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È un altro conclave
Senza colpa, probabilmente, ma il cardinale Parolin è ridotto a
controfigura del suo pari grado Bellini nel romanzo-film “Conclave”: il segretario
di Stato favorito che perde voti a ogni votazione. Lui stesso si considera
tale, scrivendo oggi al giornale del suo paese, il “Giornale di Vicenza”, e
quindi prosit. Mentre il conclave vero, quello come lo ha voluto il papa Bergoglio,
che ha proceduto all’elezione del suo successore, è stato molto diverso. Per lo
svolgimento non è dato sapere, ma per la composizione sì.
Nel penultimo conclave, 2013, erano “occidentali”, europei e nordamericani,
il 65 per cento dei cardinali, due elettori su tre. In quello appena concluso
la quota era scesa a uno su due, il 50 per cento. È stata questa la maggiore “rivoluzione”
di Bergoglio – quella di maggiore impatto.
Insieme a un’altra a cui non si fa caso, ed è forse di impatto ancora maggiore:
sono escluse dal conclave alcune delle diocesi più grandi e di maggiore
tradizione: Milano, Venezia e Genova in Italia, Parigi, Madrid, Los Angeles.
Non è cardinale, a proposito di “papa americano”, neppure il presidente della
Conferenza episcopale Usa, Timothy Broglio.
Molti cardinali elettori sono – sono stati – vescovi di piccole comunità,
nominati per scelta personale, anche se di rappresentanza ridotta.
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