Giuseppe Leuzzi
Omertà, secondo la Treccani, è “variante napol.
di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche
indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un
capo e a determinate leggi”. Secondo Ulderico Nisticò nelle vesti di filologo
viene “dal latino homo”, sì, ma “che nel linguaggio feudale indica il
vassallo armato di un signore”.
Codice di onore (obbedienza) o
di paura? Decismente, la mafia non sarebbe fatta per i filologi, neppure per
gli storici. Cui bono?
Sant’Eufemia, prima emigrante
dalla Calabria
Sant’Eufemia è santa diffusa
toponomasticamente in Calabria: Vetere, Lamezia, d’Aspromonte. Ma anche in Spagna:
dà il nome a un paese di un migliaio di abitanti, nella provincial di Cordoba, in
Andalusia, i cui abitanti si fanno chiamare “calabreses”. Ce n’è una anche in Argentina, ma opera
di toscani, due fratelli.
La santa è veramente di Calcedonia,
dei primi secoli del cristianesimo. Ma è di culto nella chiesa greca, e per questo
rinomata in Calabria – una Sant’Eufemia è anche in S alento.
Quella spagnola, “un caso
davero curioso”, è cocì spiegata da Ulderico Nisticò, “Controstoria delle
Calabrie”, p.204: “Fu ai tempi di
Ruggero II che una spedizione di calabresi partecipò alla guerra di Spagna contro
i Mori. È viva tradizione nel comune di Sant’Euf emia nella provincial di Cordova,
ritenere di essere discendenti di trentatré cavalieri calabresi, che combatterono
con il re Alfonso VII di Castiglia detto l’Imperatore (1127-56), e il cui grido
di guerra era «Sant’Eufenia!». Da allora gli abitanti sono detti calabresi, e
amano e usano questo appellativo anche per la squadra di calcio e i loghi delle
produzioni locali”.
Ruggero è R uggero II di Sicilia, ma nato a Mileto vicino Vibo Valentia,
dove il casato ristagnava da qualche decennio, guardando l’inoccupabile Sicilia.
Figlio e successore di Ruggero il Normanno, poi Ruggero I di Sicilia, dell’autoproclamata
dinastia degli Altavilla. Via via Gran Conte di Sicilia (dal 1105), duca di
Puglia (dal 1127) e primo re di Sicilia, dal 1130 al 1154, fondatore del
Regnum Siciliae - e per tale titolo anche re d’Africa.
Gli
Sforza nascono in Calabria
Le fortune degli Sforza nascono in Calabria – duro colpo
per il leghismo, se studiasse la storia. Ulderico Nisticò fa la sintesi delle
loro prime vicende in “Controstoria delle Calabrie”, p. 67. “Francesco Sforza,
figlio di Muzio Attendolo, ha avuto un passato calabrese, prima combattendo per
Alfonso I, il re di Napoli, e distrugendo Taverna (Vecchia), poi sposando Polissena
Ruffo di Montalto, ma quando questa morì senza figli, dovette lasciare il feudo.
Lo seguì nelle sue vicende, nelle Marche e a Milano, Cicco Simonetta da
Caccuri, che divenne primo ministro suo e del figlio Galeazzo e governatore del
ducato per Gian Galeazzo. Finché Ludovidco il Moro non lo fece uccidere. I suoi
eredi, fra cui il cardinale Giovanni, ebbero feudi e onori in Lombardia fino al
XVII secolo”.
Il finale è impreciso. Giovanni,
fratello di Francesco detto “Cicco”, si era trasferito anche lui (e con loro lo
zio Angelo) a Milano. Dove, alla morte di Francesco Sforza, redasse la
cosiddetta “Sforziade”, il commentario in latino in 31 libri, “Rerum Gestarum
Francisci Sfortiae Mediolanensium Ducis Commentarii”, la cronistoria del ducato
tra il 1442 e il 1466. Quando Cicco morì, nel 1480, Ludovico il Moro lo esiliò
a Vercelli, risparmiandogli la vita solo perché aveva celebrato suo padre.
Cardinale sarà Giacomo, il
figlio di Giovanni. Che fece carriera nello Stato pontificio, vescovo di Pesaro
e di Perugia, e poi cardinale, a opera del papa Paolo III Farnese. Di passata
fu anche vescovo di Lodi, carica che lasciò dopo poche settimane al nipote
Giovanni. Che diventerà anche lui cardinale – e ci sarà un Giovanni vescovo di
Lodi tra il 1538 e il 1556, un membro del Senato di Milano, nipote del Giovanni
cardinale.
C’è molto Caccuri nel governo
di Milano - a Caccuri sapevano leggere, scrivere in latino, e di legge.
Nel 1460, quando i Simonetta
erano ancora in forze a Milano, Giovanni fu fatto feudatario di Rocca di Neto e
Roccella da Ferdinando I d’Aragona, “don Ferrante”. Don Ferrante fra tutti era
succeduto al padre Ferdinando I sul trono di Napoli sostenuto da Francesco
Sforza. Insieme, don Ferrante e gli Sforza (Galeazzo, figlio e successore di
Francesco), intervennero nelle vicende fiorentine sconfiggendo le mire di signoria
di Bartolomeo Colleoni nelle vesti di protettore della Repubblica – quindi alleati
di fatto dei Medici.
Un’ultima collaborazione militare
decisiva per gli Sforza a Milano, tessuta da Cicco Simonetta, si ebbe nella Valle
Padana, nel 1484, per imporre a Venezia la pace di Bagnolo. Gian Galeazzo
Sforza aveva sposato Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, sucecduto a Napoli
a Ferdinando I, “don Ferrante”. Dieci anni dopo Luvdovico il Moro liquidava i
suoi calabresi e napoletani. E sponsorizzava Carlo VIII, la spedizione che inaugurò
lo smembramento dell’Italia sotto potenza straniera. Milano si vuole sempre
quinta colonna di qualcosa.
