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giovedì 15 maggio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (593)

Giuseppe Leuzzi


Omertà, secondo la Treccani, è “variante napol. di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate leggi”. Secondo Ulderico Nisticò nelle vesti di filologo viene “dal latino homo”, sì, ma “che nel linguaggio feudale indica il vassallo armato di un signore”.
Codice di onore (obbedienza) o di paura? Decismente, la mafia non sarebbe fatta per i filologi, neppure per gli storici. Cui bono?
 
Sant’Eufemia, prima emigrante dalla Calabria
Sant’Eufemia è santa diffusa toponomasticamente in Calabria: Vetere, Lamezia, d’Aspromonte. Ma anche in Spagna: dà il nome a un paese di un migliaio di abitanti, nella provincial di Cordoba, in Andalusia, i cui abitanti si fanno chiamare “calabreses”. Ce n’è una anche in Argentina, ma opera di toscani, due fratelli.
La santa è veramente di Calcedonia, dei primi secoli del cristianesimo. Ma è di culto nella chiesa greca, e per questo rinomata in Calabria – una Sant’Eufemia è anche in S alento.
Quella spagnola, “un caso davero curioso”, è cocì spiegata da Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”,  p.204: “Fu ai tempi di Ruggero II che una spedizione di calabresi partecipò alla guerra di Spagna contro i Mori. È viva tradizione nel comune di Sant’Euf emia nella provincial di Cordova, ritenere di essere discendenti di trentatré cavalieri calabresi, che combatterono con il re Alfonso VII di Castiglia detto l’Imperatore (1127-56), e il cui grido di guerra era «Sant’Eufenia!». Da allora gli abitanti sono detti calabresi, e amano e usano questo appellativo anche per la squadra di calcio e i loghi delle produzioni locali”.
Ruggero è R uggero II di Sicilia, ma nato a Mileto vicino Vibo Valentia, dove il casato ristagnava da qualche decennio, guardando l’inoccupabile Sicilia. Figlio e successore di Ruggero il Normanno, poi Ruggero I di Sicilia, dell’autoproclamata dinastia degli Altavilla. Via via Gran Conte di Sicilia (dal 1105), duca di Puglia (dal 1127) e primo re di Sicilia, dal 1130 al 1154, fondatore del Regnum Siciliae - e per tale titolo anche re d’Africa.
 
Gli Sforza nascono in Calabria
Le fortune degli Sforza nascono in Calabria – duro colpo per il leghismo, se studiasse la storia. Ulderico Nisticò fa la sintesi delle loro prime vicende in “Controstoria delle Calabrie”, p. 67. “Francesco Sforza, figlio di Muzio Attendolo, ha avuto un passato calabrese, prima combattendo per Alfonso I, il re di Napoli, e distrugendo Taverna (Vecchia), poi sposando Polissena Ruffo di Montalto, ma quando questa morì senza figli, dovette lasciare il feudo. Lo seguì nelle sue vicende, nelle Marche e a Milano, Cicco Simonetta da Caccuri, che divenne primo ministro suo e del figlio Galeazzo e governatore del ducato per Gian Galeazzo. Finché Ludovidco il Moro non lo fece uccidere. I suoi eredi, fra cui il cardinale Giovanni, ebbero feudi e onori in Lombardia fino al XVII secolo”.
Il finale è impreciso. Giovanni, fratello di Francesco detto “Cicco”, si era trasferito anche lui (e con loro lo zio Angelo) a Milano. Dove, alla morte di Francesco Sforza, redasse la cosiddetta “Sforziade”, il commentario in latino in 31 libri, “Rerum Gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium Ducis Commentarii”, la cronistoria del ducato tra il 1442 e il 1466. Quando Cicco morì, nel 1480, Ludovico il Moro lo esiliò a Vercelli, risparmiandogli la vita solo perché aveva celebrato suo padre.
Cardinale sarà Giacomo, il figlio di Giovanni. Che fece carriera nello Stato pontificio, vescovo di Pesaro e di Perugia, e poi cardinale, a opera del papa Paolo III Farnese. Di passata fu anche vescovo di Lodi, carica che lasciò dopo poche settimane al nipote Giovanni. Che diventerà anche lui cardinale – e ci sarà un Giovanni vescovo di Lodi tra il 1538 e il 1556, un membro del Senato di Milano, nipote del Giovanni cardinale.
C’è molto Caccuri nel governo di Milano - a Caccuri sapevano leggere, scrivere in latino, e di legge.
Nel 1460, quando i Simonetta erano ancora in forze a Milano, Giovanni fu fatto feudatario di Rocca di Neto e Roccella da Ferdinando I d’Aragona, “don Ferrante”. Don Ferrante fra tutti era succeduto al padre Ferdinando I sul trono di Napoli sostenuto da Francesco Sforza. Insieme, don Ferrante e gli Sforza (Galeazzo, figlio e successore di Francesco), intervennero nelle vicende fiorentine sconfiggendo le mire di signoria di Bartolomeo Colleoni nelle vesti di protettore della Repubblica – quindi alleati di fatto dei Medici.
Un’ultima collaborazione militare decisiva per gli Sforza a Milano, tessuta da Cicco Simonetta, si ebbe nella Valle Padana, nel 1484, per imporre a Venezia la pace di Bagnolo. Gian Galeazzo Sforza aveva sposato Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, sucecduto a Napoli a Ferdinando I, “don Ferrante”. Dieci anni dopo Luvdovico il Moro liquidava i suoi calabresi e napoletani. E sponsorizzava Carlo VIII, la spedizione che inaugurò lo smembramento dell’Italia sotto potenza straniera. Milano si vuole sempre quinta colonna di qualcosa.
 
