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mercoledì 7 settembre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (502)

Giuseppe Leuzzi

La casa al Sud

I paesi di emigrazione, cioè i paesi del Sud, da dove si emigra da un secolo a mezzo, sono doppi: quello vecchio, che sta in genere in alto, arroccato, per timore secolare di un qualche nemico, anche se in posizione rischiosa per frane e terremoti, in gran parte o del tutto abbandonato, e quello nuovo, in piano, in genere di grandi edìfici, a tre e quattro piani, in molti luoghi, specie in Calabria,  mai finiti. Non si recupera al Sud, non si restaura, e quindi c’è questa doppia anima dei paesi, o borghi come ora usa in termine franco-tedesco. Ci sono stati e ci sono, in Abruzzo, in Calabria, dei tentativi di rianimare i paesi vecchi, ma con poco esito: la “casa”, come deposito emotivo dell’emigrato e dei suoi aventi causa, è il paese, ma non l’edificio in cui si è nati e cresciuti. Non è un cambiamento da poco: si ritorna al paese, se si ritorna (spesso l’investimento è fatto per altri, discendenti o collaterali) con animus diverso, creando un ambiente diverso.

Vito Teti, teorico e testimonial della “restanza” – radici, tradizione, durata - non apprezza il tentativo di recupero o restauro, nei piani comunali di ripopolamento, con la cessione “a un euro” di case abbandonate. “Un’idea devastante” dice il recupero delle case abbandonate con nuovi titolari – le new town probabilmente rifiutando per il sentore di affarismo che accompagna le ricostruzioni, specie quelle pubbliche, post-terremoto o post-alluvione. Devastante sotto un duplice profilo. “Restituisce l’idea che la casa venduta al prezzo di un euro valga esattamente un euro”. Mentre, “sotto un profilo simbolico, è come svendere la memoria comunitaria”.

La “restanza” è progetto intricato – Teti si obbliga a ritornare spesso sul già detto. In epoca di nuove migrazioni, e in Italia per la prima volta dopo secoli di vasta immigrazione, le due esigenze vanno conciliate, di chi “torna” e di chi arriva. E si conciliano, malgrado tutto: lo spirito di comunità è oggi più vivo di prima grazie ai nuovi apporti. Nello sport, nelle arti, nella letteratura, nei social naturalmente, e anche nei quartieri e nei borghi.

Teti è anche contro i progetti di ripopolamento, specie a ridosso delle aree urbane. In Abruzzo, per dire, satellite di Roma con l’autostrada, in Terra di Lavoro di Napoli, in Cilento dell’asse Battipaglia-Salerno. Che invece sono realtà vive e vivificanti. Lo sviluppo è troppo facilmente dimenticato e anzi vilificato, mentre è il motore di ogni cosa – l’evoluzione, il miglioramento, la creazione di ricchezza: si può fare finta di deprezzarlo, il concetto e la pratica, ma a che fine? Le case dei padri e dei nonni rivivono, tornano a respirare, l’aria di oggi certo, non quella di due e tre generazioni fa. Perché non sarebbe valido, anzi entusiasmante, il progetto di rivitalizzare i centri classici come Riace con africani e asiatici – sia pure solo per entrare nel business dell’accoglienza? È già successo, in Calabria forse più che altrove, popolata di arabi e berberi, albanesi, ebrei di ogni provenienza, bizantini a lungo, e di latini certo, bruzi latinizzati – perfino Rohlfs aveva difficoltà a disincastrare e classificare le tante fonti del dialetto.

Teti parla di chi parte e chi torna come di un unico soggetto. Che può essere – tra gli intellettuali – vero. Ma non è lo stesso il paese, la realtà che si è lasciati e quella che si ritrova: le identità sociali sono in continuo e rapido cambiamento, specie in questo dopoguerra. Nell’arco di una vita è dato osservare almeno due cambiamenti radicali. Di assetti e, al Sud, dove il cambiamento materiale è più lento, di mentalità – si assorbono i comportamenti dominanti anche in mancanza dei presupposti materiali (economici, intellettuali, di saperi pratici) dominanti. Restare, cioè tornare, dopo lunga assenza, è duro. E per lo più improduttivo. Specie se si ritorna in età, con solo bagaglio i consigli da dare, che nessuno vuole.

Smog in montagna

La “conversazione jonica” di un lontano appunto

(http://www.antiit.com/2015/08/a-sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-255.html)

è degenerata, sull’Aspromonte, sui Peloritani, nel basso salernitano, sul Pollino, in smog. Non che si veda, ma si sente: il respiro è faticoso, sotto l’afa d’estate - e nel freddo umido, lamentano tutti, l’inverno. Anzi no, si vede anche: già in autunno in passato è stato possibile vedere folate di nebbia che si alzano la mattina presto dalle valli, anche densa, ignote a queste latitudini fino a pochi anni fa.