La Grecia prima
della Magna Grecia
C’è una presenza “micenea”,
uno scambio, con le appendici italiane più prossime alla Grecia secondo le
linee di navigazione aperte, allora come oggi per i migranti alal deriva, da
venti e correnti, partendo dal Mediterraneo Orientale, verso salento e Calabria,
da Roca Vecchia a Trebisacce (e a Nardodipace?), documentata da scambi (ceramiche,
monili, monete) e da mura ciclopiche – sul tipo dei nuraghi in Sardegna?
Non ci sono studi specifici.
Ma ci sono molte evidenze, occasionali, di scavi su altre tracce.
Vent’anni fa, poco meno, si poteva
registrare, su questo stesso sito:
“Tanti Tauri in Calabria, le
tombe di Otranto, un’Eraclea Minoa e altre pietre resistenti a Augusta in
Sicilia, bisognerà pure fare la storia dei micenei prima della Magna Grecia. A
Roca Vecchia sotto il famoso san Foca, il martire giardiniere patrono dei
marinai, si vede che i micenei erano in Italia settecento anni prima della
prima colonia della storia greca ora in disarmo, avendovi lasciato le loro
imitazioni povere delle piramidi. A Otranto, vecchia Idrusa, il signor De Donno
ne ha alcune nel suo campo di Torre Pinta, dove fa trattoria.
“I micenei, gente che vagava per i mari, al tempo degli egiziani e dei medi
persiani. Prima di sprofondare, da Creta e da ogni altra presenza in
terraferma, col gigantesco krakatoa che inghiottì Santorini. Presto mitizzati,
l’ingegner Dedalo e il figlio Icaro, l’accondiscendente Pasifae moglie del re
Minosse, la gentile Arianna, e i tori onnipotenti. Si potrà sempre dire: ecco
da dove viene il machismo del Sud”.
Non ci sonostati ritrovamenti
decisivi da allora – non sono cercati. Ma convegni sì, si susseguono.
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse” - 2
Sempre in prima
fila, e in armi, per il resto neghittosi, quando si tratta della Vera Fede. Nel
1799 contro i Giacobini di Napoli – contro i francesi di Napoleone in realtà. Qualche
anno dopo contro i napoleonici occupanti, che gli usi civici volevano
assimilare alla manomorta ecclesisatica, e un maschio ogni dieci pretendeano soldato.
Ma già nel secolo XII in Spagna contro i Mori, se un paese nel cordovano resiste
che si vule “calabrese”.
Nella sua “Controstoria
delle Calabrie” a un certo punto, pp. 88-89, il laico Ulderico Nisticò non si
trattiene dal celebrarne l’elogio – con ragioni forse non storiche, non vagliate,
come quelle di Galasso, ma persuasive: “Nel febbraio del seguente 1799 accadde
in Calabria un evento che, sebbene sia consuetudine della storiografia
ufficiale di ignorarlo o denigrarlo, appare epocale per il futuro della
politica dei secoli XIX e XX: il cardinale laico Fabrizio Ruffo, della gloriosa
famiglia, sbarcò segretamente presso Palmi, e nel volgere di pochi giorni formò
il primo esercito popolare della storia moderna, le Masse della Santa Fede.
“Ruffo percorse
rapidamente la via dello Jonio. Crotone, che resistette, subì il saccheggio. Le
masse giunsero in Puglia, e da lì a Napoli, compiendo il prodigio militare di tenere
unite e sostanzialmente disciplinate le sue improvvisate truppe.
“I Francesi lasciarono la capitale, dove i
repubblicani, per qualche ora davvero indipendenti, offrirono al forte di Vigliena
una resistenza valorosa, per quanto inutile. Ruffo offrì loro la resa, e l’esilio
in Francia. Ma, con l’inganno, l’inglese Nelson li catturò. Processati che furono,
un centinaio di loro subì la pena di morte. Secondo i più, per volontà della
regina Carolina. Ma si pensa anche a una faida tra la Massoneria francese e
quella inglese!
“La vicenda della Santa Fede,
gloriosa e tragica in sé, non ebbe alcun seguito se non nelle scontate
deprecazioni degli eredi dei giacobini, e per essi della storiografia
patriottica dell’Ottocento”. Ma anche la corte napoletana diffidò. La Calabria
non ne ebbe alcun beneficio. “E meno ancora il cardinale, frettolosamente messo
da parte; e quando, nel 1806, frettolosamente si rivolsero di nuovo a lui,
risponderà che certi miracoli avvengono una sola volta!”.
Di fatto, i “massisti” saranno centrali ancora, agli
ordini inglesi - nelle cui file si formarono anche due battaglioni regolari,
con divisa, mostrine e soldo - nella rivolta del 1806-1807 in Calabria contro
il governo francese di Napoli - tasse, usi civici, leva obbligatoria. Di cui nelle
vivaci lettere di Paul-Louis Courier, volontario napoleonico, che ogni poche
notti si vede morto - poi grecista, poi assassinato, cinquantenne, con un colpo
di fucile alla testa nei dintorni di Parigi. Furono di peso in particolare nel
giugno del 1806, nella battaglia “che i francesi chiamano di Sant’Eufemia e gli
inglesi di Maida”, al comando del generale americano lealista (fedele alla corona
d’Inghilterra) Stuart.
gleuzzi@antiit.eu
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