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sabato 5 luglio 2025

Letture - 583

letterautore


Boezio
– Rischiò di fare il Medioevo “europeo”, nel senso oggi del termine, culturalmente unito. È il guizzo che Boitani si prospetta rileggendo la riedizione di un vecchio libro di Sonia Gentili, “L’idea di poesia nel Medioevo”: “Chissà quale sarebbe stata l’idea della poesia nel Medioevo, se quel Medioevo fosse stato anche latino, romanzo, bizantino, germanico, inglese, scandinavo, slavo”. Cioè “volgare”, popolare? E con la poesia anche la comunicazione – il linguaggio comune, quello politico.
Boezio come quello che mediò il pensiero antico (aulico) con la sensibilità e i linguaggi cristiani (popolari).
 
Correlativo oggettivo – La poetica teorizzata da T.S. Eliot nel saggio “Hamlet and his problems”, del 1919, pubblicato l’anno dopo nella raccolta “Il bosco sacro”: “La sola maniera di esprimere l’emozione nella forma dell’arte sta nel trovare una «oggettività correlativa»” - da qui il “correlativo oggettivo”: “In altre parole, un insieme di oggetti, una situazione, una catena di eventi, che rappresenta la formula di quella particolare emozione; in modo tale che, quando vengano forniti i fatti esterni, che devono culminare in un’esperienza sensoriale, l’emozione è   immediatamente evocata”.
Una forma forse nell’aria del tempo, poiché ci si era mossa la “poetica dell’oggetto” di Pascoli, Gozzano, Sbarbaro - e poi Montale (1925).
A proposito di Montale è discusso se fosse a conoscenza di Eliot. Se non del saggio specifico, della sua poetica, che dall’ottobre 1922 diffondeva attraverso una sua rivista subito famosa, “The Criterion”. Montale disse di no. Ma dubbi sono stati avanzati perché nel 1928, quando Montale era ancora un debuttante in Italia, T.S .Eliot pubblicò su “The Criterion” una sua poesia, “Arsenio”.
 
Più importante, per la poetica sua e in generale, è la notazione che T.S.Eliot porterebbe così in estetica il concetto psicoanalitico di “inconscio collettivo”, che Jung aveva teorizzato qualche anno prima nella “Struttura dell’inconscio” . tradotto in inglese nel 2016: l’insieme di miti, credenze, attitudini e abitudini, mentali e non, che l’uomo si trova a possedere “per natura”, strutturati in archetipi comuni – una sorta di “libreria universale della conoscenza umana”.

Europa – Per i russi è la Germania – il cuore dell’Europa? Lo è per Nabokov,neo professore di letteratura in America nel 1952,  nelle “Lezioni sul Don Chisciotte”, il primo insegnamento al quale fu chiamato in America, nel 1952 - una decina d’anni dopo esserci arrivato, ma nella prestigiosa Harvard. Un incarico al quale si preparò con molta cura. Fra le tante osservazioni generali inserendo: “La grande letteratura del passato sembra essere nata nelle periferie d’Europa, al limitare del mondo conosciuto”. E queste “periferie” elenca nell’ordine: Grecia, Italia, Inghilterra, Spagna.
 
Femminicidi - “La quasi totalità degli omicidi è commessa da maschi”, Gianrico Carofiglio, “L’orizzonte della notte”, 66.
 
Nomi – Si legano ai luoghi, anche quelli di persona. Michelangelo Antonioni, spiega la nipote Elisabetta sul “Corriere della sera”, progettava “il catalogo dei nomi strani di Ferrara. Sì, i nomi propri delle persone. I ferraresi non amavano molto la chiesa”, e davano a fogli i nomi più strani - come oggi i ricchi e potenti, Elon Musk, John Elkann, Leone Mosé, Oceano Noah, Vita Talita, Arcadia, Lycurgus, Nevada, Kai, X AE A.12…. Non solo i ferraresi, gli emiliani in genere, e i romagnoli, si sono dati a lungo nomi speciali – e il catalogo è stato fatto: Agrifoglio, Alchermese, Anisetta. Antenato, Armistizio, Avvenente, Bianco (Del Monte)…, e Circoncisa. Una forma di liberazione?
 
Poesia – Quella moderna è frammentaria (Petrarca) - è la constatazione di Piero Boitani sul “Sole 24 Ore Domenica” - dopo la frattura con la filosofa, oppure realista (Dante. Boccaccio): “Se l’affermazione della filosofia coincide con la negazione della poesia, delle passioni….. cosa potrà fare l’autore di un canzoniere italiano come Guittone o Petrarca? Dovrà separare definitivamente l’unità degli opposti e inanellare frammenti, come fa Petrarca  («Rerum Vulgarium Fragmenta» è il titolo del «Canzoniere»), oppure virare decisamente verso un altro tipo di mimesis quella più intenzionalmente realistica, come fanno, in parte, Cavalcanti e, con maggiore determinazione, Dante e Boccaccio”. Semplice – semplicistico?
 
Romanzo – È Sette-Ottocentesco? È ancora l’opinione, asseverata, di Magris, in “Mondo, romanzo” (o “La letteratura è la mia vendetta”), in dialogo con Vargas Llosa sul romanzo: “Il romanzo è il mondo moderno. Non solo non potrebbe esistere senza di esso, come un’onda  senza il mare, ma per alcuni aspetti s’identifica con esso, ne è la mutevole espressione, come lo sguardo o la piega di una bocca  sono l’espressione di un viso”. Ma miglior romanzo di quelli di Omero? Di Virgilio, di Cesare volendo – affabulatore più che  condottiero, basta vedere come è finito. E perché si legge ancora Cicerone, anche se era bugiardo (un avvocato)?
 
Statue – La “Venere dei Medici” – quella in copia di Canova - innamorò Ugo Foscolo, che ne scrisse (Silvano Brandi lo cita lungamente sul “Corriere Fiorentino” giovedì): “Io dunque ho visitata, e rivisitata, amoreggiata, e baciata, e, ma che nessuno il risappia, ho anche una volta accarezzata, questa Venere nuova…. Se la Venere dei Medici è bellissima dea, questa ch’io guardo e riguardo è bellissima donna: l’una mi faceva sperare il paradiso fuor di questo mondo, e questa mi lusinga del paradiso anche in questa valle di lacrime”.
 
Gaetano Tumiati – Autore di un premio Campiello, uno dei primi, 1974, “Il busto di gesso”, lo ricorda solo Elisabetta Antonioni, la nipote  di Michelangelo, come grande amico dello zio. Che a un certo punto “s’innamorò della sorella di Tumiati. Voleva sposarla. Era innamorato perso”. Ma ebbe un rifiuto spiccio dal padre di lei: “Non hai né arte né parte”. Michelangelo se ne risentì, “ma con Tumiati rimasero amici e continuarono frequentarsi”- con lui e con Giorgio Bassani, tre coetanei,  amici.
Gaetano Tumiati, detto “Gae”, ufficiale in guerra, fu fatto prigioniero in Libia e confinato negli Stati Uniti nel campo di Hereford, con Berto, Dante Troisi, Alberto Burri e Ervardo Fioravanti.  Un nome dimenticato, ma scrisse molto, fu fratello di Roseda, premio Bagutta, e nipote di tre zii, fratelli del padre, tutti “senza arte né parte”: Gualtiero attore e regista, di teatro e di cinema, Domenico scrittore e drammaturgo, e il più noto Corrado, psichiatra, che dell’esperienza di medico nella grande diede testimonianza che ancora si fa leggere, “Zaino di sanità”, benché rarità bibliografica, nel 1931 premio Viareggio (il secondo premiato, il primo era stato Lorenzo Viani, altro dimenticato) con l’esperienza ospedaliera, “I tetti rossi. Ricordi di manicomio”.
 
