia,
poco sapendo di tennis. Nella forma di un ragazzo tirolese – della Val Pusteria,
poi. Educato, certo.
Agghiacciante.
“I leader
europei pongono le basi per un tribunale speciale per giudicare Putin”. L’Europa
alla frutta? Tribunale speciale? Putin? Si sapeva – si dovrebbe – che
affidandosi a baltici e slavi l’Europa sarebbe finita male. Ora esagerano, ma
la gente nemmeno se ne accorge.
Si vede e
si ammira – in Italia – l’Europa sotto le specie di Macron. Che ha ridotto male
la Francia. Senza politica. Una destra invadente. E un debito pubblico
schizzato, sotto la sua guida da ex ministro dell’Economia, nei sette-otto anni
di suo governo, dal 97 al 120 per cento del pil - e al 2,2 per cento al servizio del debito. Di che soffocare la Francia - come già avviene da tre decenni per l'Italia.
La pace, enunciata
dal nuovo papa come prima parola della sua presentazione, viene subito “ridotta”
all’Ucraina e a Gaza. Ma il papa agostiniano ne sa di più: sant’Agostino è quello
della “guerra giusta”, e anzi uno che sa che la guerra è tra noi, come il peccato
– per colpa del peccato.
La sua
pace è quella nel Cristo, ma chi sa, chi ascolta?
La chiesa
come “arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina
le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue
strutture e per la grandiosità delle sue costruzioni, come i monumenti in cui ci
troviamo”, quanto “attraverso la santità dei suoi membri”.
È strano
che ci voglia un papa nuovo, e dall’aria dimessa, non invadente, a dire la
verità della cosa.
Alberto
Melloni è storico “informato” della chiesa – sa tutto dei concili, p.es.,
almeno fino a quando ne faceva parte il cardinale Martini. Ma ora è orfano di papa
Bergoglio. Scrive sul “Corriere della sera” che il nuovo papa è bergogliano,
anche più di Bergoglio, proprio così, a partire dal nome, “facendosi chiamare
Leone, come l’amico di san Francesco”. Qui si capisce che in effetti ci deve essere
lo Spirito Santo, se i cardinali sono andati oltre lo storico.
Elio
Germano ha l’Oscar italiano per “Berlinguer, la grande ambizione”, e nessuno
dice niente. Gifuni, Orlando, Tommaso Ragno, gli altri candidati?
Lui,
furbo, chiude il vaso aprendo una polemica col ministro – vecchia scuola Pci,
la diversione, i compagni sono creduli.
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C’è del metodo nella follia artificiale
“Se a un aumento
della produttività non si accompagna una riduzione dell’orario di lavoro si
crea disoccupazione, su questo dovremo vigilare. Un altro problema sarà il rapporto
con i testi scritti e vedo un impatto sul mondo dell’informazione: se le
persone si accontentano dei riassunti fatti dall’intelligenza artificiale delle
notizie pubblicate sui giornali, chi si abbonerà più ai giornali? Ma se i
giornali chiudono, cosa riassumerà l’intelligenza artificiale?...
“L’intelligenza
artificiale non può inventare il futuro. Ha la conoscenza di tutto quello che
ha scritto l’umanità e lo ricombina. Anche la nostra creatività mette assieme
tutto quello che abbiamo letto, imparato, sentito, provato e vissuto e da lì
genera delle idee. Però il futuro non si crea tirando a indovinare ma cercando
di combinare l’esperienza con un’idea di mondo. Che i chatbot non hanno…
“È evidente che le
macchine fanno qualcosa di diverso (dal pensare, n.d.c.) anche se, come dice
Amleto, c’è del metodo nella loro pazzia. Però fanno cose completamente
coerenti e in qualche caso ci aiutano tantissimo. Ad esempio le traduzioni sono
diventate molto buone, a volte migliori di quelle fatte da un essere umano. Io
l’ho usata per controllare la qualità della traduzione di un mio libro in
cinese e ho scoperto delle inesattezze dei traduttori umani….
