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Meloni al mercato
Non cè solo l’intrusione a piedi uniti negli assetti bancari, con Mps, l’ama
de casa, a caccia di Mediobanca, nientedimeno, e Generali-cum-Natixis, e le
barriere erette a difesa del fido Bpm dalle insidie dell’infida Unicredit. Non
c’è solo la moltiplicazione dei “salvataggi” industriali – l’industria pubblica,
di nuovo, dopo le acclamate privatizzazioni – e a che costo. C’è perfino l’ingerenza
illegale nelle Autorità di controllo del mercato. Per ora nella Consob. Che solo
un’opposizione alla Conte-Schlein, di sprovveduti capipopolo, improvvisati, può
non vedere.
Meloni caratterizza l’avvio della seconda metà del suo governo con l’interventismo
– il dirigismo, si sarebbe detto a sinistra – negli assetti economici. Non la
defunta programmazione socialista, che
pure tanti lutti portò, dalla chimica dei pareri di conformità all’Efim.
Ma proprio l’interventismo mussoliniano: ci penso io.
È una strada sui cui Meloni sembra avere impegnato il govern all’improvviso
a fondo, benché abbia alleati due partiti in teoria liberali. Forse con occhio
alla rielezione, anche se mancano ancora molti mesi, per la vecchia teoria e pratica
del potere-che-porta-voti. O forse per istinto. Ma poi tassa tutti, poco ma in
ogni piega, in ogni risvolto. E questo sicuramente non paga.
Lo fa – le microtasse – per tenere in ordine i conti? Obiettivo meritevole.
Ma alla sommatoria non farà troppi scontenti, potenti e non? Anche se l’opposizione
di Conte-Schlein, demiurgi improvvisati, non mostra di capirlo. Le Autorità
sono state create per proteggere il mercato da scorrettezze e abusi, per primo della
politica.
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