Vecchiaia – “Un tipico segno dell’età che avanza è pensare sempre più spesso ai presunti, tipici segni dell’età che avanza”, G. Carofiglio, “L’orizzonte della notte”, 67.
 
Viaggio – “I veri viaggiatori partono per partire… i loro desideri hanno la forma delle nuvole”, Baudelaire, “Il viaggio”.
Però: “Com’è grande il mondo al lume della lampade!\ Com’è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!” - quello del ragazzo “amante delle mappe e delle stampe” e quello dell’esperienza.

letterautore@antiit.eu

Solitudine da cani

Una vecchia fidanzata del Marlowe di Roversi, il giornalista hacker - e collaboratore (onorato) di polizia  - Enrico Radeschi, faceva la escort. Ma lui lo sa solo ora che è stata uccisa.
L’assassino è chi sapere voi, senza leggere (il “dettaglio” rivelatore non c’è - il whodunit non funziona, è acceso ma solo per il rigaggio): siamo nell’età dei diritti, per le ragioni sessuali da età dei diritti.
Un noir - la suspense c’è, ma soprattutto c’è la violenza. O, meglio e di più, un omaggio all’amatissimo Rimbaud, appena deceduto – dopo Buck, sembra di capire, il precedente amatissimo amico dell
uomo. Sveltamente, come si vuole la narrazione “milanese”, con caratterizzazioni giusto abbozzate, di stereotipi - Radeschi è chi sapete voi, anche i nomi si vogliono pop.

Paolo Roversi, L’ombra della solitudine, Feltrinelli-Marsilio, pp. 223 € 5,95

venerdì 4 luglio 2025

Se non c’è scandalo non c’è giustizia

Non si dice dell’intervento del Massimario della Cassazione sui decreti Sicurezza e Albania che esso ha tracimato dalle sue competenze. Che sono elencate una per una. E sono la sintesi con spiegazione delle sentenze, “e solo molto limitatamente, e solo a scopo di segnalazione, delle novità legislative”. Lo dice solo Sabino Cassese, il decano dei giurisperiti italiani, di autorevolezza indiscussa. Ma può dirlo solo nel foro - ristretto - dei quotidiani “QN”, intervistato da Raffaele Marmo, non sul “Corriere della sera”, o sul “Sole 24 Ore”, di cui è collaboratore continuo. 
Un’attività, questa della “massimazione”, cioè della “sintesi del contenuto prescrittivo delle sentenze”, che è “apprezzata da coloro che non leggono le sentenze e molto criticata dagli osservatori stranieri dei nostri usi giurisprudenziali”.
Si capisce  però che Cassese non abbia spazio nei grandi giornali di cui è collaboratore: senza “scontro della giustizia” come si riempie il giornale? Cassese è infatti molo critico – sempre limitatamente al ristretto pubblico della “Nazione” - su questi scontri: “Quello che viene chiamato scontro sulla giustizia deriva da un ristretto numero di magistrati militanti, che, grazie all’organizzazione correntizia,  si sono trasformati in una sorta di agitatori permanenti”. Per dimenticare “il problema fondamentale della giustizia in Italia, che è quello del grande ritardo, della scarsa produttività  e dell’altissimo numero di procedimenti pendenti”.

Se la sinistra va a destra, e viceversa

Riprendendo il libro organizzato da De Masi per riporlo, a distanza di due anni, e col governo stabilizzato a destra, si scopre l’evidenza – più che evidente dopo i referendum di un mese fa: che l’ultimo decennio ha visto la sinistra a destra e la destra a sinistra. Sui tempi più discussi: il lavoro, l’immigrazione, la giustizia, la Pubblica Amminstrazione.
Fra i referendum del 7-8 giugno non sono passati quelli promossi dalla Cgil, con “oltre” quattro milioni di firme, il solito unanimismo ex Pci, per il mancato raggiungimento del quorum. Ci sta, nulla di scandaloso. Ma è stato proprio bocciato, col voto più che con l’assenteismo, il referendum che si pensava più condiviso-sibile a sinistra, il dimezzamento degli anni di residenza in Italia per ottenerne la cittadinanza. Proposto dalla sinistra non ex Pci (socialisti, radicali e Rifondazione), con “sole” 637 mila firme.
È, era stata, di sinistra l’abolizione dell’articolo 18 sul lavoro, che continua a dividere la sinistra: molti dei votanti al referendum del 7 giugno per la reintroduzione  si sono espressi contro.
Si prenda il “dialogo” in Libia con i mercanti di migranti. Senza peraltro disinnescare i viaggi della morte, con centinaia di morti ogni anno, e qualche anno anche migliaia. Oltre alle esazioni e perfino alle torture inflitte in Africa ai migranti. È – è stato – di sinistra il tentativo otto anni fa di un accordo con i mercanti di migranti in Libia. Mentre si fa sempre un caso di sinistra l’opposizione in tribunale, necessariamente sporadica, all’espulsione di questo o quel migrante. Ma solo in Italia. Per la giustizia politica, che è sempre di destra, ma di cui la sinistra in Italia si fa scudo.
Come del resto oggi, che si fa grande caso della Corte Costituzionale in tema di Cpr, centri di permanenza rimpatri, da regolare per legge: i Cpr sono stati istituiti da un governo di sinistra nel 1998, dai ministri Pds Turco e Napolitano. Del resto, prima e con più durezza in Europa la lotta al mercato dei migranti si è fatta e si fa, in Danimarca e in Gran Bretagna, da governi socialisti – e anche in Spagna, che non si dice, ma gli sbarchi alle Canarie, come Lampedusa sbocco privilegiato dei mercanti di braccia, sono crollati.
È invece di destra il primo abbozzo di politica europea per il Mediterraneo e di politica Africana. Ed  è comunque operante un piano, sempre di destra, di cooperazione in Africa, per la formazione, il lavoro, l’immigrazione regolare. E così via - è stata di sinistra la residenza fiscale privilegiata ai supermilionari.
L’idea del compianto De Masi sembra insomma avere funzionato anche al contrario. Almeno per come la esprimeva nel risvolto: “metodi più radicali”. Non è successo, si va per accomodamenti. E semmai è il governo di destra che fa le cose con più radicalità.
Dialoghi su “Dio, Patria, Famiglia” e “Libertà, Uguaglianza, Felicità” De Masi proponeva come discriminanti, gruppi di valori sottintendendo, classicamente, come di destra e di sinistra. Salvo trovare nella stessa sua raccolta molti interventi “per la sinistra” (Cacciari, Marramao, Cardini, la stessa Grazia Francescato con le sue tassonomie di sinistra) dissenzienti, o “ di destra”.
Che cos’è sinistra lo specifica De Masi, solo lui, alla fine, p. 180, ma non si può riassumere, non basta una pagina – è tutto il bello-e-buono.
Domenico De Masi (a cura di), Destra e  sinistra, Paperfirst, pp. 206 € 16

giovedì 3 luglio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (597)

Giuseppe Leuzzi
 
L’anticipazione del libro “Giancarlo Siani. Terra nemica”, sull’assassinio quarant’anni fa di Siani a opera del clan di camorra Nuvoletta, scritto da Pietro Perrone, “collega di Siani al «Mattino»”, termina con questa accusa: “Il giorno prima (prima dell’articolo rivelatore di Siani su Nuvoletta, n.d.r.) lo stesso giornale su cui scrive Giancarlo ha fornito una versione…. distante dalla realtà, frutto di una «velina» dei carabinieri, funzionale a chi ha interesse a proteggere i Nuvoletta e il sistema di potere che si muove intorno a loro”. Da non credere.
 