“Mi ha molto
impressionato una cosa: avevo scritto delle formule a mano nella mia cattiva
calligrafia e l’intelligenza artificiale non solo me l’ha lette, le ha messe in
ordine in un formato matematico e ha aggiunto i commenti giusti fra una formula
e l’altra. Proprio un bravo pappagallo!”
Giorgio Parisi, AI non è una battaglia persa, si può recuperare il ritardo, corriere.it
domenica 11 maggio 2025
La messa non è più occidentale
Messe, battesimi, matrimoni, funerali sono sempre meno “bianchi”, meno “occidentali”:
non ci sono più preti. Non per nulla il primo messaggio del papa Leone XIV è un
appello alle vocazioni.
Stando all’Annuario statistico della Chiesa nel 2013, al tempo della transizione
tra papa Ratzinger e paga Bergoglio, era europeo il 44 per cento dei circa 415
mila parroci nel mondo, con in più un 12 per cento nordamericano - l’“Occidente”
faceva il 56 per cento dei preti diocesani. Dieci anni dopo si è ridotto il totale,
a 407 mila. Ma per effetto della riduzione del numero dei sacerdoti in “Occidente”:
l’Europa contava per il 38 per cento del totale, il Nord America per il 12 – ancora la
metà, ma in calo. Gli asiatici passano nel decennio dal 15 al 18 per cento del
totale. Gli africani dal 10 al 13 per cento.
Confrontano le statistiche col 2005, l’anno dell’elezione di papa
Ratzinger, l’Europa contava per il 48 per cento dei preti diocesani, e il Nord
America per il 13. L’Asia pesava per il 12 per cento, l’Africa per l’8.
In meno di vent’anni, quindi, c’è stato un sorpasso nelle vocazioni: ora
la metà dei preti proviene dalle aree non “occidentali”, non “bianche”. Il peso
dell’Europa è diminuito di 10 punti, quello del Nord America di 3. L’Asia aumenta
di 6 punti, l’Africa di 5.
Notevole anche il balzo dell’America “latina”, centro e sud America: cresce
di soli 3 punti, ma si approssima al 19 per cento, poco meno di un prete su
cinque, al secondo posto dopo l’Europa.
È un altro conclave
Senza colpa, probabilmente, ma il cardinale Parolin è ridotto a
controfigura del suo pari grado Bellini nel romanzo-film “Conclave”: il segretario
di Stato favorito che perde voti a ogni votazione. Lui stesso si considera
tale, scrivendo oggi al giornale del suo paese, il “Giornale di Vicenza”, e
quindi prosit. Mentre il conclave vero, quello come lo ha voluto il papa Bergoglio,
che ha proceduto all’elezione del suo successore, è stato molto diverso. Per lo
svolgimento non è dato sapere, ma per la composizione sì.
Nel penultimo conclave, 2013, erano “occidentali”, europei e nordamericani,
il 65 per cento dei cardinali, due elettori su tre. In quello appena concluso
la quota era scesa a uno su due, il 50 per cento. È stata questa la maggiore “rivoluzione”
di Bergoglio – quella di maggiore impatto.
Insieme a un’altra a cui non si fa caso, ed è forse di impatto ancora maggiore:
sono escluse dal conclave alcune delle diocesi più grandi e di maggiore
tradizione: Milano, Venezia e Genova in Italia, Parigi, Madrid, Los Angeles.
Non è cardinale, a proposito di “papa americano”, neppure il presidente della
Conferenza episcopale Usa, Timothy Broglio.
Molti cardinali elettori sono – sono stati – vescovi di piccole comunità,
nominati per scelta personale, anche se di rappresentanza ridotta.
Perché non la cancel culture del fascismo
La domanda non è
nuova e la risposta non c’è. Perché non ci può essere. Non tanto per i “monumenti”,
quanto per l’urbanistica, che l’autrice non considera, ma che nel ventennio, a
inziativa del regime o per maturazione di progetti precedenti, ha cambiato moto
degli assetti urbani – p.es., visibilissmo oggi, e “provvidenziale”, il
riassetto dei “borghi” vaticani.
