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domenica 4 marzo 2018

Secondi pensieri - 337

zeulig



Bestemmia – La Corte Europea dei diritti dell’uomo la decreta fuori corso. La dichiarazione si accoglie come una formalità, in un corso ormai lungo di disidratazione dell’Europa da parte delle istituzioni europee, benché prevalentemente cristiano-democratiche. Segna un certo laicismo, come quello che aveva portato alla costituzione europea poi abortita, senza radici.
La bestemmia non può intralciare gli affari, ha decretato la Corte. E questa è una novità - o come uno scoprirsi: gli affari hanno la preminenza sulle credenze e le sensibilità. La bestemmia è, era,  un’offesa alla religione ma anche alla comunità. Alla comunità di sentire, al sentire comune. Si prospetta una convivenza ridotta al profitto, individuale.
E senza radici con un futuro? Questa è novità maggiore.
Ma forse la Corte europea è solo mossa dall’anticristianesimo. Nessun giudice bsstemmierebbe Allah.  

Filosofia – È uno striptease?
Non si può separare la miseria del filosofo dalla miseria della filosofia, come sembrerebbe giusto? Del filosofo, per quanto villoso? Wittgenstein, per il quale la separazione è stata invocata, a fronte del fiume di testimonianze, lettere, diari, inediti che lo mettono a nudo senza remissione, va oltre, la filosofia prospettando come uno striptease: “Il lavoro filosofico è un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere le cose” – “Pensieri diversi”, 43.
È dello stesso parere anche Heidegger, per il quale pure la separazione si invoca, e anzi con più insistenza, sull’abbrivo di Hannah Arendt – come di uno che non capiva di politica: “Il punto di partenza della via che porta alla filosofia è l’esperienza effettiva della vita  - “Fenomenologia della vita religiosa”, 42.

Filosofia tedesca- È la filosofia della fine, da quanto tempo? Da un secolo. Da Spengler. E poi da Heidegger. Ma già da prima, dall’“Impolitico” di Th. Mann. A opera della filosofia tedesca stessa, in attesa dell’evo tedesco – la nuova aurora dell’essere. Anzi, da prima ancora, da Lutero e la teologia dell’io e il mio Dio
Di un laicismo, Kant compreso, talvolta anche ateo, che recepisce argomenti e insegnamenti teologici. Il nazionalismo (“primatismo”) è sottovalutato nella filosofia, mentre fa aggio su tutto, anche sulla ragione.
Una nemmeno tanto fine filosofia della fine – nazionalista, grossolana. Il più fine, Heidegger, si arrampica sugli specchi della dissimulazione – fa come lo voleva l’amorosa Hannah  rendt, un po’ tonto. Con quella Grecia inventata, dall’incolpevole Hölderlin - ma già da Goethe, che si trascura:  “È una vecchia storia, dallo Harz all’Ellade tutti cugini” - “Faust”, II, 7742-3), al tronfio Hegel e al fantastico Nietzsche. E Heidegger naturalmente, che sa il greco meglio dei greci. E l’arianesimo – perché dimenticarlo?

La Germania Federale ci rinuncia, ci sono le macchine tedesche, non c’è più la filosofia tedesca. Il mondo no: c’è un perché? È il business dei germanisti? È la filosofia necrofila, amante della fine? Filosofare la fine per non finire - non avere altro da dire?

Non abbastanza considerata è la Germania di Hegel, spopolata di miti propri, originari – “La positività della religione cristiana”. Ogni popolo ha “propri miti”, e così “gli antichi germani”, con “il Walhalla dove abitavano i loro dei e i loro eroi”.  Fino all’arrivo del cristianesimo, via impero romano, che ha “spopolato il Walhalla, distrutto i boschi sacri, estirpato i miti del popolo”, introducendo gli “estranei” personaggi biblici: “Noi siamo senza miti religiosi che siano sorti nella nostra terra e siano connessi alla nostra storia, siamo del tutto privi di qualsiasi mito politico” – quella che “non fu mai una nazione” è popolata solo di “fantasmi”. Da qui la deriva alla Grecia – alla Grecia di Hölderlin, il compagno di studi di Hegel?

Giornalismo – Valvola e sensore dell’opinione pubblica a lungo, ma per un malinteso, da Walter Lippmann a Habermas? Heidegger ne antevedeva lo scadimento a pettegolezzo nell’era dell’informazione di “denuncia” o pettegolezzo (intercettazioni, indiscrezioni), e del free for all della rete. Suona come un’antevisione, o un giudizio meglio fondato, quanto scriveva a Hannah Arendt il 12 aprile 1950: “Forse il giornalismo planetario è il primo spasimo di questa desertificazione incipiente”.

L’“osservatore imparziale” Joseph Roth, che fu grande e grandissimo giornalista, dice triste, cioè negato (“Al bistrot dopo mezzanotte”): “L’«osservatore imparziale» è il più triste dei cronisti. Coglie tutto ciò che è mutevole con occhi aperti ma fissi”. È uno che si priva di giudizio: “Egli registra invece la voce momentanea dell’ambiente che lo circonda”.

Morte – Aveva organizzato tutto per obliterarla Majkovskij, che poi morirà suicida. Ma non senza senso. Aveva anche poetato: “Sparano a me per tutti,\ sgozzano me per tutti”, lui, “il tredicesimo apostolo”. Sapendo di morire per non morire, avendo progettato “l’officina delle risurrezioni umane”. Di stampo futurista ma non solo: una religione rivoluzionaria che era il rifiuto della morte e dell’inferno, della morte temporale e della morte eterna, anzi dello stesso Giudizio Universale, sia esso a opera di Dio o di Stalin. Attraverso la mobilitazione di tutta l’umanità per la causa comune.  Contro il “futuro proibito”, dirà Jakobson, il futuro che doveva resuscitare gli uomini del presente. L’eternullità avendo reinventato che aveva inventato Laforgue. O Falkenfeld, il kantiano: “Non posso credere che gli avvenimenti del mondo influiscano minimamente sulle nostre parti trascendentali” - che per questo non si può dire morto, dimenticato? C’è una misura nell’oblio.

Razza  - Nasce, a opera di Lutero, come contraccettivo antirazziale - nei “Judenschriften”, gli scritti antiebraici. Gli ebrei sono un popolo “materiale”, legato al corpo e ai suoi bisogni: popolo di Dio secondo la carne, gli ebrei devono essere sostituiti dal popolo di Dio secondo lo spirito. Un popolo che è e si vuole diverso, da cui bisogna quindi differenziarsi.
Sarà il procedimento di Sartre nell’“Orfeo nero”, 1956, del razzismo antirazzista. La tribù è insostituibile – a meno di “soluzioni finali”, di guerre tribali fino allo sterminio?

Tempo - Non si nasce in realtà, e non si muore, si è dentro il tempo. Anche prosaicamente, si è sempre affaccendati, anche nell’ozio. Ma questo annulla il tempo: lo dilata, lo accorcia.
Il tempo è comprimibile, sia facendo che non facendo, e in durata – memoria, fantasia, ricostruzione – è estensibile senza limiti.
Ma il tempo è senza capo né coda. La stessa storia ha problemi: se non si definisce di un tempo preciso, volutamente connotato, non è.
È questo il senso della vita. O della morte.

zeulig@antiit.eu

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