Cetraro, uno dei paesi più civili della Calabria e forse d’Italia, da tempo nella parte sinistra delle località più accoglienti, subisce in dieci giorni un omicidio, e l’incendio di dieci automezzi specialmente furgonati, per la raccolta dei rifiuti, di Ecologia Oggi, l’azienda della raccolta differenziata. Si sa per quale motivo e chi è stato.Ma non succede nulla. Niente arresti, niente nemmeno indagini. Giusto un appello di Giancarlo Costabile, che insegna Pedagogia dell’Antimafia all’università della Calabria: “I cittadini non facciano finta di niente”. I cittadini? Si vede che l’antimafia ha un’altra pedagogia.


“Un aitante Napoleone ventiseienne  nel luglio 1796 arrivò a Firenze dalla città di Livorno che aveva appena occupato”, racconta oggi sul “Corriere fiorentino” Silvano Brandi. Ne farà un Regno di Etruria - in attesa di farne di nuovo un granducato, per la sorella minore Elisa, sposata Baciocchi, il  nobile corso, capitano della  riserva, già domina  in Toscana, principessa di Lucca e Piombino, poi duchessa di Massa e principessa di Carrara. A Firenze, dopo una pacca al granduca Ferdinando III di Lorena, visitò in pochi minuti le opere d’arte, Accademia, Uffizi, logge, chiese, rimanendo folgorato dalla Venere dei Medici. ”Il direttore degli Uffizi dell’epoca, Tommaso Puccini,  capì” che la Venere aveva ingolosito il giovanotto. E nel settembre 1800, “avvicinandosi le truppe francesi a Firenze, ne predispose il trasferimento a Palermo, assieme a 75 casse con le principali opere più a rischio (di furto, n.d.r.), per affidarle alle cure dei Borboni di Napoli”. La liberazione dell’Italia ha aspetti sorprendenti.

Ps. Due anni dopo un commando francese rubò la Venere dei Medici a Palermo e la portò al Louvre, già prontamente ribattezzato Musée Napoléon, affiancandola alla Venere Capitolina, rubata a Roma già nel 1797. Entrambe le statue saranno restituite dopo il Congresso di Vienna, con la mediazione di Canova.

I luoghi sono dell’anima
Elisabetta  Antonioni, nipote di Michelangelo, figlia del fratello maggiore Carlo Alberto, nella breve ma succosa intervista, più densa di una biografia,  con Amelia  Esposito sul “Corriere della sera” di lunedì 30 giugno, alla domanda “Era legato alla sua città?”, Ferrara, risponde: “Profondamente. Diceva che chi perde la propria città le perde tutte”.
E spiega: “Ferrara c’è sempre nei suoi film”. Forse anche a sua insaputa: “C’è anche quando non c’è. Con le atmosfere e con i particolari che chi non è ferrarese non può cogliere. Nel documentario “Chung Kuo, China” (il film del 1972, commissionato ad Antonioni dal presidente cinese Mao Tse-Tung per celebrare la Cina durante la “rivoluzione cilturale”, la grande utopia egualitaria presto degenerata in violenze e sopraffazioni, n.d.r.), a un certo punto si vede un muro di mattoni rossi con una bici da uomo appoggiata. I nostri muri, le nostre biciclette. Quell’immagine su cui la telecamera indugia è un richiamo a Ferrara”.
 
La mafia delle mafie immigrati
Ci sono, attive in Italia e altrove in Europa, delle mafie terribili, all’opera almeno da une ventina d’anni, sulla pelle degli immigrati, radicate in Turchia, Libia e Tunisia, responsabili di migliaia di morti, ogni anno, in mare, nonché di vessazioni, fino alla torura, espropri, furti, note a tutti, e non perseguite. Anzi blandite, dalle ong, dalle sinistre politiche, anche dai nunzi apostolici, che pure tutto hanno sempre saputo e sanno di questo turpe commercio. Perfino protette da molti giudici italiani, a fini di carriera politica. Sembra assurdo, lo è, ma nulla si fa contro - solo un governo di destra si è mosso contro queste mafie.
Le vittime sono da catastrofe: 30 mila migranti morti nel Mediteraneo nel millennio. Esattamente 31.184. Solo nel 2024 sono stati 2.279. Il picco ci fu nel 2016, le vittime contate quell’anno (molte altre non sono ripescate) sono state 5.136. Colpa del governo del’epoca? Negli ultimi dieci anni almeno 20.803 persone. Di cui circa 3.500 minorenni. O contegginadole secondo altri parametri: sono almeno 20.740 i migranti morti nel Mediteraneo centrale (cioè dalla Libia all’Italia, n.d.r.) dal 18 aprile 2015 al 17 aprile 2025.
Cifre tutte da capogiro, terrificanti. A opera di capibanda e personaggi noti e attivi – nemmeno latitanti, nessuno li ricerca (il solo Almasri è finito in cella, per un disguido burocratico, subito liberato con volo di Stato). Di questa carneficina mafiosa si fa solo speculazione politica. Destra contro sinistra, sinistra contro destra. Una polemica irragionevole, che però funziona per distogliere l’attenzione: la colpa non è di queste mafie, è del partito di destra se governa la destra, e viceversa. Ora, stupidità non è. Può darsi che sia semplicemente menefreghismo – tanto, muoiono sconosciuti, gente senza volto, senza nome, e se ci si può imbastire una polemica tanto meglio. Ma i religiosi, a cominciare dal Vaticano, che tutto sa dai suoi vescovi? Le ong delle anime tanto buone? I cooperanti puri di cuore che tanto amano operare - con purezza d’intenti, certo?
 
