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Le disgrazie dell’innocenza
Minato è figlio di
una giovane vedova. Una madre single. Quindi, dicono a scuola la preside,
il vice-preside, i maestri, apprensiva e molto autocentrata. Quando il bambino
– qui nell e forme di un ragazzo - ha dei problemi, dice di avere “il cervello di
un maiale”, la madre protesta vivacemente, una, due, tre volte. Le “autorità”
scolastiche le vengono incontro, e costringono l’insegnante del bambino a professarsi
colpevole.
La madre poi scompare.
Segue la storia dell’insegnante. Un giovane al primo incarico, generoso e
estremamente attento. Gioioso anche e scherzoso. Infine insolentito,
allontanato, abbandonato, forse suicida.
Poi il bambino-ragazzo
ha una vita piena con una compagna di classe, molto più vispa e attiva di lui –
come avviene di fatto nella pubertà, tra le femmine in genere e i maschi. Piena
di avventure, in città e in campagna, a piedi, a nuoto e in bicicletta.
Un racconto
semplice e complesso. A suo modo, un film-verità, in quella sorta di neorealismo
che il cinema asiatico (giapponese, coreano) riprende da un decennio: delle
“gente” com’è, semplice, umile, inimportante, e complicata.
Miracolosa la capacità
di farlo durare due ore, senza colpi di scena, senza “bellezze”, senza
“verità”.
Hirokazu Kore’eda,
L’innocenza, Sky Cinema, Now
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