Forse è per questo che nessuno cammina. A tutte le ore i paesi si attraversano deserti. Sembra impossibile ma in decine di paesi, attraversati a tutte le ore, non si è mai incontrato nessuno a piedi sulla strada. Per un’informazione bisogna fermarsi, parcheggiare, scendere davanti a qualche laboratorio o negozio. O è viceversa? Forse c’è l’afa nelle montagne al Sud perché nessuno più cammina, tutti si muovono solo in macchina, e si muovono sempre, anche per percorsi brevi e brevissimi, di pochi metri, i paesi più abbandonati sono aree di grande continuo traffico - e l’uso è diffuso anzi questa estate di tenere il motore della macchina sempre acceso, anche da fermi, per alimentare il raffreddamento interno. I paesi sono vuoti di persone ma pieni di macchine, in movimento, da ore di punta in città. Anche di donne casalinghe e giovani, che prendono un po’ d’aria con una girata in automobile, spesso due, tre e quattro girate in automobile, i percorsi nei paesi sono forzatamente brevi. È l’afa dello smog, anche se poco visibile nella bella stagione, di polveri e residui bruciati, volatili ma non troppo.

Camminare in paese è ora in effetti anche inutile. Oltre che rischioso e stancante, dovendosi fermare a ogni passaggio di automobile, cioè in continuo, per strade più spesso strette e dissestate, senza  marciapiede. Proprio inutile no, può servire a evitare i blocchi della circolazione – bisogna pure farsi una ragione. È diffusa infatti ovunque, nelle aree citate, la pratica della “conversazione jonica”: di due macchine che incrociandosi si fermano, perché i conduttori hanno qualcosa da dirsi. E non fuggevoli “telefoniamoci”, o “vediamoci stasera”. Sono conversazioni. Distese - dagli spezzoni captati riguardano un po’ tutti gli argomenti: gli impegni reciproci, la salute in famiglia, le lamentele, di salute o di lavoro o di amici\nemici comuni, le celie (queste ribattute, ribadite: lo humour meridionale è all’opposto di quello fulminante britannico).

Si va a Sud come a un mondo specialmente favorito, in questa epoca di ritorno alla natura e all’ambiente. Aria buona, acque limpide, alimentazione sana. E invece no. Si è già detto del gran numero di obesi, soprattutto fra i più giovani. Dovendo mangiare fuori, l’alimentazione comunque raramente è genuina, seppure di sapori semplici e forti – non si sa cosa si mangia, perfino le verdure sono surgelate. I paesi “nuovi”, in piano, vanno con le grandi catene alimentari e i centri commerciali – piazzali immensi, pieni di automobili, cui si accede per lunghe code.

I medici d’importazione

La Regione Calabria ha stipulato col governo cubano un accordo per 500 medici caraibici, poco meno, per un anno e mezzo, a 3.500 euro al mese, più alloggio. Erano cubani, in prevalenza, i medici nell’Africa “socialista” quarant’anni fa – oppure rumeni. Come aiuto allo sviluppo del blocco sovietico. Ma prendevano poco e niente.

Anche Puglia e Sicilia cercano medici all’estero, in Albania la Puglia, in Argentina la Sicilia. Alle stesse cifre – anche se nei paesi d’origine le retribuzioni sono molto basse. E questa è l’Italia. Che ha bloccato le assunzioni di personale dieci anni fa, ma per lo stesso personale, magari non qualificato, può spendere cifre folli. Per esempio per servizi ospedalieri in outsourcing, con finte cooperative di finti specialisti.

O, per restare alla medicina, bloccando ogni anno con numeri ristretti la formazione di medici. Di cui c’è ampiamente carenza.

Calabria

Si fa l’annuale maxi-retata di politici e ‘ndranghetisti in Calabria, ogni anno un’area, quest’anno Cosenza-Rende, ridotta a 200 plus, al netto forse delle omonimie, su denuncia degli interessi che il sindaco di Rende aveva defalcato dagli appalti pubblici per poca trasparenza. E di una pentita polacca, naturalizzata calabrese, del 2014.

Questa della polacca può essere consolante: il tempo non passa. 