La Sicilia di Marx
Merita rileggere questo articolo di Marx sulla “New York Daily Tribune” - pubblicato il 17 maggio 1860, sei giorni dopo lo sbarco di Marsala, “La Sicilia e i siciliani”, poco informato forse sul ruolo dell’Inghilterra, ma sempre pieno di verità:
Nel corso della storia del genere umano, nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto così terribilmente a causa della schiavitù, delle conquiste e delle oppressioni straniere, e nessuno ha lottato così irrefrenabilmente per l’emancipazione come la Sicilia e i Siciliani. Quasi dai tempi in cui Polifemo passeggiava intorno all’Etna, o da quando Cerere insegnò ai Siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri, la Sicilia è stata teatro di invasioni e guerre ininterrotte, e di una resistenza incrollabile. I Siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze meridionali e settentrionali; in primo luogo, degli aborigeni Sicani, con Fenici, Cartaginesi, Greci e schiavi da ogni regione sotto il cielo, importati nell’isola tramite traffici o guerre; e poi di Arabi, Normanni e Italiani. I Siciliani, in tutte queste trasformazioni e modificazioni, hanno combattuto, e continuano a combattere, per la loro libertà.
Più di trenta secoli fa, gli aborigeni della Sicilia resistettero come meglio poterono alla superiorità delle armi e all'abilità militare degli invasori cartaginesi e greci. Furono tributari, ma mai completamente sottomessi dagli uni o dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu il campo di battaglia di Greci e Cartaginesi; la sua popolazione fu rovinata e in parte ridotta in schiavitù; le sue città, abitate da Cartaginesi e Greci, erano i punti centrali da cui l’oppressione e la schiavitù si irradiavano all’interno dell'isola. Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai l’occasione di battersi per la libertà, o almeno di vendicarsi il più possibile dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I Romani alla fine sottomisero Cartaginesi e Siracusani, vendendone come schiavi il maggior numero possibile. In un’occasione, 30.000 abitanti di Panormus, l’odierna Palermo, furono venduti in questo modo. I Romani sfruttavano la Sicilia con innumerevoli squadre di schiavi, per sfamare con il grano siciliano i poveri proletari della Città Eterna. A tal fine, non solo riducevano in schiavitù gli abitanti dell'isola, ma importavano schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà dei Proconsoli, dei Pretori e dei Prefetti romani sono note a chiunque abbia un minimo di familiarità con la storia di Roma o con l'oratoria di Cicerone. In nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana ebbe simili saturnali. I poveri uomini liberi e i piccoli contadini, se non erano in grado di pagare il pesante tributo loro imposto, venivano spietatamente venduti come schiavi, loro stessi o i loro figli, dagli esattori delle tasse.
Ma sia sotto Dionigi siracusano che sotto il dominio romano, in Sicilia si verificarono le più terribili insurrezioni degli schiavi, in cui la popolazione autoctona e gli schiavi importati spesso fecero causa comune. Durante la disgregazione dell’Impero Romano, la Sicilia fu visitata da vari invasori. Poi i Mori la presero per un certo periodo; ma i Siciliani, e soprattutto la popolazione autentica dell'interno, resistettero sempre, più o meno vittoriosamente, e passo dopo passo mantennero o conquistarono diverse piccole franchigie. L’alba aveva appena iniziato a diffondersi sulle tenebre medievali, quando i Siciliani si fecero avanti, già armati non solo di varie libertà municipali, ma anche di rudimenti di un governo costituzionale, come a quel tempo non esisteva altrove. Prima di qualsiasi altra nazione europea, i Siciliani regolarono con il voto le entrate dei loro Governi e Sovrani. Così il suolo siciliano si è sempre dimostrato mortale per oppressori e invasori, e i Vespri Siciliani rimangono immortali nella storia. Quando la Casa d’Aragona ridusse i siciliani alla dipendenza della Spagna, questi seppero preservare più o meno intatte le loro immunità politiche; e lo fecero allo stesso modo sotto gli Asburgo e i Borboni. Quando la Rivoluzione francese e Napoleone cacciarono da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani – istigati e sedotti dalle promesse e dalle garanzie inglesi – accolsero i fuggitivi e, nelle loro lotte contro Napoleone, li sostennero con il sangue e il denaro. Tutti conoscono il successivo tradimento dei Borboni e i sotterfugi o le impudenti negazioni con cui l’Inghilterra ha cercato e cerca ancora di mascherare il proprio infedele abbandono dei siciliani e delle loro libertà alla tenera mercé dei Borboni.
Al giorno d’oggi, l’oppressione politica, amministrativa e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste lamentele sono quindi in primo piano. Ma quasi tutto il suolo è ancora nelle mani di relativamente pochi grandi proprietari terrieri o baroni. Le proprietà terriere medievali sono ancora conservate in Sicilia, tranne per il fatto che il contadino non è un servo; cessò di esserlo intorno all’XI secolo, quando divenne un libero affittuario. Le condizioni del suo possesso sono, tuttavia, generalmente così oppressive che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell'esattore delle tasse e del barone, producendo a malapena qualcosa al di là delle tasse e delle rendite, e rimanendo essi stessi in miseria o, quantomeno, relativamente poveri. Pur producendo il celebre grano siciliano e frutti eccellenti, vivono a loro volta di fagioli per tutto l’anno.
La Sicilia ora sanguina di nuovo, e l’Inghilterra guarda con calma a questi nuovi saturnali dell’infame Borbone e dei suoi non meno infami tirapiedi, laici o clericali, gesuiti o guardie. I pignoli declamatori del Parlamento britannico solcano l0aria con le loro vuote chiacchiere sulla Savoia e sui pericoli della Svizzera, ma non hanno una parola da dire sui massacri nelle città siciliane. Nessuna voce leva il grido di indignazione in tutta Europa. Nessun sovrano e nessun Parlamento proclama la messa al bando contro l’idiota sanguinario di Napoli. Luigi Napoleone, da solo, per questo o quello scopo – naturalmente non per amore della libertà, ma per l'esaltazione della sua famiglia o per l'influenza francese – può forse fermare il macellaio nella sua opera di distruzione. L'Inghilterra urlerà contro la perfidia, vomiterà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione napoleonica; ma i napoletani e i siciliani alla fine ne trarranno vantaggio, anche sotto un Murat o qualsiasi altro nuovo sovrano. Ogni cambiamento deve essere in meglio”.
 
Cronache della differenza: Milano
Assiste inerte all’attacco romano alle sue piazzaforti finanziarie. Anzi, si direbbe con allegria, a leggere le cronache dell’operazionne sul “Corriere della sera”, sul “Sole”. Forse perché è un assalto in realtà leghista, con base di comodo a Roma. I governi vincono sempre, ha ammonito qualche mese fa Orcel di Unicredit, che è ben milanese - sottinteso: è meglio che stiano fuori dagli affari - ma la capitale morale fa finta di no, la Lega è ueber alles.

Milano o è leghista di suo, o è singolarmente inerte di fronte ai guasti del leghismo. E sempre il peggio esprime in politica, da Mussolini a, appunto, Bossi.
 
Gran caso fa la città – “Corriere della sera”, “Gazzetta dello Sport” – del patteggiamento della dirigenza Juventus in uno dei tanti “scandali” montati contro il club torinese dalla “Ngiustizia sportiva” – detto alla calabrese, come il giudice sportivo, l’ineffabile dottor Chiné. Il patteggiamento come ammissione di colpa, con vaso di Pandora schiuso, o rinchiuso, etc. Mentre è solo una maniera per chiudere una causa che avrebbe impiegato una quindicina di anni. Senza mai ricordare i patteggiamenti di Inter e Milan per ben più solide accuse qualche anno fa. Milano è sempre
indulgente con se stessa.
 
S’immagina l’editore dei due quotidiani, Urbano Cairo, in agitazione perché sa che molti sono i lettori di tifo juventino. Ma niente: ai milanesi non bisogna parlare male di Inter e Milan. Neanche quando attorno ai club ci sono condanne (miti: sei anni per un assassinio) per mafia. Per il resto sì – a Milano piace buttare la spazzatura al piano di sotto, diceva Malaparte, che sempre se ne tenne lontano.
 
“È una stupidata dire che il pride sia divisivo”, il sindaco Sala. Che aggiunge: “Mi spiace l’assenza della brigata ebraica, ma il rischio antisemitismo c’è”. Un caso della famosa logica inclusiva, che una cosa è vera e il suo contratio pure – perché no.
 
Gli organizzatori milanesi del “pride”: “Siamo 350 mila”. Il doppio, quasi, che alla manifestazione europea, da tempo organizzata, in contemporanea a Budapest. Milano non si pone limiti.
 