Storica contemporaneista,
specialista di storia italiana, californiana con cattedra di Storia e Studi Italiani
alla New York University, Ruth Ben-Ghiat connette la “continuità” delle opere del
regime al neofascismo. Che risente specialmente acuto (“vivevo a Roma nel 1994
e venivo svegliata regolarmente da urla «Heil Hitler!» e «Viva il Duce» dal vicino
pub” – saranno stati “laziali”, che sfogano la rabbia di non vincere in campo?).
E la “continuità” addebita a Berlusconi: “L’Italia, il primo Stato fascista, ha
avuto un lungo rapporto con la politica di estrema destra”. Intende: l’Italia
repubblicana, che era stata il primo Stato fascista, ha avuto…. E continua: “Con
l’elezione di Berlusconi nel 1994 il Paese è diventato anche il primo a portare
un partito neo-fascista al potere”. Capovolgendo - ma non è la sola – il giudizio
storico sui leader democratici, di cui si misura l’abilità nei confronti dei
movimenti eversivi se e in quanto hanno saputo disinnescarli, portarli nell’alveo
costituzionale (es. classico Giolitti e i socialisti).
E ce n’è anche per
Matteo Renzi. “Nel 2014 il primo ministro di centro-sinistra (ma l’Italia non ha
un primo ministro, ha un presidente del consiglio (che non conta nulla giuridicamente,
costituzionalmente: può solo dimettersi, n.d.r.) annunciava la candidatura di Roma
all’Olimpiade 2024 dentro il complesso ora denominato Foro Italico stando davanti
all’«Apoteosi del fascismo», un affresco che fu coperto dagli Alleati nel 1944 perché
dipinge il Duce in figura divina”. Un affresco in effetti contestabile, anche
dal punto di vista estetico. Coperto a lungo da una tenda blu, poi da un panno verde,
fu fatto restaurare dal Coni di Mario Pescante dopo 53 anni, nel 1997 - su
sollecitazione del sovrintendente ai Beni Architettonici e Ambientali, l’arch. Francesco
Zurli.
Ma questo è un problema
marginale nella trattazione. La defascistizzazione la storica giustamente trova
limitata a quanto programmato dalla Commissione di Controllo Alleata, la quale (nel
1944, n. d.r.) “raccomandava che solo monumenti e decorazioni più dichiaratamente
fascisti e «inestetici», come i busti di Mussolini, fossero distrutti”. Sul resto,
specie le architetture di uso quotidiano, ministeri, palazzi di giustizia, palazzi
di civile abitazione, musei, cala il velo della disattenzione – sono luoghi
come altri.
Un articolo breve,
quasi una provocazione a un dibattito - che poi ha avuto luogo online, su altre piattaforme. Un aspetto la storica politica non considera
ed è quello delle estetiche, che, specie nelle arti figurative, proliferano in
Italia tra le due guerre. In architettura e, di più, nella pittura e in musica. Per
effetto della provocazione futurista. Con continuità nel dopoguerra, e sotto bandiere democratiche: i larghi affreschi di Sironi alla Sapienza avrebbero potuto
portare la firma di Guttuso. Oppure – è un altro aspetto che la storica non
considera nel breve articolo - che ne è della cancel culture, allora dominante? Allora nel 2017. Qualche anno luce fa. Il mondo va alle mode americane, ma poi le mode sono deperibili per definizione.
Frequentando quotidianamente i quartieri Monteverde Nuovo e Garbatella, uno si
meraviglia che le case popolari degli anni 1930 fossero, per quanto modeste, non fasciste, nel senso dello show off, migliori – costruzione,
ambientazione, orientamento, assetto urbanistico (piazze, marciapiedi, aiuole…) -
delle migliori residenze odierne.
Ruth Ben-Ghiat, Why Are So Many Fascist Monuments Still Standing in Italy?, “The New Yorker”, 7 ottobre 2017
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