La Grecia prima della Magna Grecia
C’è una presenza “micenea”, uno scambio, con le appendici italiane più prossime alla Grecia secondo le linee di navigazione aperte, allora come oggi per i migranti alal deriva, da venti e correnti, partendo dal Mediterraneo Orientale, verso salento e Calabria, da Roca Vecchia a Trebisacce (e a Nardodipace?), documentata da scambi (ceramiche, monili, monete) e da mura ciclopiche – sul tipo dei nuraghi in Sardegna?
Non ci sono studi specifici. Ma ci sono molte evidenze, occasionali, di scavi su altre tracce.
Vent’anni fa, poco meno, si poteva registrare, su questo stesso sito:
“Tanti Tauri in Calabria, le tombe di Otranto, un’Eraclea Minoa e altre pietre resistenti a Augusta in Sicilia, bisognerà pure fare la storia dei micenei prima della Magna Grecia. A Roca Vecchia sotto il famoso san Foca, il martire giardiniere patrono dei marinai, si vede che i micenei erano in Italia settecento anni prima della prima colonia della storia greca ora in disarmo, avendovi lasciato le loro imitazioni povere delle piramidi. A Otranto, vecchia Idrusa, il signor De Donno ne ha alcune nel suo campo di Torre Pinta, dove fa trattoria.
“I micenei, gente che vagava per i mari, al tempo degli egiziani e dei medi persiani. Prima di sprofondare, da Creta e da ogni altra presenza in terraferma, col gigantesco krakatoa che inghiottì Santorini. Presto mitizzati, l’ingegner Dedalo e il figlio Icaro, l’accondiscendente Pasifae moglie del re Minosse, la gentile Arianna, e i tori onnipotenti. Si potrà sempre dire: ecco da dove viene il machismo del Sud”.
Non ci sonostati ritrovamenti decisivi da allora – non sono cercati. Ma convegni sì, si susseguono.
 
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse” - 2
Sempre in prima fila, e in armi, per il resto neghittosi, quando si tratta della Vera Fede. Nel 1799 contro i Giacobini di Napoli – contro i francesi di Napoleone in realtà. Qualche anno dopo contro i napoleonici occupanti, che gli usi civici volevano assimilare alla manomorta ecclesisatica, e un maschio ogni dieci pretendeano soldato. Ma già nel secolo XII in Spagna contro i Mori, se un paese nel cordovano resiste che si vule “calabrese”.
Nella sua “Controstoria delle Calabrie” a un certo punto, pp. 88-89, il laico Ulderico Nisticò non si trattiene dal celebrarne l’elogio – con ragioni forse non storiche, non vagliate, come quelle di Galasso, ma persuasive: “Nel febbraio del seguente 1799 accadde in Calabria un evento che, sebbene sia consuetudine della storiografia ufficiale di ignorarlo o denigrarlo, appare epocale per il futuro della politica dei secoli XIX e XX: il cardinale laico Fabrizio Ruffo, della gloriosa famiglia, sbarcò segretamente presso Palmi, e nel volgere di pochi giorni formò il primo esercito popolare della storia moderna, le Masse della Santa Fede.
“Ruffo percorse rapidamente la via dello Jonio. Crotone, che resistette, subì il saccheggio. Le masse giunsero in Puglia, e da lì a Napoli, compiendo il prodigio militare di tenere unite e sostanzialmente disciplinate le sue improvvisate truppe.  
“I Francesi lasciarono la capitale, dove i repubblicani, per qualche ora davvero indipendenti, offrirono al forte di Vigliena una resistenza valorosa, per quanto inutile. Ruffo offrì loro la resa, e l’esilio in Francia. Ma, con l’inganno, l’inglese Nelson li catturò. Processati che furono, un centinaio di loro subì la pena di morte. Secondo i più, per volontà della regina Carolina. Ma si pensa anche a una faida tra la Massoneria francese e quella inglese!
“La vicenda della Santa Fede, gloriosa e tragica in sé, non ebbe alcun seguito se non nelle scontate deprecazioni degli eredi dei giacobini, e per essi della storiografia patriottica dell’Ottocento”. Ma anche la corte napoletana diffidò. La Calabria non ne ebbe alcun beneficio. “E meno ancora il cardinale, frettolosamente messo da parte; e quando, nel 1806, frettolosamente si rivolsero di nuovo a lui, risponderà che certi miracoli avvengono una sola volta!”.
Di fatto, i “massisti” saranno centrali ancora, agli ordini inglesi - nelle cui file si formarono anche due battaglioni regolari, con divisa, mostrine e soldo - nella rivolta del 1806-1807 in Calabria contro il governo francese di Napoli - tasse, usi civici, leva obbligatoria. Di cui nelle vivaci lettere di Paul-Louis Courier, volontario napoleonico, che ogni poche notti si vede morto - poi grecista, poi assassinato, cinquantenne, con un colpo di fucile alla testa nei dintorni di Parigi. Furono di peso in particolare nel giugno del 1806, nella battaglia “che i francesi chiamano di Sant’Eufemia e gli inglesi di Maida”, al comando del generale americano lealista (fedele alla corona d’Inghilterra) Stuart.


gleuzzi@antiit.eu

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