Molte pagine sulle morti da cronaca criminale sul “Corriere della sera”, ma poche righe, in un angolino, per l’assassinio di Boiocchi, settantenne “storico capo della curva interista”. In margine a una pagina interna. Perché i colpevoli ha nno confessato. Milano non si fa colpa della criminalità, per quanto diffusa, come nel tifo “organizzato”. È giusto, il crimine non conta – non fa storia.
 
“È diventata la città di chi sta bene”, dice Massimo Moratti, che si ritiene un immigrato, di seconda generazione, sepure da Somma Lombarda, e figlio di un “piazzista”, seppure nipote di farmacista. Una volta era diverso, dice ancora:”La città ti accoglieva e si occupava di te. Arrivavi dal Sud, da ogni parte, anche con la valigia di cartone, e qui ti sentivi importante, trovavi un progetto di vita. Che si trasformava in un sentimento di riconoscenza verso Milano”. Vero. Poi esplose la Lega, che però è ben milanese, intronizzata da Milano 1.
 
“Meglio di Milano?”, chiede Michele Masneri sul “Foglio” a Giammetti, il socio di Valentino, che gli loda Roma, e la haute couture, che fino agli ani 1970 si faceva a Roma. “Milano la conosco pochissimo, noi sfilavamo solo con la collezione uomo lì, non ho mai avuto tanti amici, solo conoscenti a Milano. Città interessante, però Roma è un’altra cosa”.
 
Singolare, e inspiegato, il doppio peso del procuratore e giudice del calcio Chiné nei confronti dell’Inter (assoluzione) e della Juventus (condanna) per la stessa materia: i traffici loschi delle rispettive “curve”, del “tifo organizzato”. Anche se il club torinese ha avviato l’inchiesta, denunciando le “curve”, mentre quello interista presenta profili oenali gravi – anche due assassinii, e varie denunce per ferimenti di tifosi aversari. Ma la spiegazione è forse solo che Milano fa più para, anche ai giudici.
 
Roberto Saviano dice che sì, la città fa paura, ai Carabinieri. Dovendo andare a Milano dopo avere scritto un articolo contro la tifoseria interista, ha notato che “i carabinieri della protezione (scorta, n.d.r.) erano nervosissimi”.
 
“A un milanese su due nell’ultimo anno è stata rubata la bici”. A un milanese su due fra quanti vanno in bici. Che a Milano però sono molti: si fa il conto di 700 mila persone che ne fanno uso, con 2,3 biciclette per famiglia, e un parco bici, fra Milano e Monza Brianza, di 4,3 milioni di mezzi. Comunque semp
re troppi, mezza città che va in giro su bici rubate.


leuzzi@antiit.eu

L’America scopre Malaparte

Lo scrittore italiano, un tempo propagandista prediletto di Mussolini e in seguito eroe letterario di culto, fu un cronista ineguagliabile. Ben fascista a suo tempo, seppure confinato come antifascista. Il direttore di “Granta” lo propone con un ritratto dal vero al pubblico americano.
“Sei un fascista nato, uno di quelli autentici”, aveva scritto Piero Gobetti al’amico Curzio nel 1925, tre anni dopo l’inizio della dittatura di Mussolini. Gobetti, ventiquattrenne e acclamato come il più brillante scrittore liberale della sua generazione, sperava di impedire a Malaparte, allora ventisettenne, di dedicare tutto il suo talento alla causa fascista. “Non capisci che stai perdendo tempo, che i fascisti ti stanno prendendo in giro, che nel partito sei un uomo di quinta classe, che i tuoi scritti dell’ultimo anno non valgono un fico secco?”, gli scriveva.
Gobetti morì l’anno successivo, per le ferite inflitte dalle Camicie Nere. Malaparte, a quel punto, si stava facendo un nome come uno degli scagnozzi intellettuali di Mussolini. Che poi lo mandò anche al confino, a Lipari – come in vacanza (non amato da Mssolini ma nemmneo osteggiato).
Durante la Seconda Guerra Mondiale Malaparte divenne il cronista embedded da Mussolini su tutti i fronti caldi, dalla Finlandia al ghetto di Varsavia. Tutti fronti di cui lascerà memorie memorabili. E tutti estremamente veritieri, oltre che efficaci. Della sua vastissima opera Meany soprattutto apprezza e segnala i racconti di guerra, “Il Volga nasce in Europa”, 1943, “Kaputt”, 1944, e subito dopo i racconti di “La pelle”.
Thomas Meany, Curzio Malaparte’s Shock Tactics, “The New Yorker” (leggibile anche in traduzione)

mercoledì 2 luglio 2025

Problemi di base democratici bis - 868

spock


Se anche la democrazia è dei pochi,  non sarà la politica una forma patologica?
 
Una sindrome di Proteo?
 
La democrazia governa o è governata?
 
Da chi?
 
Viene prima la corruzione o prima la politica?


spock@antiit.eu

Il giubileo dei quattromila appalti

Le sagre si succedono del sindaco Gualtieri in prima pagina, e anche in seconda, delle cronache romane – di Gualtieri sindaco di Roma. Con sillogi delle lodi che si profondono in Germania, e anche in Svizzera. Per le opere del Giubileo. Che sono marciapiedi per lo più, opere di 24-48 ore che si prolungano per 24-48 giorni – in qualche caso anche mesi. Un milione non si nega a nessuno – lo Stato regala per ogni giubileo 4 miliardi, che fanno quattromila appalti, almeno quattro, belli grassi (di sinistra non necessariamente, anche di destra, tutti mediati dall’eterno Centro, nella città eterna più immarcescibile che mai). Dove c’è un lavoro vero da fare le scadenze non contano – Roma è ben eterna anche in questo.
Ma i romani in tutto questo? Sono, anche loro, eternamente rassegnati. Quest’anno fanno a meno anche del mare, inaccessibile. Per il resto, normale amministrazione: buche stradali, e neghittosità.

Le scarpe slacciate della sociologia

“Sociologia con le scarpe slacciate” è il sottotitolo, di questa miniraccolta di tre “interventi” altrimenti inediti in Italia. Dalla “Storia delle scarpe slacciate”, il terzo dei tre scritti. Il racconto delle scarpe slacciate con cui lo stesso autore ha civettato, dopo una prima inavvertita uscita a Torremolinos, quando il “piccolo villaggio di pescatori” non era ancora il Forte dei Marmi della Costa Bava, e mise in subbuglio le donne che prendevano il fresco sull’uscio di casa, e le loro bambine, preoccupate e allo stesso tempo timorose di segnalargliele.
È la distinzione di Ferdinand Tönnies, si dice subito il distratto studioso, fra la Gemeinschfat, “una comunità chiusa”, dove tutti si conoscono, e la Gesellschaft, la società urbana, di città. Lo fa allora come esperimento, di uscire con le scarpe slacciate, a Londra (“tre esperimenti, ciascuno dei quali durò tre ore”), Parigi, in Germania - a Münster e altrove - e a Berna. Con reazioni composite. Al termine delle quali sornione avverte: “Il risultato della ricerca non è ancora definitivo”. Forse “si dovrebbe migliorare il metodo. Fu divertente. Ma forse non soddisfa del tutto gli standard della ricerca scientifica”. Il sociologo prospettando, in “Una diagnosi della sociologia contemporanea”, il secondo dei testi collazionati,1983, come il più giovane dei tre fratelli pescatori del racconto di Poe “Discesa nel maelström” – quello che osserva attentamente il gorgo mortale, e si salva.
Un’edizione del 2010. Che fa senso scorrere oggi, nei quindici anni la sociologia essendo, o sembrando, svanita – inadeguata, muta. 
Nobert Elias, L’illusione del quotidiano, Medusa, pp. 61 € 4,50  