 

“Sabato (3 settembre), sull’isola (Sicilia), si sono registrati complessivamente 6 sbarchi, con 537 persone”. È la cronaca nazionale della “Gazzetta del Sud”, in un articolo sulla (non) politica della ministra Lamorgese. Nella cronaca locale – il giornale serve soprattutto la Calabria – si registra in basso che a Roccella Jonica, nello stesso giorno, “nel giro di circa 16 ore sono sbarcati poco meno di 400 migranti”. Con l’aggiunta: “Nei primi 8 mesi del 2022 al Porto delle Grazie (Roccella, n.d.r.) sono arrivati circa 10 mila disperati”. Molti di più che in Sicilia, ma la Calabria non “fa notizia” - se non per gli arresti, in massa e naturalmente “eccellenti”, anche se poveri di condanne.

 

Si direbbe il luogo delle incompiute. Al Nord, al Sud, al Centro della regione ovunque cantieri fermi da anni e decenni, strade, gallerie, ponti, palazzi di varia destinazione (scuola, ospedale, uffici) di opere per lo più imponenti, mai terminate. E soprattutto case: si costruisce molto, molto in grande, case unifamiliari di tre e quattro piani, malgrado i terremoti, senza mai, quasi mai, finire. Un segno di provvisorio più che di speranza? Con la ruggine sì.

 

I palazzi giudiziari invece sono nuovi, grandi, disegnati da architetti, completati, e ben tenuti. I piani di costruzione trent’anni fa dell’allora ministro della Giustizia Martelli fa sono stati attuati speditamente – per i palazzi di Giustizia, per le carceri no.

Si costruiscono anche in tempi record, mesi, palazzi di Giustizia di metraggio sterminato, ”aule-bunker”, ogni volta che una Procura impianta un maxi-processo. Per desiderio di giustizia? Più probabile è che gli appaltatori siano giusti, non si denunciano fra di loro.

 

Il porto turistico di Saline, verso Capo dell’Armi, è completato da quarant’anni, e ora progetta (Pnrr?) di “infrastrutturarsi” con i servizi ai diportisti. Quello di Palmi, completato da quindici, non ci pensa – è un rimessaggio gratis.

 

Appena eletto il presidente della Regione Occhiuto ha messo fine al commissariamento disastroso della sanità, di commissari mandate da Roma, tutti più strani e incapaci dell’altro. Cioè ha preso su di sé i poteri commissariali. E ci ha preso gusto, evidentemente. Subito dopo ha deciso lui di commissariare la Calabria, i depuratori della Regione. Sono alcune centinaia, e quindi alcune centinaia di persone, nominate motu proprio dal presidente, avranno un ottimo stipendio - si discute se dovranno pagarli i comuni comprensoriali, in aggiunta agli operatori normali dei depuratori, oppure la Regione.Una ventina di milioni, l’anno.

 

Occhiuto commissaria i depuratori perché le acque reflue depurate non vengono riutilizzate, ma disperse. Se non che la riutilizzazione doveva essere opera regionale e non comprensoriale, con una rete di bacini e di condotte. La Regione ha strani modi di ragionare.

 

Inevitabile è nella vacanza in Calabria la deprecazione della Calabria, faticosa. Di amici, conoscenti, vicini (ombrellone, ristorante, caffè): non c’è calabrese che se ne esima, anzi tutti ne sentono il bisogno. Come di un paradiso perduto. Si stava meglio quando si stava peggio? È però vero che la democratizzazione non smette di produrre rifiuti.

 

Gioia Tauro ribolle di commerci, magazzini, negozi, centri commerciali, ogni anno le sue strade  commerciali si allungano di centinaia di metri, con edifici anche curati, come si conviene a una città di denari – forse più che a Milano… - o di eredi dei commercianti amalfitani che vi si sono stabiliti un secolo fa, col non trascurabile capitale mentale della vecchia repubblica marinara. In mezzo all’abbandono, di strade disselciate, marciapiedi impraticabili, rifiuti mai raccolti. Un caso da manuale di ricchezza privata e povertà pubblica. Dopo quarant’anni di antimafia – cioè di gestioni commissariali. Ha chiuso il vecchio ospedale, doveva farsene uno nuovo, non se ne parla.

Gioia Tauro è ricca e può pagarsi i commissari. Ma cos’è, una taglia? Dei prefetti, del ministro dell’Interno?

 

Non un solo personaggio, una personalità di carisma politico, come capolista in Calabria, solo nomi di fuori. I giudici Cafiero de Raho, uno che è stato tre anni a Reggio Calabria, e non usciva di casa per non contaminarsi, e Roberto Scarpinato, quello della “mafia di Dio”. Col solito Salvini. Però, una novità c’è, Mara Elena Boschi.


leuzzi@antiit.eu

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