martedì 1 luglio 2025

I Popolari guardano a Meloni

Il “Corriere della sera” incauto intervista Manfred Weber, il presidente del partito Popolare Europeo, da sempre corteggiatore di Meloni. Sulla quale non manca neanche qui di profondersi in elogi. Meloni, ormai è noto ai più, è ritenuta essenziale, in Germania e viciniori, Austria, Belgio, anche Olanda, per la politica Popolare dei “due forni”: governi eletti a sinistra, azione di governo a destra, per riassorbire le spinte estremiste.
Nell’impaginazione il giornale fa finta di nulla. E anche nel testo. Con una ingenuità però finale: “Come finirà la mozione contro von der Leyen presentata da Gheorghe Piperea di Ecr?” Ecr è il raggruppamento europeo dei “conservatori”, presieduto fino a ieri da Meloni – notoriamente sostenitrice di von der Leyen (di Manfred Weber). Ma, anche se non si evidenzia nei titoli e sottotitoli, la risposta non si puo’ tagliare: “Penso che i gruppi democratici non sosterranno un’iniziativa che proviene in gran parte dall’Europa delle Nazioni Sovrane, ovvero il gruppo dell’Afd”, il partito tedesco estremista di destra. E aggiunge: “Conto sul gruppo italiano dell’Ecr (cioè su Fratelli d’Italia, n.d.r.)per convincere ora anche l’Ecr polacco a ritirare le firme dall’iniziativa”.

Il riarmo – degli affari

Se le spese militari sono – come sono state nel 2024 – 755 miliardi negli Stati Uniti e 430 in Europa e Canada, questo non vuol dire che la potenza militare dell’Europa è al 55 o 60 per cento di quella americana: l’Europa in guerra non reggerebbe un giorno, la sua difesa è di servizio, di facciata – ogni (piccolo) esercito dei 27 o 28 Stati europei marcia per conto suo, e solo quello sa(prebbe) fare, marciare. Per questo è utile chiedere: si fa il riarmo per che cosa?  
E infatti: “Se venissimo attaccati non potremmo difenderci”, assicura il gen. Tricarico, oggi ultraottantenne, consigliere militare di tre presidenti del consiglio, D’Alema, Amato e Berlusconi. Come già, negli ani 1980, un altro generale assicurava: “In due ore i russi sarebbero a Bologna, il tempo del viaggio in autostrada”.
Si riarma tanto per spendere un po’ di soldi. La solita bassa politica keynesiana, come dopo il covid: spendere in qualche modo per alimentare l’attività e i redditi. Solo che le armi non sono inerti, e sono  anzi pericolose. Mentre ciò di cui l’Europa ha bisogno è di una politica e una struttura di difesa unitaria.

Roma senza mare

“Ostia, un’estate da incubo”, stabilimenti chiusi o avviati male, “migliaia senza lettini e cabine, Castelporziano tra rifiuti e strutture pericolanti”. L’allarme, a fine giugno, è inderogabile, nel pieno della calura le cronache romane non possono non sbottare. Salvo recuperare col famoso assessore Zevi che ha provocato l’incredibile estate di Roma senza mare: “È vero, siamo in ritardo”, a luglio, “ma pronti al rilancio”. E come no. Gli appalti delle concessioni balneari non li ha fatti in autunno, e nemmeno in inverno, li ha fatti in primavera. E ora è senza bagni nuovi e senza più i vecchi, che i gestori hanno lasciato in abbandono – macerie ovunque,enormi, incombenti.
L’incuria non ha risparmito neanche “i cancelli”. Le otto stazioni balneari della tenuta presidenziale regalate da Pertini quarant’anni fa a Roma, ognuna munita di splendidi servizi, d’architetto, e provvista di una squadra di bagnini. Ora le assegnazioni dell’assessore sono in ritardo, a luglio, i contratti dei bagnini in mente Dei, e i servizi depositi di rifiuti.
 

La Grecia online

Una storia della Grecia - “Omero” - raccontata attraverso l’archeologia, in connessione cioè con la storia-storia, quella inequivocabile delle pietre. “In ascensore” perché Papakostas la racconta a un avventurato compagno di ascensore, che si è fermato all’improvviso – ma moderno, niente drammi, con pareti di vetro, all’interno di un centro commerciale, nell’indifferenza evidentemente delle folle che ci girano attorno, giusto il tempo per l’autore di elaborare una dozzina di faq, e altrettante digressioni in risposta. Alcune utili. L’elaborata terminologia dei vasi, p.es. Quella degli elmi. Nonché dell’abbigliamento. Una pervasiva, perfino convincente, spiegazione  del racconto platonico della caverna. Finalmente anche un po’ di storia dei Micenei, da Creta alla Calabria, alla Sardegna – anche se manca sempre l’essenziale, i culti (il toro) e le forme di governo.
Papakostas, alias Arechaeostoryteller, fondatore e animatore dell’omonimo sito, che godrebbe di vasto seguito, vi riversa una lunga serie di testi già postati su Facebook e Instagram. 
Theòdoros Papakostas,
Omero in ascensore, Feltrinelli, pp. 234 € 5,95 

lunedì 30 giugno 2025

Ombre - 780

Più che mai il Rearm Europe è il borbonico “faciti ‘a faccia feroci!”. Tanti impegni, come no, e pacche sulle spalle, evviva il 3,5 per cento del pil alle armi, perché no, anzi il 5, subito, di un’Europa bellicosa che ha facce di Kaja Kallas, gentile signora estone miracolata al vertice, e di Di Maio – Di Maio?
 
“Per il Suv Xiaomi 200 mila ordini in tre minuti”. La Cina è un’altra economia, non c’è concorrenza possibile, con un mercato così vasto – e protetto.
 
“Il bail-in non è uno strumento costituzionalmente ammissibile in Italia”, assicura il presidente dell’Abi Patuelli, “mai usato, mai”. Eccetto che per i 18 miliardi ingurgitati da Mps dal 2008 al 2017, con quattro aumenti di capitale garantiti e collocati da primarie banche d’affari – col patrocinio delle massime autorità politiche. Un furto di 18 miliardi non è niente? Dalla stessa banca che ora, passata dall’ex Pci alla Lega, vuole assoggettarsi mezza Milano.
Presidente Abi da sempre, Patuelli ha già perso la memoria? O da liberale è passato leghista, anche lui?
 
Una capa per l’MI 6, una donna, l’Inghilterra eccentrica apre sempre le strade. Per giunta mezza ucraina. Poi si sa che ha avuto un nonno (padre del padre) nazista in guerra, informatore e denunciatore di russi ed ebrei prezzolato. E anche di questo l’Inghilterra fa finta di nulla . o ridaremo cittadinanza ai nazisti?
Gli ucraini si sottovalutano – erano in forze nelle truppe speciali tedesche fino a fine guerra, Meneghello ne ha brutti ricordi nelle sue memorie partigiane.
 
“Da 120 a 3 giorni, così lo Stato ha ridotto i tempi per i fornitori”. Una vera riforma che si passa sotto silenzio. Poi si dice che gli italiani sono fascisti. Che vince la destra.
 
La Cassazione che ogni paio di giorni “dà torto” al governo ci mancava. I supremi giudici, come si fanno chiamare, e s’immaginano quindi adiposi e col soffio, che corrono agili con “pareri” di 130 pagine, dei romanzi. Per criticare, in realtà, il presidente Mattarella, che a differenza dei predecessori ha avallato due decreti legge, sicurezza e Albania, senza la solita ramanzina contro gli eccessi della decretazione d’urgenza.
 
È una critica “de sinistra”, quella della Cassazione contro il decreto Sicurezza? Parrebbe di sì – anche se la critica della decretazione è materia di opposizione, quindi della destra quando governa la sinistra.  La pratica risale agli anni 1970, del “compromesso storico”, quando non c’era altro mezzo per fare digerire le leggi di Andreotti all’(ancora) indisciplinato partito Comunista. Sarà allora per il Massimario della Suprema Corte, una settantina di giudici, come fu per i Sette Dormienti di Efeso, il paese della Madonna, che si addormentarono martiri e si risvegliarono che il cristianesimo era legge - giustamente beatificati: tutti Dc, nel Pd?
 
“Incidenti” a Gaza: “Per i vertici militari dello Stati ebraico i soldati hanno sparato colpi di avvertimento”. Si vede che le pallottole sono intelligenti, che uccidono ricadendo a terra, così, random – e sempre decine, anche centinaia, di palestinesi. Il colpevole sempre è bugiardo – basta avere frequentato, anche poco, una Pretura, quando esistevano, per passatempo. Ma non c’è motivo per dirlo in buonafede, semplicemente ubriaco: non si aiuta così “lo Stato ebraico”.
Silenzio invece sulle denunce dei militari israeliani, raccolte da “Haaretz”, di violenze sui profughi.
 
Tanta baldoria per il supermatrimonio di Bezos, l’amico di Trump, a Venezia. Poi ci partecipava pure Bill Gates, che ormai è un (quasi) compagno. La sinistra è tanto forte da sprecare così tante energie?
 
La cosa curiosa del golden power di Giorgetti contro Unicredit nell’ops Bpm è che entrambe le banche hanno un azionariato internazionale. Di cui Unicredit si fa vanto: “Unicredit è una public company, controllata per oltre l’85 per cento da investitori professionali, di cui la maggioranza è ubicata fuori d’Italia”, perché “la banca non ha un azionista o un gruppo di azionisti di maggioramza”, né “un patto di sindacato” al controllo – le partecipazioni sono tutte dello zero virgola.  Bpm invece dà la nazionalità delle “partecipazioni più rilevanti”. E dà alla “Francia” il 20,33 per cento (in realtà attorno al 23 per cento), quanto basta per governare il Banco, in base alla legge “Capitali” dello stesso Giorgetti. Di italiano, che ne fa il simbolo dell’italianità secondo  il comitatino golden power  di Giorgetti, c’è solo un 9 per cento, di cui due terzi sono della Davide Leone Invest). Se non è malafede, è stupidità?
 
Si decide il 5 per cento del pil di tutti i paesi Nato dedicato ogni anno alle armi per compiacere Trump. Contro chi? Contro la Cina, più che contro la Russia, si dice, posto che l’America vuole assolutamente collaborare con la Russia, con lo stesso Putin, anche malgrado la guerra di Putin all’Ucraina. Sarà. Ma il problema dell’Europa è darsi una difesa unificata. Spendere e il 5 per cento del pil in armi, un’enormità, per 27 o 28 eserciti differenti?
 
Al pranzo seduti che i reali d’Olanda hanno offerto alla Nato, accanto a Trump ci hanno messo Meloni. Sicuramente per l’inglese fluente di cui la presidente del consiglio, unica donna in Europa, dispone. Un pranzo, per quanto ridotto a lunch, è comunque impegnativo, almeno una mezzora. Trump, poi, è singolarmente irrequieto.
 
Non solo Trump, anche Macron esibisce un vistoso, elaborato riporto della capigliatura - e pure Merz, sembra, dipende  dalle foto. L’Occidente soffre di alopecia?
 
Montezemolo che firma per McLaren, professandosi ferrarista a vita, è tutto dire. Prima vinceva sempre Mercedes e vabbè, è una grande casa. Ora vince sempre MacLaren, che è solo un team di (bravi, eccellenti) meccanici da pista. Vince tanto da permettersi di pagare uno stipendio a Montezemolo, giusto per fare uno sberleffo a Ferrari. Che pure spende più di McLaren, e non vince. Senza vergogna.


Mofo”, figlio di puttana, detto al Congresso a Trump, prima che Trump azzardasse l’ormai storico “non capiscono un cazzo”, non ha fatto storia. Se ne risentirà la “giovane deputata democratica” del Texas. Si chiama Jasmine Felicia Crockett.

Il riarmo divide i socialisti tedeschi

Il congresso appena concluso della Spd, il partito socialdemocratico, ha vista una maggioranza perplessa, e l’organizzazione giovanile radicalmente opposta, sul ritorno della leva obbligatoria, e anche sul riarmo, al 3,5 per cento del pil per la difesa a breve e poi al 5 per cento. La maggioranza che la Spd assicura al cancelliere cristiano-democratico Merz non è in pericolo, ma a breve potrebbe esserlo.
Il leader socialdemocratico che ha negoziato e assicura la Grande Coalizione e il riarmo, Lars Klingbeil, un classe 1978 che gestisce il partito da otto anni, prima da segretario poi da presidente, vice-cancelliere e super-ministro delle Finanze (dell’Economia), è uscito dal congresso criticato e ridimensionato. Confermato alla presidenza con appena il 64, 5 per cento del voto assembleare – di un’assemblea peraltro svogliata e anche poco affollata: in calo di 20 punti sull’85,6 per cento che aveva avuto due anni fa. Mentre una co-presidente è stata eletta, Bärtel Bas, ministra del Lavoro, col 95 per cento.
È anche vero che il “giovane rampante” Klingbeil ha portato al voto a febbraio la Spd al risultato peggiore della sua storia - dopo quello del 1878 (ma erano gli anni delle “leggi antisocialiste” di Bismarck) - col 16,4 per cento del voto popolare. E oggi i sondaggi la danno al 15.

Ma la Germania non è per il riarmo

Nell’opinione il riarmo non piace in Germania. E anche al Bundestag potrebbe non passare, a meno di non mettere in gioco l’estrema destra, l’Afd, Alternative für Deutschland.
Nel Paese si profila una maggioranza contro il riarmo. Anche al Bundestag, se si tiene conto del 21per cento di Afd. Di più nell’opinione. Sono contro le sinistre: la Linke, 9 per cento al voto politico di febbario (cui va aggiunto il 4,9 per cento ex Linke che ha votato Sahra Wagenknecht), e ora la Spd (16,4 per cento a febbraio, ma con larga astensione della base elettorale, polemica contro Klingbeil).
Una maggioranza più decisa, e forse anche più estesa, contro il riarmo se indirizzato come s’è voluto all’ultima Nato, contro la Russia. Il sentiment è per la Ostpolitik, la politica socialdemocratica inventata mezzo secolo da Willy Brandt, il cancelliere che s’inginocchiò a Varsavia.
Lo scontro maggiore si è avuto al congresso Spd sul riarmo. In particolare, per ora, sul ritono alla leva. Necessario perché la professione militare non attrae - è sempre stato e resta arduo riempire i ruoli da sottufficiali e ufficiali. Un ritorno ventilato, nel passato governo del socialdemocratico Scholz, e in questo in carica del cancelliere Merz, dal ministro  della Difesa Boris Pistorius. Che è socialdemocratico, alleato di Klingbeil. La contestazione di Pistorius è stato l’evento più significativo del congresso Spd.

Vostro Onore, l’assassino-a è una brava persona

Un avvocato alla Perry Mason - detective della verità, ma senza la grinta, anzi rassegnato. È l’avvocato di Carofiglio, della serie Guido Guerrieri, ma è in corsa da 25 anni (questo è appena uscito da Einaudi), con titoli alla Camilleri, e parte stanco, per niente entusiasta. Con molto analista, e qualche sogno, sulle recidive in amore (gli abbandoni) - ma piani, junghiani (anima, coscienza, etc.).
Le pagine migliori sono le due-tre iniziali, del vero senso della professione. Mattinate in Tribunale, fra “udienze di rinvio e deposito di atti nelle cancellerie” – davanti a giudici, si può aggiungere, che fumano nervosi, quando si poteva, seduti a un tavolo non proprio robusto, mentre gli avvocati ronzano attorno, parlando tutti insieme, a gara a sottrarre la loro pratica dalla pila di faldoni che il giudice ha davanti, per fargli firmare il rinvio (la tecnologia ha questo di buono, che il bailamme è sostituito  dalla pratica online, “peccata” e tutto – più noiosa ma meno tossica.
Bella anche la scena iniziale, dell’avvocato che ha l’idea, e la attua, di visitare l’aula del Tribunale dove viene “amministrata la giustizia”, si decidono le colpe e le pene, quando è vuota: i banchi  dell’accusa, della difesa, le gabbie (ci sono state le gabbie), il “cancelliere dott.”, le formule di rito, i riti. Nel vuoto della giustizia – che il lettore, subissato dalle cronache, sa cosa combina.  
Il compito di Guerrieri sarà di evitare alla sua assistita, sicuramente assassina, intanto la premeditazione, per evitare l’ergastolo. E poi di far valere, perché no, una sorta di legittima, il morto essendo stato il carnefice della sorella gemella dell’assassina, suicidata. La Giustizia, nel caso, è subito antipatica, in Procura e in Questura, e anche un poco violenta.

Un legal thriller. Anche interessante. Soprattuto ora, frastornati dalle sentenze argute che condannano Impagnatiello all’ergastolo ma senza premeditazione, e Turetta all’ergastolo ma senza crudeltà. Che il lettore non avvertito non sa che vuol dire, ma sono sostanziali assoluzioni. Forse per rivalsa contro i “femminicidi” sofferti come una caccia alle streghe. Opera comunque di giudici sottili – senza intesa naturalmente con gli avvocati: Impagnatiello e Turetta sono balordi, giovani impulsivi, confusi più che cattivi, e così l’ergastolo parte macchiato, a quarant’anni – ai loro quarant’anni, non dopo quanrant’anni di carcere – riprenderanno la loro vita.
Gianfranco Carofiglio, L’orizzonte della notte, “la Repubblica”, p. 287 €9,90

domenica 29 giugno 2025

Problemi di base democratici - 867

spock

Perché la democrazia si dice sempre in crisi?

 

Il moto spontaneo della democrazia è la deriva?

 

Per capriccio, debolezza d’animo, debolezza strutturale  - l’emergenza di ceti nuovi?

 

L’élite si disimpegna, la massa è ingorda?

 

La democrazia si vorrebbe dunque elitaria?

 

O non ci vuole un esame d’ammissione?

 

spock@antiit.eu

Il veni, vidi,vici di Trump

Non ha avuto la pace in Ucraina, ma si partiva da Tacito, “hanno fatto il deserto e lo hanno chiamato pace”, in Ucraina impossibile – nessuno vuole farvi la pace. Ma il preambolo al suo One Big Beautiful Bill è già realtà – sul lato internazionale, che è quello che interessa: cambio, dazi, 5 per cento Nato, fisco, Trump ha avuto tutto quanto voleva. Nel mezzo ha pure vinto una sua specialissima guerra lampo agli ayatollah.
In Italia si accredita l’idea che Trump lo faccia per sé, non nell’interesse degli Stati Uniti – l’informazione più qualificata, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, perfino “Il Sole 24 Ore”, lo fa un presidente cazzaro, megalomane se non pazzo. Che sta portando all’America, col protezionismo, inflazione, recessione, incertezza finanziaria, instabilità, sfiducia. Ma questo solo in Italia, vecchio riflesso, o vecchia professione, anti-Usa – mentre solo le corrispondenze da New York sono ambite (come lo erano negli anni dell’antiamericanismo professo). Mentre ha consentito la vendita multimiliardaria di US Steel alla Nippon Steel, anatema per Biden. E lascia in vita Tik Tok, che Biden aveva bannato.
Si discute ora in questo quadro, ultimissimo rifugio, se Trump non sia anti-europeo. Ma non lo è – non può esserlo, non è niente: è tutto e niente, non ha principi, tanto meno odii. “Fortezza Europa” è come gli Stati Uniti da sempre hanno visto la nascita dell’Unione  Europea, da destra e da sinistra – si parte dalle presidenze Clinton, Bush padre era ancora ben europeista.

Il romanzo è buono e fa bene

Una celebrazione, in tarda età, colta quindi e saggia, del romanzo. Dopo le tanti morti che ne sono state decretate. E pur avendo entrambi gli scrittori praticato e anche favorito altre forme espressive. Magris si chiede, e si risponde, che il romanzo è “la prosa del mondo”. Sotto la forma del paradosso: “Una lancia d'Achille che ferisce e guarisce; è intessuto delle lacerazioni del moderno e insieme le abbraccia in una nuova totalità». Mario Vargas Llosa addirittura lo adora, non conosce altra forma di conoscenza più “totalizzante”. Anche in senso civico: “Una attività insostituibile per la formazione del cittadino in una società moderna e democratica” è sia la scrittura che lettura e del romanzo.
Una conversazione di una quindicina d’anni fa, su invito di Renato Poma, in qualità di direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Lima, dal titolo in realtà “La letteratura è la mia vendetta” (con questo titolo già pubblicato da Mondadori nel 2012), che meriterebbe migliore edizione. Sulla letteratura però che non è tanto una vendetta quanto una battaglia vinta, seppure continua.
Magris, che introduce la conversazione, è anzi ultimativo. “Ci si può immaginare il romanzo senza il mondo moderno?” e viceversa, si chiede e si risponde: “Il romanzo è il mondo moderno. Non solo non potrebbe esistere senza di esso, come un’onda  senza il mare, ma per alcuni aspetti s’identifica con esso, ne è la mutevole espressione, come lo sguardo o la piega di una bocca  sono l’espressione di un viso”. Partendo dall’ “incommensurabile «Don Chisciotte de la Mancha», che secondo Dostoevskij sarebbe stato sufficiente, da solo, a giustificare l’umanità agli occhi di Dio”.
L’allora neo Nobel Vargas Llosa osa di più. Un buon romanzo ci strappa dalla concitazione, spesso a vuoto, dell’esistenza, per immergerci in un mondo in cui la fnzione appare più reale della realtà: un mondo di creatività e di rispecchiamento che permette di orientarsi, di capire di più, su noi stessi e quindi sul mondo.
Mario Vargas Llosa-Claudio Magris,  Mondo, romanzo, Einaudi kindle, pp. 45 € 1,95